Fortezza sacerdotale

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Fortezza
sacerdotale

Meditazione di
Mons. Pasquale Morganti
(1853-1921)
già Vescovo di Bobbio, Vescovo di Cervia , Arcivescovo di Ravenna.

Gesù, quanta
debolezza in noi vostri ministri, ai quali giustamente ripetete i rimproveri, che
rivolgeste in tante occasioni ai fiacchi e pusillanimi vostri Apostoli: "Perché
siete così paurosi? Non avete ancora fede?" (Mc 4,40). Essi purtroppo
diedero frequenti prove di loro pusillanimità e vile paura, anche dopo la
vostra Risurrezione, che pur li doveva rinfrancare; e quando Voi loro compariste
alla sera, li trovaste congregati e sbarrati nel Cenacolo "per timore dei Giudei"
(Gv 20,19).

II. Voi medesimo però, vedendo in loro la necessità assoluta di franchezza
e costanza per sostenere l’arduo ministero, prometteste e mandaste su di loro lo
Spirito Santo che li investì della superna sua energia e li tramutò
in tanti eroi invincibili: "E io manderò su di voi quello che il Padre
mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti
di potenza dall’alto" (Lc 24,49) "ma avrete forza dallo Spirito
Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta
la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8)
O Signore, l’abbiamo ricevuta anche noi questa potenza dall’alto nelle diverse effusioni
dello Spirito Santo, nel Battesimo, nella Cresima, nei vari Ordini Sacri e specialmente
nel Presbiterato; eppure eccoci pusillanimi ancora, fiacchi, paurosi, vili di fronte
alle minime difficoltà. Deh! buon Gesù, scuoteteci coi vostri lumi
e stimolateci a vigorosa fermezza.

III. Trattasi anche qui d’una virtù essenzialmente sacerdotale, essendo il
sacerdote il tutore e vindice della vostra legge, dei diritti della Chiesa e delle
anime.
E se vi ha una mancanza in lui strana e scandalosa, è appunto la debolezza.
Neemia, sollecitato a mettersi in salvo dai suoi aggressori nel Tempio, rispose con
fiera magnanimità: "Un uomo come me può darsi alla fuga? Un uomo
della mia condizione potrebbe entrare nel santuario per salvare la vita? No, io non
entrerò" (Ne 6,12)

IV. È forse minore la maestà, la dignità e la responsabilità
d’un Sacerdote, posto a reggere il popolo e difenderne la fede e la santità?
E non darebbe uno spettacolo ben miserando, se per paura si sottraesse alla lotta
e vilmente fuggisse, come il pastore mercenario, "che non è pastore e
al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge
e il lupo le rapisce e le disperde" (Gv 10,12)?
Anch’egli deve con santa fierezza ripetere: ""Un uomo come me può
darsi alla fuga?" e restare impavido al suo posto di sentinella, di maestro,
di capitano, di difensore e di vindice!

V. Manchiamo invece, o Signore, di tale fortezza prima nei rapporti con Voi, quando,
per gli arcani, ma santi vostri disegni, permettete anche in noi tante prove spirituali,
intime, di dubbiezze, di tenebre, desolazioni, aridità, paure, tentazioni,
anche assidue e violente, amari rimorsi, paurose preoccupazioni, sfiducia, scoraggiamento.
Quante volte per questo "sono prostrato nella polvere" (Sal 119
(118), 25)? Quante volte " m’hai preso a bersaglio e ti sono diventato di peso"
(Giob 7,20)? Quante volte "sono come un otre esposto al fumo" (Sal
119 (118), 25), col cuore gelato, corrugato, raggrinzito e inerte! "La forza
mi abbandona" (Sal 38 (37), 11), "il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere" (Sal 22 (21), 15), "io dicevo
nel mio sgomento: «Sono escluso dalla tua presenza»" (Sal
31 (30), 23)!
Dovrei invece virilmente scuotermi e reggermi animoso al mio posto, pieno di fiducia
in Voi. Ma purtroppo mi abbatto e ripiego su me stesso, non pensando che così
aumento io stesso la mia debolezza: "se ti avvilisci nel giorno della sventura,
ben poca è la tua forza (Prov 24,10). I santi ripetevano invece con
Geremia: "Non essere per me causa di spavento, tu, mio solo rifugio nel giorno
della sventura" (Ger 17,17).

VI. Ma non meno debole mi dimostro nelle varie tribolazioni esteriori: infermità,
povertà, impotenza, incapacità: nelle fatiche, contraddizioni, ostilità,
critiche, mormorazioni, calunnie; nella noncuranza e spesso nelle ingratitudini ed
in mille altre vicende spiacevoli, di cui è intessuta la vita d’ogni uomo
quaggiù.

VII. La fede invece mi insegna in tali circostanze né di meravigliarmi, né
di turbarmi come di cosa strana "come se vi accadesse qualcosa di strano"
(1 Pt 4, 12); ma di opporre alla tribolazione una virile resistenza: "siate
forti, riprendete coraggio" (Sal 31 (30), 25) e d’abbandonarmi poi con
incrollabile fiducia a Voi, versando ogni mia cura nel vostro Cuore: "getta
sul Signore il tuo affanno" (Sal 54 (55), 23).

VIII. In tali momenti di vile paura a patire mi gioverà ripensare al doloroso
episodio di Pietro: "Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi
discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani,
dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso" (Mt 16,21).
Volevate così prepararli ai vostri patimenti ed a quelli preannunziati poco
prima anche per loro.
Ma Pietro ha ben altre disposizioni ed arriva (sia pure per amore alla vostra persona)
a sgridarvi acremente, come se aveste dette cose intollerabili ed inammissibili,
e, scuotendovi bruscamente, protesta che non si effettuerà a nessun costo
quanto Voi asserite: "ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare
dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai"»
(Mt 16,22).
Tale resistenza eccitò in Voi alta indignazione, e fulminaste il cieco Apostolo,
dicendogli: "Lungi da me, satana!" avversario delle mie dottrine! "Tu
mi sei di scandalo" tentando distrarmi dalla volontà di Dio, "perché
non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!" (Mt 16,23).
Sappi anzi che non solo io devo patire, ma anche voi e quanti altri vorranno appartenere
a me; e proprio in quest’occasione proclamaste la gran Legge Evangelica dell’abnegazione:
"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce
e mi segua" (Mt 16,23). Lezione solenne, ma non ancora capita da Pietro,
a cui nell’Orto doveste ripetere ancora: "non devo forse bere il calice che
il Padre mi ha dato?" (Gv 18,1).

Mio Gesù, nelle ripugnanze e paure nel patire, correggerò i criteri
erronei della carne sui vostri, insegnati qui con tanta chiarezza ed energia.