Le virtù sacerdotali. L’unione a Gesù Cristo

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO PRIMO. LA VIRTÙ DI RELIGIONE

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Il Sacerdote è consacrato Vittima; deve quindi tendere a vivere sempre da vittima e aspirare alla unione perfetta con Gesù Cristo. Ma in qual modo potrà applicarsi ad una vita santa e divina quale si richiede dal suo stato così sublime? Come potrà diventare discepolo, amico, apostolo e Vittima perfetta di Gesù Ostia? Con la pratica delle virtù che corrispondono alla santità del suo stato. Nel Libro III tratteremo appunto delle virtù che sono in modo speciale quelle del Sacerdote nella sua vita di Ostia e dei mezzi per arrivare alla unione intima e perfetta con Gesù Cristo.

 

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Il Sacerdote, per vocazione, per stato e per grazia, è il perfetto Religioso di Dio. In quella guisa che è Sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere, così è Religioso in tutta la sua persona e in tutto il suo essere. È questo il fine della sua elezione eterna, della sua segregazione da tutto ciò che è profano, dell'ammirabile consacrazione di cui egli è stato l'oggetto, e della unione incomparabile che si è compiuta tra GESÙ e lui, prima con l'ordinazione sacerdotale, poi con la celebrazione della Santa Messa. GESÙ, essendo l'Ostia perfettissima e unica del Padre, è la Religione oggettiva e Sostanziale del Padre. Il Sacerdote, in virtù del suo Sacerdozio e dell'unione ineffabilmente santa e perfetta che ha contratta per sempre con GESÙ Ostia, lui pure è, a modo suo in un senso verissimo, la Religione del Padre, poiché con GESÙ, per mezzo di GESÙ e in GESÙ, egli è pure l'umile, costante e perpetua Ostia del Padre. Il Sacerdote è dedicato a Dio, al culto, alla lode, alla gloria di Dio, a tutto ciò che dalla creatura richiedono la Maestà, la Santità, la Bontà e l'Essere infinito di Dio; esso è votato, dedicato e legato a questa eminente condizione, in una maniera così intima, assoluta, stabile e permanente che nulla di simile esiste in tutto il mondo creato, neppure nel mondo angelico. Chi dice Sacerdote, dice «l'uomo di Dio in tutta perfezione ed eccellenza»; (I Tm 6, 11; 2 Tm 3, 17). l'uomo della gloria di Dio; l'uomo creato formato e costituito, in tutto il suo essere, per questa divina gloria» (Is 63, 7); l'uomo dei disegni, degli interessi, della causa di Dio; l'uomo di tutto ciò che Dio è in se stesso, di tutto ciò che Egli vuole, di tutto ciò che risponde ai suoi diritti, alle sue intenzioni nella Creazione e nella Provvidenza, per la Redenzione, la Santificazione e la Rimunerazione delle anime. Il Sacerdote, a qualsiasi creatura che fosse. stupita di una vocazione così ammirabile, dovrebbe rispondere: «Ma, non sapete che io debbo dedicarmi a ciò che riguarda il Padre mio?» (Lc 2, 49). Sono queste le parole di GESÙ CRISTO; il suo Sacerdote ha tutto il diritto di appropriarsele; perché, in una parola, chi dice Sacerdote, dice GESÙ CRISTO.

«La nostra grande obbligazione, dice Giovanni Olier, è di continuare la vita di GESÙ CRISTO Sacerdote, rendendo al Padre gli omaggi di cui gli sono debitori gli uomini tutti. Durante la sua vita, GESÙ CRISTO da sé compiva più che in abbondanza quest'ufficio. Perciò non volle elevare gli Apostoli al Sacerdozio se non alla vigilia della sua morte. Ma, Egli desiderava che questa vita religiosa fosse continuata, in modo visibile, sulla terra, sino alla fine dei secoli, come Egli la continua eternamente nei cieli; perciò ha voluto, prima di morire, creare i Sacerdoti; ed istituendone la successione, ha trovato il modo di vivere sempre nei Sacerdoti della Chiesa, affinché essendo tutti congiunti alla sua religione sulla terra come i giusti lo sono nel cielo, possano, in Lui, senza interruzione, rendere a Dio gli omaggi e gli onori chè gli sono dovuti.

«Il Sacerdote adunque deve immergersi in questa religione perfetta e ammirabile di GESÙ CRISTO verso Dio, in questo profondo abisso ed immenso oceano di amore, di adorazione, di lode e di venerazione. Il nostro cuore deve essere vasto e ampio come quello di GESÙ CRISTO. Dobbiamo, con Lui, rendere a Dio i nostri omaggi, per tutto ciò che in Lui si contiene, né restringere o limitare, come fanno gli Angeli, la nostra lode e la nostra occupazione a un solo attributo o a una sola divina perfezione. Come Sacerdoti dobbiamo unirci a tutta la Religione di GESÙ CRISTO verso il Padre e penetrare nel suo interno, per adorare con Lui Dio in se stesso e in tutta la sua divina Essenza, onde non lasciar cosa alcuna adorabile, senza perfetta adorazione, giacché per questo Egli ci ha fatto sacerdoti… Dilatare in tutto il mondo la Religione di GESÙ CRISTO, per diffonderla in tutti i cuori, e riempire tutta la terra della gloria di Dio e delle sue lodi: ecco l'occupazione essenziale del vero Sacerdote; è questo il suo spirito, la sua grazia, la sua vocazione» (379).

Il Sacerdote è dunque nella Chiesa, in virtù di un titolo senza pari, il Religioso per eccellenza di Dio (380). Coloro che portano il nome magnifico di Religiosi, l'hanno ricevuto per una specie di comunicazione della grazia Sacerdotale; essi sono Religiosi in una maniera secondaria, come aggregati all'Ordine ecclesiastico. Perciò non sono costituiti Religiosi di Dio in virtù di una elezione divina, né per la grazia di un sacramento, né in virtù di un carattere incancellabile. La Professione religiosa, nell'Ordine soprannaturale stabilito da Dio, è una gloria oltremodo magnifica, ma nel Sacerdozio essa ha la sua sorgente, e non possiede se non ciò che il Sacerdozio le comunica. La grande e autentica vita religiosa è quella del Sacerdote (381). Egli la possiede nella sua pienezza e gli atti ne sono a lui propri in un modo naturale, regolare ed essenziale. In ciò consistono il suo ministero, la sua missione, il suo stato e tutto il suo essere (382). Il Sacerdote è Religioso, in quel modo che ogni uomo è uomo. Perciò la sua Religione è incessante ed universale. Ad ogni istante e come in tutti i movimenti della sua vita, egli è la Religione di Dio; lo è per sempre, sino all'ultimo suo respiro; lo sarà anche nel Cielo, perché il suo Sacerdozio è eterno. Il Signore aveva detto ai suoi Leviti: «Erunt Sacerdotes mihi religione perpetua» (Es 29, 9). Quanto più vera e più vasta è l'applicazione di tali parole ai Sacerdoti della Legge nuova!

Vi ha Religione interiore, e Religione esteriore.

La Religione interiore consiste in una applicazione, umile ma amorosa, semplice ma elevata, piena di luce ed animata da santi ardori, a Dio e a tutto l'Essere suo, a tutto ciò che Egli è in se stesso, alla sua vita, alle opere della sua Potenza, a tutte le vestigia e impronte delle sue divine Perfezioni che Egli ha stampate nel mondo visibile.

È un'attenzione frequente, anzi abituale, ad una tale imponenza di Eccellenza, di Grandezza, di Maestà, di Sapienza, di Verità e di Santità.

È l'adorazione, profonda sino all'annientamento ma pure felice e gioconda, di tutto quanto vi è nel nostro Dio d'ineffabile Infinità, di Pienezza assoluta, di essenziale Autorità, di Potenza, Sovranità, Libertà, Felicità e Beatitudine.

È la lode che da tutto l'essere nostro s'innalza verso quella Perfezione sostanziale, necessaria, eterna, vivente, che costituisce tutto l'Essere di Dio, di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo; Perfezione che è l'Innascibilità del Padre, la Generazione del Figlio, l'Unità e la Trinità delle divine Persone, la loro vita interna e la loro virtù creatrice che opera ad extra; che è pure il loro essenziale dominio sopra ogni cosa, la loro adorabile Provvidenza la quale si esercita, senza interruzione e in ogni luogo, con decreti sempre santi, con giudizi sempre equi e irreformabili, con opere sempre perfette (Cfr. Dt 32, 4).

La Religione, è il plauso dell'anima a tutto ciò che Dio è in se stesso, a tutto quanto Egli dispone e opera. È l'affermazione forte, grande, ardente, costante e tutta ripiena di amore, che nelle vie di Dio, tutto è ordine, tutto è sapienza giustizia, bontà, verità e santità.

È ancora la contemplazione di quell'adorabile sorgente di amore, che è «il Padre dei lumi, dal quale scende ogni dono perfetto e ogni grazia eccellente» (Gc 1, 17); che ci ha creati rigenerati, benedetti, e glorificati in GESÙ CRISTO (383); che in Lui ci «ha colmati di ogni sorta di celesti benedizioni» (Ef 1, 3) per la vita presente; e per mezzo di Lui ancora ci prepara e ci promette la beatitudine futura, nella visione e nel possesso della sua gloria: contemplazione che è il principio della riconoscenza più viva e più profonda, e quindi di una perfetta e sempre crescente azione di grazie.

La Religione, inoltre, è l'umiliazione dell'anima nostra davanti al nostro Dio sì buono eppure da noi così poco amato; è l'afflizione, il pentimento, la contrizione del cuore; è l'oblazione e l'abbandono di noi medesimi in mano a Dio, alla sua giustizia, ai diritti del suo Amore ferito, abbandono con umiltà e semplicità, ma con una generosità pronta a qualsiasi sacrificio.

La Religione, è la supplicazione che si riconosce indegna, ma pure, con filiale perseveranza, spera continuamente i doni della Provvidenza e le effusioni della grazia.

È la sottomissione intima ed assoluta di tutto l'essere nostro ai disegni di Dio, alle sue disposizioni anticipatamente fissate (chè nulla d'impreveduto può esservi nei disegni divini), alle sue volontà, al suo beneplacito, a tutti i suoi diritti e a tutte le sue adorabili esigenze. È il dono di tutto quanto siamo; l'immolazione, il Sacrificio perfetto della nostra volontà, delle nostre pretese, dei nostri desideri, dei nostri sentimenti, dei nostri interessi; il sacrificio assoluto di tutto quanto in qualsiasi modo ci appartiene, in qualunque modo a noi si riferisce.

La Religione, con tali disposizioni, è la proclamazione intima, completa e assoluta della nostra essenziale dipendenza e sudditanza verso il nostro Creatore e Sovrano Signore. E perché, per quanto è da noi, non manchi nulla a ciò che meritano la Grandezza, la Maestà, l'Eccellenza infinita del nostro Dio, la Religione è pure «quella preparazione dell'anima che ci viene raccomandata dallo Spirito Santo» (Eccli 18, 23), prima di ogni preghiera», quindi prima della Messa, della recita del Breviario e dell'amministrazione dei sacramenti, prima della meditazione, dell'ingresso in Chiesa e di qualsiasi opera di divozione, sia pure con un semplice segno di croce; preparazione che comprende il raccoglimento interiore, la mortificazione dei sensi, lo spirito di fede e di amore, la gratitudine per l'onore che ci viene fatto, una gioia da bambini nell'avvicinarci al nostro Padre.

In una parola, con ogni sorta di atti che corrispondano a tutto ciò che Dio è in se stesso, a tutto ciò ch'Egli opera, dispone, promette o dà, la Religione interiore, in tutta verità, secondo il significato della parola stessa, è l'unione a Dio (384), l'unione abituale e costante a Dio in se medesimo, nel suo Essere, nella sua vita una e trina; a Dio Creatore e Salvatore; a Dio, che ora e per sempre è la nostra unica vita, nell'ordine di natura come in quello della grazia e della gloria.

Orbene, il Sacerdote, nella Chiesa, per un diritto essenziale, ha la fortuna più di qualsiasi creatura di vivere di quella unione. Lo si consideri nella gloria del suo Sacerdozio o nell'umiltà del suo stato di Ostia, egli fa senza posa tutto ciò che raccomanda lui stesso ai fedeli: «Il suo cuore è in alto, ed egli lo tiene applicato e unito al Signore». Ché se per gli altri fedeli, la perfetta e abituale applicazione del cuore a Dio può essere soltanto un consiglio, per lui, è un vero precetto (385). Egli è Sacerdote e Vittima: deve quindi offrire nell'intimo dei suo cuore un Sacrificio e un Olocausto che siano perfetti (386). Senza dubbio, ogni qualsiasi creatura dotata di ragione, deve offrirsi a Dio come al Principio della sua esistenza e al R)ne della sua beatitudine (387); ma «il Sacerdote, è un continuo e perfetto Olocausto di perfetta. Religione» (388). Sempre Sacerdote e sempre Vittima, egli non cessa mai di stare all'altare e sopra l'altare, per compiere tutte le opere sante di Religione, che si richiedono in un luogo così santo e in una condizione così religiosa. Tutti i testi della Scrittura che esprimano l'omaggio, la gloria, la riconoscenza e l'amore dovuti a Dio, si applicano al Sacerdote (389).

«Il suo amore, dice san Bonaventura, è il fuoco sempre ardente, di cui si parla nei Levitico, che i Sacerdoti dell'antica Legge dovevano, per ordine di Dio, mantenere con tanta cura» (390).

Il Sacerdote non è soltanto l'uomo della Religione perfetta di Dio; egli invita incessantemente le creature tutte ad offrirsi a Dio come Ostia di lode. È lui che, autorevolmente e in virtù della sua missione e del suo titolo di Religioso perfetto e di Religioso universale della SS. Trinità, dice quell'invito dei Salmi: Venite, exultemus Domino (Ps 94,1-6); egli induce tutte le creature a glorificar Dio, ad adorarlo, a riconoscerne la grandezza; a placare lo sdegno della sua giusta collera con le lacrime della penitenza. Ei dice pure: Benedicite omnia opera Domini Domino (Dn 3, 57). Ci è nota la commovente enumerazione di Daniele. Noi, come il Profeta ispirato, abbiamo il diritto incontestabile di dire ad ogni creatura: Laudate Dominum, omnes gentes. Magnificate Dominum mecum» (391). È questo propriamente, dice sant'Agostino, il grido di colui che ama: Magnicate Dominum mecum; non voglio glorificarlo da solo; non voglio amarlo soltanto io; non voglio abbracciarlo soltanto io. Che le anime tutte lo abbraccino! Gridiamo tutti: Magnicate Dominum mecum, et exaltemus nomen ejus in idipsum» (In Ps 33). Nella Chiesa deve esservi una santa gara di religione e di amore per il nostro Dio, ma la voce che domina tutte le altre, quella che a tutte dà il movimento, lo slancio, il santo entusiasmo che trasporta, è la voce del Sacerdote, perché nel cuore del Sacerdote deve trovarsi, accendersi ed infiammarsi l'amore più ardente (In Ps. 137). Dice ancora ai Sacerdoti il santo Vescovo di Ippona: Tuba, psalteriurn cithara, tympanum, chorus, chordae, et organum, et cymbala jubilationis benesonantis. Vos estis haec omniaIl Sacerdote, purtroppo, al pari di ogni creatura, «è sottoposto a quel giogo pesante che grava sui figli di Adamo dall'uscita dal seno della madre sino al giorno della sepoltura» (Eccli 40, 1). Le infermità e necessità di questo esilio diminuiscono straordinariamente la libertà dello spirito. Perciò non pretendiamo dal Sacerdote una contemplazione sempre attuale, che rimanga invariabilmente fissa nel suo oggetto, né una elevazione così libera dagli impacci delle creature che non ne venga mai disturbata dalle distrazioni degli affari e dei bisogni così molteplici della vita. Lo spirito di Religione è un'attitudine interiore, un'abitudine della mente e del cuore, secondo le quali il Sacerdote, già dedicato a Dio dal suo stato e dalla sua grazia, trova il suo diletto nell'onorare Dio, in ogni cosa, per mezzo di GESÙ CRISTO, con atti frequentissimi, come raccomanda san Pietro (1 Pt 4, 11). Ogni cosa gli serve di mezzo e di aiuto per compiere nel suo cuore quelle «ascese» (Ps. 83, 6), rispettose, filiali e affettive; tutto: la scienza più completa, più luminosa e più profonda che egli ha di Dio, dei suoi attributi e delle sue opere; il suo ministero che non ha altro fine che Dio e la sua gloria; gli eventi della vita umana, nei quali egli adora sempre ciò che infallibilmente vi si trova di Dio: sapienza, verità, ordine, giustizia e bontà; lo spettacolo del mondo creato, la visione, ben altrimenti attraente e santificante, delle meraviglie soprannaturali inaccessibili all'occhio della carne; tutto, lo ripetiamo, innalza il Sacerdote a Dio. Egli tiene lo sguardo fisso in Dio e nelle cose divine, in una maniera così frequente e facile, con una intuizione così luminosa e sicura e, in pari tempo, così salutare, che l'invisibile, per un effetto della sua grazia propria ed eccezionale, diviene per lui visibile (Eb 11, 27), e la sua vita è davvero, senza sforzo, un atto quasi incessante di Religione. Sempre camminando in Dio e in GESÙ CRISTO (Col 2, 6), non solamente per effetto di una disposizione santa che ogni cristiano può avere, ma in virtù di una condizione consacrata da Dio medesimo, il Sacerdote, in atto o almeno nella intenzione e virtualmente, è la lode perpetua di Dio, nel modo che lo intendeva il pio sant'Anselmo quando diceva: Quae est laus Sancta? Ecce ad quod creatus es; ecce opus famulatus tui… ut nulla in te cura, nulla intentio, nulla cogitatio, nulla sollicitudo mentis, in quantum tibi virtus suppetit, a laude Dei sit vacua (392). (In Ps, 150).

 

Bella, grande, santa la vita del Sacerdote. Sempre elevato verso Dio, egli vive nella continua contemplazione di Dio, nell'ammirazione di una Bontà così generosa e nell'adorazione di una sì grande Maestà; sempre rapito dalla vista di tante perfezioni, sempre soggetto ad una Autorità sì eminente, animato intimamente da viva gratitudine per tanta Generosità e Munificenza, da ferma speranza in tanta Bontà e Misericordia e pieno di ardore per rendere soddisfazione a diritti così imponenti; l'unica sua afflizione ed angoscia quaggiù è il vedere come a tanto amore, a tanta amabilità, a tali dolci e potenti attrattive, da molti si risponda con l'indifferenza e da alcuni persino con odio.

Questo grande spirito di Religione, è cosa notissima fu uno dei caratteri dominanti di quelle anime sacerdotali eminenti che, nel secolo XVII, furono un onore così prezioso per la Chiesa di Francia, il Cardinal de Bérulle, il Padre Condren il venerato abate Olier. San Vincenzo de' Paoli diceva ai suoi Preti: «Sforziamoci di concepire la massima stima della Maestà e della Santità di Dio… Ci basti questa conoscenza per Conservarne una infinita stima, per annientarci alla sua presenza e mettere nelle nostre parole, quando parliamo della sua Maestà, un profondo sentimento di riverenza e di soggezione. Con la stima, crescerà l'amore; e l'amore ecciterà in noi un insaziabile desiderio di riconoscere i suoi benefizi e di procuragli dei veri adoratori».

È dunque nostro dovere di dare la massima importanza alla virtù di Religione, perché risponde ai diritti di Dio, alla sua padronanza, alla sua sovranità e alla sua gloria, – perché è lo spirito principale, fondamentale ed essenziale del nostro risveglio di questo spirito nelle anime è forse il più urgente bisogno dei nostri tempi. Viviamo in un'epoca di lavoro, di affari e di negozi. Ormai si apprezza unicamente ciò che è materiale e di immediato vantaggio per la vita presente. In ogni cosa ciò che non presenta un utile e tangibile, ormai non ha più valore. Lo spirito di Religione, per gente così disposta, è un enigma o una specie di illusione mistica di cui si ha compassione, una specie di anomalia che appartiene ad una mentalità ormai superata, e che bisognerebbe sopprimere. Che cosa è mai, per gli uomini moderni e persino per un certo ceto di cristiani, un monastero dedicato alla preghiera e alla lode di Dio?.. È evidente che non sentiamo più a sufficienza ciò che Dio merita di lode, di adorazione, di riconoscenza, di soddisfazione e di preghiera. Le veglie consacrate all'ufficio divino, le orazioni prolungate, non ci sembrano più opportune, ora che vi è tanto da fare al di fuori. È santa, è vero, l'applicazione a Dio; ma non vale forse meglio, formare una buona volta un'intenzione retta, poi dedicarsi per intero a ciò che vi è di più urgente? La contemplazione potrà essere un godimento, ma non è essa, di sua natura, sterile? Non è forse invece l'azione studiata, costante e laboriosa, quella che in realtà opera, attorno a noi, la maggior somma di bene?… È questo un linguaggio umano.

Guardiamoci però da ogni esagerazione. Non intendiamo che si tralasci nessuna delle occupazioni, sia pur minime, che sono richieste dallo zelo delle anime e dal nostro ufficio.

A Betania, Marta era pur necessaria, mentre Maddalena stava ai piedi del divino Maestro. Soltanto, qualche cosa mancava a quella ammirabile Servente del Salvatore. Guardiamoci quindi dal meritare quel rimprovero che le venne rivolto da GESÙ. Dedichiamoci a tutte le opere di Dio, con affetto, costanza, ardore: ma, in pari tempo, conserviamoci uniti a Dio. Quanta forza e serenità in un'anima sacerdotale, che tiene il suo sguardo sempre fisso in questo Principio unico ed unico Fine, in questo unico Centro di ogni azione e di ogni vita! E nell'istesso tempo, quale benedizione incomparabile per tutte le sue opere! Osservate, negli uomini di grande religione, quali opere hanno saputo compiere: san Carlo, san Vincenzo de' Paoli, il Card. de Bérulle, l'abate Olier, il santo Curato d'Ars e tanti altri!

La nostra vita sia davvero, come lo vuole il santo Concilio di Trento «Piena di religione» (393); facciamo quanto è da noi per reagire contro lo spirito tutto laico dei nostri tempi. Parliamo spesso, con fede, convinzione, unzione e amore dei diritti di Dio, dei suoi attributi, della sua Provvidenza e degli omaggi che gli sono dovuti. Oh, quali grazie son riservate a queI sacerdote, che, perfetto Religioso di Dio moltiplica attorno a sé il numero dei «veri adoratori del Padre, in ispirito e verità»!…

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(379) Traité des Saints Ordres, III partie, chap.

(380) Sic appellatur Levita: Ipse meus, vel ipse pro me. Magnum ergo munus ejus, ut de eo Dominus dicat; Ipse meus. – S. AMBR., De Offic. ., lib. I, cap. MinistrI. – Propterea vocantur derid, vel quia de sorte sunt Domini, vel quia ipse Dominus sors, id est, pars Clericorum est… (Clericus autem) talem se exhibere debet, ut et ipse possideat Dominum, et possideatur a Domino. – S. HIERON., Epist. LII, Ad Nepotian.

(381) Penes illos (Sacerdotes) est religionis summa. – S. HORMISDAS, Epist. XXV.

(382) Cui Deus portio est, nihil debet curare nisi Deum. – S. AMBR., De fuga saeculi, cap. II.

(383) Ef 2, 10; – et passim in Epistol.

(384) Religat nos Religio uni omnipotenti Deo. S. AUG., De vera relig. – S. TH., 2-2, q. 81, a. 1.

(385) Contemplatio finis est Sacerdotis, si non falso hoc sibi nomen usurpat. – SYNESIUS, Epist. Ad Andronic., LVII.

(386) Holocaustum id est amoris Sacrificium sanctum in quo fidelis anima vacat ad contemplationem Dom.ini, cum in coeteris hominibus quaeratur per consilium, tunc vero a Sacerdotibus exigitur per praeceptum. – RUPERT., In Levitic., lib. 1

(387) Anima se offert Deo in Sacrificium, sicut principio suae creationis, et sicut fini suae beatificationis. – S. TH., II, II, q. LXXXV, a. 2.

(388) Sacerdos juge et continuum debet esse perfectionis Holocaustum. – Apud CORNEL. A LAPID., In Levitic., VI, 9.

(389) Ps. XV, 8; LXX, 8; C:XVIII, 62; V, 5; LIV, 18; CXVIII, 168; XXXIII, 2; Hebr., XIII, 15.

(390) Officium divinum in Ecclesia Spiritus Sanctus ordinavit… ut nosmetipsos sic assidue ad devotionem excitemus et ignem amoris Dei continue reaccendamus, sicut jussit Dominus Moysi (Levit., VI, 12). Ignis est devotionis fervor, qui semper in altare cordis debet ardere, quem Sacerdos semper subjiciendo ligna divinae laudis, debet nutrire. – S. BONAV., Opus De sex alis seraph., cap. VIII.

(391) Ps., XXXIII, 4; CXLVIII, I, II, 12, CL

(392) Meditat. 1. – Laudate Dominum, sed laudate de vobis, id est, ut non sola lingua et vox vestra laudet Deum, sed, et conscientia vestra, vita vestra, facta vestra. – S. AUG., In Ps., CXVIII.

(393) Sess. XXII, cap. I, De Reform.

VI; cfr: Lettre XLVIII.