L’UNIONE NEGLI SFORZI D’APOSTOLATO

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Mateo Crawley-Boevey SS.CC.
(1867-1960)
RITIRO SACERDOTALE

Adveniat Regnum tuum!

 

L'UNIONE NEGLI SFORZI D'APOSTOLATO

«Ut unum sint».

Il 19 ottobre 1934, alle ore 7,30 di sera, io mi trovavo ai piedi del Santo Padre Pio XI. Dopo una lunga ora di udienza intima allorquando mi disponevo a congedarmi, Sua Santità mi disse, marcando le parole: «Padre, dite ai Missionari che il Papa li benedice tutti con immenso affetto paterno, che Egli li tiene tutti nel suo cuore… E predicate loro la grande dottrina della santità sacerdotale, dite loro che non sicontentino di una bontà comune, perchè la loro santificazione è la condizione indispensabile della loro fecondità apostolica».
Quindi, (mettendo le sue mani auguste sulla mia testa, il Vicario di Cristo recitò con voce commossa l'inno «Veni Creator Spiritus» ed aggiunse: «che il Cuore di Gesù sia con voi in ogni luogo… Come il vecchio Tobia io vi dico: Che l'Angelo del Signore vi accompagni in quelle terre lontane, ma che poi vi ritorni a Roma dove sarà necessario terminare il vostro viaggio. Arrivederci, Padre, io pregherò per la vostra missione, io vi aspetto!»
Queste gravi parole e la splendida Encìclica «Ad catholici sacerdotii fastigium», provano ai sacerdoti ed ai missionari chiaramente che tutta la dottrina che io ho loro spiegato durante i miei Ritiri «non est mea, sed ejus qui misit me».
Dopo la parola augusta del Sommo Pontefice sulla sublime grandezza del sacerdozio e sul dovere per eccellenza del prete di essere nello spirito e nella pratica un «Alter Christus», nella sua vita come lo è per il suo carattere sacerdotale e per il suo potere, non mi resta ora che domandarvi di rileggere molto attentamente il mirabile documento pontificio e farne spesso la vostra meditazione. A quelle lezioni del Vicario di Cristo, farete seguire un vostro serio esame di coscienza, con una volontà sempre più forte e sostenuta nel proposito di essere all'altare e dappertutto, davanti a Dio e davanti ai fedeli, all'altezza della vostra sublime vocazione.

Detto questo, io passo senza più ritardare a un tema finale di grande importanza, e cioè: l'unione delle forze e delle attività apostoliche, per mezzo di una perfetta carità cristiana e di un vero spirito soprannaturale, per realizzare, in un comune sforzo, l'Adveniat Regnum tuum!
Io dedico questo pensiero, quale omaggio fraterno e affettuoso della mia sincera ammirazione e della mia profonda riconoscenza, ai cari e venerati Missionari e a tutti i Sacerdoti delle differenti Diocesi a cui ebbi l'onore di predicare.
Cominciamo per constatare con pena la verità di queste parole di Nostro Signore: «i figli delle tenebre sono più saggi che i figli della luce» (Lc. 16,8).
Notate infatti, come i nostri nemici sovente sanno pur dimenticare i loro puntigli, le loro discussioni per fare una unione, come Erode e Caifa, in odio a Cristo. E la nostra carità cristiana non avrà in mezzo a noi il potere di unirci nella causa del bene?
Prendiamo la grave lezione dalle labbra stesse del Signore e tiriamo delle conclusioni utili, constatando umilmente che sovente la nostra infruttuosità è dovuta, più che all'unione fattiva degli avversari, al disaccordo nella tattica e nel metodo fra di noi, figli della luce e fratelli in caritate Christi.
E quale la ragione di questo fatto doloroso? Giammai, mi sembra, si deve attribuire questo disaccordo a un spirito cattivo, ma sovente a una mancanza di senso soprannaturale profondo nel campo del lavoro. Da ciò nascono le divergenze sopra la maniera d'agire, le discussioni sterili ed anche lamentabili fra gli inferiori e i Superiori… E come conseguenza inevitabile, una dispersione di forze preziose e un allentamento del legame esteriore nell'azione, il grave danno altresì della discordia dei cuori.
È questa mancanza di unione nel programma e nell'azione che ha ritardato qualche volta in Occidente, e che potrebbe ritardare anche più in Oriente, la propagazione della dottrina cristiana. Tale disaccordo tra fratelli ha sempre prodotto un male maggiore che la stessa lotta e opposizione degli avversari.
Voi lo avete già inteso dire durante gli indimenticabili Ritiri passati: la potenza formidabile della «sinistra» viene troppo spesso dalla debolezza della «destra». Debolezza che troppo spesso ha la sua origine nella mancanza di coesione soprannaturale fra i migliori operai.
Si perde il tempo discutendo, sulla bontà e sull'opportunità dei metodi, avendo ragione qualche volta dalle due parti, ma sarebbe molto più opportuno puntare più in alto con senso soprannaturale e procurare in questa maniera l'unione degli spiriti per mezzo della fede, e l'unione dei cuori per mezzo della carità.
Quante volte, in un'ora grave o provvidenziale, sarebbe necessario un movimento d'insieme, come quello di un'armata che deve sforzare a destra o a sinistra, tenendo delle grandi possibilità di successo!… Però è necessario che le diverse unità, le diverse falangi apostoliche, sacrifichino ciascuna per il momento il proprio piano, la propria tattica. Nella guerra santa, più ancora che in quella delle armi, è necessario saper obbedire a delle consegne superiori, per creare la triplice unione tanto potente degli spiriti, delle volontà e dell'azione.
Il sistema delle «guerriglie» o dei «franco – tiratori», la lotta disposta in ordine sparso, in cui ciascuno si batte sia pure con coraggio, ma secondo la sua iniziativa personale, non ha giammai dato nelle battaglie del Signore altro risultato che il logoramento di forze preziose con dei magri risultati. Questo, prima di tutto, perchè l'unione fa sempre la forza anche nelle imprese apostoliche. Ma poi perchè il Signore, che benedice l'unione nella carità e nella sottomissione alle direttive della gerarchia, si mostra parsimonioso delle sue grazie con coloro che, malgrado una evidente buona volontà, non hanno abbastanza né ben compreso, né realizzato il detto del Precursore: «Illum oportet crescere, me autem minui» (Jo. 3,30).
Infatti, se ogni opera apostolica è bella in se stessa, l'opera bella per eccellenza è quella conseguita col lavoro ben coordinato degli operai della vigna. Oh! che gloria si procura a Nostro Signore quando la persona di Cephas ed Apollo e Paolo diminuisce e talvolta scompare per far posto a Colui che solo deve regnare non solamente in mezzo dell'unità speculativa del Credo nell'intimità delle coscienze, ma anche per mezzo dell'unità sociale e apostolica, indispensabile per realizzare l'Adveniat Regnum tuum!
Nei bei paesi d'Oriente e d'Occidente vi è certamente posto per tutti gli operai di differenti vocazioni. Ma perchè queste vocazioni siano feconde, è necessario che tutte si colleghino, come altrettanti parti, per formare un bel mosaico, cioè uno scudo cattolico che offra ai cristiani e agli infedeli l'impressione profonda della bellezza e della forza del nostro Vangelo e dell'organizzazione della Chiesa.
Un'opera qualsiasi può essere magnifica in se stessa, ma non può sempre quadrare, almeno per il momento, nell'insieme dell'azione apostolica di una Diocesi. Anzi, può anche essere inopportuna e per conseguenza poco utile in determinate circostanze. In questo caso, un sacerdote che ragioni soprannaturalmente, sa sottomettersi alle direttive impartite dai suoi superiori e per un vero amore al Signore a cui vuole servire, o tace o si tiene in disparte. E tale silenzio o astensione, diciamo piuttosto la parola esatta, questo bel sacrificio avrà enormemente contribuito al trionfo della causa.
Sì, davanti a Dio cui i sacerdoti si sono consacrati tanto ammirabilmente, questo atto di rinuncia sarà assai più sorgente di grazia e di fecondità che se avessero conseguito un pieno successo con la propria opera progettata.
E per accentuare questa unione di spirito, di cuore e di azione, per renderla assai più efficace, sarà necessario, come per S. Paolo, che il prete «si faccia tutto a tutti per conquistare tutti a Cristo» (cfr. I Cor. 9,22). Cioè sarà indispensabile che sappia adattarsi ogni giorno più al genere, ai gusti, ai costumi del paese che vuole evangelizzare, come il Verbo Divino ha voluto farsi simile a noi e divenire nostro fratello per salvarci. Insieme alla lingua, è tutto uno spirito che il missionario deve assimilare per essere veramente il primogenito in mezzo ai fratelli, nella famiglia della quale deve far parte di cuore e di spirito per apportargli il tesoro del Vangelo.
Oh! io lo so, tutti i missionari, tutti i preti, già fanno e di gran cuore questo sforzo, ma io non potevo mancare di sottolineare questo dovere così importante, per incoraggiare i vigilanti apostoli nel cammino di duri e gloriosi sacrifici.
Approfitto dell'occasione per dirlo altamente: e vorrei poterlo gridare al mondo intero: il bene operato dai missionari, malgrado certe apparenze, e ben più grande che non si immagina. Il numero e soprattutto le qualità delle opere organizzate e sostenute, tanto dal Clero secolare così meritevole, che da quello regolare devotissimo che promettono in un avvenire relativamente prossimo una ricca messe per la gloria di Dio. E sembra evidente che davanti a tanti ostacoli che il Cattolicesimo incontra in questi ultimi anni un po' dappertutto, si esige una grandissima unità di progetto e di spirito apostolico, il collegamento di tutti gli apostoli, più che mai indispensabile intorno ad un Capo istruito e responsabile.
Un tale procedere suppone, diciamolo ancora una ultima volta, un'anima profondamente sacerdotale, tutta permeata idi soprannaturale, di una tempra spirituale poco comune, un cuore sopratutto ardente di divina carità. Mantenendoci nella logica e nella pratica: è necessario prima di tutto e soprattutto che il prete sia in tutto e sempre l'uomo della Chiesa, l'uomo di Dio.
Sì, solamente il vero sacerdote, e non già il semplice funzionario ecclesiastico; solamente «l'Alter Christus», il vero apostolo, sarà, secondo la meravigliosa Enciclica di Pio XI, il fattore potente e decisivo che donerà Cristo al mondo e il mondo a Cristo.
«Pater, fac ut operarii vineae tuae, ununi sint in Corde Filii, pro gloria et regno tuo»!

Diligam Te Domine!


testo tratto da: P. Matteo Crawley SS.CC., Ritiro Sacerdotale, Grottaferrata – Trento, 1958, pp. 179-186.