Il sacerdote e il diaconato

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a lato: Beato Mosé Tovini (1877-1930), sacerdote diocesano

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI DICEMBRE

IL SACERDOTE E IL DIACONATO

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Considerate ergo, Fratres, viros vobis boni testimonii septem, plenos Spiritu Sancto et sapientia.

(Act. 6, 3). Ecco le parole che iniziano la prima ordinazione dei Diaconi, narrata dagli Atti degli Apostoli. Esse rivelano la importanza del passo che stava per compiere la Chiesa nascente; richiamano l’attenzione sul valore del nuovo Ordine che si voleva istituire, per il fatto che ammettevano soltanto uomini meravigliosamente favoriti di buona testimonianza, di pienezza di Spirito Santo, di abbondante Sapienza. Solo un dono regale può giustificare simili esigenze e il Diaconato è davvero tale: Diaconus quasi propinquus ordini sacerdotali aliquid participat de ejus officio 65). Quest’affermazione di S. Tommaso ci mostra nel Diacono qualche cosa del sacerdote, ci si avvicina alla vetta luminosa. Non ancora il sacerdozio, ma una parte notevole del suo ministero viene conferita agli eletti.

Quasi eco di quel preludio antico, la cerimonia del nostro Diaconato incominciò con un rito fino allora inusitato per noi, e che dovette incuterci sacro timore, se l’animo nostro era compreso, come avrebbe dovuto esserlo, del sentimento del nostro nulla, della cognizione della nostra miseria. Ricordiamo!

L’Arcidiacono, nel presentarci al Pontefice consacrante lo pregò di ordinarci.

Gli fu risposto: — Scis illos dignos esse?

Egli riprese: — Quantum humana fragilitas nosse sinit, et scio, et testificor, ipsos dignos esse ad hujus onus offici.

E non paventammo, benché il Vescovo, continuando l’inchiesta, lanciasse agli astanti l’intimazione: Si quis habet aliquid contra illos… exeat et dicat.

Nessuno si mosse, neppure la nostra coscienza, dominata com’era dalla fede nell’Amore che ci aveva chiamati: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos! (Ioan. 15. 16). Ma allora dovette avvivarsi in noi il bisogno di essere grandi, di nobili sensi, per ricevere degnamente la grazia preziosissima che stava per esserci conferita; si dovette raffermare in noi la volontà d’adottare un metodo di vita che favorisse tutta la possibile fecondità.

Siccome non v’è dubbio riguardo alla natura sacramentale del Diaconato 66) perché fu l’inizio del Sacramento dell’Ordine sacro, così è certo che esso ha infuso nelle nostre anime una grazia abbondante, concessa per tutta la vita in una volta sola, con possibilità d’essere accresciuta in seguito con gli atti che ne dovevano promanare; una grazia permanente, che ci comunicava il diritto assoluto a grazie attuali, le quali dovevano aiutarci a compiere con frutto le funzioni proprie del Diacono.

Facciamo rivivere tanta grazia riconoscendone ancor meglio l’alto valore alla luce della fede. Meditiamo quindi la dignità e gli uffici del Diacono.

1. – DIGNITÀ

Nell’istruzione e nel prefazio con cui incomincia il rito solenne del conferimento del Diaconato, quest’Ordine è assimilato al Levitico e additato come un privilegio singolare; Adeo ut grandi quodam privilegio haereditatis, et tribus Domini esse mereretur et dici. I Leviti erano separati dal popolo di Dio, resi superiori ai loro fratelli con prerogative immense.

I misteriosi disegni della Provvidenza distinguono in tal modo quanti essa destina a una più larga partecipazione all’opera della santificazione delle anime, ai benefici che irradiano dai due grandi misteri dell’Incarnazione e della Redenzione, ossia all’opera di Cristo.

Bisognava anzitutto venisse il Cristo adorabile, Verbum caro factum est et habitavit in nobis, (Ioan. 1, 14,) e poi si perpetuasse nel tempo e nello spazio fino alla fine dei secoli. Nell’uno e nell’altro mistero il concorso della SS. Vergine fu intimo e profondo. Ella compì la sua mirabile funzione di Mater Christi a Bethlehem, e nel Cenacolo il giorno della Pentecoste, assistendo agli inizi della Chiesa docente, benedicendo lo zelo degli Apostoli, acceso dal soffio rinnovatore dello Spirito Santo. Essa cominciò la sua missione di Madre delle anime: Ecce Mater tua (Ioan. 19, 26).

A questi due ministeri che le conferivano una dignità eccelsa, Ella fu preparata da tutta l’eternità; ma in modo manifesto e più immediato nel tempo con il suo ritiro di preghiera e di meditazione nel Tempio, e con il mistero complesso che in lei si compì il giorno dell’Annunciazione.

Il decreto della sua Concezione Immacolata costituì la preparazione eterna; la preparazione nel Tempio si ebbe con lo studio delle sacre Lettere in cui Ella apprese anticipatamente la storia di Colui che doveva poi essere suo Figlio! Con S. Paolo, ma con più ragione, avrebbe potuto esclamare: Non enim indicavi me scire aliquid inter vos, nisi Jesum Christum (1 Cor. 2, 2). Ma in che consistette la preparazione nel giorno dell’Annunciazione? L’Angelo ce lo rivela come qualche cosa di meraviglioso: Et respondens angelus dixit ei: Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbrabit Ubi. Ideoque et quod nascetur ex te sanctum vocabitur Filius Dei (Luc. 1, 35-36).

Maria per poter divenire Madre del Figlio di Dio, Gesù, e dei figli di Dio, i cristiani, ricevette nuova effusione dello Spirito Santo, benché già lo possedesse in tutta pienezza nell’anima sua idealmente pura. Il celeste Messaggero infatti non le dice: veniet, ma superveniet insinuando così un accrescimento di grazia incommensurabile.

Quindi fu investita di una forza sovrumana, della virtù stessa dell’Altissimo. Non doveva Ella concorrere ad un’opera infinitamente superiore alla creazione del mondo? Essere collaboratrice di Dio per la generazione del Verbo nella natura umana, è, senza confronto, dignità più grande che non esserlo, come Adamo, per la generazione dell’umanità intera.

Oh, inaccessibile sublimità di misteri che ci presentano Maria in un nembo di luce, più alta che le creature dotate di ragione e delle stesse creature angeliche: Regina angelorum!

Generationem ejus quis enarrabit?… (Isai. 53, 8). Ma queste linee rapidamente abbozzate descrivono la storia della Vergine Santa o la nostra?

Oh, sì, come Lei avemmo la nostra preparazione eterna nel decreto misericordioso che ci contrassegnò del luminoso segno della vocazione: In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te… (Jerem. 31, 3). Electus ex minibus! (Cant. 5, 10).

Come Lei avemmo la preparazione al Tempio nella nostra vita raccolta fra le mura del Seminario, dove imparammo a conoscere meglio Gesù iniziandoci alle scienze sacre.

Come Lei infine ci deliziammo di quel Natale che fu il giorno del nostro sacerdozio; ma prima, come Lei ancora, esultammo della nostra Annunciazione nel giorno del Diaconato.

Nel giorno del mistico nostro Natale ricevemmo il potere di generare il Figlio dì Dio e i figli di Dio. Dopo d’allora, ogni mattino, proni all’altare su cui lo facciamo discendere con le parole della consacrazione, alle quali Egli obbedisce irresistibilmente, non possiamo ripetere a Gesù: Filius meus es tu, ego hodie genui te? (Ps. 2, 7). Ogni giorno, prodigandoci generosi in un apostolato fatto più intenso per nostro volere: Ego autem libentissime impendan: et superimpendar ipse pro animabus vestris (2 Cor. 12, 5), non moltiplichiamo forse il numero di coloro cui possiamo dire con intima gioia e un’immensa gratitudine verso Dio: Per Evangelium ego vos genui? (1 Cor 4, 5).

No, non v’è opera che uguagli la nostra; essa è superiore allo stesso Fiat lux che produsse soltanto cose temporali, mentre noi produciamo cose eterne… et fructus vester maneat! (Ioan. 15, 16).

Prima d’essere investiti del potere di consacrare e di santificare, come Maria ricevemmo una sovrabbondanza dello Spirito Santo e della forza che ne è la manifestazione: Accipe Spiritum Sanctum ad robur, ci fu detto dal Vescovo consacrante nel momento in cui imprimeva in noi il carattere sacro del Diaconato. E continuava: Emitte in eos, quaesumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus minuterii tui fideliter exsequendi, septiformis gratiae tuae munere roborentur. Abundet in eis totius forma virtutis. E’ commovente e stupenda l’armonia coll’annunzio angelico: Spiritus sanctus superveniet… Virtus Altissimi obumbrabit… (Luc. 1, 35). L’Annunciazione prepara il Natale, il Diaconato prepara il Presbiterato: le due aurore preparano meriggi di meravigliosa luminosità.

Oh, la grandezza nostra! Quando lasciammo il Tempio, rivestiti delle nostre bianche dalmatiche, gli angeli potevano leggere sulla nostra fronte: Amictus lumine sicut vestimento (Ps. 103, 2); con un accento suggestivo dovette ripercuotersi l’eco della parola del Maestro: Ut filii lucis sitis (Ioan. 12, 36).

Lo siamo stati finora? Lo spirito del Diaconato trasporta in alto: Video coelos apertos et Filium hominis stantem a dextris Dei (Act. 7, 55). Viviamo a simili altezze? Noi apparteniamo all’Ordine dei Leviti, alla porzione eletta delle anime, alla famiglia di Stefano presentato dagli Atti plenum fide et Spiritu Sancto, alla stirpe di quel Lorenzo di cui è scritto: Bonum opus operatus est. Non dimentichiamo che tanta nobiltà ci impone obblighi immensi. Se abbiamo a rimpiangere qualche deviazione dalla via che ci deve far salire sempre più alto, o una diminuzione di luce; per risalire sulle vette e avvivare il focolare di luci inestinguibili, attingiamo vigore nuovo dalla grazia già ricevuta, la quale permane in noi come un capitale inesausto, fino all’eternità.

2. – UFFICI

Diaconum oportet ministrare ad altare, baptizare et praedicare 67).
Ecco la parte di ministero sacerdotale che ci fu allora commessa. Benchè limitata in parte nel suo esercizio, ci imponeva nondimeno e subito, virtù eminenti, sulle quali il Vescovo consacrante insisteva. Rileggiamo queste linee così suggestive del Pontificale: Levi quippe interpretatur additus, sive assumptus. Et vos, filii dilectissimi… estote assumpti a carnalibus desideriis, a terrenis concupiscentiis, quae militant adversus animam; estote nitidi, mundi, puri, casti, sicut decet ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei. Leggiamo ancora: Quia comministri et cooperatores estis corporis et sanguinis Domini, estote ab omni illecebra carnis alieni.

Tutto si compendia nella purezza, che nel diacono deve essere illibatissima. Sappiamo poi che questa virtù è progressiva, poichè essa parte bensì dall’esenzione del vizio proibito dal sesto comandamento ed esenzione tale e così delicata, che, in più della castità ordinaria, anche perfetta, esige angelica verginità; ma va ben oltre. La purezza infatti non è soltanto una virtù negativa che esclude il male, ma anche una virtù positiva che produce il bene.

Dio è purezza infinita. Il puro si riveste di Lui progressivamente: Qui sanctus est sanctificetur adhuc (Apoc. 22, 71). Questo deciso progresso verso il bene è richiesto al ministro dell’altare che, secondo l’Apostolo, non solo dev’essere segregatus a peccatoribus, ma inoltre, excelsior coelis factus (Hebr. 7, 26).

Ecco il magnifico stadio su cui noi diaconi abbiamo fatto qualche passo, invitati a non mai retrocedere, bensì a percorrerlo senza mai fermarci.

a) Mundamini qui fertis vasa Domini (Isai, 52, 11); ci era consentito di elevare al cielo il calice dell’oblazione dopo aver mescolato al vino le gocce d’acqua, santificata dalla benedizione del sacerdote.

Questa particolarità ci permette di scorgere un’armonia nuova fra il Diacono e la Vergine Santissima.

Il suo sangue verginale fornì gli elementi necessari alla formazione del Sangue di Gesù; una parte di Lei è diventata Gesù. Perciò quanto fu santa Maria!

Il vino del calice offerto dal Diacono, fornisce gli elementi del Sangue di Gesù chiamato dalle parole della Consacrazione: le gocce d’acqua depostevi simboleggiano l’unione della Chiesa con Cristo, ossia le anime ch’Egli unisce a Sé mediante il suo amore redentore e che integrano il suo essere morale, come parte di Lui stesso: Qui autem adhaeret Domino, unus spiritus est (1 Cor. 6, 17). Ora, il ministro rappresenta il popolo; il Diacono rappresenta quindi coloro che devono divenire una cosa sola con Gesù. Come bisogna essere santi per divenire idonei a tanto ministero!

b) Dopo il ministero dell’imitare, il ministero del Battesimo.

Giovanni il Precursore lo compiva nel deserto, ma nello scorgere Gesù esclama: Quia vidi Spiritum descendentem quasi columbam de coelo, et mansit super eum… hic est qui baptizat in Spiritu Sancto (Ioan. 1, 32). S. Agostino commentando questo passo così si esprime: «Quegli solo battezza sul quale è discesa la colomba e di cui fu detto: E’ colui che battezza nello Spirito Santo. Lui battezza se Pietro battezza; Lui battezza quando Paolo battezza; Lui battezza se Giuda battezza. E tutti coloro che sono battezzati ricevono una grazia che è simile ed eguale in tutto, perché Egli solo battezza» 68).

Anche con questa seconda funzione il Diacono è identificato a Cristo, ed ha un argomento nuovo e profondo dell’obbligo che lo astringe ad essere santo. Altrimenti come obbedirebbe alla raccomandazione di S. Pietro, che enuncia una legge, la quale non ammette eccezioni? Si quis ministrai, tanquam ex tirtute, quam administrat Deus, ut in omnibus honorificetur Deus per Jesum Christum (1 Petr. 4, 11).

c) Infine il ministero della predicazione.

Primo araldo della parola di Dio fu Maria: mundo effudit Jesum! Col suo consenso a divenir Madre del Verbo Incarnato, Ella apporta la «Parola» gradita al Padre, perciò onnipotente sopra di Lui e. deliziosa per le anime, e vincitrice della loro ignoranza, come delle loro viltà: Verbo, mea spiritus et vita sunt (Ioan. 6, 64). La Vergine benedetta non avrebbe potuto essere canale di questa «Parola» se prima non le si fosse sottomessa docile, se non fosse stata santa. Solo quand’ebbe detto: Fiat mihi secundum verbum tuum (Luc. 1, 38), (l’Angelo non era che il tramite del Verbo di Dio), Verbum caro factum est!… (Ioan. 1, 14). Il Diacono, messaggero del Verbo, sull’esempio di Maria deve essere santo. Invero, bisogna ricordare che la predicazione fa vivere Cristo in noi. Ascoltiamo S. Ambrogio: «V’è una sola parola fra quanti insegnano; uno s’esprime con accenti che sembrano tolti al linguaggio degli Angeli; altri predicano la giustizia o la castità, o la prudenza o la pietà o altra virtù. Ma in questa moltitudine di parole risuona una sola parola: il Verbo di Dio, della pienezza del quale tutti riceviamo, il Verbo, nostro Maestro, nostro solo Maestro, alla scuola del quale tutti siamo condiscepoli; e nel quale tutti siamo ricondotti all’unità. Esteriormente un suono di parole colpisce l’orecchio; nell’interno l’unico Maestro è Cristo» 69).

Tosi perché diaconi, eravamo obbligati a una virtù trascendente a motivo delle funzioni che

tuttavia non potevamo esercitare in pieno. Che nella virtù cui siamo obbligati restiamo, ora che i poteri, limitati nel Diacono, liberi nel sacerdote!

In realtà, ah, quale divario fra ciò che dovremmo essere e ciò che siamo!

Nonostante le deficienze dolorose che si possono constatare, ricordiamo che, dal giorno del nostro Diaconato, siamo dello Spirito Santo. Sappiamo per fede ch’Egli è sanctus… et munificans; corroboriamo la nostra fede con la fiducia, e rinnoviamo a Dio la preghiera che il Vescovo gli porgeva per noi nell’atto di consacrarci:

Domine sancte, Pater fidei, spei et gratiae, et profectuum remunerator qui in coelestibus et terrenis angelorum ministeriis ubique disvositis per omnia elementa voluntatis tuae diffundis

effectum, hos quoque famulos tuos spirituali dignare illustrare affectu; ut tuis obsequiis expediti, sanctis altaribus tuis ministri puri accrescant. — II Signore ci ascolti ed esaudisca!

Spiritum sanctum ad robur…

Siamo forti, e progrediamo continuamente in virtù e santità.