Amore di condoglianza in Gesù

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA


CAPITOLO QUATTORDICESIMO. Amore di condoglianza in Gesù –  Ancora dello zelo della gloria di Dio e della salvezza delle anime


Ciò che dicesi dell’amor di benevolenza verso Dio, deve pur dirsi anche dell’amore di Condoglianza. Dio ha diritto ad una sua gloria esterna e ad una beatitudine accidentale. Noi gli auguriamo l’una e l’altra, e lavoriamo perché non ne rimanga mai privo. Che se la nostra volontà ottiene buona riuscita, procuriamo allora a Dio quella consolazione della quale parlano i Libri Sacri: Dominus Deus… consolabitur in nobis (2 Mac 7, 6).
Ma, in quella guisa che trova soggetto di gioia in quelli che lo servono, il Signore risente pure, per causa di coloro che lo offendono, intima e profonda tristezza. Ce lo insegna la Scrittura (Gn 6, 6). I lamenti di Dio vi si trovano frequenti, soprattutto nei libri dei Profeti. Dio è afflitto. I peccati degli uomini s’innalzano sino a Lui e feriscono il suo Cuore, mentre ne provocano la collera (Is 1, 2-24; 65, 2; Ger, 2; Rm 10, 20).
Senza dubbio, Dio rimane immutabile nella sua pace e nella sua beatitudine (129); ma il peccato che è contrario a tante adorabili perfezioni: alla verità di Dio, alla sua Santità, alla sua Sapienza, alla sua Maestà, al suo Amore, a tutti i suoi diritti di Creatore, il peccato, un disordine, un male ch’Egli respinge, condanna e odia di un odio infinito; e quest’odio, nel cuore di un padre che vede, nei suoi propri figli, gli autori di tale iniquità e di tanta ingratitudine, di un tal disordine immenso, è appunto la misteriosa afflizione, la profonda tristezza di cui parlano i Libri sacri.
 


Orbene, questa tristezza di Dio e l’abominevole peccato che ne è la causa, hanno fatto versare lagrime abbondanti a tutti i santi. «…Chi darà acqua alla mia testa, esclamava Geremia, e una fontana di lagrime ai miei occhi» (Ger 2, 19; 11, 1)? l’amor tenero e filiale rende inconsolabili i figli di Dio che rimangono fedeli. Dio sì buono, eppure non è amato! Dio così grande, e non è onorato! sì infinitamente bello, e gli uomini non lo amano, non lo lodano, non lo adorano, non lo glorificano! Dio è essenzialmente il Re, il sovrano Padrone di tutto quanto siamo e di tutto quanto possediamo, l’Arbitro assoluto della nostra vita e della nostra eternità, in realtà è «Tutto in ogni cosa» (I Cor 15, 28), eppure dagli uni è considerato e trattato come un forestiero, dagli altri come un essere fastidioso, da molti come un nemico del quale si vorrebbe disfarsi e che si ardisce perseguitare con l’oltraggio e con l’odio!… Ecco l’inconsolabile e continua afflizione dei santi! Ed ecco pure l’inesprimibile e immenso soggetto di tristezza e di dolore del Santo dei Santi. Nessun linguaggio, né in cielo, né in terra, potrebbe dire che cosa fosse la mortale agonia del Cuore dell’adorabile Vittima, alla vista d’un solo peccato mortale! E che era dunque la vista di tutti i peccati degli uomini, da Adamo sino all’Anticristo?…


Ci troviamo qui in presenza d’impenetrabili abissi di amarezza e di desolazione. Fin dal primo momento della sua vita, quando disse: «Ecco che vengo io», come sulla croce, quando pronunciò queste parole: «Dio mio! Dio mio! perché mi avete abbandonato»? nei giorni della pace così tranquilla di Nazareth, e nella gloria stessa del Tabor, come sotto i colpi delle verghe nella Flagellazione e sotto il peso doloroso della Croce, il sentimento dell’offesa al Padre fu la più crudele Passione di GESÙ. Egli poteva dire continuamente: «Gli obbrobri, dei quali siete l’oggetto, sono caduti sopra di me» (130). E con questi obbrobri che prendo sopra di me stesso, «le grandi acque della tribolazione hanno inondato l’anima mia. Sono disceso e come fissato in abissi di estrema tristezza. Sono arrivato in fondo al mare, e la tempesta mi ha sommerso» (Ps. 68, 2-3). Quanto era grande, quanto era santo, elevato, immenso e senza limiti, nel Verbo incarnato, Sacerdote e Ostia del Padre, l’amore di Condoglianza verso questo diletto Padre, per la sua santità, la sua Maestà, la sua Bellezza, il suo Dominio universale, i suoi diritti e l’amore che porta agli uomini, sue creature! Quanto era sublime, meravigliosamente ammirabile, agli occhi stessi del Padre, quella amorosa tristezza del Figlio suo! Quale onore magnifico per la sua Grandezza offesa, e quale consolazione per il suo Cuore ferito, quella tristezza interiore «del Figlio del suo amore»!… Come, in GESÙ, tutto è bello e delizioso!

    Orbene, quel sentimento così doloroso e amaro, capace di farlo morire ad ogni istante, non operava, nel suo Cuore così amante e così tenero di Vittima del Padre, una afflizione sterile. Quella offesa e quella iniquità erano un male di cui Egli voleva, ad ogni costo, fare riparazione; Egli voleva assolutamente espiare quegli insulti e quegli oltraggi fatti a Dio; e con la sua espiazione farli dimenticare; voleva, con immenso ardore, risarcire quella diminuzione dell’onore e della gloria esteriore di Dio. Era divorato e consumato dal desiderio di coprire tanta ingratitudine con tutto il suo amore, con tutte le sue adorazioni, le sue soddisfazioni e la gloriosa sovrabbondanza della sua perfetta Religione. Voleva con la magnificenza e lo splendore della sua divina lode coprire l’orribile clamore delle iniquità che dalla terra saliva al Cielo. Egli s’interponeva, per così dire, «presentandosi solo davanti alla faccia del Padre suo» (Eb.9, 24); come per fermare, se era possibile, l’audace ribellione delle creature innalzante si sino a Dio onde disonorarlo; e d’altra parte ancora, perché questo Dio infinitamente santo e degno di ogni gloria, non vedendo, in certo modo, che l’umiltà e l’amore del Figlio suo non iscorgesse punto le detestabili disposizioni degli uomini. Di qui quell’ammirabile e pia esclamazione di Bossuet: «Ch’io sia tutto coperto di queI sangue (di GESÙ)! che il vermiglio di quel Sangue prezioso e bello impedisca ai miei delitti di comparire davanti alla Giustizia divina» (I Sermon pour le Vendredi saint).


    In tal modo, nella nostra dolce Vittima, l’amore di Condoglianza verso il Padre suo e l’amore di Compassione per le anime nostre formavano uno stesso amore. E perché, nei disegni del Padre) i peccati degli uomini non potevano semplicemente essere coperti e dimenticati, ma dovevano per necessità essere interamente e universalmente espiati, l’amore di Condoglianza e l’amore di Compassione fecero di GESÙ una Vittima di espiazione: «senza dolore non si vive nell’amore» (Gv 1, 29). Ed Egli, davanti alla faccia del Padre, prese sopra di sé tutti i nostri peccati e si presentò davanti a quel Padre misericordioso, come se fosse l’unico colpevole. E perché solo era degno di essere la Vittima del Padre, solo santo al punto d’essere a Lui gradito, solo capace di riparare l’offesa fatta alla sua divina Maestà e di prestar soddisfazione al suo cuore ferito, Egli si caricò del peso spaventoso di tutte le iniquità del mondo, e lo portò per trentatré anni; alla fine sembrò soccombere come se un tal carico orribile fosse intollerabile persino alla sua divina Potenza. Nell’Orto degli ulivi e sul Calvario, quel peso era come uno strettoia che dalle sue vene e dalle ferite del suo corpo tutto piagato, faceva uscire tutto il suo sangue; e in questo sangue, come in un nuovo diluvio, diluvio non d’ira ma d’amore, «tutti i nostri peccati furono lavati» (Ap 1, 5), annegati, sommersi e «tolti per sempre dagli occhi del Padre» (De Imitat. Christi, lib. III, cap. V).


    In tal modo, l’amore di Condoglianza e l’amore di Compassione facevano di GESÙ una Vittima d’espiazione per i peccatori. Oh! quanto è bello questo doppio amore, o piuttosto questo unico amore! Per il cuore che ne è infiammato e consumato, Dio è tutto; e perché la gioia, la consolazione, e il beneplacito di Dio stanno in questo che Egli sia onorato dalle anime, tutto quanto vi è in queste che non offre al Cuore di Dio tale gioia e tale consolazione, diventa l’oggetto d’uno zelo inestinguibile: preghiere, travagli d’ogni sorta, martificaziani, sacrifici, tutto è posto in opera. Nessuna pena, né interiore né esterna, è paragonabile al cruccio che prova un’anima apostolica al pensiero che Dio è offeso, che tale offesa non è riparata, e che perciò le anime, con la loro rovina, diventano il supremo e immenso dolore del Cuore di Dio.
    Tale era lo spirito e la vita stessa della nostra Vittima adorabile.


NOTE
(129) Cfr.: TERTULL., ad Marcionem, II. Amas, nec aestuas, zelas, et securus es; poenitet te, et non doles; irasceris et tranquillus es. S. AUG., Confess., lib. I, cap. IV.

(130) Ps. LXVIII, 10; Rom., XV, 3. Opprobria et peccata contra te, o Deus, facta, ita me Christum afflixerunt ac si in me facta essent: adeoque pro eis indolui et me humiliavi, ut susciperem ea in me punienda et eluenda in carne mea. CORN. a LAP., in illud Rom.