Lo spirito e la vita di fede

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO QUARTO. LO SPIRITO E LA VITA DI FEDE

 

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     È bello lo studio che ha per oggetto la Visione beatifica, non solo perché la Visione beatifica è il termine della nostra speranza, ma pure perché ci presenta, fin da questo esilio, lo spettacolo più delizioso che l'occhio umano possa contemplare. La Visione beatifica è la vista chiara, immediata di Dio nella sua vita nell'Eternità; la vista perfettissima di tutto quanto Egli è in se stesso e di tutto quanto opera entro se medesimo, vista che è partecipazione della conoscenza che Dio ha di sé, e quindi, partecipazione di quell'atto ineffabile con cui il Padre eternamente genera il Figlio; in quella guisa che la carità verso Dio, che nasce necessariamente da tale visione, carità immensa, per quanto è possibile in una creatura, è partecipazione dell'atto eterno con cui il Padre e il Figlio sono principio dello Spirito Santo per via di spirazione.    
     La visione di Dio nei beati è ineguale, secondo l'ineguaglianza dei meriti; essa è pure limitata, a motivo dell'infinità del suo oggetto che è l'Essenza divina, la quale non può essere compresa da qualsiasi creatura per quanto elevata. Ma è visione totale e plenaria, poiché la luce nella quale essa si compie, è Dio medesimo: Dio Padre ne è la fonte, Dio Figlio è la Luce stessa che ci vien data, – Lucerna est Agnus – (Ap 21, 23), lo Spirito Santo la infonde Egli stesso nell'anima dell'Eletto (425); dimodochè, in virtù di tale unione dello Spirito Santo con l'Eletto, questo viene elevato a un grado tale di eccellenza da renderlo atto a percepire l'oggetto della beatifica Visione, che è Dio, e da compiere l'atto incessante di questa visione che gli dà il godimento continuo ed eterno di Dio (426).
     Tale è la natura della Visione beatifica; ma è d'uopo aggiungere ciò che ne è una conseguenza, cioè, che i Santi non solamente vedono Dio, ma in Dio vedono pure le creature, se non nella luce medesima della gloria – ciò che non sembra necessario, – almeno nella luce divina, la quale è ancora Dio stesso; questa luce è il Verbo, perché nel Verbo tutto si contiene (427); è anche lo Spirito Santo, perché non andiamo al Verbo che per mezzo della grazia dello Spirito Santo (428). I Beati veggono tutte le creature, tutte quelle che sono nel cielo, tutte quelle che sono sulla terra, le anime umane, il mondo esterno, i minimi oggetti, tutto quanto è bene e tutto quanto è male; sono persino testimoni di quanto avviene negli abissi dell'eterna perdizione; vedono e conoscono tutte le cose, non in se medesime, ma in Dio e in quella luce divina che è Dio stesso (429); e questa visione è senza pena né turbamento; anzi è gioia e amore, perché, dappertutto e in ogni cosa, essi vedono l'azione santissima di Dio, la manifestazione dei suoi diritti e della sua gloria. Inoltre, benché nulla possa essere veramente aggiunto alla loro Beatitudine, ciò che delle cose create essi contemplano e conoscono in Dio e nella sua luce, dà luogo ad un accrescimento di quella felicità accidentale, di cui, secondo la teologia, viene, per soprappiù, dotata la loro felicità essenziale che è la visione dell'Essenza divina.

    Ecco qual è lo stato dei Santi nel cielo. Ma, non abbiamo scritto questo preambolo, se non per arrivare alla seguente proposizione: Noi, nell'esilio di questa vita, possediamo un vero e reale principio di quello stato divino; noi pure vediamo Dio e ogni cosa nella luce di Dio. E questa luce che soprannaturalmente ci rischiara, è la medesima luce celeste. «I Santi vedono Dio in quel modo stesso che Dio vede se medesimo» (430). Noi pure vediamo Dio in quel modo stesso che Dio vede se stesso; i Santi vedono Dio in una luce che è Dio medesimo, e noi pure vediamo Dio e le cose di Dio in una luce che è Dio stesso; perché «la grazia e la gloria appartengono al medesimo ordine e al medesimo genere; la grazia non è altro che l'inizio, in noi, della gloria» (431).

    Orbene, lo spirito di Fede è l'abitudine di distinguere e di vedere ogni cosa creata nella luce di Dio, abitudine ,che ha il suo fondamento nella grazia del Battesimo, poi viene perfezionata con la ripetizione degli atti.
    Ma perché in un tale argomento tutto sia perfettamente intelligibile, dobbiamo spiegare con precisione quale sia questa luce, per noi creature poste nell'esilio.
    V'ha nel mondo una triplice luce: in primo luogo, la luce che colpisce i nostri occhi materiali, che rischiara i corpi e nella quale vediamo questi corpi; in secondo luogo la luce intellettuale che ha per fine di rischiarare le cose intellettuali, le verità dell'ordine filosofico, le qualità e la natura intima degli esseri, luce che è il principio della scienza umana. Queste due luci sono naturali, ciò vuol dire che appartengono a quell'ordine inferiore, secondo il quale siamo semplicemente creature di Dio.

     La terza luce è soprannaturale; essa ha la sua fonte nella Rivelazione fatta da Dio; essa rischiara pure ogni cosa ed è diffusa dappertutto. Più volte ne parlano i Libri Sacri. Nostro Signore vi accennava quando diceva: «Io sono la luce del mondo». Ma, in quella guisa che per la percezione della luce fisica, ci occorre un senso destinato a tale scopo, il senso della vista; in quella guisa ancora che per la percezione delle verità dell'ordine intellettuale, ci occorre quella facoltà che è 1'intelligenza: così pure, perché possiamo percepire la luce soprannaturale, ci occorre un senso nuovo, una facoltà nuova aggiunta alle nostre facoltà e ai nostri sensi naturali: facoltà e sensi talmente nuovi, che senza di essi siamo nell'impossibilità di conoscere l'ordine soprannaturale e la luce che ce lo discopre (I Cor 2, 14-16); qualunque sia la perfezione naturale dei nostri sensi esteriori e della nostra ragione, radicalmente non v'è neppure nel genio più sublime, nessun'attitudine a raggiungere ciò che appartiene all'ordine soprannaturale e a godere di tale luce divina.

    La ragione e il genio vedono le cose in se stesse; l'uomo di fede, o meglio, come lo chiama san Paolo, «l'uomo spirituale» vede le cose nella luce di Dio. Da questo si vede quale immensa differenza vi sia tra la visione dell'uomo di genio e la conoscenza dell'uomo di fede. Eccone la prova con un esempio: questi due uomini entrano in una chiesa, mentre vi si amministra il battesimo ad un bambino. Il primo, l'uomo della ragione, il filosofo, potrà dir molte cose interessanti, utili, elevate anche, intorno alla dignità di quel piccolo essere; potrà descrivere l'ammirabile composizione del suo corpo, e la natura più ammirabile ancora dell'anima sua. S'indovina quanto potrà intuire, perché davvero è grande e sublime ciò che l'occhio dell'intelligenza vede e contempla. Ma lo sguardo della nostra intelligenza ha i suoi limiti, e sopra moltissimi punti, invece della luce, abbiamo profonda oscurità e tenebre impenetrabili.

    L'uomo della Fede, l'uomo che possiede il senso nuovo, il «senso di Cristo», gode, in quella vece, d'una visione meravigliosa. «Ciò che l'occhio non ha mai visto, dice san Paolo dopo Isaia, ciò che non è entrato mai nel cuore dell'uomo, Dio ce lo ha rivelato per mezzo del suo Spirito; e lo Spirito penetra in tutte le cose, anche, nelle profondità di Dio» (I Cor 2, 9-10). Tali profondità, impenetrabili alla ragione umana, sono appunto quelle che l'uomo di fede scopre, nella luce dello Spirito Santo. Perché la luce della Fede non è altro che lo Spirito Santo medesimo diffuso nei nostri cuori. Quali bellezze sublimi sono perciò l'oggetto dell'ammirazione nell'uomo di Fede! La prodigiosa riabilitazione di quell'anima, la quale, mercé il santo Battesimo, diventa bella di tutta la bellezza del cielo, vero Figlio di Dio, Membro di GESÙ CRISTO, Tempio dello Spirito Santo, tutta ricca di grazie così magnifiche, che se gli sopravvenisse la morte, quel bambino, con pieno diritto sarebbe ammesso nella Visione beatifica; perché è veramente «erede, e coerede di GESÙ CRISTO» (Rm 8, 17). Tutto quanto può immaginarsi di gloria, di ricchezze, di magnificenze nell'ordine temporale, è essenzialmente al disotto della gloria, della dignità, della regale e divina condizione del Bambino battezzato; e non solamente al disotto, ma di un ordine talmente inferiore che non è possibile nessun confronto. Sarebbe più facile il confronto tra lo splendore più brillante del sole e le tenebre più profonde.

     Tale è dunque il godimento dell'uomo di fede, e tale è l'elevazione della, sua intelligenza. Dove il genio non iscopre nulla, egli vede meravigliose chiarezze. – A dir il vero, egli non solamente è nella luce, ma è «luce egli medesimo», secondo la bella espressione di san Paolo (Ef 5, 8), e luce il cui fulgore crescerà sempre, «sino agli splendori delle chiarezze eterne» (Prv 4, 18), in virtù dell' esercizio medesimo che farà della propria facoltà di veder ogni cosa in Dio; e della cura che si prenderà di confermare la sua vita alle verità che sempre più scoprirà e conoscerà.
     Orbene lo spirito di Fede consiste in quell'esercizio abituale della nostra intelligenza di veder ogni cosa nella luce di Dio, e della nostra volontà di conformare, con l'aiuto della grazia, i propri atti alla verità conosciuta.

    Vi sono davvero qui una disposizione e un complesso di azioni che si addicono al Sacerdote. Non è forse il Sacerdote, l'uomo spirituale per eccellenza e nella sua perfezione, sul quale «la luce del volto di Dio ha segnata la sua impronta» (Ps 4, 7); il quale, secondo la parola di san Paolo, più di ogni altro fedele ha «gli occhi illuminati del cuore?» (Ef 1, 17-18). Non ha forse, il Sacerdote, «ricevuto nel suo cuore quella illuminazione che dà la scienza chiara di Dio, con l'irradiamento che viene dalla faccia di GESÙ CRISTO?» (2 Cor 4, 6). Certo; così il Sacerdote, senza presunzione, può innalzar verso le cose divine quegli sguardi più sicuri e più fermi e quella vista più estesa, di cui parla sant'Agostino (432). Ogni fedele è «luce in GESÙ CRISTO», è vero; ma il Salvatore medesimo disse dei suoi Sacerdoti, che essi sono non solamente luce entro se stessi ma ancora «luce per il mondo» (Mt 5, 14), e ciò indica una grande perfezione, una specie di sovrabbondante pienezza dello spirito di Fede.

    Il Sacerdote, adunque, è soprattutto l'uomo che considera ogni cosa nella luce della Fede, nella luce di Dio; ogni cosa: le anime, la Chiesa, il merito, il male, ecc.
    Le anime! quale visione! L'impronta di Dio, della sua Potenza, della sua Sapienza, della sua Provvidenza, del suo Amore, della sua Pazienza, della sua Misericordia, della sua Bellezza, della sua Vita, del suo Essere, della sua adorabile Trinità, travasi segnata sopra ciascuna delle anime; così pure l'immagine, o almeno qualche tratto dei lineamenti di GESÙ CRISTO, l'impronta del passaggio o del regno dello Spirito Santo. Qual posto importante, nel disegno di Dio, occupa ciascuna di quelle anime! o piuttosto ognuna di esse, in una certa misura, è tutto il disegno dipinto: poiché un mondo di cose e di mezzi di ogni sorta concorrono alla sua creazione alla sua conservazione, alla sua santificazione, alla sua eterna salvezza. Il disegno di Dio sopra di essa è la Visione beatifica con l'Amore e il Possesso deifico; e perché questo disegno si realizzi, tutto vi concorre: Dio; il suo CRISTO con le sue opere, i suoi meriti, la sua Passione, la sua morte; la Chiesa; gli Angeli; i Giusti; «tutto» insomma come dice san Paolo (1 Cor 3, 22). Tutto è grazia, tutto è soccorso, tutto è aiuto attivo e potente, perché ogni anima umana, un giorno, sia tutta in Dio e Dio sia tutto in essa (1 Cor 15, 28). E l'anima di una vergine consacrata, di un Levita, del Sacerdote! Che dire di tali Misteri di Dio!… Ahimè! vi sono altri spettacoli, ma dolorosi: l'anima del peccatore scandaloso, l'anima impenitente che sta per morire!… Là vi è il peccato. – Il peccato!.. quale impressione per un'anima sacerdotale!

     Che se innalzando i nostri sguardi oltre ciò che appare ai nostri occhi materiali noi contempliamo tutta la società dei fedeli che compongono la Chiesa; la Santa Chiesa sempre tribolata e insieme così umile, valorosa, santa e gloriosa, povera di beni temporali ma ricca di beni celesti; questa Chiesa così bella con la sua gerarchia, i suoi Sacramenti e tutte le sue opere, così dolce e modesta eppure forte e indomabile; quale spettacolo incantevole! E nei Santi Sacramenti, qual mondo di meravigliose bellezze!

    Felice il Sacerdote nella contemplazione di tali magnificenze! Egli le vede, perché presiede a queste grandi opere; ne è il Maestro, il Dispensatore, l'autore, se si può dir così, in moltissimi casi. E quante altre cose sante egli opera, tocca, o possiede: gli Oli santi e tutti i Sacramentali, tutte le cose benedette! Questi oggetti, in se stessi e in virtù della benedizione della Chiesa, sono veramente santi; hanno uno speciale carattere soprannaturale, più profondamente impresso che in qualsiasi oggetto da Dio creato. In virtù delle preghiere della Chiesa sono degni di una venerazione particolare. Il Sacerdote vi scorge lo splendore di quel prezioso carattere che li innalza ben al disopra di tutte le cose della terra, e ne ritrae dolci godimenti, visioni santificanti. È noto come santa Teresa, che si potrebbe chiamare un'anima sacerdotale, provava una grande impressione alla vista dell'acqua santa.

    La parola di Dio, nei Libri Santi, nei libri liturgici, nelle opere dei Padri, nei testi di teologia, ovvero nella predicazione, appare pure al Sacerdote come tutta inondata di radiosi splendori. Il dotto, il letterato, il poeta vedono nella Bibbia un bel libro; ma il Prete al quale è stato detto: «Haec meditare: in his esto (I Tm 4, 15), comede volumen istud (433), considera la Bibbia come la sostanza del suo Sacerdozio, giusta una parola di san Dionigi (434): quel libro santo, per la sua anima è luce, forza, consolazione e vita. Tutti questi beni, egli li sente in ogni pagina, ma soprattutto nel Nuovo Testamento (435).

     La parola di Dio trovasi pure nel Messale, nei Breviario nelle opere dei Padri e dei Dottori, negli scritti dei Santi. Il buon Sacerdote professa per tutti questi libri una venerazione singolare. Cosa possono mai essere per lui i capolavori del genio umano, in confronto con la luce vivificante che egli trova nelle pagine di quei libri composti dalla Chiesa o dagli uomini di Dio? Tutti gli splendori del cielo sembrano aprire quelle pagine deliziose e care.

     La predicazione da san Paolo chiamata «un sacrificio» (436), e da sant'Agostino un «gran sacramento» (437), deve, in modo speciale, esercitare lo spirito di fede del Sacerdote. L'abitudine, questa nemica fatale di ciò che è invisibile e soprannaturale, può diventare in proposito un grande ostacolo. Consultiamo la nostra propria esperienza. Quando abbiamo composto o preparato la nostra predica, la consideriamo davvero come «la vera parola di Dio?» (1 Ts 2, 13). Sta scritto: Si quid loquitur, quasi sermones Dei (1 Pt 4, 11). Abbiamo noi il proposito di predicare con questo sentimento, facendo astrazione da qualsiasi considerazione umana? Sarà così, se considereremo nella luce della Fede il ministero della parola. Thomassin dice: «Mosaicis etiam temporibus legibusque jubebantur qui sacra facturi erant, et puras Deo Hostias oblaturi… seipsos, priusquam oblationes quasvis alias, immolare. Atqui Theologicae meditationes, praedicationes, sacrifica sunt, hostiae sunt» (438). Belle parole, ispirate dallo spirito di Fede! Essendo noi stessi Ostie in virtù e per la grazia del nostro Sacerdozio, la parola di Dio, quando la annunciamo al popolo, come quando vi ci prepariamo, sia pure un'Ostia di lode a Dio, un omaggio alla sua gloria, ai suoi interessi, ai suoi diritti, alla sua verità, alla sua carità, alla sua misericordia; sia tutto questo e niente altro, né più né meno. Se così faremo, la nostra predicazione gioverà alle anime e a noi stessi.

     Con lo stesso spirito di Fede, dobbiamo noi pure ascoltare la parola di Dio, non considerando in questa se non ciò che è di Dio; guardiamoci quindi dal perdere quelle grazie di luce, di consolazione, di forza e di vita, che ne ritraggono molte anime semplici e rette, quando pure la forma di cui la santa verità viene rivestita non sembri tale da farle onore. Lo spirito di Fede ci darà parte al dono di Dio.

     Ma, intorno alla Chiesa e frammischiato ai suoi figli, vi è pure quel nemico per il quale «GESÙ non ha punto pregato, il mondo» (Gv 17, 9). Il mondo! vale a dire, quel complesso astuto, potente, pieno di malizia, le cui leggi, massime e pretese vengono dal demonio, quell'impero di cui sovrano è il demonio. È questo quel mondo che GESÙ, pur così mite, ha detestato e maledetto, perché «tutt'intero fondato sul male» (1 Gv 5, 19).
     Orbene, la luce della Fede rischiara pure questa singolare e ripugnante mostruosità; la Fede, sotto le apparenze ipocrite del mondo, scopre e mette in evidenza la brutta realtà; e questa è la deformità, il male.

     Le opere naturali dello spirito del mondo sono l'infedeltà, l'eresia, lo scisma, e tutti gli errori; sono la superbia, l'avarizia, la lussuria, gli altri peccati. Nulla potrebbe esprimere la nausea e il dolore che tale spettacolo cagiona al Sacerdote animato dallo spirito di Dio. Un santo Sacerdote dell'antica Legge Geremia, ha detto, parlando di se stesso: Loquor, vociferans iniquitatem… et factus est in corde meo quasi ignis exaestuans, claususque in ossibus meis; et defeci: ferre non sustinens (Ger 20, 8-9); e san Paolo in Atene: Incitabatur spiritus eius in ipso, videns idolatriae deditam civitatem (At 17, 16). Incitabatur, dice sant'Agostino, id est, irritabatur Spiritu Sancto intra se (439).

     Ma il mondo, sotto un altro aspetto, è una moltitudine di anime sopra le quali venne sparso il sangue di GESÙ CRISTO; e quindi, insieme con l'inesprimibile orrore per la maliziosa perversità dello spirito del mondo, nel cuore del Sacerdote nasce pure, sorge, abbonda e sovrabbonda, una immensa compassione, dalla quale derivano tutte le opere di Fede, come dalla luce vengono il calore e la vita.
     Tutti i peccatori e figli del mondo, furono destinati alla Visione beatifica. Sgraziatamente non portano, nelle loro anime, nessuna traccia della Redenzione di GESÙ CRISTO, ma ve ne sono moltissimi che nella loro condizione esteriore portano un segno dal quale si riconosce che appartengono al divino Redentore in un modo meraviglioso. Sono tutti quelli che soffrono, tutti quelli che stanno giù all'ultimo posto, «i più piccoli». Ce lo ha rivelato il nostro Dio medesimo (Mt 25, 35-40). Tenero Ministero dell'amore del dolcissimo Salvatore! «Quanto avrete fatto al più piccolo tra i miei, a me lo avrete fatto». A me! «Sono cattivi, pieni di odio forse contro Dio e contro la Chiesa; ma sono miserabili e ridotti ad esser gli ultimi; basta: sono miei! e ciò che voi avrete fatto per loro, lo avrete fatto per me».
     Grande e magnifica luce quella che viene da simili parole di GESÙ! È la luce della Fede, luce che brilla sempre agli occhi del vero Sacerdote di GESÙ CRISTO (440).

     Da ultimo, anche il mondo materiale viene illuminato dalla grande luce della Fede. La gloria di Dio è là; l'impronta della sua azione, della sua Provvidenza, della sua Sapienza, del suo Amore è stampata sul filo d'erba e sopra l'insetto. Il sangue del Figlio di Dio ha inondato tutto il creato (441). La Fede sempre ci rivela tali meravigliose bellezze in tutte le cose (442).
     Quanto è dolce per il sacerdote trovare, nella recita del santo Breviario, parole come queste: Coeli enarrrant gloriam Dei, ecc… Confiteantur tibi, Domine, omnia opera tua, ecc. e tante altre. Sono l'espressione del cantico giocondo della sua Fede e del suo amore (443).
     Lo spirito di Fede è principalmente nell'intelligenza; la vita di Fede, che è la vita del giusto (444), ha sua sede nella volontà. Per vivere questa vita santa, basta «camminare alla luce che ci viene dal volto di Dio» (Ps 66, 2; 88, 166 ecc.), mettendo in pratica nelle nostre opere, ad ogni istante, la o volontà divina che ci viene indicata da queI dolce e sereno chiarore, che è l'aurora dell'eterno dì. Questo, secondo la parola del buon Maestro, si chiama «fare la verità» (Gv 3, 21).

NOTE

(425) Deus sic inest (in anima beata) ut afficiat, ut infundat, vel potius ut infundatur et partecipetur, ita ut unum perinde cum nostro spiritum esse dicere quis non timuerit, etsi non unam personam unamve substantiam. – a S. BERNARD., De Consider., lib. V, cap. V.

(426) Proposizione condannata nel Concilio di Vienna (1311-1312): «Quaelibet intellectualis natura in seipsa naturaliter est beata; et anima non indiget lumine gloriae, ipsam elevante ad Deum videndum, et eo beate fruendum».

(427) Angeli sancti procul dubio universam creaturam, in ipso Verbo Dei prius noverunt, in quo sunt omnium, etiam quae temporaliter facta sunt, aeternae rationes tanquam in eo per quem facta sunt omnia. – S. AUG., De Genesi ad litteram, lib. IV; cap. XXIV.

(428) Psal., IV, 7. – Vultum Dei Patris Filium appellat David, id est Patris characterem; lumen vero illius gratiam Spiritus quae ad omnes penetrat creaturas. – S. CYRILL. ALEX., In Joann., III, 5.

(429) Lux vero ipsa, qua illuminabuntur haec omnia, quae modo in cordibus reconduntur, qualis aut quanta sit, quis lingua proferat?… Profecto lux illa Deus ipse est. – S. AUG., Epist. CXII ad Ital. – Qui creatoris sui claritatem vident, nihil in creatura agitur quod videre non possint. ­ S. GREG. MAGNUS.

(430) S. TH., I, q. XII, a. 5.

(431) S, TH., II, n, q. XXIV, a. 3.

(432) Omnino habet oculos fides, et majores oculos, et potentiores, et firmiores. – S. AUG., In Psalm., CXLV.

(433) EZECH., III, I; X, 9, 10.     

(434) Substantia Hierarchiae nostrae. – De Eccles. Hier., cap. 1.

(435) Quid autem Scripturam Sanctam nisi Verbum Dei esse credimus? Piane multa sunt verba digesta calamo Prophetarum, sed unum est Verbum Dei universitas Scripturarum: Verbum, inquam, unum, quo velut semen de legitimo viro suo Deo, fideles animae conceperunt, et ore facundo parientes, signis quibusdam, id est, litteris, ut nobis cognoscendum trasmitterent, tradiderunt. Cum Scripturam Sanctam legimus, Verbum Dei tractamus, Filium Dei, per speculum in aenigmate prae oculis habemus… Procedit deinde nobis amor ex intelligentia Scripturae, ut amemus Patrem Filii et diligamus Filium Patris. Nonne ergo jam nobis etiam hoc modo Spiritus Sanctus ex Patre Filioque processit? – RUPERT, Spir. Sancto. – Cum suscipitis Corpus Domini, cum ormi cautela et veneratione servatis ne ex eo parum quid decidat… Quomodo putatis minoris esse piaculi Verbum Dei neglexisse quam Corpus ejus? – ORIGEN., In Exodum., Homil. XIII.

(436) Rom., XV, 16. – Praedicationem sacrificium vocat; sinceram autem fidem, acceptam oblationem. -Theodor.

(437) Magnum sacramentum, fratres; sonus verborum aures percutit, Magister intus est. – S. AUG., In Epist. Joann., Tract. III.

(438) De Prolegom. Theol., cap. IV, n. 7.

(439) Contra Crescon., lib. I, cap. XII.

(440) Belle riflessioni di s. Vincenzo de' Paoli: Vedendo un povero contadino o una povera donna, non dobbiamo considerare il loro esterno…, chè spesso non hanno quasi neppure la figura e lo spirito di persone ragionevoli, tanto sono grossolani e terreni. Ma voltate la medaglia, e, con la luce della fede, vedrete che il Figlio di Dio, il quale ha voluto farsi povero, è rappresentato da questi poveri; vedrete che, nella sua Passione, Egli non aveva quasi più neppure la figura di un uomo, e che per i Gentili era un pazzo, mentre per i Giudei era una pietra di scandalo… O Dio! sono pur belli i poveri, se li consideriamo in Dio e nella stima che ne ha avuto Gesù Cristo! – MEYNARD; chap. I.

(441) Terra, pontus, astra, quo lavantur flumine. – Hym. Temp. Pasch.

(442) Cfr.: Combatt. Spirit., cap. XXI e XXII.

(443) Ps., XVIII, I. – Ps., CXLIV, 10, 11, 12 et seq.

(444) Habac., II, 4. – Rom., I, 17, etc