Esame sulla discrezione

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Giuseppe Marello (1844-1895)

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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Esame sulla discrezione 

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Vi adoro, mio Dio, nel silenzio della vostra eternità che sembra avvolgere tutto quanto deriva da Voi, tutto ciò che è Voi. L'Ostia consacrata che vi cela al mio sguardo è silenziosa; silenziose sono le manifestazioni intime della vostra grazia; silenziosa l'azione del vostro Spirito nell'anima mia che non sa percepire i «gemiti inenarrabili» di cui parla S. Paolo; silenziosa la vostra attività universale… non in commotione Dominus (3 Reg. 19, 11).

Saper tacere è grande sapienza: Verba sapientium audiuntur in silentio (Eccl. 9, 17), nel silenzio di parole e nel silenzio di azione.

Virtù preziosa per un prete è certamente la discrezione. E' una forma delicata o un frutto prezioso della temperanza che io devo desiderare con ardore. Voglio formarla in me e per riuscirvi con più viva luce, quindi con maggiore sicurezza, voglio investigare che cosa mi manca per essere discreto, dopo essermi convinto della necessità di esserlo.

 

I. Necessità della discrezione. – La discrezione può definirsi: giudizioso riserbo di parole e di azioni. Sono convinto che le più splendide qualità degenerano in difetto quando eccedono? «Chi non sa limitarsi, non seppe mai scrivere». Si potrebbe aggiungere: «Chi non sa tacere, non seppe mai parlare; chi non sa riposare non seppe mai lavorare». — Rifletto che a una viva intelligenza, a uno spirito ben dotato è da preferirsi un giudizio retto, una volontà equilibrata? — Sono quindi convinto di dover anzitutto applicarmi all'educazione del mio giudizio? E' sempre possibile se, con la riflessione, mi rendo conto degli ammaestramenti dell'esperienza, e se, umile, seguo docilmente le direttive che possono darmi. Si può nascere senza le facoltà intellettuali sufficienti per diventare colto ed erudito; dipende però dalla nostra libertà riflettere ed essere umili. — Nelle mie intime decisioni mi attengo a questi aforismi che posso riguardare come assiomi: spesso l'ottimo è nemico del bene; — il timore di un male ne genera uno peggiore? — Nelle dispute di scuola, adotto opinioni moderate, diffidando sempre delle opinioni estreme, assolute, intransigenti? Sono persuaso che, salvo per i principi essenziali del dogma e della morale, possono esservi sfumature molteplici di apprezzamento, per il fatto che si considerano le cose sotto differenti punti di vista e che è quindi da savio il non mai sentenziare senza appello? — Specialmente nel dirigere le coscienze ho l'intima convinzione che la prudenza è fonte di sicurezza, che le vie battute non riservano alcuna sorpresa, che saper aspettare è grande sapienza? In merito a certi argomenti, come vocazione, penitenze di supererogazione, ecc. procuro d'essere discreto quant'è possibile?

 

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Il sacerdote e la temperanza

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San José María de Yermo y Parres (1851-1904), presbitero

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI AGOSTO

IL SACERDOTE E LA TEMPERANZA

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Le virtù morali stabilendo l'equilibrio nell’anima, la mettono in grado di sviluppare la sua vita in tutta la sua pienezza e fecondità.

Come già le tre prime, cosi quest'ultima virtù cardinale tende a tale scopo, ma in modo più speciale, consistente nel neutralizzare l'opposizione, nell'impedire l'effetto delle forze contrarie.

La temperanza domina le passioni più perfide, perché più aderenti al senso, e le disciplina vigorosamente.

La S. Scrittura la tiene perciò in particolare stima. E' compagna della scienza: Qui diligit disciplinam, diligit scientiam (Prov. 12, 1); apporta sapienza; Audite disciplinam et estote sapientes (Ps. 8, 33); genera vita: Via vitae custodienti disciplinam (Prov. 10, 17); la si può identificare, in un certo senso, con la vita stessa: Tene disciplinam, custodi illam, ipsa est vita tua (Prov. 4, 13).

Il suo nome di temperanza è tutto un programma. Non dice forse giusto mezzo, esatta misura, padronanza di sé, fortezza?
Si tratta quindi di una virtù ricca e preziosa.

Vediamo l°: che cos'è; 2°: che cosa produce.

 

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Purificazione e perdono anticipati

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Cristóbal Magallanes Jara (1869-1927), presbitero e martire 

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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Preparazione alla morte

 

IL «DIES IRAE» DEL SACERDOTE

Purificazione e perdono anticipati.
Juste Judex ultionis – Donum fac remissionis – Ante diem rationis.

 

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Vi adoro, o Gesù, Giudice sovrano dei vivi e dei morti. Ogni ora della mia esistenza mi avvicina a quella in cui comparirò dinanzi a Voi. In quel momento cesserà il vostro compito di avvocato in favore di chi ha peccato; Voi lo adempite solo mentre sono in via; dopo mi sarete juste Judex ultionis.

Giudice! lo siete per diritto conferitovi dal Padre: Omne judicium dedit Filio (Ioan. 5, 22), e poi per diritto acquisito con l'effusione del vostro Sangue prezioso, prezzo del nostro riscatto.

Giusto! Siete la perfezione infinita, la luce senz'ombra, la scienza assoluta; la vostra sentenza sarà un raggio del vostro infallibile e indefettibile splendore, una conclusione necessaria della vostra scienza eterna.

Vendicatore! Ahi! dovrete esserlo perché non v'è pur un'anima che non sia stata più o meno lontana da Dio o contro di Lui: In multis offendimus omnes (Jacob. 3 ,2). E' Voi siete e sarete sempre vindice della sua gloria ad extra, perciò dovete vendicare i suoi diritti conculcati, punire il colpevole e ristabilire l'ordine.

Ma quale sventura, quale spavento se, per me, quest'ordine non sarà stato ristabilito prima del giorno della irrevocabile sentenza! Ve ne supplico, mentre il vostro intervento può essere per me difesa e non accusa; il Padre vostro non vi ha confidato solo la sua giustizia: Omnia dedit et in manus (Ioan. 13 3); siete arbitro del suo perdono, della sua misericordia; oh, rendetemela propizia, accordatemi la remissione delle mie colpe troppo numerose e troppo gravi! Donum fac remissionis.

Per grazia vostra io posso purificarmi prima, espiare, riparare, e ottenere così il perdono, senza il quale non potrei vivere tranquillo, non potrei essere in pace, ante diem rationis. Ah Signore, concedetemi di saldare il mio debito prima della definitiva scadenza; ch'io lo paghi con moneta di penitenza e d'amore! Aspetto tanta grazia dal Vostro Cuore divino e so ch'Egli si arrenderà facilmente alla mia preghiera, se vedrà nel mio disposizioni d'umile pentimento, di dolorosa confusione: Cor contritum et humiliatum non despicies! (Ps. 50, 18). Ascoltatemi, rivolgetemi il vostro sguardo: sono sincero!

 

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Il sacerdote e la fortezza

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Giovanni Calabria (1873-1954)

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI LUGLIO

IL SACERDOTE E LA FORTEZZA

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Alla fine della sua dimora visibile su questa terra, Gesù rivolse ai suoi Apostoli le ultime raccomandazioni, aprì le loro menti, dice S. Luca, perché avessero chiara l'intelligenza della S. Scrittura e se ne facessero gli strenui difensori. Ma, prima che si separassero per la loro missione s'imponeva una precauzione necessaria; perciò disse loro: Vos autem sedete in civitate, quadusque induamini virtute ex alto (Luc. 24, 49). Volle dunque rivestirli di fortezza. Era un bisogno della sollecitudine del suo Cuore, che, sapendo tutto, non aveva potuto nascondere loro quanto li attendeva: Ecce ego mitto vos sicut agnos inter lupos (Luc. 10, 3). — Si me persecuti sunt et vos persequentur (loan. 15, 20). Aveva perciò moltiplicati i consigli sullo stesso argomento: Nolite timere eos qui occidunt corpus (Luc. 10, 28). — Confluite ego vici mundum (Ioan. 16, 33). — Non turbetur cor vestrum neque formidet (id. 14, 27). — Qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit (Mat. 10, 22).Appare dunque chiara la sua volontà che i sacerdoti siano dei forti. Ne hanno immenso bisogno per sé e per il gregge loro affidato.

Ogni anima umana deve vivere di sforzo; il contendite intrare per angustam portam (Luc. 13, 24) è assoluto; ma quanto è più alta la meta cui si deve tendere, più lo sforzo dev'essere vigoroso, più gagliarda l'energia. Ora, chi deve elevarsi a perfezione più grande di quella cui deve tendere l'uomo di Dio, colui che dev'essere excelsior coelis factus? (Hebr. 7, 26). Gli è dunque necessaria una fortezza superiore.

Di più egli deve trascinare gli altri nella corsa santa, incoraggiarli, portarli qualche volta; poi deve difenderli e difendere se stesso mentre lavora per loro; poiché s'egli è angelo di luce, vi è un angelo delle tenebre che non disarma mai; s'egli è pastore, v'è un lupo rapace che s'aggira instancabile. L'esperienza gli grida in modo imperativo con S. Pietro: Cui resistite, fortes in fide! (1 Petr. 5, 9).

Esaminiamo tutto lo svolgimento della nostra vita morale e della nostra vita apostolica, e riscontreremo che sempre la lotta è necessaria. Nulla si conclude senza sforzo, eccetto il male; in noi e per le anime il bene esige un'incessante attività instancabile. Si guadagna un tratto di terreno a stento, e subito convien difendere la posizione; e se si perde cento volte, cento, volte la si deve riconquistare. Oh, quanto ha bisogno di fortezza l'homo Dei! Lo Spirito Santo parla certo del prete, ne dipinge i lineamenti quando scrive: Vir sapiens fortis est; et vir doctus robustus et validus (Prov. 24, 5). Gli eletti al sacerdozio sono inclyti Israel, quindi devono essere aquìlis velociores, leonibus fortiores (2 Reg. 1, 23).

Meditiamo sulla virtù della fortezza; formiamoci chiaro concetto di ciò che è, di ciò che produce.

 

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Esame sulla rettitudine dell’animo

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Marcellin Joseph Benoît Champagnat (1789-1840)

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI GIUGNO

IL SACERDOTE E LA GIUSTIZIA

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Esame sulla rettitudine dell'animo

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Vi adoro Gesù e vi ascolto mentre vi proclamate Vita e Verità, poiché la verità è vita, e nell'atto d'invitare specialmente i vostri sacerdoti ad attingere a questa verità-vita: Qui sequitur me habebit lumen vitae (Ioan., 8, 12). In virtù della mia vocazione devo seguirvi: sequere me; quindi secondo il vostro desiderio debbo essere tutto luce e verità: ut filii lucis sitis (id., 12, 36). Non eravate preoccupato di questa disposizione dell'anima sacerdotale quando, nella sera della prima ordinazione, pregiavate il Padre: Sanctifica eos in veritate? (id., 17, 17). Ciò mi fa comprendere la somma importanza di tale disposizione: può anche significare che essa non è frequente. Signore voglio l'anima mia retta, la voglio leale con Voi, con me, con il prossimo.

 

1. – LEALE CON DIO

La sincerità con Dio richiede:

a) Dignitosa coscienza. — E' pura la mia coscienza? Sì, se nella conoscenza e nella confessione delle mie colpe, nel pentimento che le cancella, è di una lealtà assoluta. — E' buona? Sì, se esclude quella casistica di mala fede, la quale tenta invano di persuadere che un atto colpevole non lo è, o lo è solo leggermente. — E' aperta? Sì, se docilmente generosa si presta alle illustrazioni della grazia. — E' delicata? Sì, se la minima colpa, la minima imperfezione la turba e la contrista.

b) Purezza d'intenzione. — Siete Voi, mio Dio, l'oggetto dei miei sospiri, la meta dei miei desideri? Siete Voi l'unico ispiratore dei miei progetti, la luce dei miei giudizi? La mia volontà tende direttamente a Voi, senza deviare nè a destra nè a sinistra? — Sono persuaso che nulla posso nascondere a Voi: Omnia nuda et aperta sunt oculis ejus (Hebr., 4, 13), che nulla posso sottrarvi? Gloriam meam alteri non dabo (Isai., 42, 8); e che in ultimo vincerete Voi: Quo ibo a Spiritu tuo et quo a facie tua fugiam… tu illic es? (Ps., 138, 6).

 

2. – LEALE CON ME STESSO

a) Umiltà. — Mi guardo dall'orgoglio della mente, che impedisce di veder chiaro nel proprio interno? Arrogantia tua decepit te, et superbia cordis tui! (Ierem., 49, 16). L'abitudine dì curare più l'esterno che l'interno non mi illude forse, accecandomi sulla bassezza di quel progetto, sul pericolo di certi sentimenti, sulla colpevolezza di certe inclinazioni? Il mio spirito sarebbe forse simile a quello del fariseo, facile ad esaltarsi per certe pretese qualità? Sarei mai un sepolcro imbiancato? Una meschina preoccupazione egoistica non mi rende sordo alla voce dell'Angelo buono, che già mi sussurra: Nomen habes quod vivas et mortuus es? (Apoc, 3, 1). E la mia stoltezza non mi spinge mai a voler apparire quale non sono?

b) Mortificazione. — Scuso le mie piccole sensualità, nascondendole agli sguardi altrui con tutta la possibile cura, perché sono in contrasto stridente con le mie parole, con i principi che enuncio, e secondo i quali ostento di vivere? — Mi permetto certe affezioni disordinate, che macchiano il candore verginale del mio suddiaconato e profanano i miei più sacri giuramenti? — Nutro forse, quasi senza rimorso, certe antipatie senza accorgermi dell'ironia della mia preghiera: Sicut et nos dimittimus? — Posso veramente dire di non lesinare lo sforzo per il conseguimento della mia santificazione, e per l'esercizio dello zelo, come richiede il vero spirito sacerdotale? — Oh, quanto è facile mancare di lealtà con se stessi!

 

3. – LEALE CON IL PROSSIMO

a) Nelle parole. — Mi astengo assolutamente, rigorosamente da ogni specie di menzogna? Alcuni mentiscono senza quasi avvedersene. Chi li avvicina se ne accorge e li ha in dispregio. E' facile contrarre l'abitudine della menzogna, soprattutto quando si ha tendenza all'iperbole… Si finisce per suggestionarsi, si cade nella mitomania. — Non ostento mai con insistenza sentimenti che non ho, per piacere a coloro che m'ascoltano? E non è questa ipocrisia? — Non mi valgo di restrizioni mentali che rasentano l'inganno?

b) Negli atti. — II mio comportamento è proprio sempre l'espressione del mio sentire, o cado nella simulazione? Col pretesto di usare diplomazia, offendo mica l'onestà? — Certi modi di procedere che io ritengo frutto di abilità, non sono invece sleali? — Affetto una mentita apparenza anche in chiesa? — Sono convinto che alle mie azioni come alle mie parole, pur salvando sempre la carità, deve potersi applicare la parola del Signore: Sit autem sermo vester: est, est, non, non? (Mat. 5, 37).

— Buon Maestro, ve ne scongiuro, fatemi leale; fate che l'anima mia sia retta in tutto e per tutto, che sia tutta aperta al sole della vostra verità. Volete servirvene come di tramite per giungere alle anime dei miei fratelli; il Precursore dice a me, come a tutti ì sacerdoti: Parate viam Domini, rectas facite semitas ejus (Mat., 3, 3). Preparate Voi stesso, Signore, raddrizzate Voi stesso; io voglio prestarmi alla vostra azione generatrice di verità, voglio essere leale, salvarmi: Veritas liberabit vos (Ioan., 8, 32).

 

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Il sacerdote e la giustizia

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Jean Gabriel Perboyre (1802-1840), presbitero e martire

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI GIUGNO

IL SACERDOTE E LA GIUSTIZIA

 

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La S. Scrittura magnifica poche virtù quanto la giustizia, ne parla con frequenza e la esalta in maniera notevole. Si può dedurre a priori che questa è la più grande delle virtù morali. Così pensava già Aristotele: Justitia est omnis virtus; questa meditazione ce ne convincerà indubbiamente.

 

Diamo una rapida scorsa alle pagine dei libri santi; esse esaltano anzitutto la bellezza della giustizia: Iustitia tua sicut montes Dei! (Ps., 35, 6). — Justitia et judiciuvi correctio sedis tuae! (Ps. 96, 2). — Mecum sunt… gloria, opes superbae et iustitia (Prov., 8, 18).

Poi ne rivelano la celeste origine: Veritas de terra orta est et justitia de coelo prospexit (Ps. 84, 12); la sua identità con quanto è bello e buono: Misericordia et veritas obviaverunt sibi; justitia et pax osculatae sunt (Ps., 84, 11); la sua efficacia purificatrice: justitia liberabit a morte, justitia rectorum liberabit eos (Prov., 11, 6); il suo potere santificatore: iustitia simplicis diriget viam ejus (Prov., 11,5) — justitia elevat gentes; le sue affinità con la beatitudine suprema: justitia enim perpetua est et immortalis (Sap., 1, 15) — justitia mea in generationes generationum (Isai. 31, 9).

Perciò chi la possiede è ricco: Iustus ut palma florebìt, sicut cedrus Libani multiplicabitur (Ps. 91, 13); può ripromettersi ogni contento: laetabitur justus in Domino (Ps., 13, 10); è sicuro della sua eterna salvezza: justus in aeternum non commovebitur (Prov., 10, 30); lascerà sul suo passaggio una scia luminosa: in memoria aeterna erit justus (Ps. Ili, 6).

Il Vangelo fa di S. Giuseppe e del santo vecchio Simeone il più bel panegirico in una sola parola; del primo afferma: Joseph, vir ejus, cum esset justus (Mat., 1, 19); e del secondo: et homo iste justus et timoratus (Lue, 2, 25). S. Paolo trova in questa parola il programma riassuntivo di tutta la santità: Non est enim regnum Dei esca et potus, sed justitia, et pax, et gaudium in Spiritu Sancto (Rom., 14 17). Meditiamo dunque: 1) che cos'è la giustizia; 2) qual'è il suo oggetto.

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Esame sul dominio di sè

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Marco Križevčanin (1588-1619) e compagni, presbiteri e martiri croati del calvinismo

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI MAGGIO

IL SACERDOTE E LA PRUDENZA

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Esame sul dominio di sè

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Vi adoro, Gesù, nell'atto di raccomandarmi il dominio di me stesso: In patientia vestra oossidebitis animas vestras (Luc. 21, 19). Secondo S. Giacomo è questo un principio di perfezione: Patientia autem opus perfectum hebet (Iacob., 1, 4). L'uomo padrone di se stesso, possiede un'incontestabile superiorità su chi vive in balia dell'emozione e dell'impressione. Egli usa liberamente delle sue facoltà, delle sue potenze e con tutto il profitto possibile. Sa che il temperamento ha molta influenza in questo, ma sa pure che lo sforzo della volontà supplisce a tutto. E lo deve supplire nel prete, uomo votato alla perfezione e che ha bisogno di mantenersi superiore a tutti: Oportet sacerdotem praeesse; superiore in virtù, in fortezza, in potere influente. Importa dunque assai ch'io sappia dominare me stesso e che rifletta sui mezzi per ottenere tale dominio.

1. – SO DOMINARE ME STESSO?

Chi è padrone di sè non ignora ciò che deve volere e come deve volerlo; vuole ciò che deve, come lo deve. Sono abituato a riflettere prima di parlare o di agire? O, invece, impulsivo, facile all' emozione, o sensibile, impressionabile, seguo il primo impeto senza calcolare l'importanza di quanto faccio o dico? Quante volte forse ho avuto motivo di pentirmi di una parola troppo viva, di un modo di procedere compromettente, di un atto disastroso nelle sue conseguenze. Vi sono pagine che non si riuscirà mai a strappare dal libro, in cui non si vorrebbero scritte per tutto l'oro del mondo. Bisognava non scriverle! Si mancò di gravità, di ponderazione, di serietà, e le conseguenze furono irreparabili.

Sarei forse soggetto a frequenti alterazioni d'umore, allegro al mattino, triste la sera, senza quasi saperne il motivo? Faccio subire a quanti m'avvicinano le bizzarrie del mio carattere indisciplinato?

Sono variabile nei giudizi e negli apprezzamenti, dicendo successivamente bene e male dello stesso fatto, con una rapidità che non lascia tempo di formulare un apprezzamento sicuro?

Forse devo rimproverarmi d'incostanza nel mio modo di fare, di volubilità dì animo, perchè seguo senza riflettere i capricci della fantasia, cui non so porre alcun freno?

Sono irascibile, adirandomi per inezie, gridando, tempestando per la minima contrarietà?

Nelle discussioni alzo troppo la voce, perché non la so contenere in quel tono moderato che è sempre segno di fortezza, se pure non è contrassegno della verità di un'opinione?

Non ho mai sentito dire di me che manco di tatto, d opportunità, di moderazione?

Ah, mio Dio, è davvero gran debolezza, grave disgrazia non saper dominare se stessi!

2. COME DOMINARMI

Buon Maestro, avete detto che il mezzo per dominarmi è la pazienza. Se il vostro Apostolo insegna che la pazienza corona l'opera della perfezione, vuoi dire che tale virtù ne suppone molte altre le quali, in maggioranza, derivano dalla mortificazione.

So mortificare il mio amor proprio senza badare alle suscettibilità, alle gelosie e ambizioni? Mortifico il mio cuore diffidando sempre delle simpatie o antipatie istintive, che orpellando perfidamente le pretese di vile e pericolosa passione? Come mortifico la volontà nei suoi primi moti, nei suoi desideri troppo ardenti, nelle sue impazienze? So mortificare la fantasia, allontanando i ricordi troppo impressionanti, restringendo energicamente il campo dell'immaginazione, sforzandomi di pensare più al presente che all'avvenire? Mortifico la mia attività con fare ogni cosa a tempo debito, e la smania di finire prima ancora d'aver cominciato?

Trascurare uno di questi punti equivarrebbe a rendere impossibile il dominio su me stesso, e vano tutto il mio ministero pastorale. Potrà governare altri e guidarli chi non sa dominare se stesso? Si vedono preti di valore, riuscire sgraditi, insopportabili ai loro parrocchiani, i quali segretamente — o palesemente — sospirano la loro partenza. Perchè? Vittime del loro carattere di cui non hanno saputo valersi per la virtù, si sono alienati la maggioranza dei fedeli, mentre con un po' di discrezione e di tatto sarebbero riusciti a farsi docilmente seguire da una bella, generosa e affettuosa famiglia spirituale.

E per riassumere tutto in breve, sono convinto che l'umiltà è la disposizione più intelligente, la migliore abilità per il vero apostolo? Comprendo il profondo significato del novissimi vrimi del Vangelo? Lo stolto non è mai umile. 1 ignorante non è mai silenzioso, il debole non è mai moderato; soltanto chi è umile, chi è silenzioso, chi è moderato sa possedere se stesso, è saggio davvero.

— Signore, vi supplico di concedermi la grazia preziosa di comprendere bene la lezione del vostro Cuore: Discite a me quia mitis sum et humilis corde, et invenietis requiem animabus vestris (Mat. 11, 29). Seguendo questa luci troverò il segreto della vittoria su me stesso. Me beato se, innalzandomi sulle rovine del mio egoismo e delle sue tendenze immortificate. potrò dire con S. Paolo: ***** infirmor, tunc potens sum (2 Cor, 12, 10).

 

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Il sacerdote e la prudenza

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

qui a lato: San Giovanni Sarkander (1576-1620), presbitero e martire

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI MAGGIO

IL SACERDOTE E LA PRUDENZA

 

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Ben a ragione si applicano al sacerdote le parole di S. Paolo: Ex hominibus assumptus, pro hominibus constituitur (Hebr. 5, 1). La prima parola può suggerire riflessioni un po speciali, ma utilissime. Ex hominibus: per fare un prete è necessario un uomo, e siccome il prete è un essere superiore, occorre che in lui l'uomo sia perfetto il più possibile.

Ma la perfezione puramente umana esige un insieme equilibrato ed equilibrante di virtù, delle quali forse non si tiene conto abbastanza: sono le virtù naturali.

Tornerà più facile e attraente il coltivarle, innalzandole all'ordine soprannaturale nel loro principio, nel loro motivo, nel loro fine. Se, invece della ragione, si considera quale principio Dio; se invece d'agire per motivo d'interesse, sia pure delicato e nobile, si segue l'impulso della fede; se, invece di proporsi la soddisfazione di un istinto anche nobile, si mira alla gloria di Dio e alla propria salvezza le azioni si trasfigurano e si praticano le virtù morali cristiane, le quali tendono direttamente a regolare i costumi o la condotta secondo le massime del Vangelo.

Prima fra queste, è la grande virtù di religione, che noi abbiamo meditata in primo luogo perchè essa è come la linfa vitale di tutte le altre virtù. Vengono poi le quattro virtù cardinali, cardine cioè, sostegno della vita cristiana, e prima fra tutte la prudenza.

Il primo libro dei Maccabei fa un'osservazione suggestiva: In die illa ceciderunt sacerdotes in bello, dum volunt fortiter lacere, dum sine consilio exeunt in praelium (1 Mac. 5, 67).

Chi saprebbe dire quante volte la mancanza di prudenza ha reso vano il buon volere, sterile lo sforzo generoso, compromesso situazioni ottime?

La prudenza invece supplisce a molte deficienze e vai certo meglio dell'abilità, perchè l'abilità non è sempre compagna della rettitudine, qualità rara e pur sola capace d'attirare le divine compiacenze e il favore degli uomini. Dio infatti benedice la verità: veritas liberabit vos; gli uomini diffidano dell'abilità e facilmente la prendono per astuzia.

Noi comprendiamo facilmente perché il Maestro ci raccomanda in modo speciale la prudenza: Estote ergo prudentes sicut serpentes (Mat. 10, 15). Ed è cosa, tanto più degna di rilievo, in quanto non sono molte le virtù che Egli ci ha raccomandate come a noi proprie in modo particolare; il sacerdote che deve formare i suoi fratelli non è forse tenuto alla pratica di tutte le virtù?

I Proverbi dicono che la prudenza è la sapienza dell'uomo, meglio, la scienza dei santi: Sapientia autem est viro prudentia et scientia sanctorum prudentia (Prov. 10, 23).

Meditiamo dunque sulla prudenza, considerando
– cos'è,
– che cosa esige,
– che cosa fa evitare.

 

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Esame sull’amor di Dio

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Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI APRILE

IL SACERDOTE E LA CARITÀ
Esame sull'amor di Dio
Il Dies irae del sacerdote

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ESAME SULL'AMOR DI DIO

Vi adoro, buon Maestro, mentre rinnovate il precetto che compendia la Legge e i Profeti: Dilìges! La vostra vita umana ne fu la pratica perfetta, poiché del vostro amore per il Padre avete dato la prova che non ammette confronto: la morte.

Devo soprattutto votarmi alla pratica di questo grave precetto. L'Atto di carità me ne indica il programma; lo voglio considerare alla luce del vostro Spirito d'amore.

I. – Mio Dio, vi amo con tutto il cuore. — Ecco l'assolutismo dell'amore di Dio che impegna tutto l'essere umano.

Amo Dio con volontà convinta e sincera? Ho mai confuso le emozioni della sensibilità, le impressioni del fervore con l'amore di Dio? Sono persuaso che l'amore, dono di sé, richiede sacrificio? Misuro la mia fedeltà a Dio dal grado della rinunzia a me stesso? Ho immolato la mente con la vita di fede, il cuore con il distacco da ogni cosa, la volontà con generosa obbedienza, il corpo con la mortificazione? Mi guardo dalle illusioni che tollerano riserve nell'amore, per sacrificare invece all'orgoglio o al senso?

II. – Sopra ogni cosa. — Ecco l'esclusività dell'amore di Dio che vuol essere amato solo; è geloso della sua gloria.

Ho forse lasciato nel mio cuore libero adito ad ogni sorta d'affetti sensibili, naturali e perfino sensuali? Mi turba mai la preoccupazione immoderata per coloro che il dovere m'impone d'amare, come i parenti e i benefattori? Per causa loro, ho forse compiuto qualche volta meno bene i miei doveri individuali o pastorali? Coltivo amicizie, e sopra tutto amicizie femminili che mi espongono al pericolo di peccare e destano ammirazione e scandalo? In proposito, sotto pretesto d'indipendenza ho mai sfidato stoltamente l'opinione pubblica? Oso imporre sistematicamente silenzio alla coscienza quando mi rimorde su questo punto delicato? Le mie relazioni hanno tutte un motivo divino?

Sono generoso con Dio nella prova come nella gioia, nell'umiliazione come nel trionfo? Sono regolare e fedele nelle ore di aridità spirituale, non sottraendo nulla alle mie pratiche di pietà? Non mi sono stancato mai nelle tentazioni, scoraggiato nelle avversità, rinunciando a continuare il lavoro intrapreso? In una parola, cerco di vedere Dio in tutto?

III. – Perchè siete infinitamente buono. — I motivi che l'ispirano specificano l'amore di Dio. L'amore iniziale è l'amore di speranza.

Ho amato Dio con fiducia? Ho compreso che non si può vivere senza speranza, che, pretendere d'andare a Dio senza nulla aspettare da Lui, è stolto orgoglio? Ho invece sollevato la mia volontà sopra se stessa nel pensiero dei beni eterni? Nonostante le mie colpe non ho mai dubitato della misericordia divina? Non ostante le prove, per quanto aspre, ho sempre creduto fermamente alla bontà di Dio per me? Nell'ora del pericolo ricorro istintivamente alla paternità di Dio.

IV. – Infinitamente amabile. — All'amore di speranza segue l'amore di compiacenza, che aderisce a Dio a motivo delle sue perfezioni.

Mi applico alla contemplazione delle perfezioni di Dio con la meditazione, con la lettura degli scritti dei Santi; nelle creature vedo il riflesso della bellezza, della bontà del Creatore? Mi guardo dalle volgarità e banalità che restringono l'orizzonte, per mantenermi in un'atmosfera ideale, pura, santa, compiacendomi di tutto quanto mi parla di Dio e mi accosta a Lui? Ho fatto sempre i sacrifici necessari per non omettere le mie pratiche di pietà, che mi fanno vivere nel soprannaturale?

V. – Amo il mio prossimo come me stesso per amor vostro. — Dopo l'amore di compiacenza, l'amore di benevolenza che vuole il bene dell’amato; il bene di Dio è la sua gloria nella salvezza delle anime.

Sono cosciente dell'obbligo di carità che m'incombe riguardo al prossimo? Evito solerte quanto potrebbe offendere chicchessia, ciò che sarebbe grave, specialmente per un prete? I peccati che si commettono con la lingua sono molti e pericolosi; facilmente intaccano la giustizia e possono compromettere il nostro ministero privandolo della fiducia dei fedeli, irritando le persone offese dal nostro parlare inconsiderato e malevolo. Vigilo sui miei giudizi da cui procedono le parole, studiandomi di pensar bene di tutti?

Ho vero zelo per la felicità eterna delle anime che mi sono affidate, dedicando tutte le mie energie all'apostolato, alla mortificazione, alla preghiera, non rassegnandomi mai ad una quiete stazionaria, che in nessun modo può essere scusato?

— Signore, faccio mia la supplica di S. Margherita-Maria e vi prego con tutto l'animo: «O Cuore ardente e vivente d'amore, o santuario della divinità, tempio della Maestà sovrana, altare della divina carità! Cuore acceso d'amore per Dio e per me, io vi adoro, vi amo, mi struggo d'amore e venerazione alla vostra presenza! Mi unisco alle vostre sante disposizioni; voglio ardere delle vostre fiamme e vivere della vostra vita!» (20).

 

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Il sacerdote e la carità

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San Muziano-Maria Wiaux F.S.C.qui a lato: San Muziano Maria Wiaux F.S.C.

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI APRILE

IL SACERDOTE E LA CARITÀ

 

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Scrive S. Paolo al Corinti: Nunc autem manent fides, spes, charitas, tria haec: mator autem horum est charitas (I, 13, 13).

Lo stesso Apostolo in una commovente preghiera che può essere applicata in modo particolare ai sacerdoti, implora da Dio per i cristiani di Efeso il passaggio dalla fede a un'ardente carità: Ut det vobis secundum divitias gloriae suae… Christum habitare per fidem in cordibus vestris: in charitate radicati et fundati, scire etiam supereminentem scientiae charitatem Christi, ut impleamini in omnem plenitudinem Dei (Eph., 3, 16-19).

E' facile stabilire il primato della carità ricordando che Gesù ce la presenta come oggetto del primo e massimo comandamento, che compendia tutta la legge e i profeti; poi riflettendo ch'essa innalza l'uomo a Dio. non perché ne tragga vantaggio, ma affinché riposi in Lui Senza dubbio la carità ci unisce a Dio infinitamente buono e infinitamente amabile, ma per spronarci ad amarlo per Se stesso secondo la bella espressione di S. Bernardo: «Il motivo d'amare Dio è Dio stesso, la misura di amarlo è d'amarlo senza misura» (16).

L'argomentazione di S. Tommaso in proposito è d'una chiarezza precisa: Semper id quod est per se, majus est eo quod est per aliud. Fides autem et spes attingunt quidem Deum secundum quod ex ipso provenit nobis vel cognitio veri vel adeptio boni; sed charitas attingit ipsum Deum, ut in ipso sistat, non ut ex eo aliquid nobis proveniat; et ideo charitas est excellentior fide et spe, et per consequens omnibus aliis virtutibus (17).

E' facile inoltre comprendere che più di ogni altro il sacerdote deve essere eminente in carità. Anzitutto perchè il suo ministero ha per fine diretto e ultimo di crearla, di difenderla, di ripararla, di dilatarla nelle anime: Dii effecti deos efficientes. I santi si formano solo colla carità, vinculum perfectionis (Colos., 3, 14); ora, nemo dat quod non habet. Il prete che non possiede una misura colma, pigiata e sovrabbondante» di carità, non riuscirà mai a comunicarne alle anime una scintilla abbastanza ardente. E' vero che egli dispone dell'efficacia ex opere operato dei sacramenti che amministra; ma questa amministrazione assorbe la minor parte dell'attività del suo apostolato. E poi, perchè i sacramenti producano effettivamente la grazia nelle anime, è necessario che queste apportino nel riceverli disposizioni speciali, dipendenti in gran parte dall'efficacia dello zelo sacerdotale. Se non si può volere per un'altra anima, si può tuttavia aiutarla a volere, e soltanto la carità comunica tale efficacia all'apostolo.

Inoltre, il prete dev'essere eminente in carità perchè, più di ogni altro, è oggetto delle divine predilezioni le quali, secondo S. Giovanni, sono il grande argomento dell'amore. Non si rileggono mai abbastanza queste parole: Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas, non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit. nos (I Ioan., 4, 9). Quindi l’amore antecedente di Dio, quest'amore provato con il dono del suo Figlio, ci da’ il grande motivo della carità. E fino a qual punto questo motivo s'imponga al sacerdote, ne avremo un'idea mettendo in luce i rapporti di reale e adorabile amicizia che l'uniscono a Gesù. La libera elezione, l'intimità della vita, la comunanza dei beni sono le note della vera amicizia; vediamo come si realizzano fra il sacerdote e Gesù Cristo.

 

1. LIBERA ELEZIONE

Non è inutile rilevare subito che la carità è anzitutto un'amicizia particolare tra l'uomo e Dio.

Comunemente si da una definizione incompleta dell'amore, dicendo che consiste nella volontà di fare del bene a qualcuno. Questo è benevolenza, e un sentimento di bontà basta a spiegarlo, benché possa essere e generalmente sia un effetto dell'amore. Ma l'amore va più oltre e sospinge l'anima all'intera donazione di sé, all'immolazione per l'amato: Ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Ioan. 15, 13). E quando tale sentimento profondo è reciproco si ha l'amicizia. Ascoltiamo S. Tommaso: Nec benevolentia sufficit ad rationem amicitiae, sed requiritur quaedam mutua amatio, quia amicus est amico amicus. Talis autem mutua benevolentia fundatur super aliqua communicatione (18).

Ora, mediante la carità, andiamo a Dio che ci vuoi comunicare la sua beatitudine, La sua vita intima, e andiamo a Lui coll’oblazione di noi stessi ex toto corde, ex tota mente, ex totis viribus. V'è dunque un mutuo scambio che costituisce l'amicizia reale.

Però bisogna rilevare una nota speciale, che, per la sua intensità più o meno vibrata, caratterizza, accentuandolo, il sentimento di cui trattiamo: questa nota è la libertà.

Vi sono affetti imposti quale sacro dovere e non saranno mai qualificati di amicizia, benché suppongano il dono reciproco; per esempio, l'affetto filiale. Non si scelgono i propri genitori. Quindi, per quanto vivo possa essere l'impulso del cuore che ad essi ci porta, non ha a che fare con-l'impulso che ci guida all'amico di nostra elezione. In un senso verissimo e splendido, tutte le anime create da Dio nella sua indipendenza inalienabile, sono scelte da Lui: Elegit nos in ipso ante mundi constitutionem (Ephes., 1, 4). A loro volta esse son libere di andare a Lui o di dannarsi. Ma l'elezione divina del sacerdote è un elezione tutta particolare, che supera ogni altra in delicatezza, in elevatezza, perché i beni che l'amicizia di Dio vuole comunicare al suo ministro sorpassano infinitamente i beni ch'Egli destina al semplici cristiani, fossero anche santi; lo vedremo più innanzi.

Aspirare al sacerdozio vuoi dire aspirare ad una dignità regale, a funzioni sante: Vos autem genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus acquisitionis, ut virtutes annuntietis ejus qui de tenebris vos vocavit in admirabile lumen suum (1 Petr. 2, 9). Ora, non si ascende ad un trono che per eredità o per elezione; diversamente, sarebbe usurparlo. L'Apostolo non eccettua da questa condizione neppure Gesù Cristo nella sua elevazione al supremo Sacerdozio: Nec quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo, tanquam Aaron. Sic et Christus non semetipsum clariflcavit ut pontifex fieret; sed qui locutus est ad eum: Filius meus es tu, ego hodie genut te. Quemadmodum et in alio loco dicit: Tu es sacerdos in aeternum (Hebr. 5, 4 seq.).

Con quanta soavità penseremo dunque a queste parole che Gesù rivolge a ciascuno di noi: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos, et posui vos ut eatis et fructum afferatis (Ioan. 15, 16). Quel nostro fratello, quel nostro amico d'infanzia non hanno ricevuto tanto privilegio. A noi, non ad essi, si applica ancora il testo: Praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis, posuisti in capite ejus coronam de lapide pretioso (Ps. 20, 3). Eravamo nel Cuore dell'Unico Sacerdote, quando con una scelta ufficiale, creava il collegio apostolico: Elegit duodecim quos et apostolos nominavit (Luc. 6, 13). Non lo fece freddamente, ma in queste elezioni pose quanto in Lui vi poteva essere di meglio, tutte le sue tenerezze anticipate.

Questa grazia preesistente della nostra vocazione ci fu rivelata progressivamente nelle diverse tappe della nostra vita: prima Comunione forse, entrata nel Seminarlo Minore, poi nel Seminario Maggiore, ascensione ai vari gradi che precedono il sacerdozio; ed ogni manifestazione era accompagnata da una luce più viva alla nostra intelligenza, da un più caldo influsso sul nostro cuore, da più valido aiuto alla nostra volontà: Elegit eum et praeligit eum. Siamo stati scelti, separati dalla massa dei fedeli: Vos elegit Dominus ut stetis coram eo (2 Par. 9, 11).

 

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