L’amore verso nostro Signore Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Sacerdote

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO. L'amore verso nostro Signore Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Sacerdote

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Nostro Signor GESÙ CRISTO è la Gloria grande e veramente, unica del Padre. Il Sacerdote con la purità dei suoi sentimenti, la religione, lo zelo e tutte le opere sante del suo Sacerdozio, è pure anch'esso la Gloria del Padre. Perché? Perché vive nella più intima ,e stretta unione con GESÙ CRISTO, perché è davvero un altro GESÙ CRISTO!… Ma in qual modo si compie questa unione, questa divina unità? Per mezzo dell'amore (338); e chi deve amare GESÙ CRISTO, come il Sacerdote?

L'amore verso Nostro Signor GESÙ CRISTO!… qual argomento! soprattutto quando si deve trattarne in modo conveniente ad anime sacerdotali! Tutto quanto si potrebbe dire, anche in un convegno di Gertrudi o di Terese, sarebbe poco per i Sacerdoti. Questi sanno benissimo che, a buon diritto, più di qualsiasi persona, possono applicare a se stessi quelle parole ardenti di san Paolo: Mihi vivere Christus et mori lucrum… Charitas Christi urget nos… Quis nos separabit a Charitate Christi(339).Christi divinitas, vita est; ipsius aeternitas… caro… passio… mors… vulnus, vita est. Accedite ad eum et satiamini, quia panis est: potate, quia fons est, illuminamini, quia lux est (340).Vi sono pure altri testi dei Padri, e numerosi, sull'amore che merita Nostro Signore, sopra ciò ch'Egli è per le anime, sull'unione perfettissima che deve esservi tra questo unico Tutto e le sue creature redente dal suo Sangue; e tutti convengono al Sacerdote in un modo oltremodo sublime, eccezionale e assoluto. Il Sacerdote animato dall'amore tende egli medesimo all'unità. Non deve esservi distanza tra lui e GESÙ CRISTO, ma bisogna che si perda in quel centro, in quella vita, in quell'Essere di GESÙ CRISTO. «La divisione è stata la nostra rovina, dice sant'Agostino, ma liberati, per la misericordia divina, dalla molteplicità, noi andiamo a Colui che è unità» (342); GESÙ CRISTO, vivendo Egli stesso in noi, diventa l'unica vita nuova della quale vogliamo vivere. Tale unione veramente ineffabile, che più giustamente sarebbe da chiamarsi unità, è così bene la vita del Sacerdote, che non si potrebbe più dargli questo nome quando non vivesse dell'amore con cui si opera l'unione (343).?..

Sant’Ambrogio diceva: Jam non vitam nostram, sed Christum vivimus…

E san Paolino da Nola: Sibi habeant sapientiam suam philosophi, sibi divitias suas divites, sibi regna sua reges; nobis gloria et possessio et regnum, Christus est… Ergo illum amemus, quem amare debitum est; illum oseulemur, quem osculari castitas est… illi subjiciamur, sub qua jacere super mundum stare est; propter illum dejiciamur, cui cadere resurrectio est; illi commoriamur, in quo vita est, in quo et mortui vivimus (341).

 

Nostro Signore medesimo ci rivelava questo magnifico Mistero. Mentre stava per uscire dal Cenacolo onde portarsi all'orto degli Ulivi, Egli rivolgeva al Padre suo questa bella preghiera: Pater juste… ut dilectio, qua dilexisti me, in ipsis sit, et ego in ipsis (Gv 17, 26). O Dio! quali meravigliosi splendori! Quell'amore medesimo con cui il Padre ama il Figlio, è quello stesso con cui noi amiamo il Figlio, e allora il Figlio è in noi! Ma qual'è dunque quell'amore con cui il Padre ama il Figlio? Qual'è la potenza, la tenerezza, la costanza di un tale amore, e la compiacenza che il Padre trova nell'amare il figlio suo? Qual'è l'effusione del Padre nel Figlio, e l'unità che si compie in questa effusione infinita ed eterna? È lo Spirito Santo medesimo; non un atto divino a guisa dell'atto creatore, ma una Persona divina, immanente, sostanzialmente una col Padre e col Figlio; lo Spirito Santo è quell'amore, quella potenza, quella tenerezza, quella costanza, quella effusione infinita ed eterna, quella unità adorabile. Lo Spirito Santo, personalmente e sostanzialmente è l'amore con cui il Padre ama il Figlio. Pertanto, ecco l'amore col quale vogliamo amare Nostro Signor GESÙ CRISTO: non già un altro amore, una somiglianza, un'immagine, ma quel medesimo amore potente, tenero e costante, amore che opera l'unione come quello del Padre: dimodochè GESÙ CRISTO per noi, come per il Padre, sia tutto. Perché il Padre non ama che GESÙ CRISTO, e tutto quanto Egli ama nel mondo, lo ama unicamente in GESÙ CRISTO, vede ogni cosa in Lui, e non trova di amabile se non ciò che di GESÙ CRISTO Egli stesso ha posto ih noi e vede in noi: in questo modo il Padre! ama le anime nostre in GESÙ CRISTO.

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L’amore della gloria di Dio, gloria del sacerdote

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO TREDICESIMO. L'AMORE DELLA GLORIA DI DIO GLORIA DEL SACERDOTE

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Poiché il Sacerdote è in tal modo dedicato e votato alla gloria di Dio, sino ad esserne, in modo perfettissimo, la Vittima immolata e consumata nell'amore più generoso ed eroico, dobbiamo dire che l'amore di questa gloria divina è per lui, il principio della gloria più magnifica.

Dapprima, «servire a Dio», servire soprattutto con tale abnegazione di se medesimo e tale devozione «è veramente regnare» (331). «Aderire a Dio», essere unito a Lui in un modo così perfetto come quello di una Vittima tutta consumata al suo onore, è questo «una beatitudine» (Ps. 72, 27) perfettissima; anzi è una sorta di deificazione, perché così si diventa «una sola cosa con Dio» (I Cor 6, 17). Orbene, havvi forse al mondo una gloria che si possa paragonare a questa? La parola umana non è capace di esprimere la sublimità cui si deva il Sacerdote che viene, in tal modo, trasportato in Dio e come trasformato in Lui (Eccli 23, 38). Perciò, il grande Apostolo, dopo aver detto che scopo del suo Sacerdozio e del suo Apostolato era di fare di «tutte le genti un sacrificio santo e a Dio gradito, aggiungeva: «Habeo igitur gloriam in Christo Jesu ad Deum» (332).

Ma, nel ricercare in ogni cosa la gloria di Dio, il Sacerdote, con gli atti che compie, acquista pure un'altra gloria. Questa sublime ambizione, come per effetto naturale, eleva mirabilmente i suoi pensieri, i suoi sentimenti e il suo carattere; nobilita magnificamente tutte le facoltà della sua mente e del suo cuore e tutta la sua persona: Sant'Ilario ha detto: Angusta peccantium sunt corda et hospitio Deum mens polluta non recipit (333); e sant'Ambrogio, al contrario, che «il cuor dei giusti è vasto, e contiene Colui per il quale il mondo è troppo piccolo» (334). Quando Salomone fece la solenne dedicazione del Tempio, la gloria di Dio riempì il Tempio, e tutto Israele la poté contemplare (335). Abbiamo qui la stessa meraviglia: la maestà di Dio riempie l'anima sacerdotale, e la sua gloria la copre di magnificenza. In quest'anima, non si scorge che una elevazione facile, pronta, generosa verso Colui che per lei è Tutto: intenzione sempre pura, santa, e libera da ogni aspirazione umana; piena e perfetta libertà, senza che nessun egoismo impicci i suoi movimenti; ampiezza e larghezza di propositi, di sentimenti e di affetti, senza che nulla di terreno trovi posto nella sua mente e nel suo cuore che sono riempiti di Dio. Oh! stato veramente bello e delizioso, davanti a Dio e agli angeli suoi! bello nell'ordine soprannaturale: se ci fosse dato di contemplarlo, non solamente ecciterebbe in noi l'ammirazione, ma ci rapirebbe nell'estasi. Bello ancora e magnifico nell'ordine morale della natura; perché, infine, che cosa veramente può mai essere grande e sublime, se non una tale distinzione di intenzioni un disinteresse così generoso, una dignità così grande nella vita, una magnanimità di carattere così forte e costante? Sì! un'anima che non ha altro amore, secondo la parola di sant'Agostino, che per la Bellezza di Dio, riceve, per certo un raggio degli splendori divini di quella Bellezza perfetta ed è veramente bella (336).

Il vero Sacerdote di GESÙ CRISTO, non avendo altra regola che la gloria di Dio, prega con vivo ardore per la buona riuscita delle Opere che intraprende nel procurare questa divina gloria; vi si dedica con gran cuore ed irremovibile costanza, e con ogni sorta di sacrificio. Altri lavorano pure nel campo del Signore; ed egli porta interesse alle opere degli altri come alle sue proprie. Che se riescono meglio di lui, non ne risente ombra di, tristezza volontaria, tanto meno di gelosia; ma, nell'intimo dell'animo, benedice Nostro Signore e gode che vi sia chi fa per il suo onore quanto non è capace di fare lui medesimo. Né mai si renderà colpevole del peccato diabolico di impedire, per amor proprio o gelosia, il bene che altri potrebbero fare; perché allora direbbe, in fatto: quaero gloriam meam, e si metterebbe al posto di Dio.

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Il sacerdote è l’uomo della gloria di Dio

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
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SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
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CAPITOLO DODICESIMO. Il sacerdote è l’uomo della gloria di Dio

 

Il Sacerdote è per eccellenza l’uomo che deve procurare la gloria di Dio; è questa l’essenza della sua vocazione; in fondo egli è Sacerdote per questo.

Qui non si tratta evidentemente che di gloria accidentale, perché la gloria essenziale di Dio è il Verbo increato e la sua gloria accidentale è il Verbo incarnato. GESÙ CRISTO è tutta la gloria accidentale del Padre, tutta la lode, tutto il compiacimento del Padre; ciò ch’Egli dà al Padre basterebbe per la gloria e la gioia del Padre. Ma GESÙ CRISTO vuole associarsi il Sacerdote e usarne come di un aiuto, come di uno strumento per promuovere nel mondo questa gloria del Padre, che è pur il fine della sua Incarnazione.

Consideriamo dunque qui la gloria di Dio nel senso in cui la si intende d’ordinario, come l’intendiamo noi pure quando nelle nostre orazioni quotidiane, diciamo: «Sia santificato il vostro nome, venga il vostro regno, sia fatta la vostra volontà, così in terra come in cielo!». In questo senso, la gloria di Dio è Dio medesimo che appare agli uomini tale quale Egli è, con la sua Maestà, la sua Bontà, la sua Bellezza, la sua Sapienza, la sua Misericordia, la sua Autorità, la sua Giustizia e la sua Padronanza; è Dio obbedito nelle sue leggi, soddisfatto nelle sue intenzioni e nei suoi disegni. La gloria di Dio è Dio, il quale, avendo con infinito amore operato la riconciliazione del mondo, riesce a far accettare dal mondo quella misericordiosa Redenzione; è Dio che per la grazia del Figlio suo incarnato riesce ad attirare le anime a sé e le vede cedere alle attrattive dei suoi amorosi inviti; è Dio «consolato, nei suoi servi e nei suoi santi» (Dt 32, 36; 2 Mac 7, 6) che perseverano nel bene, ed anche nei peccatori che si convertono. La gloria di Dio è Dio regnante, dappertutto e in ogni luogo, Sovrano, Padrone e Padre amato, lodato e benedetto, in se medesimo, nel suo CRISTO GESÙ, nella sua Chiesa, in ciascuna delle sue opere, in ciascuno dei suoi doni. La gloria di Dio è Dio vivente, regnante e trionfante in ogni anima, in ogni famiglia, in ogni società e nelle vicendevoli relazioni delle società, nelle arti, nella scienza, nella letteratura, nella diplomazia, nella pace e nella guerra… Che diremo ancora? la gloria di Dio è Dio che da ogni creatura, in ogni circostanza e in ogni luogo, riceve quella lode sublime, quella suprema esaltazione, di cui parla la Scrittura: Et superlaudabilis, et supergloriosus, et superexaltatus in saecula (Dn 3, 53-90).

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Ecco quale deve essere il grande, anzi l’unico oggetto dei voti del Sacerdote, delle sue fatiche e dei suoi sacrifici. Perché la gloria di Dio è l’unica verità, l’unica sapienza, l’unico ordine, l’unica equità e l’unico bene. La gloria di Dio è la gioia del creato e la vita delle anime in terra e in cielo; meglio ancora, nella gloria di Dio sta la vera, perfetta ed essenziale beatitudine del Verbo incarnato che non è venuto sulla terra se: non per procurare e stabilire quella gloria e far sì che: essa regni e trionfi, e questo non per sua elezione benché con amore infinito, ma in verità per la necessità imposta da un assoluto dovere. Tutto, in modo assoluto e per una legge invariabile e fissa come l’essere medesimo di Dio, tutto deve convergere a tale gloria e concorrervi. Essa è il fine essenziale e intrinseco di ogni cosa; il mondo non è stato creato che per questo. La Redenzione e la Giustificazione non hanno altro scopo che di promuoverla e farla trionfare. Tutto quanto dobbiamo fare in questa vita, anche le azioni più comuni e più volgari, come bere e mangiare, tutto è destinato a procurare questa gloria; e ciò che v’ha di più basso nel mondo, che non ha onore né nobiltà e sembra insensato, costituisce di preferenza, nelle mani di Dio, lo strumento di cui Egli si serve per i suoi disegni, all’unico scopo di far comparire la sua gloria (320).

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La preghiera sacerdotale

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
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SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
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CAPITOLO UNDICESIMO. LA PREGHIERA SACERDOTALE

 

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Non v’è in tutto l’universo, nel Cielo, nel Purgatorio e sulla terra, che una sola e unica Religione: quella di GESÙ CRISTO, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Nessun’altra è vera, nessun’altra è gradita al Padre, perché nessun’altra, qualunque essa sia, è omaggio vero davanti alla Maestà del Padre. La ragione ci insegna che dobbiamo un culto a Dio; ma il culto che viene soltanto dalla ragione, non è quello che Dio accoglie. Un genio potrà elevarsi verso l’Essere che ha creato il mondo e lo governa; ma una tale elevazione, in apparenza nobile e grande, se non è una partecipazione della Religione di GESÙ CRISTO, non è altro ché una cosa vana che il Padre respinge, benché sia in se stessa un omaggio sincero e anche buono: nulla è gradito al Padre se non ciò che viene dal Figlio suo. Il Padre non ama né trova degno di sé, se non l’omaggio del Figlio eguale a Lui in ogni cosa, del Verbo Incarnato.

Ma, perché il Verbo divino, facendosi uomo, ha assunto tutta la natura umana ed ha voluto così riassumere o compendiare in sé tutti gli uomini, in questo senso li ha costituiti tutti cristiani. Perciò tutti quelli che in ogni secolo, benché privi della fede hanno inteso onorar Dio, gli hanno in verità, offerto degli omaggi ch’Egli si è degnato di accogliere perché, implicitamente, gli venivano resi in GESÙ CRISTO e da GESÙ CRISTO.

GESÙ CRISTO è dunque l’unico Principio di ogni Religione, di ogni adorazione, lode, ringraziamento e supplicazione, di ogni espiazione, di tutto quanto corrisponde ai diritti e alle perfezioni di Dio. GESÙ CRISTO è Principio e Centro universale di tutta la Religione che Dio ha ricevuto sia dagli Angeli sia dagli uomini dal principio sino ad ora e per tutti i secoli dei secoli. GESÙ CRISTO è stato Centro e Principio universale di ogni Religione in ciascuno dei suoi Misteri, in ogni istante della sua vita mortale; e lo è ancora come lo sarà eternamente nella sua vita gloriosa; e ciò tanto nel suo essere medesimo come per mezzo dei suoi atti e dei suoi stati e in tutte le lodi che Egli offre al Padre, nella sua condizione perpetua di Sacerdote e Ostia del Padre.

GESÙ CRISTO è tutta la Religione del Padre in Cielo. Tale è pure nel santo Tabernacolo, dove la sua Umanità, che è il centro della Religione ch’Egli offre al Padre, vive come in Cielo nella pienezza delle sue grazie, dei suoi diritti, delle sue grazie, dei suoi diritti, delle sue operazioni e dei suoi ministeri. Che fa GESÙ CRISTO nel silenzio del Tabernacolo? Egli dà al Padre il più perfetto compiacimento che sia possibile; gloria magnifica ch’Egli stesso dà al Padre, prima in se medesimo; ma Egli si diffonde incessantemente anche nei suoi eletti del Cielo, nella sua Madre santissima, nei suoi Angeli, in tutti i predestinati, nelle anime del Purgatorio e in tutta la sua Chiesa della terra. Così GESÙ CRISTO estende la sua Religione alle tre Chiese trionfante, purgante e militante. Ogni creatura tutto riceve dalla pienezza di Lui e «per mezzo di Lui, con Lui e in Lui rende ogni gloria al Padre onnipotente» (309).

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Il Sacerdote centro divino dove tutta la chiesa si riunisce

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
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SACERDOTE E OSTIA

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CAPITOLO DECIMO. Il Sacerdote centro divino dove tutta la chiesa si riunisce

 

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«Quando il Sacerdote celebra il santo Sacrificio onora Dio, rallegra i Santi, edifica la Chiesa, aiuta i vivi e procura sollievo ai defunti» (298).

Un tal ministero ammirabile nella sua stupenda influenza sulla Chiesa militante, purgante e trionfante, di cui parla 1′Imitazione, ci autorizza a dire che il Sacerdote è come un centro divino dove si riunisce tutta la Chiesa. Procuriamoci, una volta ancora, la conso1azione di meditare quelle parole e di scrutarne il senso profondo.

 

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1°) Quando celebra, il Sacerdote onora Dio. – Tutto l’onore che Dio riceve nel mondo, gli viene dal Figlio suo. GESÙ, Ostia sull’altare del Sacrificio e nel suo Tabernacolo: ecco veramente, quaggiù, tutta la gloria del Padre. Ma quello stato di Ostia, da chi lo riceve GESÙ? Quell’esistenza sacramentale che, secondo la sua volontà, gli è assolutamente necessaria, perché sia Vittima davanti a Dio nella sua Chiesa della terra, quell’esistenza, da chi la riceve? Unicamente dalla volontà del Sacerdote. Se, per una ipotesi impossibile, tutti i Sacerdoti si mettessero d’accordo per non più consacrare, GESÙ, a meno d un miracolo che lo farebbe uscire dal disegno ch’Egli ha costituito, non sarebbe più in istato di Sacrificio sulla terra; e quindi la SS. Trinità resterebbe priva della gloria alla quale ha diritto e che unicamente le piace, l’unica che Essa voglia trovare in questo mondo. Ma non è possibile che manchi una tal gloria.

Possiamo quindi dire con tutta verità in un certo senso, che Dio medesimo si tiene rivolto al Sacerdote, come se questi (ci si perdoni un tal modo strano di parlare) fosse per Dio medesimo un centro, il centro necessario da cui procede e deriva quella gloria della quale Egli non vuole restar privo. Dal Sacerdote, infatti, Dio aspetta che il Figlio suo, oggetto delle sue compiacenze, la sua Vittima di lode, di adorazione, di riparazione, di azione di grazie, sia presente sull’altare, e che dall’Oblazione di questo Figlio s’innalzino verso di Lui, verso la sua Maestà, verso la sua Santità, verso la sua Misericordia, tutti gli omaggi che si merita… Oh! quale stima per il nostro Sacerdozio deve ispirarci questa considerazione così sublime, eppur così semplice e vera! Quale impegno ci deve ispirare per celebrare sempre santamente la santa Messa!

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Il carattere di universalità della grazia sacerdotale

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
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CAPITOLO NONO. Di un carattere particolare della grazia sacerdotale che è la sua ammirabile universalità

 

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L’universalità della grazia dei Sacerdoti può intendersi in due maniere differenti, ugualmente gloriose. In primo luogo, la santità dei Sacerdoti abbraccia tutte le virtù. Quando il Vescovo, nell’atto di conferire ai Diaconi il Presbiterato, prega per loro, domanda a Dio che possiedano, con splendore, ogni giustizia, ossia ogni perfezione: Eluceat in eis totius forma justitiae. Nel corso poi di quell’augusto rito, ora sotto forma di raccomandazione agli ordinandi, ora nelle preghiere che rivolge a Dio, Egli ricorda che il Sacerdote deve essere ornato di tutte le virtù, e ne fa l’enumerazione: «La perfezione della carità verso Dio e verso il prossimo, una sapienza celeste, la giustizia, la costanza, la misericordia, la fortezza, una grande probità, la scienza, una grave maturità nella condotta e nelle opere, una fede perfetta, una castità esemplare, e infine, in ogni circostanza, l’integrità di una vita santa, dimodochè il buon odore delle virtù del Sacerdote sia la gioia della sposa di GESÙ CRISTO» (286). San Tommaso vuole che il Sacerdote rappresenti Dio, secundum quod in se est) ossia Dio quale è in se stesso. Come si potrebbe dir di più?

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Nei semplici fedeli, al dir di san Paolo, v’ha «divisione e distinzione di grazie» (I Cor 12, 4); ma al Sacerdote sembra riservato il magnifico complesso di tutte le benedizioni celesti, e questo costituisce l’onore e il tesoro della sua vita: Eluceat in eis totius forma justitiae.

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La grazia sacerdotale è universale ancora, in questo senso che dedica, conserva e unisce il Sacerdote all’universalità delle anime redente, alla Chiesa tutt’intera; tanto alla Chiesa trionfante del Cielo, come alla Chiesa paziente del Purgatorio, come alla Chiesa che, sulla terra, lotta e si santifica nella prova.

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Nel Sacerdote, vi è il carattere del Sacerdozio e lo stato di Vittima. L’uno e l’altro provengono dalla comunicazione che Nostro Signore gli fa del proprio Sacerdozio e del proprio stato di Ostia: il primo in virtù dell’Ordinazione; il secondo, dapprima in virtù della medesima, e in seguito, in una maniera che potremmo chiamare definitiva, nella prima santa Messa celebrata. Orbene, tanto in virtù del suo carattere sacerdotale, come del suo stato di Ostia, il Sacerdote appartiene alla Chiesa intera. In virtù del suo carattere sacerdotale, perché il suo Sacerdozio è quello medesimo di Nostro Signore GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO non l’ha esercitato, né lo esercita, se non per la Chiesa. Infatti, «ogni Sacerdote è costituito a pro degli uomini, in ciò che riguarda Dio». Perciò, nel rito dell’Ordinazione del Presbiterato, il Pontefice espressamente dice che «l’ordinando dovrà offrire il Sacrificio a Dio, tanto per i vivi, come per i morti» (287). E dall’autore dell’Imitazione (Lib. IV, cap. V) sappiamo che «ogni volta che celebra, il Sacerdote rallegra gli Angeli del cielo, edifica la Chiesa della terra, e procura sollievo ai defunti».

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Nella sua qualità di Sacerdote, il ministro di GESÙ CRISTO appartiene dunque a tutta la Chiesa. Ma possiamo dire lo stesso, se lo consideriamo quale Vittima di Dio con GESÙ? Chi non vede che nell’istesso modo che è Sacerdote in GESÙ CRISTO, egli è pure Vittima in GESÙ CRISTO. Il Figlio di Dio, dopo la consacrazione, si offre al Padre suo, e, con tale oblazione, si dona in comunione alla Chiesa del Cielo, e questa comunione è come la sorgente inesauribile della Beatitudine accidentale degli eletti; si dona pure in comunione alla Chiesa del Purgatorio, e con questa comunione, procura consolazione, sollievo e libertà alle anime che vi sono detenute; si dona in fine in comunione alla terra, e questo atto del suo amore, dono dei suoi meriti, effusione della sua grazia, costituisce tutta la speranza e tutto il tesoro della terra. GESÙ è Ostia e si dona. Perché si sappia bene che si dona, Egli è Ostia sotto le apparenze dei nostri alimenti più ordinari. Ma GESÙ dona se stesso soprattutto al Sacerdote. In questo Egli diffonde il suo spirito di Ostia; di lui, soprattutto, fa una medesima Ostia con sé. Lo ha fatto Sacerdote nell’unità del suo Sacerdozio e per tutti i fini del suo Sacerdozio; così, lo offre, lo consacra e lo costituisce Ostia, per tutti i fini del suo stato di Ostia: ciò significa che lo costituisce Ostia a pro di tutta la sua Chiesa, come lo ha fatto Sacerdote a pro di questa sua Sposa diletta.

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Ecco dunque quell’umile creatura, benché peccatrice nel suo fondo, benché capace di cadere in peccato mortale e di perdersi per l’eternità, innalzata, per effetto di una incomprensibile condiscendenza di Dio, all’unità del Sacerdozio del Verbo adorabile; e all’unità dello stato di Vittima di questo unico Sacerdote e unica Ostia del Padre; e in virtù di tale unità questa povera creatura è dedicata, data e consacrata a tutto il Cielo, a tutto il Purgatorio, a tutta la terra. È questa una stupenda meraviglia, opera della Misericordia e della Potenza dell’Altissimo; è una trasformazione che non può essere che 1’opera della sua Destra (Ps. 76, 2).

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Eccellenza della grazia sacramentale fondamento della santità speciale del sacer

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SACERDOTE E OSTIA

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CAPITOLO OTTAVO. Eccellenza della grazia sacramentale fondamento della santità speciale del sacerdote


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Il fondamento della santità speciale ed eminente del Sacerdote, è la grazia ch’egli riceve nel Sacramento dell’ordine; grazia che non solo è santificante nel momento in cui viene comunicata, ma altresì conferisce il diritto a tutte quelle grazie attuali che sono necessarie, per raggiungere i fini del ministero sacerdotale ed adempierne le funzioni.

Si tratta, in primo luogo, di una grazia attualmente santificante, grazia conferita dal sacramento e che, necessariamente, è di una eccellenza affatto speciale, poiché ha una relazione diretta col ministero principale che dobbiamo esercitare. Qual’è questo ministero? La consacrazione del Corpo e del Sangue di GESÙ CRISTO. Noi, dunque, in virtù dell’ordinazione, riceviamo il potere e il diritto di consacrare il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio, e, con questo potere e questo diritto, una grazia che ci rende adatti a compiere una tale opera che non ha pari, e a compierla, non soltanto con un atto ministeriale, ma con soprannaturali disposizioni convenienti alla ineffabile eccellenza di un’opera oltremodo divina. E allora?.. Chi potrebbe farsi un’idea della perfezione sublime della grazia sacramentale corrispondente a un ministero così elevato? San Tommaso ha detto: Cuicumque datur potentia aliqua divinitus, dantur etiam ea per quae executio illius potentiae possit congrue fieri (275). La Chiesa, nella Liturgia, ci ricorda espressamente questo principio e quella legge che la divina Sapienza segue nelle sue opere. Nelle lezioni della festa del Patrocinio di san Giuseppe leggiamo: Omnium singularium gratiarum, alicui rationabili creaturae communicatarurm generalis regula est, quod, quandocumque divina Gratia eligit aliquem… ad aliquem sublimem statum, omnia charismata donet, quae illi personae sic electae, et ejus officio necessaria sunt atque illam copiose decorant (276).

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Della santità speciale del Sacerdote di Gesù Cristo

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SACERDOTE E OSTIA

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CAPITOLO SETTIMO. Della santità speciale del Sacerdote di Gesù Cristo

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    Da quanto abbiamo detto fin qui, si vede il nesso che esiste tra queste due idee: esser Vittima ed essere Santo. Una chiama l’altra; si sorreggano e si compenetrano a vicenda. Essere Vittima vuol dire essere santo o almeno incominciare a diventar santo, sotto pena di non poter essere gradito a Dio e di non aver relazione alcuna con GESÙ CRISTO, che è l’Ostia santa e immacolata. Essere santo, vuol dire esser Vittima; perché la Santità non ha altra sorgente che il Sacrificio di GESÙ CRISTO, e non può essere che una partecipazione alla grazia che fluisce dal suo stato di Ostia. Perciò, nella Scrittura, il termine santificare significa ugualmente, in parecchi luoghi, santificare e sacrificare (263). Quando Nostro Signore, nella Cena, dice queste belle parole: Et pro eis ego sanctifico meipsum, ut sint et ipsi sanctificati in veritate. Egli vuol dire che si sacrifica, si immola, diviene Vittima a pro degli Apostoli, affinché essi pure siano sacrificati in pari tempo che santificati nella verità (Gv 17, 19). «GESÙ si santificava dice Bossuet, si offriva, si consacrava al Signore, come dedicata e santa. Ma soggiungeva: «Mi santifico per loro» affinché, partecipando, col loro ministero, alla grazia del suo Sacerdozio, entrassero pure in pari tempo nel suo stato di Vittima, e, in tal modo, trovassero in Lui la santità necessaria onde essere suoi Ministri, santità, che non avevano da se medesimi». (264).
    Il Sacerdote è Vittima con GESÙ CRISTO. È dunque santo, o almeno chiamato e obbligato alla santità. Ma qual’è la santità che a lui si addice, nella sua qualità di Sacerdote di GESÙ CRISTO e di Ostia con GESÙ CRISTO? Per averne una prima idea, sarà utile il paragonare la santità sacerdotale con quella che debbono acquistare quelle anime privilegiate, che, nella Chiesa di Dio, per istato e per dovere, sono obbligati a tendere alla cristiana perfezione: vogliamo. dire i Religiosi.

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     La santità è la vita di GESÙ CRISTO in noi. La vita di GESÙ CRISTO è la comunicazione della grazia santificante, la quale trovasi nella Umanità di GESÙ nella sua pienezza, e della quale siamo resi partecipi mediante il santo Battesimo: perché la stessa grazia, come dice Bossuet interpretando qui sant’Agostino, la stessa grazia che ha costituito GESÙ nostro Capo, ci fa pure tutti membri di Lui» (265). La grazia santificante in noi, ecco dunque veramente la santità. Chiunque possiede questo stato soprannaturale è santo. L’Apostolo bene spesso lo riconosce nelle sue Epistole mentre chiama santi tutti i fedeli (In Epist., passim). Tuttavia, questo stato, questa vita di GESÙ CRISTO nei suoi membri, ha diversi caratteri e gradi di perfezione. Tale diversità proviene, sia da una disposizione della divina Sapienza, «la quale distribuisce a ciascuno i suoi doni come le piace» (1 Cor 12, 11), dimodochè gli uni ricevono più e gli altri mena; sia dalla ineguale buona volontà delle creature redente, delle quali le une sono più ferventi e più fedeli delle altre.

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     I Religiosi, per lo stato santo che hanno abbracciato, si trovano esternamente in una condizione più perfetta del comune dei fedeli; e debbono sostenere il loro stato esterno di perfezione con disposizioni interiori convenienti, tanto che peccano gravemente se non tendono alla perfezione interiore; quindi si può dire con tutta verità che possiedono la santità dei figli di Dio in maggior grado che tutti gli altri membri del Corpo mistico di GESÙ CRISTO.
     Perciò lo stato religioso è degno di ammirazione e di invidia. Le consolazioni che i religiosi santi dànno al Cuore di Nostro Signore, gli aiuti che procurano alla Chiesa con l’efficacia della loro preghiera, il merito delle loro immolazioni e il buon odore dei loro esempi, sono effetti veramente meravigliosi dello Spirito di Dio. Orbene, molto al disopra sta la santità che si addice ai Sacerdoti, la santità alla quale sono chiamati, che acquistano e possiedono se davvero vivono di quella grazia che han ricevuta nella loro Ordinazione e in conformità con essa. Tra questa grazia e quella del Religioso che non sia sacerdote, v’ha una differenza affatto straordinaria. (altro…)

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Comunione del Sacerdote e sua unione abituale con Gesù Ostia

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni

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CAPITOLO SESTO. Della comunione del Sacerdote e della sua unione abituale con Gesù Ostia

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    Il Sacerdote se «conosce bene ciò che compie e imita fedelmente ciò che opera», è veramente consacrato Vittima, da GESÙ, con GESÙ, in GESÙ. Ma ecco un altro Mistero di unione intima con la nostra Ostia adorabile. Il Sacerdote che consacra, deve comunicarsi. È questa una legge portata da Nostro Signore GESÙ CRISTO medesimo. Non è necessario che la Chiesa, nella persona dei fedeli, partecipi in tal modo al Sacrificio; ma, per l’integrità e la perfezione del Sacrificio, è necessario che il Sacerdote si cibi dell’Ostia che è stata offerta e immolata. Quest’ordine divino era annunciato e figurato nei Sacrifici antichi. La Vittima, quando era stata offerta, doveva essere conservata con gran cura onde non avesse a morir di morte naturale; perché, in tal caso, non solo il Sacrificio non sarebbe stato finito, mancando l’immolazione; ma di più non si sarebbe effettuata la comunione da parte dei Sacerdoti (Ez 44, 31). Quando, dopo la prima Oblazione, era avvenuta l’Immolazione, i Sacerdoti, eccettuato nel Sacrificio -chiamato Olocausto il quale era per intero riservato a Dio solo, dovevano sempre nutrirsi della carne della Vittima immolata (257). Che se non potevano consumarla in una volta, dovevano tenerla in serbo per usarne più tardi; ma questa manducazione era un precetto rigoroso, al punto che qualsiasi negligenza, che avesse per effetto la deteriorazione della carne così sacrificata, sarebbe stata considerata come un vero delitto (258). Sotto quei riti stabiliti da Dio medesimo vi era un profondo mistero, e ciò ne spiega la severità. Partecipare alla Vittima con la Comunione, era, per il Sacerdote, diventar Vittima lui medesimo; assimilarsi casi quella carne offerta e da Dio accettata, era come dichiarare che il Sacerdote era Dio solo, dovevano sempre nutrirsi della carne della Vittima immedesimato con quella e quindi diventava, come essa stessa, un’Ostia offerta, immolata e tutta dedicata a Dio. Orbene, in questo consistono il fine e l’esercizio perfetto della Religione. «Il vero culto, dice Lattanzio, è quello che viene prestato da chiunque si presenta e rimane, davanti a Dio, in istato di Vittima immacolata» (259). Perciò, nell’antica Legge anche il popolo doveva ricevere la comunione della Vittima, ma ciò era principalmente e necessariamente prescritto ai Sacerdoti, perché dedicati, per il loro stato, ad una Religione incessante e perpetua (Es 29, 9). (altro…)

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Il Papa è ostia

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni

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CAPITOLO QUINTO. Il capo della chiesa ostia e supplemento dell’ostia

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      Se ogni Sacerdote è Vittima, quanto più il primo dei Sacerdoti, il Sommo Pontefice? Per la sua unione particolare con GESÙ Ostia, il Papa sarà Ostia, egli pure, e in modo superiore. Per intendere bene questo punto, ricordiamo le grandi verità che sono il fondamento della dignità del Capo della Chiesa.  
     GESÙ CRISTO, nel comunicare alla Chiesa il suo Sacerdozio, le ha dato due poteri, il potere di Ordine e il potere di Giurisdizione. Il primo ha per oggetto principale e diretto il Corpo e il Sangue del Divin Salvatore, quindi la sua divina Persona realmente presente, sotto le apparenze del pane e del vino, nel Sacramento dell’Eucaristia; il secondo ha per oggetto immediato, anzi unico, il Corpo Mistico di GESÙ CRISTO, ossia la Chiesa. Orbene, la dignità e l’eccellenza di un potere, naturalmente sono costituite dal suo oggetto. Perciò, essendo la Chiesa meno santa, meno nobile e meno perfetta della persona di GESÙ CRISTO, ne conseguirebbe che il potere di Ordine dovesse essere più onorato del potere di Giurisdizione, poiché il primo ha per oggetto la persona di GESÙ CRISTO e il secondo ha per oggetto soltanto la Chiesa. Invece non è così: il Vescovo è più onorato del Sacerdote, e.ciò perché è Capo, Padre e Sposo della Chiesa. Il Papa è più onorato del Vescovo e possiede la pienezza dell’onore, il primato eccellente e perfetto in tutto; e ciò non già perché è Sacerdote e vescovo, ma perché è Capo Supremo della Chiesa, Padre e Sposo, sostegno, difensore della Chiesa, principio della sua stabilità, centro della sua unità, colonna della verità indefettibile. La ragione dell’ onore che in grado maggiore si presta al Vescovo e al Papa sta nel potere di giurisdizione, il quale riferisce alla Chiesa.
    Qui v’è un Mistero degno di attenta considerazione; per intenderlo dobbiamo ricordare cos’è la Chiesa per GESÙ CRISTO.
    La Chiesa, nel disegno di Dio, è la grande gloria dell’Incarnazione, perché né è il complemento. Senza la Chiesa, sempre secondo quel medesimo disegno, GESÙ CRISTO non è tutto ciò che può essere. È vero che GESÙ CRISTO non fu mai senza la Chiesa, perché fin dal primo istante dell’Incarnazione Egli portò la Chiesa in se stesso. Ma, perché la possedesse come un bene proprio, o meglio come uno sposo possiede la sua sposa, Egli doveva farne l’acquisto in qualità di Sposo ed era necessario la conquistasse col prezzo del suo proprio Sangue.
    GESÙ CRISTO, conviene ripeterlo, non ha una individualità isolata, benché necessariamente gloriosa, infinitamente santa ed anche tutta divina; ma, possiamo dire che Egli è un composto ammirabile. GESÙ CRISTO, ad una volta e in pari tempo, è il CRISTO e la Chiesa. Perché è Capo, non già solo, ma Capo con le relative membra. Il Capo e le Membra, lo Sposo e la Sposa, GESÙ e la Chiesa: ecco il CRISTO completo. Sta scritto, infatti, che «il Dio di Nostro Signor GESÙ CRISTO, il Padre della gloria, lo ha costituito Capo sopra tutta la Chiesa, la quale ne è il capo e la pienezza; GESU CRISTO è pienamente compiuto nei suoi membri» (246). (altro…)

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