Pio XII – Del magistero apostolico

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PIO XII
DEL MAGISTERO APOSTOLICO
Discorso sul Magistero Apostolico rivolto da PIO XII Il 31 Maggio 1954 agli Em.mi Cardinali e agli Ecc.mi Vescovi convenuti a Roma per la canonizzazione di S. Pio X.

Traduzione del testo originale latino (AAS, XLVI, 313-317) a cura di una monaca del Carmelo S. Giuseppe di Moncalieri (Torino).


Venerabili Fratelli.

«Se mi ami… pasci». Quale sia la ragione intrinseca dell'attività apostolica, la sua fondamentale virtù, l'origine o la sorgente dei suoi meriti, luminosamente ce lo insegnano queste parole ammonitrici rivolte dal Divin Salvatore all'Apostolo Pietro, parole usate nell'introito della S. Messa in onore di uno o più Sommi Pontefici. Seguendo le orme di Gesù Cristo Pontefice e Pastore Eterno, il quale per il nostro bene diede grandi insegnamenti, compì mirabili azioni e sostenne dure sofferenze, il Romano Pontefice Pio X, che Noi con tanta gioia inserimmo nei fasti dei Santi, strenuamente mettendo in pratica il comandamento sgorgato dalle labbra di Cristo, nutrendo amò le sue pecorelle e amandole le nutrì. Amò Cristo e nutrì il gregge di Cristo. Dalle soprannaturali ricchezze portate in terra dall'amorosissimo Redentore, Egli con larga mano attinse quello che con liberalità elargì al suo gregge; ossia l'alimento della verità, i misteri celesti, la magnificenza della grazia contenuta nel sacrificio e nel sacramento della divina Eucaristia, la dolcezza della carità, l'assidua sollecitudine del governo, la fortezza della difesa: donò se stesso e quanto il Creatore e Datore di ogni bene gli aveva elargito.
Siete venuti a Roma, Venerabili Fratelli, corona della Nostra gioia, per partecipare alle solenni celebrazioni, e per offrire insieme con Noi l'omaggio dell'ammirazione e dell'onore a questo Romano Pontefice, la cui vita mirabile fu luce per tutta la Chiesa, e per rendere grazie a Dio, il quale per mezzo di questo Pontefice nella sua paterna misericordia sparse gran numero di benefici a favore di quelli che dirige verso l'eterna salvezza.
E mentre ora, con animo lieto e profondamente commosso Ci troviamo in mezzo a voi, fratelli dilettissimi, che così numerosi siete accorsi da ogni parte della terra, Noi, Vicario di Cristo, «anziano» in mezzo a voi «anziani», con le stesse parole della lettera del primo Sommo Pontefice e Capo degli Apostoli, testé ricordato, vogliamo anzitutto esporvi brevemente ciò che intendiamo ricordarvi e inculcarvi: «Io anziano e testimone delle sofferenze di Cristo, scongiuro gli anziani che sono in mezzo a voi… pascete il gregge di Dio, che da voi dipende, governandolo non forzatamente, ma volonterosamente secondo Iddio… facendovi con sentimenti sinceri modello del vostro gregge » (1).
Queste esortazioni hanno lo stesso significato della parola che, uscita dalla bocca divina, stimola ad operosa carità il ministero pastorale: «Se mi ami… pasci!»
Ma vogliamo concisamente illustrarvi quello a cui abbiamo accennato. ricordando le parole di S. Pietro. Quella sollecitudine di tutte le Chiese che incombe su Noi. e quella vigilanza che inerente alle altissime responsabilità del Nostro ministero ci è di quotidiano assillo, esigono che Noi poniamo davanti ai Nostri occhi e facciamo oggetto di considerazione alcuni pensieri, sentimenti e norme di vita pratica, a cui vogliamo richiamare la vostra vigile premura, perché si unisca alla Nostra, e così nel modo più sollecito ed efficace si provveda al gregge di Cristo. Sembra trattarsi di sintomi e di conseguenze di un contagio spirituale, che richiedono l'intervento del ministero pastorale, affinché non prendano forza e non incomincino a diffondersi, ma ricevano tempestivo rimedio e siano quanto prima sradicati.
Ci sembra rispondente al Nostro assunto dilucidare in maniera particolareggiata quanto a voi successori degli Apostoli, sotto l'autorità del Romano Pontefice, compete per le prerogative del triplice ufficio a voi assegnato per divina istituzione, cioè il magistero, il sacerdozio, il governo. Tuttavia, siccome oggi il tempo non Ci è sufficiente, Ci limitiamo nel Nostro discorso solo alla prima parte, rimandando le rimanenti, ad altre circostanze future, se Dio ci darà la possibilità.
Quella verità che portò dal cielo, Cristo Signore l'affidò agli Apostoli, e per mezzo di essi ai loro successori; come egli era stato mandato dal Padre, così egli mandò gli Apostoli ad ammaestrare tutte le genti intorno a quello che avevano udito dal Signore. Per diritto divino, quindi, gli Apostoli sono stati costituiti dottori, ovvero maestri nella Chiesa. All'infuori dei legittimi successori degli Apostoli, cioè il Romano Pontefice, per la Chiesa universale, e i Vescovi per i fedeli affidati alle loro cure, non si danno nella Chiesa altri maestri per diritto divino; essi però, e principalmente il Supremo Maestro della Chiesa e Vicario di Cristo in terra, possono chiamare altri come propri collaboratoti e consiglieri nel magistero; allo scopo di delegare loro (sia in via straordinaria, sia in forza del conferito ufficio), la potestà d'insegnare. Quanti sono assunti in tal guisa all'insegnamento, esercitano l'ufficio di maestro non a nome proprio, né per titolo di scienza teologica, ma in forza della missione che hanno ricevuto dal legittimo magistero ed a questo sempre la loro potestà è soggetta, né mai diventa «sui iuris», cioè indipendente da ogni potere. I Vescovi, invece, anche quando hanno concesso tale facoltà, mai si privano del diritto di insegnare, né si esimono dal gravissimo dovere di provvedere e di vigilare intorno all'integrità, e alla sicurezza della dottrina che viene impartita dagli altri chiamati a collaborare. Perciò il legittimo magistero della Chiesa non lede e non reca offesa a nessuno di coloro, cui viene conferita la missione canonica, quando esso desidera rendersi conto ed accertarsi intorno a ciò che insegnano e propugnano coloro ai quali è stata affidata la missione dell'insegnamento, sia nelle lezioni fatte a viva voce, o nei libri, dispense, o riviste riservate agli uditori, sia nei libri ed altri scritti di pubblica ragione.
Non è nostra intenzione estendere, a tale scopo, a tutte queste cose le norme giuridiche circa la previa censura dei libri, poiché sono a disposizione tante altre maniere e vie per giungere con sicurezza a conoscenza della dottrina dei docenti. D'altra parte queste precauzioni e questa circospezione del legittimo magistero, non vogliono affatto dire diffidenza o sospetto – come neppure la professione di fede che la Chiesa richiede dagli insegnanti e da molti altri -; al contrario, l'aver concesso la facoltà d'insegnare suona fiducia, buona stima, onore manifesto a quegli cui si concede. La Santa Sede stessa, se talvolta fa indagini e vuol sapere che cosa si insegna in taluni seminari, collegi, atenei, università, in materia di sua competenza, non vi è indotta da altro motivo che dalla coscienza sia del mandato di Cristo, sia dell'obbligo che ha davanti a Dio di difendere la sana dottrina e di conservarla integra e incorrotta. Inoltre questo doveroso esercizio di vigilanza tende anche a difendere e stimolare il vostro diritto e dovere di pascere il gregge a voi affidato con la verità del genuino insegnamento di Cristo.
Non è senza grave motivo che dinanzi a Voi, Venerabili Fratelli, rivolgiamo questi ammonimenti. Purtroppo, infatti, si avvera che alcuni docenti poco si curano di stare uniti al magistero vivo della Chiesa, e poco rivolgono pensiero ed animo al suo comune insegnamento, in vari modi chiaramente proposto; nello stesso tempo poi troppo si affidano al proprio ingegno, alla mentalità moderna, ai principi di altre discipline, che ritengono e affermano essere le uniche ad avere carattere di vero metodo scientifico. Senza dubbio la Chiesa ama e favorisce sommamente lo studio e il progresso della scienza umana, e circonda di particolare affetto e stima i dotti che impiegano negli studi la loro esistenza.
Tuttavia le cose che riguardano la religione e i costumi, le verità che del tutto trascendono l'ordine sensibile, entrano nell'ambito esclusivo dell'ufficio e dell'autorità della Chiesa. Nella Nostra Enciclica «Humani Generis» abbiamo descritto la mentalità e lo spirito di coloro a cui abbiamo accennato; parimenti abbiamo avvertito che alcune aberrazioni ivi condannate traggono origine unicamente dall'essere stata trascurata l'unione con il magistero vivo della Chiesa.
S. Pio X in documenti di grande importanza e ben noti a tutti voi, mise più volte in risalto questa medesima necessaria unione con il pensiero e la dottrina della Chiesa. Lo stesso ripete il suo Successore nel supremo Pontificato, Benedetto XV, il quale, dopo aver solennemente rinnovato nella sua prima Enciclica «Ad Beatissimi Apostolorum Principis» (l° novembre 1914) la condanna del modernismo pronunziata dal suo Predecessore, così indica lo spirito e la mente di chi segue questo sistema: «Chi è mosso da tale spirito, respinge con insofferenza tutto ciò che sa di antico, e ricerca ovunque con avidità ciò che sa di nuovo: nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del culto divino, nelle istituzioni cattoliche, e persino nell'esercizio privato della pietà». Che se taluni docenti e professori contemporanei rivolgono ogni loro sforzo a proporre cose nuove e a dare loro sviluppo, e non invece a ripetere «ciò che è stato tramandato»: se intendono di proporre solo questo, rimeditino con calma ciò che Benedetto XV presentò alla loro considerazione nella citata Enciclica: «Nulla si innovi; e ci si attenga a ciò che è stato tramandato, e sebbene questa massima si debba integralmente osservare in materia di fede, tuttavia, in conformità ad essa bisogna regolare anche ciò che è suscettibile di mutamento; benché in questo per lo più valga anche la nota regola: non cose nuove, ma in forma nuova».
Quanto ai laici, è chiaro che possono anch'essi essere chiamati o ammessi dai legittimi Maestri come collaboratori e collaboratrici nella difesa della fede. Basta ricordare l'insegnamento della dottrina cristiana, al quale si dedicano tante migliaia di uomini e di donne, nonché le altre forme dell'apostolato dei laici. Tutto ciò è degno di singolare encomio, e può e deve promuoversi con ogni sforzo. Ma occorre che tutti questi laici siano e rimangano sotto l'autorità, la guida e la vigilanza di coloro che, per divina istituzione, sono stati costituiti Maestri nella Chiesa di Cristo. Non vi è infatti nella Chiesa, nelle materie attinenti alla salvezza delle anime, magistero alcuno che sia sottratto a questa autorità e vigilanza,
In tempi recenti cominciò a sorgere qua e là e a diffondersi largamente la cosiddetta «teologia laica», e si introdusse una particolare categoria di teologi laici, che si professano indipendenti; di questa teologia si hanno pre-lezioni, pubblicazioni, circoli, cattedre, professori. Questi distinguono il loro magistero e in certo modo lo oppongono a quello pubblico della Chiesa; a volte, per giustificare il loro modo di agire, si appellano ai carismi per insegnare e interpretare, di cui ripetute volte si parla nel Nuovo Testamento, specie nelle Epistole Paoline; si appellano alla storia, che dall'inizio della religione cristiana fino ad oggi presenta tanti nomi di laici, i quali per il bene delle anime insegnarono con gli scritti e a viva voce la verità cristiana, ma non chiamati a ciò dai Vescovi, e senza aver chiesto o accettato la facoltà del magistero sacro, ma guidati dal loro impulso e dallo zelo apostolico. Ma nondimeno occorre ritenere questo: e cioè che non vi fu mai, né vi è, né vi sarà mai nella Chiesa un legittimo magistero di laici che sia stato sottratto da Dio all'autorità, alla guida e alla vigilanza del magistero sacro; anzi la stessa negazione della sottomissione offre argomento convincente e sicuro criterio che i laici, i quali parlano ed agiscono così, non sono guidati dallo Spirito di Dio e di Cristo. Inoltre tutti avvertono quale pericolo di turbamento e di errore vi sia in questa «teologia laica»; pericolo anche che comincino ad insegnare ad altri persone addirittura inette, anzi ingannatrici e subdole, che S. Paolo così descrisse: «Verrà tempo che… moltiplicheranno a se stessi i maestri secondo le proprie passioni per prurito di udire. E si ritireranno dall'ascoltare la verità e si volgeranno alle favole» (2).
Lungi da noi che, nel dare questi ammonimenti, abbiamo ad allontanare da una più alta indagine della dottrina sacra e dalla sua divulgazione quanti, di ogni ordine e classe, sono a ciò animati da sì nobile zelo. Adoperatevi, Venerabili Fratelli, con sollecitudine ogni giorno maggiore, come ugualmente richiedono l'onere e l'onore del vostro ufficio, a penetrare sempre più la sublimità e la profondità della verità soprannaturale e a presentare con assidua e fiammante eloquenza le sacre verità della religione a coloro, i quali ora, non senza minacce di gravi pericoli, si lasciano offuscare da tenebrosi errori nel pensiero e nel mondo degli affetti, E così essi con salutati penitenze e con rettitudine di amore abbiano alfine a ritornare a Dio: «Poiché staccarsi da Lui, è cadere; convertirsi a Lui, è risorgere; rimanere in Lui, è star solidi… ritornare a Lui, è rinascere: abitare in Lui, è vivere» (3).
E affinché compiate questo con felice successo, vi invochiamo gli aiuti divini, e perché questi vengano concessi abbondantemente, di gran cuore benediciamo voi e i vostri greggi.

NOTE

1) I Pietr., 5, 1-3.
2) II Tim., 4, 3-4.
3) S. AGOSTINO, Soliloquium lib. 1, 3.