Giovanni XXIII – Sacerdotii Nostri Primordia

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B. GIOVANNI
XXIII
SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA

NEL XI CENTENARIO DEL PIISSIMO TRANSITO
DEL SANTO CURATO D’ARS
LETTERA ENCICLICA
(1 Agosto 1959)

Ai Venerabili Fratelli
Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Introduzione

Significative coincidenze

Le purissime gioie che
accompagnarono copiosamente le primizie del Nostro sacerdozio sono per sempre legate,
nella Nostra memoria, alla emozione profonda che Noi provammo l’8 gennaio 1905 nella
Basilica Vaticana, in occasione della gloriosa beatificazione di quell’umile prete
di Francia che fu Giovanni Maria Battista Vianney. Noi pure elevati al sacerdozio
da alcuni mesi appena, fummo colpiti dall’ammirabile figura sacerdotale che il Nostro
predecessore san Pio X, l’antico parroco di Salzano, era tanto felice di proporre
come modello a tutti i pastori di anime. E, a tanti anni di distanza, non possiamo
richiamare questo ricordo senza ringraziare ancora come di un’insigne grazia il Nostro
Divino Redentore, per lo slancio spirituale impresso in tal modo, fin dall’inizio,
alla Nostra vita sacerdotale.
Ricordiamo ancora che, il giorno stesso di quella beatificazione, venimmo a conoscenza
dell’elevazione all’episcopato di Mons. Giacomo Maria Radini-Tedeschi, il grande
Vescovo che doveva, dopo alcuni giorni, chiamarCi al suo servizio e che fu per Noi
maestro e padre carissimo. E fu in sua compagnia che, sugli inizi di quello stesso
anno 1905, Ci recavamo per la prima volta in pellegrinaggio ad Ars, il modesto villaggio
che il suo Santo Curato rese per sempre così celebre.
Per una nuova disposizione della Provvidenza, nell’anno in cui ricevevamo la pienezza
del sacerdozio, il Papa Pio XI di gloriosa memoria, il 31 maggio 1925, procedeva
alla solenne canonizzazione del ” povero Curato d’Ars “. Nella sua omelia
il Pontefice si compiaceva di descrivere ” l’esile figura corporea di Giovanni
Battista Vianney, la testa risplendente di una specie di bianca corona di lunghi
capelli, il volto gracile e disfatto pei digiuni, dal quale talmente traspariva l’innocenza
e la santità di un animo umilissimo e soavissimo che, al primo aspetto, le
moltitudini venivano richiamate a pensieri salutari “. Poco dopo, lo stesso
Pontefice, nell’anno del suo giubileo sacerdotale, completava il gesto già
compiuto da San Pio X verso i parroci di Francia ed estendeva al mondo intero il
celeste patrocinio di San Giovanni Maria Vianney ” per promuovere il bene spirituale
dei parroci in tutto il mondo “.
Questi atti dei Nostri Predecessori, legati a tanti cari ricordi personali, amiamo
richiamare, Venerabili Fratelli, in questo Centenario della morte del Santo Curato
d’Ars.
Il 4 agosto 1859, infatti, egli rese l’anima a Dio, consumato dalle fatiche di un
eccezionale ministero pastorale di oltre quarant’anni e oggetto di unanime venerazione.
E benediciamo la divina Provvidenza, che per due volte già volle rallegrare
e illuminare le ore solenni della Nostra vita sacerdotale con lo splendore della
santità del Curato d’Ars, perché ci offre nuovamente, fin dai primi
tempi di questo supremo Pontificato, l’occasione di celebrare la memoria tanto gloriosa
di questo pastore di anime. Non vi meraviglierete, d’altra parte, se, nell’indirizzarvi
questa Lettera, il Nostro spirito e il Nostro cuore si rivolgono in modo speciale
ai sacerdoti, Nostri figli carissimi, per esortarli tutti insistentemente – e soprattutto
quelli che sono impegnati nel ministero pastorale – a meditare gli ammirabili esempi
di un loro confratello nel sacerdozio, divenuto loro celeste patrono.

Insegnamenti di questo
Centenario.

Sono certo numerosi i documenti
pontifici che già richiamano ai sacerdoti le esigenze del loro stato e li
guidano nell’esercizio del loro ministero. Per non ricordare se non i più
importanti, raccomandiamo nuovamente l’Esortazione Haerent animo di San Pio X, che
stimolò il fervore dei Nostri primi anni di sacerdozio, la magistrale enciclica
Ad Catholici Sacerdotii fastigium di Pio XI e, tra tanti documenti e allocuzioni
del Nostro immediato predecessore sul sacerdote, la sua esortazione Menti Nostrae,
nonché l’ammirabile trilogia in onore del sacerdozio, che gli fu suggerita
dalla canonizzazione di san Pio X. Tali testi, Venerabili Fratelli, vi sono noti.
Ma ci permetterete di ricordare qui con l’animo commosso l’ultimo discorso che la
morte impedì a Pio XII di pronunciare e che rimane come l’estremo e solenne
appello di questo grande Pontefice alla santità sacerdotale: ” Il carattere
sacramentale dell’Ordine – vi è scritto – sigilla da parte di Dio un patto
eterno del suo amore di predilezione, che esige dalla creatura prescelta il contraccambio
della santificazione… il chierico sarà un prescelto tra il popolo, un privilegiato
dei carismi divini, un depositario del potere divino, in una parola un alter Christus…
Egli non si appartiene, come non appartiene a parenti, amici, neppure ad una determinata
patria: la carità universale sarà il suo respiro. Gli stessi pensieri,
volontà, sentimenti non sono suoi; ma di Cristo, sua vita “.
Verso queste vette della santità sacerdotale San Giovanni Maria Vianney tutti
ci spinge, e noi siamo lieti di invitarvi i sacerdoti di oggi; perché se sappiamo
le difficoltà che essi incontrano nella loro vita personale e negli oneri
del ministero, se non ignoriamo le tentazioni e le stanchezze di alcuni, la nostra
esperienza ci dice altresì la fedeltà coraggiosa della grande maggioranza
e le ascensioni spirituali dei migliori. Agli uni come agli altri il Signore rivolse,
nel giorno dell’Ordinazione, questa frase piena di tenerezza: ” Iam non dicam
vos servos, sed amicos! ” (cf Gv 15,15). Possa questa Nostra Lettera Enciclica
aiutarli tutti a perseverare e crescere in quest’amicizia divina, che costituisce
la gioia e la forza di ogni vita sacerdotale.

Scopo dell’Enciclica

Non è nostra intenzione,
Venerabili Fratelli, affrontare qui tutti gli aspetti della vita sacerdotale contemporanea;
anzi, sull’esempio di San Pio X, ” non diremo cose da voi mai udite o nuove
per qualcuno, ma semplicemente cose che conviene a tutti ricordare “. Nel delineare,
infatti, i tratti della santità del Curato d’Ars, saremo condotti a porre
in rilievo alcuni aspetti della vita sacerdotale, che in tutti i tempi sono essenziali,
ma acquistano tanta importanza ai nostri giorni che stimiamo un dovere del Nostro
mandato apostolico insistervi in modo speciale in occasione di questo Centenario.
La Chiesa, che ha glorificato questo sacerdote ” mirabile per lo zelo pastorale
e per un desiderio ininterrotto di preghiera e penitenza “, oggi, a un secolo
dopo la sua morte, ha la gioia di presentarlo ai sacerdoti di tutto il mondo come
modello di ascesi sacerdotale, modello di pietà e soprattutto di pietà
eucaristica, e modello di zelo pastorale.

Prima
Parte

ASCESI SACERDOTALE

Parlare di San Giovanni
Maria Vianney è richiamare la figura di un sacerdote straordinariamente mortificato,
che, per amore di Dio e per la conversione dei peccatori, si privava di nutrimento
e di sonno, s’imponeva rudi discipline e praticava soprattutto la rinunzia di se
stesso in grado eroico. Se è vero che non è generalmente richiesto
ai fedeli di seguire questa via eccezionale, tuttavia la Divina Provvidenza ha disposto
che nella Chiesa non mancassero mai pastori di anime che, mossi dallo Spirito Santo,
non esitano ad incamminarsi per questo sentiero, poiché sono tali uomini specialmente
che operano miracoli di conversioni. A tutti l’ammirabile esempio di rinunzia del
Curato d’Ars, ” severo con sé e dolce con gli altri “, richiama
in modo eloquente e pressante il posto primordiale dell’ascesi della vita sacerdotale.
Consigli evangelici e santità sacerdotale
Il Nostro Predecessore Pio XII, volendo chiarire maggiormente questa dottrina e dissipare
alcuni equivoci, tenne a precisare essere falso affermare ” che lo stato clericale
– in quanto tale e in quanto procede dal diritto divino – per sua natura o almeno
per un postulato della stessa natura, esiga che siano osservati dai suoi membri i
consigli evangelici “. E il Papa conclude giustamente: ” Il chierico dunque
non è obbligato per diritto divino ai consigli evangelici di povertà,
castità e obbedienza “. Ma sarebbe sbagliare enormemente sul pensiero
di questo Pontefice, tanto sollecito della santità dei sacerdoti, e sull’insegnamento
costante della Chiesa, credere pertanto che il sacerdote secolare sia chiamato alla
perfezione meno del religioso. Anzi è vero il contrario, perché per
il compimento delle funzioni sacerdotali ” si richiede una santità interiore
maggiore di quella richiesta anche dallo stato religioso “. E se, per raggiungere
questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta
al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a
lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione
cristiana. Del resto, con grande Nostra consolazione, quanti sacerdoti generosi l’hanno
oggi compreso giacché, pur rimanendo tra le file del clero secolare, domandano
a pie associazioni approvate dalla Chiesa di essere guidati e sostenuti nelle vie
della perfezione!
Persuasi che ” la grandezza del sacerdote consiste nell’imitazione di Gesù
Cristo “, i sacerdoti saranno dunque più che mai attenti agli appelli
del divino Maestro: ” Se qualcuno vuol seguirmi, rinunzi a se stesso, prenda
la sua croce e mi segua ” (Mt 16,24). Il Santo Curato d’Ars, vien riferito,
” aveva meditato spesso questa frase di Nostro Signore e cercava di metterla
in pratica “. Dio gli fece la grazia di restarvi eroicamente fedele; e il suo
esempio ci guida ancora nelle vie dell’ascesi, in cui brilla di grande splendore
per la sua povertà, castità e ubbidienza.

San Giovanni M. Vianney,
esempio mirabile di povertà evangelica

Anzitutto osservate la
povertà dell’umile Curato d’Ars, degno emulo di San Francesco d’Assisi, di
cui fu nel Terz’Ordine un fedele discepolo. Ricco per dare agli altri, ma povero
per sé, visse in un totale distacco dai beni di questo mondo e il suo cuore
veramente libero si apriva largamente a tutte le miserie materiali e spirituali che
affluivano a lui. ” Il mio segreto – egli diceva – è semplicissimo: Dare
tutto e non conservare niente “. Il suo disinteresse lo rendeva premuroso verso
i poveri, soprattutto quelli della parrocchia, ai quali dimostrava un’estrema delicatezza,
trattandoli ” con vera tenerezza, con molti riguardi, si deve dire con rispetto
“. Raccomandava che non bisogna mai mancare di riguardo ai poveri, perché
tale mancanza ricade su Dio; e quando i miseri bussavano alla porta, egli era felice
di poter loro dire, accogliendoli con bontà: ” Io sono povero come voi;
sono oggi uno dei vostri! “. Alla fine della vita amava ripetere: ” Sono
contentissimo: non ho più niente e il buon Dio può chiamarmi quando
vorrà “.

Applicazioni per i sacerdoti
di oggi

Potrete da ciò comprendere,
Venerabili Fratelli, che con affetto esortiamo i nostri cari figli del sacerdozio
cattolico a meditare un tale esempio di povertà e di carità. ”
L’esperienza quotidiana attesta – scriveva Pio XI pensando appunto al Santo Curato
d’Ars – che i sacerdoti di vita modesta i quali, secondo la dottrina evangelica,
non cercano in nessuna maniera i propri interessi, apportano mirabili benefici al
popolo cristiano “. E lo stesso Pontefice, considerando la società contemporanea,
rivolgeva anche ai sacerdoti questo grave monito: ” Mentre si vedono gli uomini
vendere e negoziare tutto per il denaro, procedano essi disinteressatamente attraverso
le attrattive dei vizi; e respingendo santamente l’indegna cupidigia del guadagno,
non cerchino l’utile pecuniario, ma quello delle anime, bramino e chiedano la gloria
di Dio e non la loro “.
Queste parole devono essere scolpite nel cuore di tutti i sacerdoti. Se ve ne sono
che possiedono legittimamente beni personali, non vi si attacchino. Si ricordino
piuttosto dell’obbligo enunciato dal Codice di Diritto Canonico, a proposito dei
benefici ecclesiastici, ” di destinare il superfluo ai poveri e alle cause pie
“. E voglia Dio che nessuno meriti il rimprovero fatto dal Santo Curato alle
sue pecorelle: ” Quanti hanno denaro che tengono serrato, mentre tanti poveri
muoiono di fame! “. Ma Noi sappiamo che molti sacerdoti oggi vivono effettivamente
in condizioni di reale povertà. La glorificazione di uno di loro, che volontariamente
visse tanto spogliato e si rallegrava al pensiero di essere il più povero
della parrocchia, sarà per essi un provvidenziale incoraggiamento a rinnegare
se stessi nella pratica di una povertà evangelica. E se la Nostra paterna
sollecitudine può essere loro di qualche conforto, sappiano che noi vivamente
godiamo del loro disinteresse nel servizio di Cristo e della Chiesa.
Certamente, nel raccomandare questa santa povertà, non intendiamo affatto,
Venerabili Fratelli, approvare la miseria, nella quale sono talora ridotti i ministri
del Signore nelle città o nelle campagne. Nel commento su l’esortazione del
Signore al distacco dai beni di questo mondo, San Beda Venerabile ci mette precisamente
in guardia da ogni interpretazione abusiva: ” Non bisogna credere – scrive egli
– che sia comandato ai santi di non conservare denaro ad uso proprio o dei poveri;
perché si legge che il Signore stesso per formare la sua chiesa aveva una
cassa…; ma piuttosto che non si serva Dio per questo né rinunzi alla giustizia
per timore della povertà “. D’altronde l’operaio ha diritto alla sua
mercede: e Noi, facendo nostre le sollecitudini del nostro immediato precedessore,
domandiamo instantemente a tutti i fedeli di rispondere con generosità all’appello
dei Vescovi, giustamente premurosi di assicurare ai loro collaboratori convenienti
risorse.

La sua castità
angelica

San Giovanni Maria Vianney,
povero di beni, fu ugualmente mortificato nella carne. ” Non vi è che
una maniera di darsi a Dio nell’esercizio della rinunzia e del sacrificio – egli
diceva – darsi cioè interamente “. E in tutta la sua vita praticò
in grado eroico l’ascesi della castità.
Il suo esempio su questo punto sembra particolarmente opportuno, perché in
molte regioni, purtroppo, i sacerdoti sono costretti a vivere, a motivo del loro
ufficio, in un mondo in cui regna un’atmosfera di eccessiva libertà e sensualità.
Ed è troppo vera per essi la espressione di San Tommaso: ” E’ alquanto
difficile vivere bene nella cura delle anime a causa dei pericoli esteriori “.
Spesso, inoltre, essi sono moralmente soli, poco compresi, poco sostenuti dai fedeli,
cui si dedicano. A tutti, specialmente ai più isolati e ai più esposti,
Noi rivolgiamo qui un caldissimo appello perché la loro vita intera sia una
chiara testimonianza resa a questa virtù che San Pio X chiamava ” ornamento
insigne dell’Ordine nostro “. E vi raccomandiamo con viva insistenza, Venerabili
Fratelli, di procurare ai vostri sacerdoti, nel miglior modo possibile, condizioni
di vita e di lavoro tale da sostenere la loro generosità. Bisogna cioè
ad ogni costo combattere i pericoli dell’isolamento, denunciare le imprudenze, allontanare
le tentazioni dell’ozio o i rischi dell’esagerata attività. Ci si ricordi
ugualmente a questo riguardo dei magnifici insegnamenti del Nostro Predecessore nell’enciclica
Sacra virginitas.
” La castità brillava nel suo sguardo “, è stato detto del
Curato d’Ars. Realmente chi si pone alla sua scuola è colpito non solo dall’eroismo
con cui questo sacerdote ridusse in servitù il suo corpo (cf 1 Cor 9,27),
ma anche dall’accento di convinzione con cui egli riusciva a trascinare dietro di
sé la moltitudine dei suoi penitenti. Egli conosceva, attraverso una lunga
pratica del confessionale, le tristi rovine dei peccati della carne: ” Se non
ci fossero alcune anime pure per ricompensare Dio, sospirava…, vedreste come saremmo
puniti! “. E parlando per esperienza, aggiungeva al suo appello un incoraggiamento
fraterno: ” La mortificazione ha un balsamo e dei sapori di cui non si può
fare a meno quando li si abbia una volta conosciuti… In questa via quello che costa
è solo il primo passo! “.
Questa ascesi necessaria della castità, lungi dal chiudere il sacerdote in
uno sterile egoismo, rende il suo cuore più aperto e più pronto a tutte
le necessità dei suoi fratelli: ” Quando il cuore è puro – diceva
ottimamente il Curato d’Ars – non può fare a meno di amare, poiché
ha ritrovato la sorgente dell’amore che è Dio “. Quale beneficio per
la società ave-e nel suo seno uomini che, liberi dalle preoccupazioni temporali,
si consacrano completamente al servizio divino e dedicano ai propri fratelli la loro
vita, i loro pensieri e le loro energie! Quale grazia sono per la Chiesa i sacerdoti
fedeli a questa eccelsa virtù! Con Pio XI Noi la consideriamo come la gloria
più pura del sacerdozio cattolico, e ” per quanto riguarda le anime sacerdotali,
Ci sembra rispondere nella maniera più degna e conveniente ai disegni e desideri
del Sacratissimo Cuore di Gesù “. Pensava a questo disegno dell’amore
divino il Santo Curato d’Ars, quando esclamava: ” Il sacerdozio, ecco l’amore
del Cuore di Gesù! “.

Il suo spirito di obbedienza

Sullo spirito di obbedienza
del Santo le testimonianze sono innumerevoli, giacché si può veramente
affermare che per lui l’esatta fedeltà al promitto dell’Ordinazione fu l’occasione
di una rinuncia continua durata quarant’anni. Per tutta la sua vita, infatti, egli
aspirò alla solitudine di un santo ritiro e le responsabilità pastorali
furono per lui un fardello troppo pesante, di cui tentò anche più volte
di liberarsi. Ma la sua obbedienza totale al Vescovo fu ancora più ammirabile.
Ascoltiamo, Venerabili Fratelli, alcuni testimoni della sua vita: ” Dall’età
di quindici anni – dice uno di essi – questo desiderio (della solitudine) era nel
suo cuore per tormentarlo e sottrargli le gioie che avrebbe potuto gustare nella
sua posizione “; ma ” Dio non permise – attesta un altro – che egli potesse
realizzare il suo disegno. La divina Provvidenza voleva senza dubbio che, sacrificando
il proprio gusto all’obbedienza, il piacere al dovere, già M. Vianney avesse
continua occasione di vincersi “; ” M. Vianney – conclude un terzo – restò
Curato d’Ars con un’obbedienza cieca, e vi è rimasto fino alla morte “.
Questa totale adesione alla volontà dei suoi Superiori era, conviene precisarlo,
interamente soprannaturale nel motivo; era un atto di fede nella parola di Cristo
che dice ai suoi Apostoli: ” Chi ascolta voi, ascolta me ” (Lc 10,16) e,
per restarvi fedele, si esercitava a rinunziare abitualmente alla sua volontà
nell’accettare il pesante ministero del confessionale e in tutti gli altri compiti
quotidiani, in cui la collaborazione tra confratelli rende l’apostolato più
fruttuoso.
Ci piace proporre come esempio ai sacerdoti questa rigida obbedienza, nella fiducia
che essi ne comprenderanno tutta la grandezza e ne acquisteranno il gusto spirituale.
E, se mai fos- sero tentati di dubitare dell’importanza di questa virtù capitale,
tanto facilmente misconosciuta oggi, sappiano di aver contro le chiare e decise affermazioni
di Pio XII, il quale attestava che ” la santità della vita di ciascuno
e l’efficacia dell’apostolato si basano e poggiano, come su solido fondamento, sul
rispetto costante e fedele per la sacra gerarchia”. Del resto voi ricordate,
Venerabili Fratelli, con che forza i nostri ultimi predecessori hanno denunziato
i gravi pericoli dello spirito di indipendenza in seno al clero, tanto per l’insegnamento
dottrinale, quanto per i metodi di apostolato e per la disciplina ecclesiastica.
Noi non vogliamo insistere oltre su questo punto, ma preferiamo esortare i Nostri
figli sacerdoti a sviluppare in sé il senso filiale della loro appartenenza
alla Chiesa, nostra Madre. Si diceva del Curato d’Ars che non viveva che nella Chiesa
e per la Chiesa, come un fuscello di paglia posto in un braciere ardente. Sacerdoti
di Gesù Cristo, siamo immersi nel braciere che il fuoco dello Spirito Santo
vivifica; abbiamo ricevuto tutto dalla Chiesa; operiamo in suo nome e in virtù
dei poteri da essa conferitici: amiamo servirla nei vincoli dell’unità e nella
maniera in cui vuole essere servita.

Seconda
Parte

PREGHIERA E CULTO EUCARISTICO

Uomo di penitenza, San
Giovanni Maria Vianney aveva ugualmente compreso che ” il sacerdote prima di
tutto dev’essere uomo di preghiera “. Ognuno conosce le lunghe notti di adorazione
che, giovane curato di un villaggio allora poco cristiano, egli trascorreva davanti
al Santissimo Sacramento. Il tabernacolo della sua chiesa divenne presto il focolare
della sua vita personale e del suo apostolato, al punto che non si saprebbe richiamare
meglio la parrocchia di Ars al tempo del Santo, che con queste espressioni di Pio
XII sulla parrocchia cristiana: ” Il centro è la chiesa, e nella chiesa
il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte
e le malate riacquistano la sanità “.

La preghiera negli esempi
e negli insegnamenti del Santo Curato d’Ars

Ai sacerdoti di questo
secolo, facilmente sensibili all’efficacia dell’azione e facilmente tentati pure
da un attivismo pericoloso, quanto è salutare questo modello di preghiera
assidua in una vita interamente consacrata alle necessità delle anime! Quel
che impedisce a noi sacerdoti di essere santi – egli diceva – è la mancanza
di riflessione; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è
necessaria la riflessione, la preghiera, l’unione con Dio. Egli stesso restava, secondo
la testimonianza dei contemporanei, in uno stato di continua preghiera, da cui non
lo distraeva né la fatica spossante delle confessioni né gli altri
compiti di pastore. ” Conservava una unione costante con Dio in mezzo alla sua
vita eccessivamente occupata “.
Ascoltiamo ancora lui stesso. Egli è inesauribile quando parla delle gioie
e dei benefici della preghiera. ” L’uomo è un povero che ha bisogno di
domandare tutto a Dio “. ” Quante anime possiamo noi convertire con le
nostre preghiere! “. E ripeteva: ” La preghiera, ecco la felicità
dell’uomo sulla terra “. Questa felicità veniva copiosamente gustata
da lui stesso, mentre il suo sguardo illuminato dalla fede contemplava i misteri
divini e, con l’adorazione del Verbo incarnato, elevava la sua anima semplice e pura
verso la Santissima Trinità, oggetto supremo del suo amore. E i pellegrini
che si affollavano nella chiesa di Ars comprendevano che l’umile sacerdote manifestava
loro qualche cosa del segreto della sua vita interiore con quell’esclamazione frequente
che gli era cara: ” Essere amati da Dio, essere uniti a Dio, vivere alla presenza
di Dio, vivere per Dio: oh! che bella vita e che bella morte! “.

Il sacerdote è
in primo luogo uomo di preghiera

Noi vorremmo, Venerabili
Fratelli, che tutti i sacerdoti delle vostre diocesi si lasciassero convincere dalla
testimonianza del Santo Curato d’Ars, della necessità di essere uomini di
preghiera e della possibilità di esserlo, qualunque sia l’aggravio talora
estremo delle occupazioni del loro ministero. Ma è necessaria una fede viva,
come quella che animava Giovanni Maria Vianney e gli faceva compiere meraviglie.
” Che fede! – esclamava uno dei suoi confratelli -. Vi sarebbe di che arricchire
tutta una diocesi! “.
Questa fedeltà alla preghiera è del resto per il sacerdote un dovere
di pietà personale, di cui la saggezza della Chiesa ha precisato parecchi
punti importanti, come l’orazione mentale quotidiana, la visita al Santissimo Sacramento,
il Rosario e l’esame di coscienza. Ed è anche uno stretto obbligo contratto
di fronte alla Chiesa, quando si tratta della recita giornaliera dell’Ufficio Divino.
Forse per aver trascurato talune di queste prescrizioni alcuni membri del clero si
sono visti a poco a poco vittime della instabililtà esteriore, dell’impoverimento
interiore ed esposti un giorno senza difesa alle tentazioni della vita. Al contrario,
” lavorando incessantemente per il bene delle anime, Maria Vianney non trascurava
la sua. Santificava se stesso per essere capace di santificare gli altri “.
Con San Pio X ” riteniamo dunque per certo che il sacerdote, per essere degnamente
all’altezza del suo grado e ufficio, deve essere dedito in modo esimio all’esercizio
della preghiera… Più intensamente degli altri deve il sacerdote obbedire
al precetto di Cristo: Bisogna pregare sempre; sul cui esempio San Paolo tanto raccomandava:
” Insistete nella preghiera, vegliando in essa in rendimento di grazie; pregate
senza interruzione ” “. E volentieri, a conclusione di questo punto, riprendiamo
Noi stessi la parola d’ordine che il Nostro immediato Predecessore Pio XII dava ai
sacerdoti, fin dall’inizio del suo Pontificato: ” Pregate, pregate sempre di
più e con maggiore insistenza “.

La pietà eucaristica
del Santo Curato

La preghiera del Curato
d’Ars, che trascorse per così dire gli ultimi trent’anni della sua vita in
chiesa, dove lo trattenevano i suoi innumerevoli penitenti, era soprattutto una preghiera
eucaristica. La sua devozione a Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento
dell’altare era veramente straordinaria: ” E’ là – diceva – Colui che
ci ama tanto; perché non lo dovremmo amare noi? “. E certamente egli
l’amava e si sentiva irresistibilmente attratto verso il tabernacolo: ” Non
c’è bisogno di parlar molto per ben pregare – spiegava egli ai suoi parrocchiani
-. Si sa che il buon Dio è là, nel santo tabernacolo; gli si apre il
cuore, ci si rallegra della sua presenza. E’ questa la migliore preghiera “.
In ogni circostanza egli inculcava ai fedeli il rispetto e l’amore della divina presenza
eucaristica, invitandoli ad accostarsi frequentemente alla mensa eucaristica e lui
stesso dava l’esempio di questa profonda pietà: ” Per convincersene –
riferirono i testimoni – bastava vederlo celebrare la Santa Messa e fare la genuflessione
quando passava davanti al tabernacolo “.

L’importanza dell’Eucaristia
nella vita del sacerdote

” L’esempio ammirabile
del Santo Curato d’Ars conserva anche oggi tutto il suo valore “, attesta Pio
XII. Niente potrebbe sostituire nella vita di un sacerdote la preghiera silenziosa
e prolungata davanti all’altare. L’adorazione di Gesù, nostro Dio, il ringraziamento,
la riparazione per le nostre colpe e per quelle degli uomini, la supplica per tante
intenzioni che gli sono raccomandate, si avvicendano nell’elevare questo sacerdote
a un maggiore amore per il divino Maestro, al quale ha promesso fedeltà, e
per gli uomini che attendono il suo ministero sacerdotale. Con la pratica di un tale
culto, illuminato e fervente, verso l’Eucaristia, si accresce la vita spirituale
del sacerdote e si preparano le energie missionarie degli apostoli più valorosi.
E bisogna aggiungere il beneficio che ne deriva per i fedeli, testimoni di questa
pietà dei loro sacerdoti e attirati dal loro esempio. ” Se volete che
i fedeli preghino volentieri e con pietà – diceva Pio XII al clero di Roma
– precedeteli in chiesa con l’esempio, facendo orazione al loro cospetto. Un sacerdote
genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento,
è un modello di edificazione, un ammonimento e un invito all’emulazione orante
per il popolo “. Questa fu l’arma apostolica per eccellenza del giovane Curato
d’Ars, non dubitiamo del suo valore in qualsiasi circostanza.

Il Sacerdozio e il Sacrificio
della Santa Messa

Non possiamo dimenticare
tuttavia che la preghiera eucaristica nel significato pieno della parola è
il Santo Sacrificio della Messa. Conviene insistere, Venerabili Fratelli, specialmente
su questo punto, poiché tocca uno degli aspetti essenziali della vita sacerdotale.
Non abbiamo certo intenzione di rifare qui l’esposto della dottrina tradizionale
della Chiesa circa il sacerdozio e il sacrificio eucaristico; i Nostri Predecessori
di fel. mem. Pio XI e Pio XII, in documenti magistrali, hanno richiamato con tanta
chiarezza questo insegnamento che non Ci resta se non esortarvi a farlo largamente
conoscere dai sacerdoti e fedeli che vi sono affidati. Così verranno dissipate
delle incertezze o audacie di pensiero che qua e là si sono manifestate a
questo riguardo.
Giova però in questa Enciclica mostrare in quale senso profondo il Santo Curato
d’Ars, fedele eroicamente ai doveri del suo ministero, meritò veramente di
essere proposto come esemplare ai pastori di anime e proclamato celeste loro Patrono.
Se, infatti, è vero che il sacerdote ha ricevuto il carattere dell’Ordine
per il servizio dell’altare, e ha cominciato l’esercizio del suo sacerdozio col sacrificio
eucaristico, questo non cesserà, per tutto il corso della sua vita, di essere
alla base della sua attività apostolica e della sua santificazione personale.
E tale fu appunto il caso di San Giovanni Maria Vianney.
Qual è infatti l’apostolato del sacerdote, considerato nella sua azione essenziale,
se non di attuare, ovunque vive la Chiesa, la raccolta intorno all’altare di un popolo
unito nella fede, rigenerato e purificato? Proprio allora il sacerdote, per quei
poteri che egli solo ha ricevuto, offre il divino sacrificio nel quale Gesù
stesso rinnova l’immolazione unica compiuta sul Calvario per la redenzione del mondo
e la glorificazione del suo Padre. E’ allora che i cristiani riuniti offrono al Padre
Celeste la Vittima divina per mezzo del sacerdote e imparano ad immolare se stessi
come ” ostie vive, sante, gradite a Dio ” (Rm 12,1). E’ là che il
popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della fede, nutrito del corpo di Cristo,
trova la sua vita, la sua crescita e, se ve ne è bisogno, rinsalda la sua
unità. E’ là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte
le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo,
che è la Chiesa.
A questo proposito, poiché il Santo Curato d’Ars fu di giorno in giorno sempre
più esclusivamente impegnato nell’insegnamento della fede e nella purificazione
delle coscienze, mentre tutti i suoi atti di ministero convergevano verso l’altare,
tale sua vita deve giustamente dirsi eminentemente sacerdotale e pastorale. E’ vero
che ad Ars i peccatori affluivano spontaneamente alla Chiesa, attirati dalla fama
di santità del pastore, mentre tanti altri sacerdoti devono impiegare sforzi
lunghi e laboriosi per raccogliere il loro gregge; è certo pure che altri
hanno un compito più missionario, e si trovano appena al primo annunzio della
buona Novella del Salvatore; questi lavori apostolici, tuttavia, tanto necessari
e talora così difficili non possono far dimenticare agli apostoli il fine
a cui devono mirare e a cui giungeva il Curato d’Ars, quando nella sua umile chiesa
di campagna, si consacrava ai compiti essenziali dell’azione pastorale.

La Santa Messa, sorgente
prima di santificazione personale del sacerdote

C’è di più.
Tutta la santificazione personale del sacerdote deve modellarsi sul sacrificio che
celebra, conforme all’invito del Pontificale Romano: ” Conoscete quel che fate;
imitate quel che maneggiate “. Ma lasciamo qui la parola al nostro immediato
Predecessore nella sua Esortazione Menti nostrae: ” Come tutta la vita del nostro
Salvatore fu in funzione del suo sacrificio, così pure la vita del sacerdote,
che deve riprodurre in sé l’immagine di Cristo, bisogna che diventi con lui,
in lui, per lui un grato sacrificio… Perciò bisogna che non solo celebri
il sacrificio eucaristico, ma, in una certa profonda maniera, lo viva; in questo
modo può attingere quella forza soprannaturale, da cui sarà intimamente
trasformato e parteciperà alla vita espiatoria dello stesso Divin Redentore
“. E il medesimo Pontefice concludeva: ” E’ quindi necessario che l’anima
sacerdotale si sforzi di riprodurre in sé quello che si compie sull’altare
del sacrificio: come infatti Gesù Cristo immola se stesso, così il
suo ministro deve insieme con lui immolare se stesso; come Gesù espia i peccati
degli uomini, così il sacerdote deve pervenire alla propria ed altrui purificazione
attraverso l’arduo cammino dell’ascesi cristiana “.
La Chiesa ha presente quest’alta dottrina quando invita i suoi ministri a una vita
d’ascesi e loro raccomanda di celebrare con profonda pietà il sacrificio eucaristico.
Non è forse per non aver compreso abbastanza bene lo stretto legame, e quasi
reciprocità, che unisce il dono quotidiano di se stesso all’offerta della
Messa, che certi sacerdoti sono giunti poco alla volta a perdere la ” prima
caritas ” della loro Ordinazione? Tale era l’esperienza fatta dal Curato d’Ars:
” La causa – egli diceva – del rilassamento del sacerdote è che non fa
attenzione alla Messa “. E il santo che aveva appunto l’eroica ” abitudine
di offrirsi in sacrificio per i peccatori “, versava lacrime abbondanti ”
pensando alla disgrazia dei sacerdoti che non corrispondono alla santità della
loro vocazione “.
Con affetto paterno, Noi chiediamo ai Nostri diletti sacerdoti di esaminarsi periodicamente
sulla maniera con cui celebrano i santi misteri, e sulle disposizioni spirituali
con cui salgono all’altare e sui frutti che si sforzano di ricavarne. Il Centenario
di questo ammirabile sacerdote che attingeva dalla ” consolazione e fortuna
di celebrare la Santa Messa ” il coraggio del suo proprio sacrificio, ve l’invita;
Noi nutriamo ferma fiducia che la sua intercessione otterrà loro abbondanti
grazie di luce e di forza.

Terza
Parte

ZELO PASTORALE

Il Santo Curato d’Ars
modello di zelo apostolico

La vita di ascesi e di
preghiera di cui, Venerabili Fratelli, vi abbiamo detto il fervore, manifesta inoltre
il segreto dello zelo pastorale di San Giovanni Maria Vianney e la sorprendente efficacia
soprannaturale del suo ministero. ” Si ricordi il sacerdote – scriveva il Nostro
Predecessore di fel. mem. Pio XII – che tanto più fruttuoso sarà il
gravissimo compito a lui affidato quanto più egli opererà congiunto
con Cristo e guidato dal suo spirito “. La vita del Curato d’Ars conferma una
volta ancora questa grande legge di ogni apostolato, basato sulla parola stessa di
Gesù: ” Senza di me non potete fare nulla ” (Gv 25,15).
Non si tratta evidentemente qui di ricordare tutta l’ammirabile storia di questo
umile curato di campagna, il cui confessionale fu per trent’anni assediato da folle
così innumerevoli che certi spiriti forti dell’epoca osarono rimproverargli
di ” turbare il diciannovesimo secolo “; né crediamo qui opportuno
trattare dei suoi metodi di apostolato che non sempre sono applicabili all’apostolato
contemporaneo. A Noi basta richiamare alla mente su questo punto che il santo Curato
fu al suo tempo un modello di zelo pastorale in quel villaggio di Francia, dove la
fede e i costumi risentivano ancora il turbamento della Rivoluzione. ” Non c’è
molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete “, gli si era detto
nel mandarvelo. Apostolo infaticabile, pieno di iniziative per guadagnare la gioventù
e santificare i focolari, attento alle necessità umane delle sue pecorelle,
vicino alla loro vita, sollecito a prodigarsi senza misura per l’istituzione delle
scuole cristiane e in favore delle missioni popolari, egli fu davvero per il suo
piccolo gregge il buon pastore che conosce le sue pecorelle, le salvaguarda dai pericoli
e le guida con autorità e saggezza. Non faceva forse, senza pensarvi, un elogio
di se stesso con questa esclamazione in uno dei suoi discorsi: ” Un buon pastore,
un pastore secondo il cuore di Dio: ecco il più grande tesoro che il buon
Dio possa concedere ad una parrocchia “?
L’esempio del Curato d’Ars conserva un valore permanente ed universale su tre punti
essenziali, che qui Ci piace, Venerabili Fratelli, proporre alla vostra attenzione.

Alto senso delle proprie
responsabilità pastorali

Ciò che colpisce,
anzitutto, è il senso profondo che egli aveva delle sue responsabilità
pastorali. La sua umiltà e la conoscenza soprannaturale che aveva del prezzo
delle anime, gli fecero portare con paura l’ufficio di parroco. ” Amico mio
– confidava un giorno ad un confratello – voi non sapete ciò che voglia dire
per un parroco presentarsi al tribunale di Dio! “. Ed è ben conosciuto
il desiderio che lo tormentò a lungo di fuggire in qualche luogo solitario
per ” piangervi la sua povera vita “, e come l’obbedienza e lo zelo delle
anime lo ricondussero ogni volta al suo posto.
Ma se in certi momenti fu così abbattuto dal suo ufficio divenuto eccezionalmente
opprimente, fu precisamente perché aveva un’idea eroica del suo dovere e delle
responsabilità di pastore. ” Mio Dio – pregava nei suoi primi anni –
accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello
che vorrete per tutto il tempo della mia vita! “. Ottenne dal cielo quella conversione.
Ma più tardi confessava: ” Se avessi previsto, quando venni ad Ars, le
sofferenze che mi aspettavano, sul colpo sarei morto di apprensione “. Sull’esempio
degli apostoli di tutti i tempi, egli vedeva nella croce il grande mezzo soprannaturale
per cooperare alla salvezza, delle anime che gli erano affidate. Senza lamentarsi
soffriva per esse le calunnie, le incomprensioni, le contraddizioni; per esse accettò
il vero martirio fisico e morale d’una presenza quasi ininterrotta al confessionale,
ogni giorno, per trent’anni; per esse lottò come atleta del Signore contro
le potenze infernali; per esse mortificò il suo corpo. Ed è ben nota
la risposta data a un confratello che si lamentava per la poca efficacia del suo
ministero: ” Voi avete pregato, avete pianto, gemuto e sospirato. Ma avete voi
digiunato, avete vegliato, vi siete coricato per terra, vi siete data la disciplina?
Finché non sarete giunto a questo, non crediate d’aver fatto tutto “.
Noi Ci rivolgiamo a tutti i sacerdoti in cura d’anime e li scongiuriamo di ascoltare
queste veementi parole! Ognuno, secondo la prudenza soprannaturale che deve sempre
regolare le nostre azioni, valuti la propria condotta nei riguardi del popolo affidato
alle sue sollecitudini pastorali. Senza mai dubitare della divina misericordia che
viene in aiuto della nostra debolezza, consideri alla luce degli esempi di San Giovanni
Maria Vianney le proprie responsabilità. ” La grande sventura per noi
parroci – deplorava il Santo – è che l’anima si intorpidisce “; ed intendeva
con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato in cui vivono
tante delle sue pecorelle. O ancora, per meglio mettersi alla scuola del Curato d’Ars,
che era convinto che per fare del bene agli uomini bisogna amarli, interroghi ciascuno
se stesso intorno alla carità da cui è animato nei riguardi di coloro
per cui deve rispondere davanti a Dio e per cui Cristo è morto!
E’ pur vero che la libertà degli uomini o certi avvenimenti indipendenti dalla
loro volontà possono talora opporsi agli sforzi dei più grandi santi.
Il sacerdote però ha il dovere di ricordare che, secondo i disegni insondabili
della divina Provvidenza, la sorte di molte anime è legata al suo zelo pastorale
e all’esempio della sua vita. E tal pensiero non è forse di tal natura da
provocare una salutare inquietudine nei tiepidi e stimolare i più ferventi?

Predicatore e catechista
infaticabile

” Sempre pronto a
rispondere ai bisogni delle anime “, San Giovanni Maria Vianney eccelse come
vero pastore nel procurare loro abbondantemente l’alimento primordiale della verità
religiosa. Per tutta la vita fu predicatore e catechista.
E’ ben nota la fatica improba e perseverante che si impose per soddisfare pienamente
a questo dovere d’ufficio, ” primum et maximum officium ” secondo il Concilio
di Trento. Gli studi suoi, compiuti in ritardo, furono laboriosi; e le sue prediche
gli costarono da principio molte veglie. Ma quale esempio per i ministri della parola
di Dio! Alcuni si appoggerebbero volentieri sulla scarsa istruzione di lui, per scusare
il proprio difetto di zelo negli studi. Sarebbe meglio imitare il suo coraggio per
rendersi degno d’un sì grande ministero, secondo la misura dei doni che gli
erano stati conferiti: d’altronde questi stessi non erano così modesti come
qualche volta si ama ripetere, poiché ” egli aveva una intelligenza molto
limpida e chiara “. Ad ogni modo, ciascun sacerdote ha il dovere di acquistare
e coltivare le cognizioni generali e la scienza teologica proporzionata alle sue
capacità e alle sue funzioni. E piacesse al Signore che i pastori di anime
facciano sempre quanto fece il Curato d’Ars per sviluppare le capacità della
sua intelligenza e memoria, e soprattutto per attingere ai lumi del libro più
ricco di scienza che si possa leggere, la croce del Cristo! Il suo Vescovo diceva
di lui a certi suoi detrattori: ” Non so se sia dotto, ma egli è illuminato
“.
Ben a ragione quindi il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII non esitava affatto
ad assegnare come modello ai predicatori della Città Eterna l’umile prete
di campagna. ” Il Santo Curato d’Ars non aveva certo il genio naturale d’un
Segneri o di un Bossuet, ma la convinzione viva, chiara, profonda, da cui era animato,
vibrava nella sua parola, brillava nei suoi occhi, suggeriva alla sua fantasia e
alla sua sensibilità idee, immagini, paragoni giusti, appropriati, deliziosi,
che avrebbero rapito un San Francesco di Sales. Tali predicatori conquistano veramente
il loro uditorio. Chi è pieno di Cristo, non troverà difficile di guadagnare
altri a Cristo “. Queste parole descrivono a meraviglia il Curato d’Ars, catechista
e predicatore. E quando alla fine della sua vita, la sua voce affievolita non arrivava
più a farsi intendere da tutto l’uditorio, era ancora col suo sguardo di fuoco,
con le sue lacrime, coi suoi gridi di amor di Dio o le sue espressioni di dolore
al solo pensiero del peccato, che convertiva i fedeli accorsi ai piedi del suo pulpito.
Come non essere colpiti dalla testimonianza d’una vita così totalmente consacrata
all’amore di Cristo?
Fino alla sua santa morte San Giovanni Maria Vianney fu in tal modo fedele nell’istruire
il suo popolo e i pellegrini che riempivano la sua chiesa, denunziando ” opportune,
importune ” (2 Tm 4,2) il male sotto tutte le sue forme, ed innalzando soprattutto
le anime verso Dio, perché ” preferiva mostrare l’aspetto attraente della
virtù piuttosto che la bruttezza del vizio “. Questo umile sacerdote
aveva in realtà compreso in grado non comune la dignità e la grandezza
del ministero della parola di Dio: ” Nostro Signore che è la Verità
stessa – diceva egli – non ha minor cura della sua parola che del suo Corpo “.
Si comprende perciò la gioia dei Nostri Predecessori nell’offrire questo pastore
di anime a modello dei sacerdoti, perché è di somma importanza che
il clero ovunque ed in ogni tempo sia fedele al suo dovere di insegnare. ” Qui
giova – diceva a tal proposito San Pio X – a questo solo tendere e su questo solo
insistere, che cioè ogni sacerdote non è tenuto da nessun altro ufficio
più grave, né è obbligato da nessun altro vincolo più
stretto “. Questo vibrante appello, costantemente rinnovato dai Nostri Predecessori,
e di cui si fa eco il Diritto Canonico, ve lo rivolgiamo anche Noi a Nostra volta,
Venerabili Fratelli, in questo anno Centenario del santo catechista e predicatore
di Ars. Noi incoraggiamo i tentativi fatti con prudenza e sotto il vostro controllo
in diversi paesi per migliorare le condizioni dell’insegnamento religioso per i giovani
e per gli adulti, nelle differenti sue forme e tenendo conto dei vari ambienti. Ma
per quanto utili siano tali lavori, Dio ci richiama alla mente in questo Centenario
del Curato d’Ars l’irresistibile potenza apostolica d’un sacerdote, che, sia nella
propria vita come nelle sue parole, rende testimonianza a Cristo crocifisso ”
non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis
” (1 Cor 2,4)

Strenuo apostolo del
confessionale

Ci rimane infine da rievocare
nella vita di San Giovanni Maria Vianney quella forma di ministero pastorale, che
fu per lui come un lungo martirio e dal cui svolgimento l’amministrazione del Sacramento
della Penitenza rifulse di particolare splendore e produsse frutti in sommo grado
copiosi e salutari. ” Egli trascorreva in media quindici ore al giorno al confessionale.
Questo lavoro quotidiano cominciava all’una o alle due del mattino e non finiva che
di notte “. E quando cadde, di sfinimento, cinque giorni prima della morte,
gli ultimi penitenti si strinsero al capezzale del moribondo. Si calcola che verso
la fine della vita il numero annuo di pellegrini avesse raggiunta la cifra di 80.000.
Si stenta ad immaginare i disagi, gli incomodi, le sofferenze fisiche di queste interminabili
sedute al confessionale, per un uomo già esausto dai digiuni, macerazioni,
infermità, mancanza di riposo e di sonno. Ma soprattutto egli fu moralmente
come oppresso dal dolore. Ascoltate questo suo lamento: ” Si offende tanto il
buon Dio, che si sarebbe tentati di invocare la fine del mondo!… Bisogna venire
ad Ars per sapere che cos’è il peccato… Non si sa cosa fare; non si può
far altro che piangere e pregare “. Il Santo si dimenticava di aggiungere che
egli prendeva anche su di sé una parte dell’espiazione: ” Quanto a me
– confidava a chi gli chiedeva consiglio – assegno loro una piccola penitenza ed
il resto lo faccio io al loro posto “.
E veramente il Curato d’Ars non viveva che per i ” poveri peccatori “,
come egli diceva, nella speranza di vederli convertirsi e piangere. La loro conversione
era lo scopo a cui convergevano tutti i suoi pensieri e l’opera per cui spendeva
tutto il suo tempo e tutte le sue forze. E ciò per il fatto che egli conosceva
per l’esperienza del confessionale tutta la malizia del peccato e le sue rovine spaventose
nel mondo delle anime. Egli ne parlò in termini terribili: ” Se avessimo
la fede e se vedessimo un’anima in stato di peccato mortale, noi moriremmo di spavento!
“.
Ma l’acerbità della sua pena e la veemenza della sua parola provengono meno
dal timore delle pene eterne che minacciano il peccatore indurito, che dall’emozione
provata al pensiero dell’amore divino misconosciuto ed offeso. Davanti alla ostinazione
del peccatore e alla sua ingratitudine verso un Dio così buono, le lacrime
sgorgavano dai suoi occhi: ” Oh, amico mio – diceva – io piango proprio perché
non piangete voi! “. Al contrario però con quale delicatezza e con quale
fervore non fa rinascere la speranza nei cuori pentiti! Per essi egli instancabilmente
si fa ministro della misericordia divina, la quale è, diceva egli, potente
” come un torrente in piena che trascina i cuori al suo passaggio “, e
più tenera che la sollecitudine d’una madre, perché Dio è ”
pronto a perdonare più di quello che sarebbe una madre a tirar fuori dal fuoco
un suo figlio “.
I pastori d’anime quindi, sull’esempio del Santo Curato d’Ars, avranno a cuore di
consacrarsi, con competenza e dedizione, a questo ministero tanto importante, poiché
in fondo è qui che la misericordia di Dio trionfa sulla malizia degli uomini
ed il peccatore viene riconciliato al suo Dio. Si tenga pure a mente che il Nostro
Predecessore Pio XII ha condannato gravissimis verbis l’opinione errata secondo cui
non sarebbe da farsi gran conto della confessione frequente dei peccati veniali:
” Per un progresso sempre più alacre sul cammino della virtù,
intendiamo raccomandare vivamente il pio uso della confessione frequente, introdotto
dalla Chiesa non senza una ispirazione dello Spirito Santo “. Infine Noi vogliamo
confidare che i ministri del Signore saranno essi stessi i primi, secondo le prescrizioni
del Diritto Canonico, alla pratica regolare e fervente del sacramento della Penitenza,
così necessario alla loro santificazione, e terranno il più gran conto
delle pressanti insistenze che più volte e dolenti animo Pio XII si sentì
in dovere di loro rivolgere a questo riguardo.

CONCLUSIONE

Al termine di questa Lettera,
Venerabili Fratelli, desideriamo dirvi tutta la Nostra soavissima speranza che, con
la grazia di Dio, questo Centenario della morte del Santo Curato d’Ars possa risvegliare
presso ogni sacerdote il desiderio di compiere più generosamente il suo ministero
e soprattutto il suo ” primo dovere di sacerdote, cioè il dovere di raggiungere
la propria santificazione “.
Quando da questo vertice del Supremo Pontificato dove la Provvidenza Ci ha voluto
collocare, consideriamo l’immensa aspettativa delle anime, i gravi problemi dell’evangelizzazione
in tanti paesi e le necessità religiose delle popolazioni cristiane, sempre
e ovunque si presenta al Nostro sguardo la figura del sacerdote. Senza di lui, senza
la sua azione quotidiana, che sarebbe delle iniziative, anche le più adatte
alle necessità dell’ora presente? Che farebbero anche i più generosi
apostoli del laicato? Proprio a questi sacerdoti tanto amati e su cui si fondano
tante speranze per il progresso della Chiesa, Noi osiamo richiedere, in nome di Cristo
Gesù, l’intera fedeltà alle esigenze spirituali della loro vocazione
sacerdotale. Avvalorino il Nostro appello queste parole, piene di sapienza, di San
Pio X: ” Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è
così necessaria come la santità del clero, perché con l’esempio,
con la parola e con la scienza esso sia guida dei fedeli “. Quasi lo stesso
diceva San Giovanni Maria Vianney al suo Vescovo: ” Se volete convertire la
vostra diocesi, dovete fare santi tutti i vostri parroci “.
A voi, Venerabili Fratelli, che portate la responsabilità della santificazione
dei vostri sacerdoti, Noi raccomandiamo di aiutarli nelle difficoltà, talora
ben gravi, della loro vita personale o del loro ministero. Cosa non può fare
un Vescovo che ama i suoi sacerdoti, se ha conquistato la loro confidenza, se li
conosce, li segue da vicino e li guida con autorità ferma e sempre paterna?
Pastori di tutta la diocesi, siatelo anzitutto e in maniera particolare per coloro
che così strettamente collaborano con voi e ai quali vi stringono vincoli
tanto sacri.
A tutti i fedeli pure Noi domandiamo, in questo anno centenario, di pregare per i
sacerdoti e di contribuire, per quanto possono, alla loro santificazione. Oggi i
cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui – in
un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio
della tecnica – un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede, dimentico di se
stesso e pieno di carità. Sappiano tali cristiani che essi possono molto influire
sulla fedeltà dei loro sacerdoti ad un tale ideale, col religioso rispetto
al loro carattere sacerdotale, una più esatta comprensione del loro compito
pastorale e delle loro difficoltà, e una più attiva collaborazione
al loro apostolato.
In fine verso la gioventù cristiana rivolgiamo uno sguardo colmo d’affetto
e pieno di speranza. La messe è vasta ma gli operai sono pochi (cf Mt 9,37).
In molte regioni gli apostoli, sfiniti dalle fatiche, con vivissimo desiderio aspettano
chi li sostituirà.
Popoli interi soffrono una fame spirituale, più grave ancora che quella materiale;
chi porterà loro il celeste nutrimento della verità e della vita? Abbiamo
ferma fiducia che la gioventù del nostro secolo non sarà meno generosa
nel rispondere all’appello del Maestro, di quella dei tempi passati. Senza dubbio,
la condizione del sacerdote è spesso difficile. Non c’è da meravigliarsi
che egli sia il primo esposto alla persecuzione dei nemici della Chiesa, perché,
diceva il Curato d’Ars, quando si vuole distruggere la religione si comincia coll’attaccare
il sacerdote. Ma, nonostante queste gravissime difficoltà, nessuno dubiti
della sorte altamente fortunata che è retaggio del sacerdote fervente chiamato
dal Salvatore Gesù a collaborare alla più santa delle imprese, la redenzione
delle anime e la crescita del Corpo Mistico. Le famiglie cristiane perciò
valutino bene le loro responsabilità, e diano loro figli con gioia e gratitudine
per il servizio della Chiesa. Noi non intendiamo qui sviluppare questo appello, che
è anche il vostro, Venerabili Fratelli. Ma siamo certi che voi comprenderete
e parteciperete l’ansietà del No- stro cuore e tutta la forza di convinzione
che vorremmo mettere nelle Nostre parole. A San Giovanni Maria Vianney Noi affidiamo
questa causa tanto grave e da cui dipende l’avvenire di tante migliaia di anime!
E ora volgiamo i Nostri sguardi verso la Vergine Immacolata. Poco prima che il Curato
d’Ars compisse la sua lunga carriera piena di meriti, Ella era apparsa in un’altra
regione di Francia ad una fanciulla umile e pura per trasmetterle un messaggio di
preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa risonanza
spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote di cui celebriamo il ricordo,
era in anticipo una illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali
insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l’Immacolata Concezione
della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrata
la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta
fede e gioia la definizione dogmatica del 1854.
Anche Noi Ci compiaciamo di unire nel Nostro pensiero e nella Nostra gratitudine
verso Dio questi due Centenari di Lourdes e di Ars, che si succedono provvidenzialmente
ed onorano grandemente la Nazione sì cara al Nostro cuore, cui appartengono
quei luoghi santissimi. Memori di tanti benefici ricevuti e nella speranza di nuovi
favori, facciamo Nostra l’invocazione Mariana che era familiare al Santo Curato d’Ars:
” Sia benedetta la santissima ed Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Madre di Dio! Che tutte le nazioni glorifichino, tutta la terra invochi e benedica
il Vostro Cuore Immacolato! “.
Con la viva speranza che questo Centenario della morte di San Giovanni Maria Vianney
possa suscitare nel mondo intero un rinnovamento di fervore presso i sacerdoti e
presso i giovani chiamati al sacerdozio, e possa altresì richiamare più
viva ed operosa l’attenzione di ogni fedele sui problemi che riguardano la vita e
il ministero dei sacerdoti, a tutti, e in primo luogo a voi, Venerabili Fratelli,
di cuore impartiamo, come pegno delle grazie celesti e testimonianza della Nostra
benevolenza, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso
San Pietro, il 1° Agosto 1959, anno primo del Nostro Pontificato.

IOANNES
PP. XXIII