Lo studio e la lettura spirituale

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SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO TREDICESIMO. Per la conoscenza di Gesù Cristo ­ Lo studio e la lettura spirituale

 

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Il Sacerdote che ogni mattina gode l'ineffabile delizia di celebrare la santa Messa, quale parola può aver sulle labbra e nel cuore, se non quella di san Paolo: Mihi vivere Christus est. Vivo jam non ego, vivit in me Christus? (Fil 1, 21; Gal 2, 20). Mistero sublime, di cui la lingua umana non può esprimere la meravigliosa bellezza! La vita di GESÙ CRISTO è nel suo Sacerdote. Ma la vita, di sua natura, è invadente. Quale sarà dunque la perfezione di questa vita divina sempre crescente nell'umile Sacerdote, via via che si succedono le sante Messe e che la Carne e il Sangue viventi del Figlio di Dio, si diffondono, in quell'anima privilegiata, con maggior potenza amorosa e maggior amore potente!…

Per confermare e dilatare sempre più in se medesimo una tal vita di amore, col concorso della propria volontà fedele e generosa, il Sacerdote ha l'ambizione di conoscere sempre più perfettamente il suo Diletto, di contemplarne con amore sempre crescente i misteri e le amabilità, e così giungere ad imitarne sempre con maggior verità e realtà gli stati, le disposizioni e la vita. Conoscenza, contemplazione e imitazione, sono questi i mezzi voluti da Dio per arrivare alla unione perfetta con la nostra adorabile Ostia.

La conoscenza di Nostro Signore si acquista con lo studio e la lettura spirituale; la contemplazione si fa nell'orazione mentale; l'imitazione si effettua con quell'applicazione intera ed abituale dell'anima a GESÙ CRISTO, e questa non è altro che la vita d'unione con Lui. A questa vita lo studio, lavoro dell'intelletto, prepara la via; la lettura spirituale, cui prendono parte l'intelletto e il cuore, forma un principio di unione con Colui del quale lo studio ci ha rivelato la bellezza; l'orazione mentale conferma l'opera della lettura spirituale, muovendo soprattutto il cuore all'amore del Diletto; l'imitazione compie l'unione, per quanto è possibile quaggiù. Lo studio forma il teologo; la lettura spirituale e l'orazione fanno l'uomo interiore; e l'imitazione fa il santo, l'uomo perfetto, il Sacerdote che veramente vive secondo la grazia eminente della propria vocazione.

Parliamo dapprima dello studio. – Che il Sacerdote debba studiare GESÙ CRISTO, è cosa evidente; egli deve amare GESÙ CRISTO con amore intenso; ma, come dice sant'Agostino: Non diligitur quod ignoratur (In Joann. Evangel.). Il Sacerdote, quindi, deve conoscere tutto quanto si può sapere riguardo ai Misteri di GESÙ CRISTO; è questo il suo vero tesoro intellettuale e spirituale, la sua vera vita. Era la grande scienza di san Paolo (553); quella scienza che «forma tutta la nostra gloria», come diceva Geremia (554), anzi è la vita eterna, secondo la parola del Maestro (Gv 17, 3).

La conoscenza di GESÙ CRISTO! Qual soggetto di studio, immenso, sublime, attraente, delizioso! Il Verbo incarnato, la sua natura divina, la sua umanità e l'unione ipostatica; ­ la scienza, la santità, la libertà in GESÙ CRISTO, le sue relazioni col Padre, e con le anime; il suo posto nell'universo, nella storia, nella vita dei popoli e di ciascun uomo; – il suo Sacerdozio con la sua universalità, perpetuità ed efficacia; – la sua Regalità, i diritti della sua sovranità; – la sua storia prima della sua venuta; – l'Opera sua; la sua vita storica, la sua vita interiore destinata ad essere comunicata alle anime redente; – la sua Grazia, i suoi Misteri nel loro senso intimo e nel loro compimento in ciascuno di noi; – la sua vita in Cielo, nella santa Eucaristia e nella Chiesa; l'opera sua immediata e quella che Egli compie mediante la Chiesa; – il suo potere Giudiziario sopra ciascuna delle umane esistenze e sopra l'intero genere umano; – il modo con cui Egli è, in tutta l’opera di Dio, «l'alpha e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine», Colui «nel quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, e che è tutto in ogni cosa» (555). Quanti e quali argomenti! Qual campo di studio, immenso e glorioso! Aveva ben ragione Tertulliano: Nobis curiositate opus non est, post Jesum Christum! (De Praescriptione).

 

Origene diceva che il cuore del cristiano deve essere come «un'arca santa e una mistica biblioteca tutta; piena della scienza del Verbo eterno» (556). Ma questo è vero principalmente del cuore del Sacerdote. Potessimo sempre essere occupati nello studio d'una tal scienza che, «incominciata quaggiù, dice san Gerolamo, si perpetuerà nell'Eternità!» (Epist. LIII). Avessimo il tempo e l'opportunità di acquistare ad ogni istante qualche lume di più sulla sovrana Bellezza e la sovrana Bontà di Colui, «nel quale sono racchiusi tutti i tesori della sapienza «e della scienza di Dio!» (Col 1, 19; 2, 3). È vero che vi sono tanti doveri, e tante distrazioni inevitabili; ma è pur vero che si perde molto tempo in cose e studi inutili o almeno di poco vantaggio per la nostra santa vocazione. Il Sacerdote si dedichi con grande amore e con zelo ardente alle opere del santo ministero; ma sempre col dolore di non potersi deliziare nello studio del Verbo divino che è l'alimento dell'anima sua; e, appena lo può, cerchi in questo studio il suo conforto e la sua felicità (557).

«Nello studio del Cristianesimo, dice l'ammirabile Padre de Condren, la scienza principale deve essere GESÙ CRISTO. Vorrei che fossimo tutti santi abbastanza per non desiderare altra scienza che Lui; l'Apostolo san Paolo intendeva che le scienze di questo mondo non sussistono davanti al Giudizio di Dio e che non v'è nulla di solido fuorché GESÙ CRISTO e ciò che da Lui è derivato. Le scienze formate dagli uomini periranno con gli uomini. La lingua greca e la lingua latina, come tutte le altre, sono nate dalla confusione di Babele; nate dal peccato, verranno da Dio abolite insieme col peccato. Persino la contemplazione delle opere di Dio venne dal Savio riconosciuta come vanità e afflizione «di spirito, quando Dio si compiacque di illuminarlo (Eccli 1, 5-14). «Se fossimo animati dal medesimo spirito di sapienza divina, noi la penseremmo come lui. Noi viviamo alla scuola di Dio, e vi riceviamo GESÙ CRISTO, il quale è la vera sapienza e tutta l'occupazione e la compiacenza dello Spirito di Dio. Perciò ogni altra conoscenza deve essere per noi fastidio e afflizione di spirito» (558). Facciamo tesoro di queste sante parole e applichiamoci con ardore a quello studio che, deve essere il principale nella nostra vocazione.

Dobbiamo dedicarci allo studio di GESÙ con umiltà e amore; con umiltà perché GESÙ è l'umiltà medesima; con amore perché il nostro fine sta nel perfetto amore e nell’unione con questo «Dio del nostro cuore» (Ps. 82, 26).

Dapprima con umiltà. – Come mai l'orgoglio e la vanità potrebbero trovare qualche alimento nello studio dei misteri di Colui «che si è fatto uomo per annientarsi?» (Fil 2, 6-8). Ma pur troppo, «scientia inflat», ha detto l'Apostolo (1 Cor 8, 1). Giovanni Gersone ha espresso questo giudizio: «Gli ignoranti, idiotae, con l'esercizio delle virtù teologali giungono alla Teologia mistica più facilmente e più presto di coloro che sono istruiti nella Teologia scolastica, perché: Sunt humiliores» (559). È lezione da ritenersi. Dire che la scienza teologica, per sé stessa, porta alla superbia ed è ostacolo ai doni soprannaturali; sarebbe errore condannato dalla Chiesa (560). San Tommaso ci insegna che la scienza può diventare, per lo studioso, occasione di amor proprio; ma, se la si cerca con perfetta sottomissione a Dio, essa aumenta la divozione. Adde ergo scientiae charitatem, dice sant'Agostino, et utilis erit scientia, non per se, sed per charitatem (In Joann. Vang.).

Inoltre con amore. – Il nostro fine è di amare sempre più perfettamente GESÙ CRISTO; e allora, più lo conosciamo, più desideriamo di conoscerlo, anzi l'amore ha una grande potenza di intuizione; così conoscenza e amore si accrescono a vicenda e si verifica la parola di san Paolo: «Nos vero… gloriam Domini speculantes, transformamur a claritate in claritatem (2 Cor 3, 18). Amor, dice Riccardo di S. Vittore, oculos est, et amare videre est (561); così pure san Gregorio: Amor ipse notitia est (562). Anche i demoni conoscono GESÙ CRISTO, e meglio di noi; ma la «conoscenza che ne hanno è la loro condanna», come dice Bossuet, perché lo conoscono senza amore. «Se alcuno invece, dice sant'Agostino, cerca la verità con amore, vi troverà il suo profitto e si sentirà animato a cercarla sempre più. Tam magnum bonum, et quaeritur ut inveniatur dulcius, et invenitur ut quaeratur avidius» (563).

Le principali fonti della conoscenza di GESÙ CRISTO sono: la sacra Scrittura, i Padri e i Teologi. I. La sacra Scrittura. – Essa è piena di GESÙ CRISTO; anzi GESÙ CRISTO vi si trova vivente. Abbiamo visto che Origene esigeva per la sacra Scrittura il medesimo rispetto dovuto al Corpo di GESÙ CRISTO. Il Vangelo, che ci rivela la vita esterna e intima di GESÙ, non è semplicemente un libro storico; tutto vi è «spirito e vita» (Gv 6, 64). Così di tutto il Nuovo Testamento non solo, ma pure anche del Vecchio Testamento. Anche questo in ogni pagina e in ogni parola contiene GESÙ CRISTO presente e vivente; è questo il pensiero dei Padri. «Prima di venire al mondo, GESÙ CRISTO già esisteva nella sacra Scrittura. Antequam carnem ejus peperit (Maria), peperit ore prophetarum beata Sion unum eumdemque Christum (564). ***** legimus Scripturam, carnem Chisti manducamus» (565). Con questo spirito bisogna cercare GESÙ CRISTO in tutti i libri della sacra Scrittura, perché si riferisce tutta a Lui; ed è una grazia che bisogna domandare con insistenza. «Per ottenerla, dice Origene, bisognerebbe, come san Giovanni, aver riposato sul petto di GESÙ e come lui aver ricevuto Maria per madre» (566).

Se noi trascuriamo la sacra Scrittura, non riconosciamo né apprezziamo il tesoro di vita soprannaturale che abbiamo nelle mani; non solo ci priviamo di grandi consolazioni, ma ancora andiamo in pericolo di perdere la grazia intima del nostro Sacerdozio. Lo studio del Vangelo e delle Epistole di san Paolo deve essere particolarmente dolce per il nostro spirito e per il nostro cuore, e questo in ogni giorno della nostra vita. S. Agostino, il quale chiamava la Scrittura il Cuore di GESÙ CRISTO – Cor ipsius, Scriptura ipsius (567), appena ordinato Sacerdote, domandò al Vescovo Valerio il permesso di ritirarsi per un po’ di tempo nella solitudine per lo studio dei Libri sacri.

II. Gli scritti dei Padri. – Si potrebbe dire che questa fonte non differisce dalla precedente, perché i Padri si sono quasi totalmente ispirati alla Scrittura. «Signore, diceva sant'Agostino, fatemi conoscere i segreti che non invano avete racchiusi nelle pagine sacre delle vostre Scritture!… Non disprezzate questo filo d'erba che ha sete della vostra rugiada; ch'io mi abbeveri alle vostre acque salutari, dal principio delle vostre Scritture dove appare la creazione del cielo e della terra, sino alla fine dove si vede il compimento perfetto del regno perpetuo della vostra santa Città!» (568). Tutti i Padri hanno goduto di quelle acque salutari ed hanno dato a noi «della pienezza di ciò che avevano bevuto» (569). Perciò, «chiunque vuol diventare abile teologo o sicuro interprete, legga e rilegga i Padri; in un solo dei loro libri egli troverà spesso maggior sostanza e maggior copia del genuino e primiero sugo del Cristianesimo, che in molti volumi dei moderni… Sovente, ciò che naturalmente emana dalla loro pienezza è più nutriente di quanto è stato meditato dopo». Così diceva Bossuet (570), e ciò è forse meno vero ai nostri tempi?… Sarebbe da desiderarsi che il Sacerdote potesse prendere contatto diretto con tante preziose pagine dei Padri; purtroppo gli mancheranno bene spesso il tempo e i libri. Procuri almeno di raccogliere, con attenzione e venerazione particolare, quelle briciole che potrà trovarne nelle sue letture (571).

III. I Teologi. – La Teologia dogmatica, fondata essenzialmente sulla Scrittura e su la Tradizione dei Padri, alimentata con le decisioni della Chiesa e i lumi della ragione, è il magnifico riassunto di quanto, sulla persona adorabile di GESÙ CRISTO, hanno scritto uomini di grande santità e ingegni di sommo valore intellettuale e morale. Sono tesori di dottrina, ricchezze inesauribili, con le quali tutto si eleva, si nobilita e si santifica nell'anima del Sacerdote che può consacrare lunghe ore nello studio della Somma teologica di san Tommaso, e dei Trattati sopra l'Incarnazione di teologi come Suarez, Petau, Thomassin.

Si lamenta spesso che alla pietà dei nostri tempi manchi il solido fondamento della dottrina: pratiche esteriori numerose, qualche po’ di sentimentalismo, ma poca sostanza. Chissà che non ne abbiamo colpa noi Sacerdoti? Le nostre prediche e dottrine saranno buone, pie e pratiche; ed è bene. Ma quante verità, quanti pensieri elevati, quante nozioni forti, luminose e profonde di cui i fedeli, con notevole danno della loro vita soprannaturale, rimangono privi, perché il nostro insegnamento non è sufficientemente dogmatico! Con quale elevazione e con quale insistenza san Paolo espone la teologia dell'Incarnazione, della grazia e della vita di GESÙ in noi!

Perché si vorrebbe dire che un tal modo di parlare della vita cristiana non è che un misticismo singolare? Forse che i fedeli odierni sono meno capaci che i cristiani di Efeso o di Filippi, di intendere e gustare la vera dottrina sulle nostre relazioni con GESÙ CRISTO? Imitiamo il grande Apostolo e prendiamoci cura di volgarizzare la conoscenza delle grandezze di GESÙ CRISTO, delle sue perfezioni, dei suoi diritti, della sua grazia e della sua vita. Ma per questo è necessario che possediamo una tal scienza con la maggior perfezione possibile. Il nostro zelo in proposito, secondo il sentimento dei Padri, ci meriterà una speciale benedizione che si risolverà in una conoscenza del nostro amato Salvatore più abbondante, più pura e luminosa. Unus est enim Magister et ejus qui discit et ejus qui audit, qui et mentem irrigat et sermonem (572).

Il Sacerdote che non ha la comodità di studiar i trattati dei grandi teologi, conservi almeno preziosamente il manuale di Theologia dogmatica studiato in Seminario, lo rilegga frequentemente e cerchi di approfondire sempre più quelle verità di cui, in iscuola, non ha potuto apprendere che gli elementi. In tal modo, con la grazia di Dio, non mancherà di acquistare quella «intelligenza spirituale» di cui parla san Paolo; e potrà anzi raccogliere nell'anima sua abbondanza di ricchezze: Divitiae salutis sapientia et scientia (573).

Complemento dello studio sarà la lettura spirituale; allo studio che eleva la mente, la lettura spirituale incomincia ad aggiungere il lavoro del cuore che è un passo innanzi verso la vita di unione perfetta con GESÙ CRISTO. La lettura spirituale fatta a dovere e santamente, ci farà progredir molto nella conoscenza e nell'amore del nostro sommo Sacerdote.

Attende lectioni, scriveva san Paolo al suo caro Timoteo (1 Tm, 4). Perciò tutti i Santi hanno dato la massima importanza alla lettura spirituale; « in questa, dice Origene, l'anima nostra forma con Dio una santa alleanza» (In Genesim). La storia ci insegna quale posto essa occupava nella vita dei solitari del deserto; orbene non siamo più forti di quegli uomini dedicati alla penitenza e alla solitudine; anzi per noi i pericoli sono maggiori. Persuadiamoci dunque della sua necessità; lo studio non può supplirvi e l'orazione mentale, senza di essa, rimane priva del suo sostegno: Haec enim veluti quotidiano cibo alitur et pinguescit oratio (574). Athleta, dice sant'Ambrogio, nisi exercitio palestrae prius fuerit assuefactus, non audet subire certamen. Ungamus igitur oleo lectionis nostrae mentis lacertos (In Ps. 118).

Ricordiamo l'impegno che sant'Ambrogio metteva nella lettura sacra; sant'Agostino veniva a trovarlo, entrava nella stanza dove Ambrogio stava leggendo, e dopo di aver aspettato a lungo, si ritirava bene spesso senza che il grande Arcivescovo di Milano si accorgesse della di lui presenza, né interrompesse quell'esercizio dove l'anima sua trovava riposo e pace dopo il tumulto di tanti affari (575).

NOTE

(553) I Cor., 2, 2. – Ef., 3, 14-19. – Fil, 3, 8-12.

(554) Ger., IX, 23-24. – Sap., XV, 3.

(555) Apoc., I, 8; XXI, 6; XXII, 13. – Coloss., I, 17; III, 11.

(556) In Genesim, Homil. II

(557) Bel pensiero di sant'Ambrogio: Non otiosos nos putamus, si tantummodo verbo studere videamur, nec pluris aestimamus eos qui operantur, quam eos qui studium cognoscendae veritatis exercent. Di***** enim plerique: «Ecce homo et opera ejus». Quasi vero qui verbo studeat, non operetur, ***** majus opus istud quam caetera sit… Verbum cognoscere majus opus est quam ministrare. In Psalm., CXVIII. – Bisogna però aggiungere la parola del Maestro: Haec oportuit facere et illa non omittere. – Mt., XXIII, 23.

(558) CLOYSEAULT, Vita, ecc.

(559) De mystica theologia, etc. Consid. IX.

(560) Theologus minorem dispositionem habet quam homo rudis ad contemplationem. Proposit. damnata ab Innoc., XI.

(561) De gradibus charitatis

(562) Homil. XXVII.

(563) De Trinitate, lib. XV

(564) RUPERT., In Isaiam.

(565) HETERIUS ET BEATUS.

(566) Comment. in Joann.

(567) In Psalm. XXI

(568) Confess., lib. XI.

(569) Cfr.: S. Aug., In Joann., tract. XXVI.

(570) Défense, etc., chap. XVIII.

(571) Sant'Efrem, un giorno, sentì una voce che "diceva: «Alzati, e va a cibarti dei miei pènsieri» e rispose: «Dove li troverò, o Signore?». La voce continuò: «Nel Vaso Regale che mi sono preparato io medesimo». Capì sant'Efrem che si trattava di s. Basilio e si portò a Cesarea. Entrato in chiesa mentre il santo Vescovo predicava, vide una colomba bianca come la neve, che all'orecchio destro gli suggeriva quanto insegnava al suo popolo.

(572) CLEM. ALEX., Stromat. I.

(573) Coloss., I, 9; ISAIA, XXIII, 6. – Un Vescovo pio e zelante dai diaconi che ammetteva al Sacerdozio esigeva la promessa di leggere ogni giorno almeno due pagine del Manuale di teologia del Seminario. Per poco che si avesse buona volontà, abitualmente sarebbe possibile l'osservanza di tale pratica, anche per il Sacerdote in cura d'anime. – Nota del Traduttore.

(574) S. HIERONYM., Epist. XXXV.

(575) Confes., lib. VI. – L'Autore raccomandava qui, tra i libri adatti per la lettura spirituale, le opere preziose del Cardinal de Bérulle, del Padre de Condren e di Giovanni Olier. Dove mai, infatti, si potrebbero trovare, dopo i Padri, pagine più belle, su Gesù Cristo e i suoi Misteri, di quelle che lasciarono scritte questi venerabili autori? Sono pure molto pregiate e piene di unzione varie opere del Bossuet, come pure i libri del Padre Faber e di Mons. Gay. L'Autore scriveva per i lettori francesi: ma queste opere non sarebbero meno utili per i Sacerdoti italiani. – Nota del Traduttore.