SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO. L'ORAZIONE MENTALE
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Quanto è bella la vita del Sacerdote! GESÙ CRISTO, sempre GESÙ CRISTO; omnia et in omnibus Christus. Nei suoi studi e nelle sue letture, il Sacerdote non cerca che GESÙ CRISTO, non vede che GESÙ CRISTO, non sente che GESÙ CRISTO. In tutte le sue opere del ministero, egli contempla, e serve GESÙ CRISTO; non ha altro scopo di farlo regnare, per mezzo dell'amore, in se stesso e nelle anime. «La sua vita è Cristo» (576); la sua perfezione è CRISTO» (577); tutta la sua persona è «la rivelazione di CRISTO» (Gal 1, 15-16). Viene da CRISTO, tende a CRISTO e non si riposa che in CRISTO; dimodochè la sua intera esistenza, secondo una ammirabile espressione di san Dionigi, «non è altro che un movimento e un passaggio dal divino al divino». Assidue perpetuoque divini Spiritus ductu, a divinis ad divina transformetur (578).
La contemplazione, come dice ancora san Dionigi, è la funzione «primaria» del Sacerdote; alla contemplazione egli deve dedicarsi dapprima per suo vantaggio, poi anche per il bene delle anime, poiché secondo san Tommaso, Vita activa praesupponit abundantiam contemplationis (2-2 q. 180 a. 3).
Nella Teologia ascetica e mistica, i termini Meditazione, Orazione e Contemplazione hanno significati differenti e precisi. Qui intendiamo la Contemplazione in quel senso generico indicato da san Tommaso quando dice: Contemplatio pertinet ad ipsum semplicem intuitum veritatis… et in affectum terminatur (III, q. 40, a. 1). Non intendiamo quindi parlare d'uno stato mistico straordinario. San Gregorio dice: Nullum est fidelium officium a quo possit gratia contemplationis excludi; quisquis cor intus habet, illustrari etiam lumine contemplationis potest (In Ezech., II). Ognuno è chiamato alla contemplazione, basta abbia «un cuore dentro di sé», un cuore, ossia una disposizione all'amore, un principio di amor tenero e generoso, che dimentica se stesso e non aspira che all'oggetto amato. Orbene, non è questo forse il cuore del Sacerdote? Noi ci dedichiamo allo studio, per amore; alla lettura, per amore; il nostro cuore è dunque apparecchiato. Paratum cor meum. Che dall'alto ci venga una luce più viva, che lo Spirito di Dio si compiaccia di rivelarci meglio Colui che è la verità, e il nostro cuore si infiammerà, nulla mancherà all'anima nostra per ricevere la grazia tanto desiderata della contemplazione. Una tal grazia è luce e amore: luce viva che attira e assorbe, in un certo grado, lo sguardo dell'anima, alla quale svela le bellezze di Dio e del suo Verbo incarnato; amore, perché tutto va a finire nell'amore in cielo e in terra, perché solamente l'amore opera la dedizione di noi medesimi, il trasporto di noi medesimi in GESÙ CRISTO, e con questo passaggio e trasporto, opera l'unione con Lui. Chi potrebbe dubitare che questa disposizione, queste operazioni interiori, questa tendenza e questa unione non convengano al Sacerdote? San Dionigi dice che a tale unità aspirano omnes qui deiformes sunt (579). Chi è più deiforme del Sacerdote? – Per altro, noi qui chiamiamo Orazione mentale ogni esercizio interiore dell'anima, alquanto prolungato, che mette l'anima in relazione immediata con GESÙ CRISTO, e quindi non solo la meditazione che si fa regolarmente al mattino, ma pure la visita al SS. Sacramento, la preparazione alla santa Messa e il ringraziamento.
I.a Condizione per l’Orazione, rimuovere gli ostacoli. Il primo ostacolo è il peccato. Oratio est ascensus ad Deum, dice san Giovanni Damasceno (580). Orbene Peccatum pondus est quo anima deprimitur et inclinatur ad terram, afferma giustamente il P. Alvarez di Paz (581). Bisogna che l'occhio sia puro, libero non solo dal peccato mortale, ma anche dall'affetto volontario al veniale; il peccato veniale è una polvere che toglie all'occhio spirituale la chiara visione di ciò che è soprannaturale e divino. Non v'ha dubbio che Dio favorisca talvolta la contemplazione ad anime indegne, ma d'ordinario è grazia riservata al «cuor puro» (Mt 5, 8).
Un altro ostacolo, sarebbe una specie di attività eccessiva e di agitazione che toglie all'anima quella pace necessaria perché Dio possa esercitarvi la sua azione. Una vita tutta esteriore e distratta è compatibile con una quantità di opere di zelo, ma non con un certo grado di orazione (S. TH., 2-2, q. 180, a. 2). «Unde, proh dolor! lamenta Gersone, tanta raritas contemplationis etiam inter ecclesiasticos et religiosos, imo theologicos, nisi quia vix sustinet aliquis solus se***** esse, se***** pie meditari?… Falluntur qui volunt semper legere, vel vocaliter orare, vel devotionem a loquentis verbis accipere… Sit meditatio silens, liber tuus, praedicatio tua» (De myst. Theol. III). «Chi si dà alla lettura con eccessivo ardore e prega poco, diceva Gilberto d'Olanda, resta privo delle visite di Dio» (Sermo, VII). Che cosa avrebbe detto d'una vita tutta esteriore, distratta e dissipata?
Ostacolo più grave ancora sarebbe una vita molle e sensuale, quella mancanza generale di mortificazione per la quale si ricercano esageratamente le comodità del benessere e si finisce a condurre una vita in tutto simile a quella dei laici. Una vita così lontana da quella dei Santi, come potrebbe lasciar il posto alla grazia così pura, elevata e delicata che porta l'anima a conversare familiarmente con GESÙ CRISTO, nell’intimità dei suoi Misteri, sulla Croce, nel santo Tabernacolo?
2a Condizione dell'Orazione, la preparazione. – Ante orationem praepara animam tuam, et noli esse quasi homo qui tentat Deum (Eccli 18, 23).
Dapprima, la preparazione abituale, che consiste in una grande stima dell'orazione, e che deriva dall'ardente desiderio di una unione sempre più intima con Nostro Signore, unico nostro Amore. Né si dica che noi domandiamo troppo e che la perfezione che domandiamo è una sorta di misticismo esagerato. Non basta forse tenersi libero dal peccato e dedicarsi con zelo alle opere del ministero? – No, non basta questa vita virtuosa che pure può aver molto merito davanti a Dio, non basta se vogliamo considerare che il Sacerdote è chiamato ad una perfezione straordinaria, in conformità con la dignità straordinaria della sua vocazione e del suo posto nel disegno divino. La perfezione che si addice al Sacerdote sta tutta in questa semplice parola: Amore per GESÙ CRISTO, amore più grande, più forte e più perfetto, è questo il fine al quale il Sacerdote deve tendere incessantemente, senza mai stancarsi né intiepidirsi. Perché GESÙ è tutto; GESÙ è il termine: chi lo trova, può riposarsi. Chi ardirebbe dire che GESÙ non è infinitamente amabile? Sarebbe una vera bestemmia! Chi potrebbe dire: «Basta! ho dato a GESÙ quanto si merita»? Ma GESÙ è «Tutto amabile», Totus desiderabili! (Ct 5, 16) e dobbiamo andare a Lui con ardori sempre crescenti e sempre nuovi.
GESÙ CRISTO è la nostra vita; i Padri non trovano espressioni sufficienti per esprimere la vita di GESÙ in noi e la nostra unione con Lui; per rivelarci come GESÙ sia tutto in noi e operi tutto in noi. Accedite ad eum, dice sant'Ambrogio, et satiamini, quia panis est; et potate quia fons est; et illuminamini, quia lux est (In Ps. 118); e sant'Agostino: Credere in eum, hoc est manducare panem vivum. Qui credit manducat; invisibiliter saginatur. Lac nostrum , Christus humilis est; cibus noster, idem ipse Christus aequalis Patris (582). Secondo il pensiero di san Paolino da Nola, GESÙ CRISTO rinnova ih noi tutti i diversi gradi della sua vita; in noi Egli nasce, cresce, arriva all'età matura; preghiamolo che non vi rimanga sempre bambino, infermo e povero (Epist., XXI). Che se GESÙ, in tal modo, è la nostra vita, vale a dire, è per noi ogni bene, pace, consolazione, forza, luce, sicurezza, salvezza, come non tenderemmo a Lui senza posa con tutto l'ardore dell'anima nostra? Come mai la vita del Sacerdote non sarebbe una costante aspirazione verso l'unione con Lui? Come mai la sua mente non sarebbe avida di conoscerlo e il suo cuore d'amarlo sempre più? GESÙ «cui appropinquare et misceri voluptas est; quod ei qui non videt desiderio est et ei qui videt inest!» (583). Orbene, dopo i santi Sacramenti e specie dopo il Sacramento dell'Amore, non v'è nulla, come l'orazione mentale, che nella vita presente ci venga in aiuto per soddisfare un tale ardente bisogno di intima unione.
Vi è inoltre, la preparazione attuale. Questa consiste, in primo luogo, nel silenzio interno dell'anima fin dalla sera, perché l'anima sia raccolta per la meditazione dell'indomani. Finite le occupazioni della giornata, custodi, quantum potes, interiorem hominem tuum… si vis bene custodire, tace prius… Tacendo enim apud homines, melius loquimur Deo (584). Nei monasteri si pratica il gran silenzio dalla sera al mattino; pratichiamolo anche noi, per quanto è possibile, Diabolus somnum quaerit, dice sant'Agostino, Christus silentium (In Ps., 45). Il silenzio dell'anima con un atto espresso di raccoglimento, sia pure la preparazione immediata ad ogni esercizio di pietà, come alla santa Messa, alla confessione, alla visita al SS. Sacramento, a qualsiasi preghiera, specialmente alla recita dell'Ufficio, e ogni volta che entriamo in Chiesa.
Seconda condizione della preparazione immediata è un umile e amoroso indirizzo dell'anima verso GESÙ CRISTO; esso consiste nello sguardo del cuore fisso sul Mistero che sarà il soggetto dell'Orazione. Una tale applicazione della mente e del cuore si fa senza sforzo; le distrazioni si respingono con pace e semplicità e il raccoglimento si conserva anche durante la notte, se l'insonnia ci molesta. Christum require in bonis cogitationibus; dice sant'Ambrogio, quaere in cubiculo… Vult enim te omnibus in vigilare momentis (585).
La preparazione della sera per la meditazione, consiste nel fissare il soggetto e determinare gli atti principali che si faranno, i sentimenti che si dovranno esercitare nell'anima e soprattutto il frutto che si ha l'intenzione di ricavare.
Una tale preparazione non è senz'importanza; non sappiamo cosa sarà per noi l'indomani: potremo forse, per varie circostanze, trovarci nella incapacità di fare la meditazione, avremo almeno fatto tutto quanto dipende da noi per compiere il nostro dovere; questo soprattutto piace al Cuore di GESÙ CRISTO, qualunque sia, per altro, l'insuccesso che potrà verificarsi al mattino.
Esercizio dell'Orazione mentale. – Il soggetto principale della meditazione deve sempre essere Nostro Signore, in questo senso che Egli vi occupi il primo posto anche quando essa non si riferisce direttamente alla sua divina Persona o a qualcuno dei suoi Misteri.
«Ciò che vi è di più luminoso in tutta quanta la teologia, dice san Dionigi, è l'Incarnazione del Verbo» (586). Questo radioso mistero si trova dappertutto: nella Trinità, poiché GESÙ CRISTO è Dio, è la gloria universale del Padre, l'opera per eccellenza dello Spirito Santo; nelle cose create, perché nulla è stato fatto senza di Lui e tutto è stato fatto in Lui, per Lui e per mezzo di Lui (Col 1, 12-20). GESÙ CRISTO presiede a tutto e a tutto comunica il suo carattere, la sua impronta, la sua grazia e la sua vita. Cui non praesto sunt haec, caecus est, ct manu tentans (1 Pt 1, 9). GESÙ CRISTO è la luce, il principio, il centro e il fine di ogni cosa, perciò Egli c'entra in ogni argomento. Qualunque sia l'ordine e il metodo che si segue, si può sempre applicare e mettere in pratica, come regola invariabile, quel suggerimento di san Lorenzo Giustiniani: In Christo praecipue considerationis obtutus fige (587). Il Verbo incarnato, fa parte di qualsiasi verità, o in quanto Dio, o in quanto uomo, capo di tutta la creazione, come Redentore, Santificatore, Giudice universale o Glorificatore. Meditiamo sulla Madonna o sui Santi? Essi sono GESÙ CRISTO, perché tutto ci viene dalla sua pienezza. Si tratta di virtù o di vizi? GESÙ CRISTO è sostanza, modello, Legislatore di ogni virtù e condanna di ogni vizio. GESÙ CRISTO può e deve essere il condimento di qualsiasi meditazione con qualunque metodo.
Il Metodo è questione affatto accessoria e relativa, perché non v'è nulla che sia prontamente personale come questo esercizio, essendovi, nella medesima persona, una infinita varietà di attitudini e di bisogni spirituali, come di disposizioni e di impressioni. Certi spiriti han bisogno di un ordine e di un metodo regolare e preciso; altri non vi si possono adattare. Certuni non possono far senza del libro; questo talvolta, secondo le circostanze, può essere indispensabile; ma, l'abitudine di usare troppo del libro potrebbe essere una illusione. Non è da dimenticare che l'Orazione mentale, se si riduce ad una lettura meditata, riesce poco fruttuosa, perché vi manca l'intimità con Nostro Signore.
Ci sembra che, soprattutto per il Sacerdote in cura di anime, il Metodo che chiameremo affettivo, sia il più indicato. Crediamo che sarebbe opportuno lasciare alla Lettura spirituale, per la vita interiore, la parte che spetta alla mente, ossia la riflessione; mentre il compito principale dell'Orazione mentale sarebbe di muovere il cuore e la volontà, ossia la parte affettiva, che consiste negli affetti e nei proponimenti.
Daremo qualche esempio della pratica di quanto abbiamo suggerito. Sant'Agostino ci sembra aver indicato gli atti che si convengono all'Orazione mentale nel senso che abbiamo esposto. Admiremur, gratulemur, amemus, laudemus, adoremus, gratias illi agamus, quoniam per eamdem Redemptoris mortem, de tenebris ad lucem…, vocati sumus (Sermo CCVIII). – Ammirazione, congratulazione, amore, lode, adorazione, azioni di grazie: ecco gli atti effettivi che possiamo compiere, indirizzandoli a GESÙ CRISTO, sul soggetto che meditiamo; non è necessario, evidentemente, che si facciano tutti. Sarà bene premettere alcuni atti preliminari, come di rinnovare la nostra fede, umiliarci davanti a Nostro Signore, domandare con viva istanza il suo aiuto, protestare la nostra buona volontà. Facciamo qualche applicazione particolare:
Meditiamo sulla morte? – Dopo gli atti preliminari, Ammirazione (del potere della morte); Congratulazione (con Nostro Signore per aver vinto la morte e per la sua sovranità sopra gli uomini, che la morte manifesta); Amore (perché con la sua morte ci ha salvati e ci porge, con la nostra morte, un mezzo potente di espiazione, ecc.); Lode (per le sue perfezioni e gli attributi di Dio che si rivelano nella sua morte e nella nostra); Adorazione (della sua vita divina nella sua morte, dei suoi diritti e disegni nella nostra morte); Azioni di grazie (per i grandi beni che ci vengono dalla sua morte e per il bene che vuol fare a noi stessi con la nostra morte); da ultimo, Domanda di una buona morte, e Proponimenti. Con estrema facilità si possono formare tali affetti e sentimenti riguardo a qualunque soggetto, a qualunque virtù e a qualunque difetto. Un tal metodo affettivo, naturalmente, da certuni potrà essere giudicato troppo semplice e da altri forse troppo complicato. Ciò che importa è che GESÙ CRISTO sia sempre la luce che rischiari la nostra Orazione mentale e la vita che la vivifichi.
Per altro, vorremmo dire ai Sacerdoti: semplifichiamo la nostra orazione mentale. Se la lettura spirituale è fatta a dovere, l'Orazione potrà ridursi a pochi atti; e questo è vero per qualsiasi pratica mentale verso Nostro Signore. Bisogna arrivare ad una certa intimità con questo vivente Amore delle nostre anime, e nell'intimità si dicono poche parole; basta talvolta un solo sentimento continuato e ripetuto. Quale bella e fervente Orazione mentale quella della ripetizione di parole come queste: «Credo, mio GESÙ, che siete là… Credo che siete il mio Salvatore… che presto sarete il mio Giudice…». Oppure «Miserere mei!… Voi che mi avete creato, – redento, – fatto Sacerdote!…» e altre simili che spontaneamente vengono dal cuore. Sant'Agostino passava lungo tempo nel ripetere: Noverim te, noverim me; e san Francesco d'Assisi: Deus meus et omnia! Quando l'anima; stanca magari e afflitta, davanti al Tabernacolo o ai piedi del Crocefisso, adora, ringrazia, supplica, domanda perdono, forma sinceri proponimenti e così si rinnova nel desiderio di piacere a Colui che per essa è Tutto, l'Orazione mentale è fatta santamente. Ma, non si dimentichi mai quella sentenza del P. Faber, eco di tutta la Tradizione: «L'affare più importante per la vita interiore, è l'Orazione mentale» (588).
NOTE
(576) Philipp., I, 21; Galat., II, 20.
(577) Finis noster perfectio nostra esse debet: perfectio nostra est Christus. – S. AUG., In Salm. LIX.
(578) De Eccl. Hierarch., II
(579) De Ecclesiast. Hierarch., I.
(580) De fide orthod., III.
(581) De nat. contempl., lib. V
(582) In Joann., Tract. XXVI. – In Epist. Joann. ad Parthos.
(583) S. AMBR., De Isaac, etc. cap. VIII.
(584) S. BERNARDO, De discipl. morum., IV.
(585) Lib. Exhortat. Virg., IX
(586) De div. nom., II
(587) TRONSON, Examens
(588) Progresso dell'anima, ecc., cap. XV.