L’amore della gloria di Dio, gloria del sacerdote

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO TREDICESIMO. L'AMORE DELLA GLORIA DI DIO GLORIA DEL SACERDOTE

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Poiché il Sacerdote è in tal modo dedicato e votato alla gloria di Dio, sino ad esserne, in modo perfettissimo, la Vittima immolata e consumata nell'amore più generoso ed eroico, dobbiamo dire che l'amore di questa gloria divina è per lui, il principio della gloria più magnifica.

Dapprima, «servire a Dio», servire soprattutto con tale abnegazione di se medesimo e tale devozione «è veramente regnare» (331). «Aderire a Dio», essere unito a Lui in un modo così perfetto come quello di una Vittima tutta consumata al suo onore, è questo «una beatitudine» (Ps. 72, 27) perfettissima; anzi è una sorta di deificazione, perché così si diventa «una sola cosa con Dio» (I Cor 6, 17). Orbene, havvi forse al mondo una gloria che si possa paragonare a questa? La parola umana non è capace di esprimere la sublimità cui si deva il Sacerdote che viene, in tal modo, trasportato in Dio e come trasformato in Lui (Eccli 23, 38). Perciò, il grande Apostolo, dopo aver detto che scopo del suo Sacerdozio e del suo Apostolato era di fare di «tutte le genti un sacrificio santo e a Dio gradito, aggiungeva: «Habeo igitur gloriam in Christo Jesu ad Deum» (332).

Ma, nel ricercare in ogni cosa la gloria di Dio, il Sacerdote, con gli atti che compie, acquista pure un'altra gloria. Questa sublime ambizione, come per effetto naturale, eleva mirabilmente i suoi pensieri, i suoi sentimenti e il suo carattere; nobilita magnificamente tutte le facoltà della sua mente e del suo cuore e tutta la sua persona: Sant'Ilario ha detto: Angusta peccantium sunt corda et hospitio Deum mens polluta non recipit (333); e sant'Ambrogio, al contrario, che «il cuor dei giusti è vasto, e contiene Colui per il quale il mondo è troppo piccolo» (334). Quando Salomone fece la solenne dedicazione del Tempio, la gloria di Dio riempì il Tempio, e tutto Israele la poté contemplare (335). Abbiamo qui la stessa meraviglia: la maestà di Dio riempie l'anima sacerdotale, e la sua gloria la copre di magnificenza. In quest'anima, non si scorge che una elevazione facile, pronta, generosa verso Colui che per lei è Tutto: intenzione sempre pura, santa, e libera da ogni aspirazione umana; piena e perfetta libertà, senza che nessun egoismo impicci i suoi movimenti; ampiezza e larghezza di propositi, di sentimenti e di affetti, senza che nulla di terreno trovi posto nella sua mente e nel suo cuore che sono riempiti di Dio. Oh! stato veramente bello e delizioso, davanti a Dio e agli angeli suoi! bello nell'ordine soprannaturale: se ci fosse dato di contemplarlo, non solamente ecciterebbe in noi l'ammirazione, ma ci rapirebbe nell'estasi. Bello ancora e magnifico nell'ordine morale della natura; perché, infine, che cosa veramente può mai essere grande e sublime, se non una tale distinzione di intenzioni un disinteresse così generoso, una dignità così grande nella vita, una magnanimità di carattere così forte e costante? Sì! un'anima che non ha altro amore, secondo la parola di sant'Agostino, che per la Bellezza di Dio, riceve, per certo un raggio degli splendori divini di quella Bellezza perfetta ed è veramente bella (336).

Il vero Sacerdote di GESÙ CRISTO, non avendo altra regola che la gloria di Dio, prega con vivo ardore per la buona riuscita delle Opere che intraprende nel procurare questa divina gloria; vi si dedica con gran cuore ed irremovibile costanza, e con ogni sorta di sacrificio. Altri lavorano pure nel campo del Signore; ed egli porta interesse alle opere degli altri come alle sue proprie. Che se riescono meglio di lui, non ne risente ombra di, tristezza volontaria, tanto meno di gelosia; ma, nell'intimo dell'animo, benedice Nostro Signore e gode che vi sia chi fa per il suo onore quanto non è capace di fare lui medesimo. Né mai si renderà colpevole del peccato diabolico di impedire, per amor proprio o gelosia, il bene che altri potrebbero fare; perché allora direbbe, in fatto: quaero gloriam meam, e si metterebbe al posto di Dio.

Quando l'abate Olier, violentemente assalito da una folla pazzamente eccitata e adirata, venne brutamente espulso dalla casa canonica di San Sulpizio, san Vincenzo de' Paoli, benché in età di oltre settant'anni, si portò in mezzo a quella folla di forsennati per ridurli a buoni sentimenti; venne ingiuriato e percosso; la sua vita era in pericolo; ma il santo gridava: «Colpite pure San Lazzaro e risparmiate San Sulpizio». Ammiriamo un tal esempio di umiltà e di carità; ma ne risulta, ad evidenza, come san Vincenzo non avesse il minimo sentimento di gelosia verso l'abate Olier, benché tutt'e due si occupassero di opere omogenee per la santificazione del Clero (337).

Il vero Sacerdote, vedendo il lavoro e i buoni successi degli altri, dirà: «Basta trionfi la gloria così amabile e preziosa di Dio, che importa se la mia ne viene eclissata»? Che se invece si vedrà stimato, ricercato nel Confessionale o ascoltato con favore quando predica, non si abbandonerà alla vana compiacenza, ma rimetterà tutto nelle mani di Dio, riconoscendo d'essere pur indegno che GESÙ lo adoperi in qualche modo per la sua gloria. E se ricevesse onori, distinzioni?… Ahimè! come tutto questo è poca cosa, se non viene illuminato dalla gloria di Dio! Sorretto dalla santa meditazione, dalla preghiera e dagli esercizi di pietà, il buon Prete non solo eviterà la gioia stolta e la dissipazione dello spirito; ma, con lo sguardo fisso nel Fine unico di tutta la sua vita, non si accorgerà neppure di ciò che in suo favore si dirà o si farà. ­ Dio sia davvero il Padrone! si faccia la sua volontà, così si compie il regno della sua gloria: e questo basta!

Che se gli accadrà di ricevere qualche torto o qualche offesa, si guarderà, il buon Sacerdote, di ascoltare i suggerimenti dell'amor proprio, di dimostrare freddezza e sostenutezza e di darsi alla lotta per sostenere i suoi diritti più o meno veri o la sua dignità. In tutto questo qual vantaggio ne verrebbe alla Religione, alla Carità, al buon esempio; in somma, alla gloria di Dio?… È questo che preme; il resto non conta. La gloria di Dio e il bene delle anime sarà l'unica regola della sua condotta…

O grande, bella, magnifica gloria di Dio! Rivelatevi alle nostre menti e ai nostri cuori nella vostra splendida ed incantevole bellezza. I Santi vi hanno vista, e sono rimasti accesi per Voi di un amore così tenero e forte, che hanno passato la loro vita e sono morti con gioia nella contemplazione delle vostre irresistibili delizie. Il Verbo incarnato vi contemplò come vedeva l'Essere del Padre suo (e voi siete l'Essere del Padre) e con umiltà, amore e gioia infinite, si costituì vostra Vittima, sacrificando, per esaltarvi, tutta quanta la sua umanità, corpo, anima, riposo, onore, libertà e vita; di tale meraviglia avremo la visione nei secoli dei secoli. E ora, nel SS. Sacramento, Egli rimane la vostra Vittima di lode. Voi l'avete rapito, l'avete appassionato; l'amore per voi l'ha fatto morire e lo fa vivere eternamente. O Gloria di Dio! o irradiamento del suo Volto! o Splendore della sua infinita Bontà! rapite, appassionate tutti i vostri Sacerdoti! In vita e in morte siano tutti Vittime vostre e vostre Ostie! Se saranno Vittime e Ostie, o Gloria incantevole! essi saranno tutto ciò che da loro la Trinità Santa ha richiesto e desiderato, tutto ciò che ne aspettano la Chiesa e le anime. Perché, se Voi, o Gloria, sarete il fuoco che li consumerà, l'unica vita di cui vivranno e l'unico bene del loro esilio, la Trinità adorabile avrà, in questo mondo, la pienezza. del suo compiacimento e la sua totale soddisfazione, la Chiesa riceverà la consolazione più dolce e più profonda e le anime otterranno la santificazione e la salvezza. O Sacerdoti! O Sacerdoti! perché non manchi tanto bene e per la vostra grande gloria, la Gloria di Dio per voi sia tutto!

NOTE

(331) Deo servire regnare est. – S. LEO.

(332) Rom., XV, 17. – Ad Deum, id est, in iis rebus quae ad Deum pertinent, puta in rebus salutis quae ad gratiam et gloriam divinam spectant. – CORNEL.

(333) Tract. in psalm., CXVIII, littera VI.

(334) In Psalm., CXVIII, sermo IV.

(335) III Reg., VIII, Il. – II Paral., II, 1-3.

(336) Qualis amor est, qui reddit pulchram amantem?..

(337) FAILLON, Vie de M. Olier. – San Lazzaro era il centro delle opere di San Vincenzo e San Sulpizio di quelle dell'abate Olier.

A LAPID.Quomodo erimus pulchri? Amando eum qui semper est pulcher. Quantum in te crescit amor, tantum crescit pulchritudo; qui a ipsa charitas est animae pulchritudo. – In Epist. . tract. Joann. ad ParthosIX. Si potrebbe fare anche questo ragionamento: La gloria essenziale di Dio, è il Verbo; la sua gloria accidentale è lo stesso Verbo in quanto si è incarnato e diffonde il suo spirito nelle anime. Perciò, l'anima che riceve questo suo spirito è, come, Lui, la gloria accidentale del Padre; e perché questa gloria accidentale è un riflesso della gloria essenziale. l'anima unita a Gesù Cristo ha qualche cosa della gloria essenziale. Come non avrebbe dunque in questo mondo la gloria più grande possibile? Quale gloria potrebbe essere posta a confronto con quella che, essendo un riflesso della gloria essenziale di Dio, è in questo senso qualche cosa di questa gloria? Orbene, è questa, in un modo speciale ed eminente, la gloria del Sacerdote.