Il sacrificio del corpo mistico di Gesù

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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CAPITOLO VENTITREESIMO. Il sacrificio del corpo mistico di Gesù

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     È dottrina commovente quella che ci viene insegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione dei Padri, sopra la unione di GESÙ CRISTO e della sua Chiesa. Essa ci mostra la Chiesa come la Sposa, la Prediletta, l’Unica di GESÙ. Per essa, per suo amore, per liberarla, conquistarla, dotarla, arricchirla e unirla indissolubilmente a se stesso, Egli è venuto al mondo, ha pregato, faticato, sofferto e si è abbandonato alla morte. «CRISTO ha amato la Chiesa, dice san Paolo, e ha dato se stesso per lei» (Ef 5, 25). Fin dall’antico Testamento, Egli faceva annunziare un tale amore così tenero, generoso e forte (189). Il Verbo divino non aveva in vista che la sua Chiesa; ne portava in tutti i suoi misteri il santo amore. E questo amore era così potente, ch’Egli non ha dubitato di sacrificare il corpo naturale, che aveva assunto nel seno di Maria, per «conquistare» (1 Pt 2, 9) e dare a se stesso questa Chiesa sì cara, che è il suo Corpo mistico. Ed Egli vi è riuscito; il Calvario fu il luogo scelto per tale divina conquista e perfetta alleanza (190). GESÙ la sposò nelle angosce della morte, sulla Croce. Da quel momento essa si trovò legata a tutti gli stati di Lui.

     «In GESÙ CRISTO, dice san Leone, la Chiesa morì, poi fu seppellita, e infine risuscitò» (191). Queste parole non sono che una traduzione del testo di san Paolo: «Noi siamo morti con GESÙ CRISTO, e ci ha fatto sedere con Lui in Cielo» (Rm 6, 4-8; Ef 2, 6). «L’Umanità di Cristo è la Chiesa intera. La Chiesa domina e regna in GESÙ CRISTO dopo che è stato crocefisso; sul Calvario venne consacrata per il regno dei cieli» (192). È sempre l’unità: l’unità è il carattere, il frutto di quella alleanza tra il Verbo e la Chiesa. Il Capo, che è GESÙ CRISTO, e il Corpo, sono una cosa sola; lo Sposo, che è il Verbo, fatto carne, e la Sposa, che è la Chiesa, sono una cosa sola.

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     Non sarebbe facile citare tutti i passi di sant’Agostino nei quali viene insegnata questa dottrina. Egli dice: «Et sponsum se fecit Christus et spansam se fecit; quia non duo, sed una caro: quia Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. Illi carni adjungitur Ecclesia, et fit Christus totus, et caput et corpus (193). Unus est Christus, qui descendit et ascendit. Descendit caput; ascendit cum corpore. Solus ergo ascendit; sedet nos cum illo sumus; et nobiscum solus est, et ideo unus, et semper unus (In Psal. CXXII). Christus ut saepe commemoravi charitati vestrae, et caput, et corpus est (194). Quod nos saepe iterare non piget. Dominus noster Iesus Christus tamquam totus perfectus vir, et caput et corpus est totus (In Psalm. XC). Concluderemo, sempre col santo Dottore: Quae (Ecclesia), cum ipsius capitis, corpus sit, seipsam per ipsum discit offerre» (195). Essa impara ad offrire se medesima; lo impara dall’esempio dello Sposo, suo Sacerdote e sua Vittima, Vittima che si offre sempre e sempre viene offerta; ma lo impara ancora perché sa che, nel Sacrificio medesimo in cui lo Sposo offre se stesso, anch’essa viene pure offerta in Lui e da Lui. Ascoltiamo ancora il medesimo santo Dottore:
    «L’intera città redenta, vale a dire, l’assemblea e società dei Santi, è un Sacrificio universale. Questo Sacrificio viene offerto a Dio dal Sommo Sacerdote GESÙ CRISTO, il quale, nella sua Passione, si è Egli stesso immolato, affinché diventassimo il suo corpo mistico, il corpo di un Capo sì augusto. Dapprima si è rivestito della forma di servo, ed è questa forma che si è offerto; perché soltanto in tale stato di servo Egli è il Mediatore, il Sacerdote, il Sacrificio. Perciò, san Paolo dopo averci raccomandato di fare dei nostri corpi un’Ostia vivente, santa e a Dio gradita, vivendo santamente e offrendo così a Dio un perfetto Sacrificio di noi medesimi, soggiunge: Come in un corpo solo noi abbiamo molte membra, così, pur essendo molti, non formiamo che un sol corpo in GESÙ CRISTO (Rm 12, 3-6). Ecco il vero Sacrificio dei cristiani: non fare che un sol Corpo in GESÙ CRISTO. È questo, infatti, ciò che la Chiesa frequentemente sperimenta, nel Sacramento dell’Altare conosciuto dai fedeli. Perché è evidente ai suoi occhi che, nella medesima oblazione che fa a Dio (l’oblazione del corpo e del sangue di GESÙ CRISTO), essa pure viene offerta e immolata» (196).

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      Parole magnifiche, che ci rivelano un Mistero commoventissimo: GESÙ offre se medesimo e attira la sua Chiesa nelle fiamme del suo olocausto, l’abbraccia come sua diletta Sposa, la unisce a sé e l’offre al Padre suo; e la Chiesa, mille volte felice di una tale fortuna, si dà, si abbandona allo Sposo immortale; si perde, per così dire, in Lui, nella unità, per fare con Lui un solo e medesimo Sacrificio, consumata nei medesimi ardori dell’infinita carità, che è lo Spirito Santo; e si eleva verso il Padre, onde esserne, come GESÙ, la gloria, la soddisfazione e la compiacenza!
    Un rito particolare che. ci rivela più sensibilmente l’unione della Chiesa al Sacrificio, è quello della infusione di un po’ d’acqua nel vino prima dell’offertorio; rito che Thomassin e, san Cesario credono istituita dagli Apostoli o da GESÙ CRISTO medesimo. Il vino è materia necessaria e sufficiente del Sacrificio; perché adunque questa mescolanza e questa aggiunta di qualche goccia d’acqua? I santi Padri così han dato risposta a tale domanda: «Aquas namque populos significare, dice san Cipriano, in Apocalypsi Scriptura divina declarat, dicens: Aquae quasi vidisti… populi et turbae et gentes ethnicorum sunt et linguae (Ap 17, 15). Quod scilicet perspicimus et in sacramento calicis contineri… Videmus in aqua populum intelligi, in vino vero intelligi sanguinem Christi. In sanctificando calice Domini, offerri aqua sola non potest, quomodo nec vinum: solum potest. Nam si vinum tantum quis offerat, sanguis Christi incipit esse sine nobis; si vera aqua sit sola, plebs incipit esse sine Christo. Quando autem utrumque miscetur et, adunatione. confusa, sibi invicem copulatur, tunc sacramentum spiritale et coeleste perficitur» (197)

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     Non si poteva esprimere in termini più formali l’unione di GESÙ CRISTO e della Chiesa nel Sacrificio eucaristico. Senza una tale unione, il mistero rimane incompleto, anzi è impossibile: o CRISTO rimane solo come se la testa potesse essere separata dalle membra, ovvero la Chiesa è separata da CRISTO, ciò che sarebbe la sua rovina e la sua morte. Ma di queste due cose, né l’una né l’altra, è possibile. Epperò l’oblazione e il Sacrificio, di GESÙ CRISTO sono congiuntamente e indispensabilmente l’Oblazione e il Sacrificio della Chiesa.
    «Quando utrumque miscetur, et conjungitur, dice Pascasio Radberto, tunc recte mysterium Ecclesiae spiritaliter perficitur. Nulli enim liquores sic se couniunt quomodo vinum et aqua: profecto quia illud ex aqua per vitem, sicut Christus ex carne per Mariam nascitur» (198).
     La cerimonia con la quale il Sacerdote, dopo l’offertorio, stende le mani sul pane e il vino; la presentazione pure di questo pane e di questo vino da parte del popolo secondo l’antica usanza della Chiesa, hanno lo stesso significato. Bossuet ha mirabilmente espresso la verità che si contiene in questi riti liturgici.
     «Sull’esempio di GESÙ CRISTO, che è stato tutt’assieme il Sacrificatore e la Vittima, il Sacerdote offre se stesso con la sua oblazione: è questo il significato di quella cerimonia per la quale si stendono le mani sopra i doni sacri, come si fa un po’ prima della consacrazione. Nella Legge antica, si metteva la mano sulla Vittima, per indicare che si voleva unirsi ad essa, e con essa dedicarsi a Dio. Il Sacerdote esprime lo stesso pensiero, mettendo le mani sopra i doni che intende consacrare.
     «Tutto il popolo entra nei sentimenti del Sacerdote, che opera in nome suo; e quindi il Sacerdote dice, in nome di tutti: «Vi preghiamo, o Signore, di accogliere questa oblazione della nostra sudditanza e di tutta la vostra famiglia»;  parole che ci insegnano che dobbiamo offrire col Sacerdote non soltanto i doni presentati, ma pure noi medesimi con questi doni.
     «La Chiesa spiega ancora questa oblazione con altre parole: «Vi preghiamo, o Signore, perché, ricevendo questa oblazione spirituale, ci facciate diventar noi pure un dono eterno che possa esservi offerto: «nosmetipsos tibi perfice munus aeternum».
     «Anticamente ognuno apportava la sua oblazione, vale a dire, il suo pane e il suo vino, perché venissero offerti sull’altare; e questa cerimonia conferma la suddetta verità. «È vero che offrire a Dio il pane e il vino, che sono l’alimento della nostra vita, è già offrire la nostra vita a Dio, come cosa che da Lui si riceve e che gli si vuol rendere; ma inoltre, i santi Padri han notato che il pane e il vino sono un composto di vari granelli di frumento riuniti e di vari grappoli d’uva ridotti in un sol liquore; ed hanno considerato questo composto come una figura dei fedeli ridotti  tutti in un sol corpo, per offrirsi a Dio in unità di spirito: ciò che ha indotto sant’Agostino a dire che l’intera città redenta è il Sacrificio della Trinità santa.
    «Portando così il proprio pane e il proprio vino, ognuno coi propri doni, apportava pure i propri desideri e bisogni particolari, perché fossero offerti a Dio insieme con quei doni; e la Chiesa accompagnava l’oblazione con questa preghiera: «Ascoltate propizio, o Signore, le nostre preghiere, e accogliete con occhio favorevole queste offerte; affinché ciò che ognuno vi ha offerto in onore del vostro nome, sia giovevole alla salvezza di tutti. Per GESÙ CRISTO Nostro Signore!
    «Benché ora non vi sia più l’usanza di fare ognuno in particolare la propria offerta, la sostanza di tale cerimonia è immutabile; e dobbiamo intendere che il Sacrificio, in fatto, da tutti i fedeli deve essere offerto sull’altare, poiché il Sacerdote, all’altare, opera sempre in nome di tutti.
    «Ma dopo che i doni sono consacrati, e che si offre realmente a Dio il corpo del Salvatore, allora vi è una nuova ragione di offrirgli in altro modo la Chiesa che è il corpo di GESÙ e i fedeli che ne sono le membra. Dal corpo naturale del nostro Salvatore deriva un’impressione di unità, per radunare e ridurre ad uno tutto il corpo mistico; e si dà al mistero del corpo di GESÙ CRISTO il suo compimento quando si forma l’unione di tutti i suoi membri perché si offrano in Lui e con Lui» (199).

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    Dopo i riti, le preghiere liturgiche. Due soprattutto sono da notarsi e si recitano dopo la Consacrazione: Supra quae propitio ac sereno vultu respicere digneris, et accepta habere etc. Fatta la Consacrazione, GESÙ CRISTO medesimo è l’oblazione, il sacrificio; in qual modo adunque può farsi questa supplicazione? Come mai la Vittima divina potrebbe non essere guardata dal Padre «con un volto propizio e sereno?». E come si può mettere a confronto un tal Sacrificio con quello di Abele, di Abramo e di Melchisedec, come si fa in quella preghiera?
    L’altra preghiera non è meno sorprendente: «Supplices sancti Angeli tui, in sublime altare tuum, in conspectu divinae te rogamus, omnipotens Deus; jube haec perferri, per manus Majestatis tuae…». Come mai si invoca l’intervento di un Angelo? Forse che sarebbe necessario un Mediatore tra la Vittima divina offerta e Dio cui viene offerta, perché gli sia gradita? Noi, infatti, siamo d’avviso che quest’Angelo non sia GESÙ medesimo, ma quello di cui parla san Giovanni nel capo VIII dell’Apocalisse, al quale è affidata l’offerta delle suppliche dei santi (200).

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    Queste due preghiere sono inesplicabili, se si dimentica che, secondo il pensiero di sant’Agostino, nell’Oblazione medesima che la Chiesa fa a Dio, la Chiesa stessa viene pure offerta. In ea re quam offert, et ipsa offertur. Essa viene offerta; e «lo sa», dice il santo Dottore; sa l’onore che così le vien fatto. Non dimentica che questo onore non le era dovuto. E ora ancora dopo tante grazie ricevute dallo Sposo divino, riconosce che se questi davanti a Dio è una Vittima perfetta e necessariamente gradita al Padre; essa invece è veramente peccatrice, nella persona di tanti suoi figli che sono peccatori. È questo un grande argomento di confusione che per mezzo del suo Sacerdote, la Chiesa dimostra quasi incessantemente nel corso della Messa: fin dal principio, nel Confiteor; poi nel Kyrie; indi nel Gloria; in un gran numero di orazioni; nel momento medesimo della Consacrazione quando domanda a Dio di essere liberata dalla «morte eterna»; e ancora dopo la Consacrazione, al Domine non sum dignus. Tale carattere della Liturgia ci fa grande impressione. La Chiesa sa di aver bisogno di tutta l’indulgenza e di tutta la misericordia di Dio, eppure si trova sull’altare, insieme al suo sposo, la Vittima santa. Che farà dunque essa? Con istanti preghiere, domanderà di venire ammessa all’unione perfetta con tale divina Vittima sempre gradita al Padre, come gli furono gradite le oblazioni di Abele, di Abramo, di Melchisedec, che il Signore, infatti, accettava, a motivo della loro unione col Sacrificio di GESÙ CRISTO.

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    Lo stesso è da dirsi dell’altra preghiera: Supplices te rogamus. Sant’Odone di Cambrai, spiegando queste parole dice: «L’Ostia deve essere portata sull’altare sublime di Dio. Noi domandiamo che la nostra oblazione e il sacrificio che facciamo di noi medesimi siano congiunti al Verbo, uniti al Verbo, e diventino, in certo qual modo, Dio stesso; perché mediante questo divino Sacrificio, noi vogliamo essere ricevuti e come assorbiti in Dio» (201).
     Ecco dunque la Chiesa Vittima unita con GESÙ CRISTO, nella perfettissima unità del suo Sacrificio: «CRISTO, dice sant’Agostino, rimane uno col Padre cui viene offerto il Sacrificio; CRISTO che offre è uno, così CRISTO offerto è pure uno» (202). La Chiesa del cielo è una Vittima che ha raggiunto l’ultima perfezione della santità. La Chiesa della terra, invece, tende ancora a tale ultima perfezione sublime. Perciò, vuole incessantemente tuffarsi nelle fiamme del Sacrificio, onde sia perfetta la sua purificazione; vi invita tutti i suoi figli; vi attira persino quelli che han già lasciato 1’esilio e sono condannati alle espiazioni del Purgatorio; chiede con lagrime che quelle anime sofferenti ricevano i santi effetti di queste Oblazioni del tempo e presto siano partecipi del gaudio del Sacrificio eterno. Prega pure con viva sollecitudine per tante altre anime che sono chiamate, come i figli un’Ostia, come non vi sarà più che «un solo ovile e un solo corpo» (1 Cor 10, 17) con se medesima, ma ne rimangono separati: gli scismatici, gli eretici, gli empi, gli infedeli. Con quale ardore sospira quel giorno annunciato dallo Sposo, quel giorno benedetto, in cui non vi sarà più che un altare, un Sacrificio, un’Ostia, come non vi sarà più che «un solo ovile e un solo pastore» (Gv 10, 16), quando «tutti fedeli, secondo un detto di sant’Agostino, saranno le membra di un solo Sacerdote» (203)! Perciò non cessa di ripetere in suo nome e in nome di tutti: «Nosmetipsos perfice munus aeternum (204). Di tutte le anime, o CRISTO, che vi siete degnato di redimere, fate una sola Ostia con Voi, un’Ostia eterna». Che tutte abbiano parte quaggiù al vostro Sacrificio, il quale è l’unico bene della vita presente, e che partecipino un giorno al Sacrificio dell’Eternità, che sarà la perpetuità della beatitudine. «Il Sacrificio del tempo, dice un antico Padre, è già la perfezione della beatitudine, a motivo del cibo che vi riceviamo; ma quello del cielo sarà la perpetuità di questa medesima beatitudine, perché lo stesso pane di cui viviamo ora, sarà quel medesimo che ci sazierà nell’eternità» (205).

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NOTE
(189) Christi cum Ecclesia conjunctionis, in conjugali amore sancto illo, castoque ac divinitus instituto, vivam expressit imaginem (Rex Salomon in canticis)… Per omnia Scripturae volumina, haec imago diffusa est; neque quidquam frequentius quam sponsi et sponsae nomine, Dei et Ecclesia aeternam conjunctionem, amorem vehementissimum… passim denotari. – BOSSUET, Praefatio in Cant. cantic.

(190) Ecclesia in Illo patiebatur, quando pro Ecclesia patiebatur. Sicut etiam in Ecclesia patiebatur ipse, quando pro Illo Ecclesia patiebatur. ­ S. AUG., Epist. CXL, cap. VI.

(191) Sermo LXIII, De Passione.

(192) S. ATHAN.. De Incarn. Verbi Dei.

(193) In Epist. Joannis, tract. I.

(194) In Psalm. LIX. – Verbum et caro non utrumque unum. Pater ct Verbum utrumque unum, Christus et Ecclesia utrumque unus, unus quidem vir in forma plenitudinis suae. In Psalm., CXLII. – Queste ultime parole ricordano quelle di s. Paolo: Ecclesiam quae est… plenitudo ejus. – Ephes., I, 23.
 
(195) (De civitate Dei, lib. X, cap. XX.

(196) De civitate Dei, lib. X, cap. VI. – In altari concorporalis et consacramentalis fit Christo Ecclesia. ALGER., De Sacram, corp. et sang. Dom., III.

(197) Epist. LXIII, ad Caecilium, De sacram. Domin. Calicis. – Il santo Vescovo osserva che l’acqua è pure necessaria alla confezione del pane: Nec corpus Domini potest esse farina sola, aut aqua sola, nisi utrumque adunatum fuerit et copulatum.

(198) De Corpore et Sanguine Domini, cap. XI, n. 2. – S. Tommaso poi dice espressamente: Sanguini admiscetur aqua, quae significat populum. – II, q. LXXXII, art. 3. Tuttavia, non intendiamo escludere un’altra interpretazione formulata nel Breviario Romano: Is, (S. Alexander, papa) vinum aqua misceri jussit, propter sanguinem et aquam quae ex Jesu Christi latere profluxerunt. – III Maii, IX lectio. Il santo Concilio di Trento conferma le due interpretazioni. Sess. XXII, Der sacro Missae, cap. VII.

(199) Eplication de quelques difficultés, etc. – La Chiesa offre se medesima.     

(200) Et alius Angelus venit, etc. – Apoc., VIII, 13. E’ questo pure il sentimento di Innocenzo III, De Mysterio Christi. Bossuet, ad, un nuovo cattolico, dice: «I vostri antichi ministri, che tutto eludono, persino i passi più chiari, vogliono che l’Angelo che presenta a Dio le preghiere dei Santi sia GESÙ CRISTO medesimo… Ma evidentemente, così si confonde tutto». Explication, etc.
  
(201) Verbum Dei sublime altare est… Hostiam ego perferri in sublime altare, in conspectu Dei, quid est? nisi oblationem nostram conjungi Verbo, fieri Deum, et per eam nos in Deum assumi. – In exposit. Can., Dist. III.

(202) Unum cum illo manet cui offert Sacrifidum, et unum in se facit pro quibus offert, et unus ipse est qui offert et quod offert. – De Trinit., lib. IV.
 
(203) Quoniam membra sunt (fideles) unius sacerdotis. – De Civitate Dei, lib. XX, cap. X.

(204) In festo SS. Trinitatis.

(205) Quia ipse est panis qui de caelo descendit, petimm et precamur ut ipsum panem quo quotidie, id est jugiter, sumus in aeternitate victuri hodie, id est in praesenti vita, de convivio altaris sancti ad virtutem corporis mentisque capiamus… Perfectae ergo beatitudinis est iste panis; hodie, hoc est in praesenti, illius panis jam vivere incipimus, cujus perpetuitate, quod est quotidie, saginabimur in futurum. S. PETR. CHYSOLOG., In Oration. Dominic.