Pio XII – Ai sacerdoti adoratori

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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO NAZIONALE ITALIANO
DEI SACERDOTI ADORATORI
28 aprile 1939

Pio XII

Quale spettacolo è quest’adunanza di sacerdoti, il cui proposito, degno degli angeli, è di adorare in singolar modo quel Dio che promise agli Apostoli di essere con loro tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli! Noi vediamo, Venerabili Fratelli e diletti Figli, adempita in voi questa promessa, in voi che continuate e perpetuate il ministero apostolico di istruire le genti, di battezzarle e di insegnar loro tutto quello che Cristo agli Apostoli aveva comandato. Non ha egli pure annunziato che dove fossero anche due o tre persone congregate nel nome suo, quivi sarebbe egli in mezzo a loro? Il Salvatore divino è con noi, non già come ombra fugace della fama e del nome che resta sulle tombe e sui monumenti dei grandi uomini che passano, ma quale Dio presente nella sua divinità e umanità, Dio nascosto nell’ombra dei pani mutati: ombra che Ci par di ravvisare in quelle tenebre del lago di Tiberiade, in quella notte che Cristo camminava sopra i marosi, e ai discepoli a fatica remiganti parve fantasma. No, non è un fantasma il Dio dei tabernacoli che adoriamo. E quel medesimo che allora disse ai pavidi discepoli: Abbiate fiducia; sono io, non temete. E quel medesimo che dice: Eccomi con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei tempi.

E quel medesimo che cammina sulle onde dei secoli, signore dei venti e delle procelle umane. Egli cammina sull’onde tempestose al fianco e innanzi alla sua Chiesa; risponde ai suoi ministri che lo chiamano con la voce sacra, a loro da lui largita; e ai suoi altari invita e aduna da venti secoli le nazioni e le genti, il popolo e i regnanti, i martiri e le vergini, i pontefici e i sacerdoti, prostrati nell’adorarlo presente, nell’amarlo nascosto, nell’invocarlo compagno nella gioia e nel dolore, nella vita e nella morte.

Ma noi vediamo un sacerdote che nell’ombra della fede più vivamente ha sentito il conforto di Lui ai discepoli. Voi lo conoscete: è Pietro Giuliano Eymard che risponde a Cristo: Signore, se sei tu, comandami di venire a te sulle acque. Vieni, gli dice il Salvatore. E Pietro Giuliano camminò sulle acque burrascose per andare a Gesù e prostrarsi a lui in perpetua adorazione ed esclamare: Eccomi con voi, o Signore, in tutti i giorni fino al termine della mia vita. Non fu forse questa la vocazione e la missione del fondatore della Congregazione del SS.mo Sacramento? Non calcò egli, per avvicinarsi e prostrarsi a Gesù, le acque della tribolazione? Egli aveva ben compreso la promessa di Cristo, onde si chiude e sigilla come suo testamento il Vangelo del pubblicano Matteo; e ne aveva fatto per sé e per gli altri il vessillo dell’opera sua e della sua azione: «Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi».

In questo mondo, in questo moderno straniamento della società, della famiglia e del costume da Dio, Pietro Giuliano sentiva pure che Cristo non aveva cessato di essere presente nel rifugio del suo altare, benché spesso ignorato, abbandonato, non degnato dell’altissimo omaggio a lui dovuto. Sentiva ch’Egli era ogni giorno con noi, perpetuo compagno del suo ministro e del suo popolo in ogni angolo e per ogni via della città, in ogni regione civile o barbara della terra, dove fosse un sacerdote e un’ara. Sentiva che Egli, come ieri, sta oggi, fino alla consumazione dei secoli con noi, con la sua Chiesa invincibile e indefettibile, sacerdote e pontefice delle anime in eterno, re immortale dei secoli e delle vicende umane antiche, presenti e future. Profondamente ciò sentiva e si chinava innanzi a lui in quell’adorazione ch’è desiderio immenso di vederlo adorato, venerato, esaltato, in modo speciale dalle anime a Lui consacrate e particolarmente dai sacerdoti, che devono essere luce del mondo, sale della terra, maestri e ministri del popolo, mediatori fra gli uomini e Dio, fra il cielo e la terra.

In questo grande convegno di sacerdoti adoratori italiani, adunati a ritemprarsi nello spirito sacerdotale, – convegno già altamente, sapientemente ed ampiamente illustrato dalla parola eloquente e santa di. Eminentissimi Cardinali e di illustri oratori sacri -, la immagine del Beato Eymard, alfiere, araldo e campione, quant’altri mai, di Cristo presente nei sacri tabernacoli, è, al pari del Battista, lucerna lucente e ardente che illuminerà e rinfiammerà i vostri cuori, e trasfonderà in essi quegli accesi balzi che desta nell’animo la lagrimevole visione della guerra, dell’insidia e dell’indifferenza, con cui l’uomo risponde all’amore e ai benefizi di un Dio umanato che fa sua delizia lo stare sempre con noi.

I.

Il Dio dell’altare sta in mezzo a noi, invisibile, ma testimone fedele, primogenito tra i morti, principe dei re della terra, il quale ci ha amati e ci ha lavati dei nostri peccati col proprio sangue e ci ha fatti regno e sacerdoti a Dio suo Padre; il primo e l’ultimo, il vivente che fu morto ed è vivente pei secoli dei secoli (1). Ma è insieme in mezzo a noi, il Dio dell’arcano. Cadiamo ai suoi piedi, adoriamolo nel roveto ardente del suo amore per noi, se non ci è dato contemplarlo, come lo vide il rapito Evangelista. È il mistero della fede, centro dell’incruento divino sacrificio, geloso segreto della Sposa di Cristo, cui nei primi secoli della sua immutabile giovinezza amò celare sotto il velo dell’arcano anche i teneri suoi figli: arcano fatto mistero di un mistero, nascosto da secoli eterni in Dio e che nasconde un Dio. Davanti a questo mistero si chinarono nella polvere gli Apostoli e i martiri; nelle basiliche i pontefici; nei deserti e nei cenobi i monaci e gli anacoreti; nei chiostri le vergini; nei campi della lotta le schiere; nelle cattedre i dottori; nelle vie i popoli. Cristo era in mezzo a loro; ma chi lo vide? chi lo ravvisò? Beati quelli che non lo videro e credettero: «Beati qui non viderunt et crediderunt».

La fede passa ogni velo, penetra ogni arcano; e quanto più viva si avanza, tanto più luce acquista, si rinfiamma ed esalta in se stessa, e fa del mistero medesimo il faro e il fuoco della sua vita e dell’opera sua. Non fu questa la fede di Pietro Giuliano nel Dio presente sotto il velo della Eucaristia? Non fu il faro, alla cui luce mirò le onde e le tempeste dell’età moderna? Non fu il fuoco che gli scaldò il petto e l’ardire a fare del vessillo eucaristico il vessillo della sua religiosa coorte? a raccogliere intorno al sacro altare le schiere dei sacerdoti adoratori? Non fu egli colui, che nello squarciarsi più e più il velo dell’arcano attraverso i secoli nella comunione pasquale, nella solennità del Corpo del Signore, nella fiammeggiante esposizione del Dio nascosto, nell’adorazione riparatrice, intravvide la novella aurora della Congregazione e delle Confraternite del SS.mo Sacramento? Così nell’acre più aperto si scioglieva l’arcano antico del sacrosanto ciborio; ed era apparso l’ardente apostolo della divina Eucaristia, suscitato dal cielo.

Nato in un borgo del circondario di Grenoble, quando il mondo taceva al cospetto dell’altero Cesare francese che dalla Senna aveva coi suoi eserciti corso le terre di Europa e travolti regni e regnanti, Pietro Giuliano era cresciuto per la pietà della madre nella visione del sacro tabernacolo, e lì, appoggiato all’altare, fu trovato un giorno, fanciullo quinquenne, a pregare il Dio velato, bramoso di stargli vicino e di ascoltarlo. Che mai disse allora a quel bambino innocente Gesù che ama e abbraccia i piccoli, i quali vengono a Lui? Certo gli stampò nell’animo una di quelle parole indelebili che improntano il carattere e la missione dei santi nel mondo, e sigillano la loro aureola nel cielo della Chiesa.

E quella parola che si tramuterà nel pensiero del sacerdote Pietro Giuliano marista e che egli segnerà nella supplica al gran Pontefice Pio IX: «Ecco, scriverà, questo pensiero: alla vista dell’amore di Gesù Cristo nel suo adorabile Sacramento, dell’isolamento in cui lo lascia la scarsa pietà dei fedeli, dell’indifferenza di tanti cristiani, dell’empietà sempre crescente degli uomini del secolo; alla vista dei bisogni così grandi della Chiesa, di tanti idolatri ed eretici lontani dalla fede di Gesù Cristo, un pensiero soave e forte mi diceva: Perchè il più grande dei misteri non avrebbe anch’esso il suo corpo religioso come gli altri misteri? perchè non vi sarebbero degli uomini che avessero una missione perpetua di preghiera ai piedi di Gesù Cristo nel suo divino Sacramento? perchè il Re dei re non avrebbe anch’Egli la sua guardia d’onore, vigilante dì e notte dinanzi al suo divino tabernacolo, nell’esercizio perpetuo dell’adorazione, del ringraziamento, dell’ammenda onorevole?» – «E l’opera di Dio, risponderà il Vicario di Cristo, io la desidero». E indi a poco la loderà e poi l’approverà.

II.

Ma Cristo non solo è presente in mezzo al mondo, bensì anche si accosta all’uomo e sta con lui, coi suoi apostoli, coi suoi fedeli, con tutte le genti, conquista del suo sangue. Duplice è la sua presenza. Ha una presenza divina, con la quale sostiene l’universo da lui creato, segue i passi degli uomini per le vie del bene e del male ed è loro testimone e giudice inclinatore al bene e punitore del male. Ha un’altra presenza umana e insieme divina, per la quale innalza i suoi padiglioni nelle catacombe, fra le dense case dei popoli, per le campagne, per le selve, nelle valli, sui monti, per i deserti, per le nevi, in mezzo ai ghiacci perpetui, dovunque un sacerdote con la onnipotente parola di Lui levi in alto un pane e un calice, adorando ciò che ha fatto in memoria di Lui. Là Egli sta col suo ministro, con lui cammina, si fa nostro cibo, viatico dei moribondi e degli infelici, fratello, sposo, padre, medico, conforto e vita delle anime, pane degli angeli, arra di gaudio immortale. Ecce ego vobiscum sum. Oh come vorremmo che non Noi colla nostra povera voce, ma vi parlasse Pietro Giuliano Eymard, che a fondo penetrava e scandagliava questo mistero di fede e d’amore: la sua parola sarebbe una fiamma, un incendio da far ardere e avvampare i vostri cuori di adoratori del Dio che sta con noi ed è tanto dimenticato e offeso dagli uomini.

Non Ci chiedete, venerandi sacerdoti, se la missione da Dio affidata a Pietro Giuliano Eymard gli costò sangue, e se a lui, ramingo ai tabernacoli di La Seyne-sur-Mer, di Lione e di Parigi, Dio chiese, come ad Abramo, il totale sacrificio di ciò che amava – ed era pur dono divino -, per poi restituirglielo con rinnovata promessa di eletta progenie. Iddio lo mise alla prova, a quel modo che l’oro si purifica nel fuoco, che la pazienza è arma di vittoria; a quel modo che la croce, sigillo dei martiri, si erge e sovrasta ai nostri altari, vessillo di Cristo con noi e coi suoi santi. Il tabernacolo era però il suo rifugio: dal tabernacolo aveva udito la voce di Cristo che gli diceva che sarebbe stato ogni dì con lui compagno nei cammino della tribolazione fra la domanda e il rifiuto per l’Opera Eucaristica, fra l’opposizione dei confratelli e la lode del Pontefice Pio IX, fra l’ambascia di un dilemma e la croce del sacrificio; aveva ascoltato la parola di quel Dio umanato che proclamava ai suoi discepoli: «Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi».

III.

Dell’adempimento di questa mirabile e benigna promessa di Cristo lungo il corso fuggevole dei tempi, nessuno, meglio del sacerdote, è fedele testimonio e parte, come quegli che, quale ministro delle fonti della grazia, ebbe da Cristo la sovrana missione di fare in sua memoria all’ara incruenta ciò ch’Egli aveva fatto nella vigilia della sua Passione: Pro Christo ergo, vi diremo, o diletti sacerdoti, con S. Paolo, legatione fungimur. Siamo legati e ambasciatori di Cristo, non solo con la parola, ma ancora con l’opera. Questa missione della parola e dell’opera oh quanto intimamente la sentì nell’animo il Beato Eymard! Sacerdote, ben sapeva che Cristo è con la sua Chiesa e con noi, tutti i giorni, per la sua autorità e per la sua grazia; ma, vedendolo anche velato presente sui nostri altari, e spesso quasi obliato e ignorato come Re e Pastore delle anime nostre, voleva che con la parola e con l’opera fosse dalla società cristiana riconosciuto, adorato, ringraziato, propiziato, pregato tutti i giorni fino al termine dei secoli.

Noi non seguiremo il fondatore dell’Adorazione perpetua nell’Opera delle Comunioni tardive nella capitale francese, nella erezione delle case di Marsiglia, di Angers, di Bruxelles e di altre città; non vi diremo come sorgessero l’Aggregazione del SS.mo Sacramento, la Congregazione delle Ancelle dell’Eucaristia, come si onorasse la Madonna del SS.mo Sacramento; come intorno al Servo di Dio andasse crescendo la religiosa famiglia da lui guidata, vincendo travagli, povertà, contraddizioni e dissensi interni ed esterni. Di pene e dolori non può mai vivere scevro il cuore dei seguaci di Cristo crocifisso; né il sentiero della santità è seminato dei dolci pomi e dei fiori dell’Eden. Credete voi che l’intimo suo martirio non rimanesse a tutti segreto né traboccasse mai in lamento fuori delle labbra? Solo l’ardore amoroso per il Dio d’amore egli effondeva nei suoi sermoni, nei suoi discorsi, nei suoi colloqui, nella sua direzione degli spiriti; e un’eco ancora ne mormorano le pagine che raccolgono la parola di lui.

Ma, al pari dell’Apostolo Paolo, egli si glorierà nelle sue tribolazioni, perchè la virtù di Cristo abiti in lui. E la virtù di Cristo, che al dolore pareggia il conforto che non sa dare il mondo, come la sentì divina ai piedi degli altari, il P. Eymard la trovò potente e provvida ai piedi del Vicario di Cristo in Roma. E tre volte lo vide Roma pellegrino per le sue vie, nelle sue basiliche, alle tombe e agli arcosolii dei martiri e un giorno lo udì in Sant’Andrea della Valle glorificare il Dio Bambino, Roma, con la voce del gran Pontefice Pio IX, gli fu propizia; ne lodava l’Istituto Eucaristico e poi ne approvava le Costituzioni, fondamento di sicuro e canonico avvenire.

A questo punto il nostro pensiero si arresta davanti all’opera del paziente e forte Adoratore e Apostolo della Eucaristia, mentre contempliamo il passato e l’avvenire saldarsi col presente e sopra l’onda dei secoli ascoltiamo la parola di Paolo, il quale ci ammonisce che ogni qual volta mangeremo questo pane e beveremo questo calice, annunzieremo la morte del Signore, fino a tanto che egli venga (2). Finché sui campi del nostro globo spunterà una spiga di grano e penderà un grappolo d’uva, e un sacerdote salirà pensoso del sacrificio l’altare, l’Ospite divino sarà con noi; e il credente curverà nella fede la mente e il ginocchio innanzi a un’Ostia consacrata, come all’ultima cena gli apostoli nel pane e nel vino consacrato che il Salvatore dava loro dicendo: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue; adorarono Cristo, il Maestro divino con quella pura e alta fede che crede ai portenti della sua parola, e di cui si sostanzia l’interna adorazione, fede senza la quale è vano segno il piegare di un ginocchio. Da quell’ora del Cenacolo cominciarono i secoli del Dio dell’Eucaristia; il giro del sole ne illuminò i passi con le sue aurore e i suoi tramonti; le scavate viscere della terra lo accolsero salmodiando; negli eremi, nei cenobii, nelle basiliche, sotto gli aerei pinnacoli s’inchinarono a lui pastori e popoli, principi ed eserciti. Nelle sue conquiste si avanzava coi suoi araldi e sacerdoti oltre í mari e gli oceani, e dall’Oriente all’Occidente, da un polo all’altro il Redentore ormai pianta ogni dì i suoi tabernacoli, perseverando contro l’ingratitudine degli uomini in trovare le sue delizie a stare con essi, solo bramoso di effondere a loro salvezza i tesori delle sue grazie e della sua magnificenza.

A tanta degnazione e generosità divina, se la pietà dei secoli corrispose con le festive annuali commemorazioni dei più mirabili fatti della vita mortale del Salvatore e con l’istituzione di Ordini e Congregazioni religiose che ne prendessero il nome, era per divino consiglio riservato ai tempi moderni e alla Adorazione Perpetua inaugurata dal fiammante zelo del Beato Eymard il mandato di glorificare con culto solenne e continuo, in tale ardore quale non si era visto nei secoli passati, l’umanato Verbo Divino, veramente, realmente, sostanzialmente presente nel Sacramento del suo amore. Dal sacro nascondimento del tabernacolo egli intendeva esaltarlo fra gli splendori dell’altare, non solo per alcune ore e giornate, ma: «omnibus diebus usque ad consummationem saeculi», come Re di ogni secolo, perchè Cristo Signor Nostro mai non cessa di essere quel Dio da terra esaltato sulla croce per trarre a sè l’universo. E non lo esalta forse il sacerdote sopra il suo capo ogni giorno nell’incruento sacrificio alla vista dei fedeli, perchè lo adorino, lo lodino, lo supplichino di perdono di grazia? Non è la santa Messa il mistico olocausto, in cui il Redentore, Sacerdote e Vittima eterna, si fa presente sul Calvario dell’altare, col suo corpo e col suo sangue sparso, sotto tali segni di morte? Se l’altare è un Golgota, diceva A nostro Beato, esaltiamovi esposto, non tra le tenebre del sole oscurato, ma fra il fulgore trionfale della risurrezione, quasi uscisse risorto dall’ombra del tabernacolo, il divino Vincitore della morte e dell’inferno. Chiniamoci davanti a Lui, adoriamolo, ricorriamo al mite e umile suo Cuore. Da quel nuovo Golgota luminoso, con maggiori lampi di bontà e misericordia trarrà a sé tutte le nazioni e tutte le genti, perchè Egli è venuto affinché gli uomini possedessero la vita e più abbondante la possedessero.

Tale era la missione di Pietro Giuliano Eymard nella Chiesa dí Cristo: sempre di prostrarglisi in adorazione col pensiero, col cuore, con l’opera; sempre di farsi apostolo della presenza di Lui in mezzo a noi e di adunargli intorno al trono eucaristico una coorte di religiosa fedeltà e omaggio. Vi aveva consacrati più che mai gli ultimi due lustri del viver suo fra disinganni e contrasti, fra dolori fatiche; e a cinquantasette anni il campione del Santissimo Sacramento si appressava al premio della corona immortale.

Infaticabile nel promuovere la gloria e il culto della Eucaristia, nell’invitare e raccogliere intorno alla sacra mensa ogni età e condizione di fedeli, nel profondere gli ardori del suo zelo nella predicazione al popolo e nei ritiri religiosi, tornava dagli ultimi suoi viaggi nelle province di Francia e del Belgio con forze fiaccate in Parigi, con l’animo travagliato da interni timori e lotte esterne, ma sotto il cui peso la sua virtù, non che curvarsi o accasciarsi, si risollevava più forte, più che imitabile, ammirabile per eroismo. Ma Parigi non gli restituiva la salute: sola speranza a ridonargli vigore era l’aria montana del paese nativo. Cedette allora alle affettuose insistenze dei suoi religiosi; mosse per Lione; a Grenoble saliva per l’ultima volta l’altare. Che disse mai in quel celeste convito al suo Gesù? che gli chiese? che gli offrì? A sera giungeva a La Mure, nella casa paterna, sfinito, raggiunto poscia da due confratelli. Eccolo là dov’era nato, dove presso il tabernacolo aveva avuto il primo colloquio col Dio nascosto, dove aveva bevuto l’aura della vivace sua giovinezza; ma quell’aura non era più per ristorarlo, bensì per rasciugargli sul viso il sudore del bacio di morte. Il suo umile giaciglio diveniva seggio di pazienza inalterabile e di affetto, di consiglio e di sorriso, di benedizione e di preghiera, di calma e di dolcezza. Presso all’ora suprema il Divino Amante e Amico venne ancora a confortare il suo diletto adoratore e apostolo; entro la nube eucaristica gli si posò nel petto, cibo di una vita che non viene meno e si eterna nel gaudio del celeste amore.

Ammiriamo, veneriamo, o onorandi e devoti sacerdoti e ministri di Dio, questo eroico antesignano degli adoratori di Cristo vivente con noi sui sacri altari. Egli ci mostrò quanto possa in un sacerdote la viva e verace fede e devozione verso il Sacramento più augusto di tutti i nostri religiosi vincoli con Dio; ci mostrò come è dato formare i veri adoratori che adorino il Padre in spirito e verità e siano apostoli della dilatazione del suo regno nel mondo delle anime.

Questa è la voce del Beato Eymard; questo il suo sopravvivente apostolato, quasi dicesse col Salmista: «Congregate ilei sanctos eius qui ordinant testamentum eius super sacrificia» (3). Radunategli intorno tutti i suoi santi, che eseguiscono la sua alleanza per mezzo di sacrifici. Chi sono mai questi santi? Non siamo noi, o sacerdoti, noi consacrati, non ad offrire a Dio svenati agnelli e tori, ma a rinnovare l’incruento sacrificio della Vittima divina, unica ed eterna? Non è il calice del suo sangue l’alleanza del nuovo ed eterno testamento? E questo Congresso sacerdotale non è forse il convegno dei santi che eseguiscono e sanciscono col sacrificio, ineffabile al pari del mistero della fede, l’alleanza di Cristo col nuovo suo popolo eletto? In questa solenne assemblea di sacerdoti adoratori Noi vediamo gli eredi dello spirito di Pietro Giuliano Eymard, anelanti a santificare se stessi per trasfondere la santità nelle anime altrui. Dal cielo egli ci contempla e ci segue per quella via, dove chi è giusto più si giustifica e chi è santo più si santifica. Quest’albero dell’adorazione, che oggi stende i suoi rami e le sue fronde a tante regioni del mondo, non fu forse da lui piantato in germe? I suoi figli lo innaffiarono; Dio gli diede l’incremento. E quale incremento! Mirate, numerate le multiformi opere eucaristiche, le case dell’Istituto del SS.mo Sacramento diffuse per il mondo, sparse per l’Europa e per le Americhe, rammentate i trionfi dei Congressi eucaristici universali, nazionali e diocesani: in essi è la culla dell’Associazione dei sacerdoti adoratori. Perchè è pur vero che anche per la vittoria del regno di Cristo nel mondo il congregarsi nel nome di Lui, com’è un invito al Re del cielo, così vince la divina volontà, la quale vuol esser vinta con quella violenza ch’è sorriso di divino favore. Quanto sono belli i tuoi padiglioni, o Chiesa di Cristo! Quanto amabili i tuoi tabernacoli, o Gesù! Sono come valli boscose, come giardini bagnati da ruscelli, come cedri in riva alle acque! (4). Sono il rifugio sicuro del sacerdote, il ricovero delle anime estatiche nell’amore e nel dolore, la rocca donde escono i campioni della verità e della virtù a combattere le battaglie di Dio in questa valle di lacrime e di miserie contro i figli delle tenebre, contro gli erranti e gli empi, contro gli ignari e i nemici di Cristo e della sua Chiesa. Oh lasciate che Noi scorriamo questi campi di sacre lotte e vittorie, che raccogliamo da ogni regione di qua e di là dagli oceani i gloriosi labari e allori dei Congressi eucaristici, delle devote assemblee e adunate sacerdotali, delle schiere degli adoratori e delle adoratrici, delle legioni dei fanciulli così cari al Dio d’amore, e insieme con le corone e i serti della vostra pietà e del vostro zelo, o diletti sacerdoti adoratori, tutti li deponiamo dinanzi alla fulgida immagine del Beato Eymard, in riconoscimento e ringraziamento di quell’ardore e ardimento di missione eucaristica, onde, fattosi apostolo di quel Cristo che sempre è con noi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli, ci lasciava altissimo esempio e sprone come dal sacro tabernacolo possiamo attingere assiduo e forte vigore di preghiera, d’azione e di sacrificio, che ci renda, a pro del popolo e dell’anime traviate o noncuranti del Redentore, divina luce del mondo e sale della terra, e come servi buoni e fedeli alfine ci innalzi avanti a Dio nel gaudio della visione eterna del dischiuso mistero della fede che passa ogni velo.

Con questo augurio e con questo auspicio impartiamo con effusione di cuore a tutti e ognuno di voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, come pegno delle più abbondanti grazie celesti per le vostre opere di zelo a gloria del Re eucaristico, l’Apostolica Benedizione.

NOTE

(1) Apoc., I, S, 17-18.
(2) I Cor., XI, 26.
(3) Ps., XLIX, 6.
(4) Num., XXIV, 5