Il sacerdote e la fede

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Sant'Arcangelo Tadini, parroco Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI FEBBRAIO

IL SACERDOTE E LA FEDE
(parte prima)

 

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Uno dei rimproveri più frequenti che Gesù soleva fare a quelli che lo avvicinavano era motivato dalla mancanza di fede. A tutti i suoi Apostoli troppo umanamente preoccupati del domani, o troppo spauriti dalla tempesta dice: Quid timidi estis modicae fidei? (Mat. 8, 26); Quid cogitatis inter vos, modicae fidei? (id. 16, 8). A S. Pietro che cammina sulle acque ed è colto da improvviso spavento per l'imperversare del vento: Modicae fidei, quare dubitasti? (id. 14, 31). Ai discepoli di Emmaus mesti, perchè dimentichi di una parola, che avrebbe dovuto essere tutta luce per essi: Re-gnuvn meum non est de hoc mundo (Ioan. 18, 36) dice mestamente: O stulti et tardi corde ad credendum! (Lue. 24, 25). A Tommaso che Per credere esige una prova tangibile: Quia vidisti me, Thomas, credidisti; beati qui nonviderunt et credìderunt! (Ioan. 20, 29).

Si rallegra al contrario con quelli che credono e attribuisce ogni potere alla docilità del loro spirito: Fides tua te salvum fecit (Mat. 9, 22) dice al cieco dopo averlo guarito e così Pure all'ammalata che gli ha toccato l'orlo della veste. e alla Cananea: O mulier, magna est fides tua: fiat tibi sicut vis (id. 15, 28) E finalmente da la certezza assoluta: Si habueritis fidem sicut granum sinapis… nihil impossibile erit vobis (id. 17, 19). — Omnia possibilla sunt credenti (Marc. 9, 22). E si potrebbero moltiplicare le citazioni.

Si tratta dunque di una virtù che deve starci a cuore in modo particolare. Per noi sacerdoti è stata l'oggetto di una speciale preghiera di Nostro Signore: Rogavi pro te ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus, confirma fratres tuos (Luc. 22, 32). Meditiamola e convinciamoci seriamente che: 1° dobbiamo avere fede, dobbiamo vivere di fede.

1. – DOBBIAMO AVER FEDE

Ne abbiamo la prova nelle pagine evangeliche sopra ricordate. Ma non è inutile approfondirle.

Il sacerdote, continuatore del Cristo, è o dev'essere perfetto religioso dì Dio come il Cristo. Ora S. Tommaso scrive 3): Religio habet duplices actus: quosdam quidem proprios et immediatos… sicut sacrificare, adorare…: alios autem actus habet, quos producit mediantibus virtutibus, quibus imperat. Fra queste virtù tiene il primo posto la fede.

Senza dubbio la fede, virtù teologale, precede la religione; l'epistola agli Ebrei lo fa notare: Credere enim oportet accedentem ad Deum, quia est (Hebr. 11, 6). Si crede in Dio prima di rendergli omaggio, ma gli si rende omaggio credendo in Lui, e l'atto più bello e nello stesso tempo più fecondo della nostra religione è l'atto di fede; con quest'atto pratichiamo profondamente l'adorazione in spiritu et veritate, voluta dal Padre.

Nell'atto di fede la ragione crede fermamente senza vedere, come e più ancora che se vedesse; essa s'immola così e onora la veracità di Dio, motivo del suo sacrificio, insieme agli altri attributi divini, oggetto della fede.

La fede è la nota distintiva del cristiano: Justus meus ex fide vivit (Hebr. 10, 38), il quale è perciò chiamato con il bel nome di fedele. E dev'esserlo in modo sovra eminente il sacerdote, cui S. Paolo scrive: Exemplum esto fidelium, in fide (Tim. 4, 12). — Tu autem, homo Dei, sectare… fidem (id. 6, 11).

S. Agostino asserisce che «la fede ci ha ordinati chierici e consacrati sacerdoti»4). Ecco dunque perché aspicientes in auctorem fidei, et consummatorem Jesum (Hebr. 12, 2), dobbiamo poter dire coll'Apostolo che possediamo la fede: fidem servavi.

Dobbiamo averla profonda, luminosa.

a) Profonda. — Il sacerdote è il depositario, il custode della fede: Labia sacerdotis custodient scientiam et legem requirentex ore ejus (Malac. 2, 17). Deve quindi possederla più di tutti, egli che a tutti dev'essere maestro: Forma facti gregis ex animo (Petr. 5. 3). L'adesione del suo intelletto dev'essere più fermarle sue cognizioni dogmatiche più solide, più estese. L'adesione più ferma dell'intelletto esige una corrispondenza generosa dell'anima alla grazia della fede; essa è una grazia, non lo si dimentichi, la prima delle grazie, punto di partenza, sorgente di tutte le altre. S. Tommaso dice: Homo participat cognitionem divinarti per virtutem fidei 5). E' una specie d'influsso divino operante una vera deificazione della nostra intelligenza, che vede le verità rivelate nella luce stessa in cui le vede Dio: Fides est habitus mentis, quo inchoatur vita aeterna in nobis.

E' oscura nel suo oggetto che è il mistero; è chiara nel suo motivo, che è la veridicità di Dio. Essa comunica all'anima una certezza che supera l'evidenza stessa dell'ordine naturale. L'atto di fede è essenzialmente, intrinsecamente sopranaturale, è esclusivamente opera della grazia di Dio.

Che richiede la corrispondenza a tanta grazia? S. Paolo traccia un vasto programma in due parole: Habentes, mysterium fldei in conscientia pura (1 Tim. 3, 9).

E anzitutto, prendendo tali parole ut sonant, è necessario aver l'anima molto pura. Quando caro concupisca adversus spiritum (Galat. 5, 17), attenti! Se le nubi si accavallano, l'atmosfera s'oscura; se le nebbie s'infittiscono dinanzi allo sguardo, non si vede più chiaro.

Ma se è necessaria la purità del cuore molto più lo è la purezza della mente. Essa è una vigile custode di ciò che potrebbe attenuare quanto S. Ilario di Poitiers chiama casta verginità della verità 6). L'Apostolo mette in guardia contro tale insidia: Profanas vo***** novitates devita (Tim. 6, 20). L'umiltà, la semplicità, la rettitudine del giudizio son riparo a tanto pericolo. Queste disposizioni intime non sono retaggio degli stolti, più curiosi che eruditi, più saccenti che sapienti; esse mantengono l’equilibrio nell'intelligenza e sono indizio di vero valore intellettuale.

Questa duplice purezza di mente e di cuore è frutto della preghiera, la quale rende la fede veramente profonda.

E' una grazia che bisogna implorare; è una specie di visione di Dio, a cui bisogna accostarsi; appello dell'anima, prostrazione dell'anima, che ogni sacerdote deve coltivare con premura. Se non diciamo: Domine, fac ut videam.Adjuva incredulitatem meam Adauge nobis fidem non perderemo forse la fede; ma che fede avremo?

Si badi: se dissipati, irriflessivi, andiamo innanzi in forza di un impulso lontanamente ricevuto, corriamo rischio di divenire formalisti e ci premuniamo male dalle infiltrazioni naturalistiche, le quali ci impediscono d'essere veri preti, ossia uomini superiori agli altri uomini deificati: Tu autem, homo Dei (1 Tim. 4, 12).

b) Luminosa. —Il prete non è un custode della fede, avaro del suo tesoro; tutt'altro! Ne dev'essere prodigo anzi, come le anime lo esigono: Legem requirent ex ore ejus (Malac. 2, 7); egli è stato inviato per questo: Evangelizare pauperibus misit me. Quindi il Maestro ci dice: Praedicate evangelium omni creaturae… qui crediderìt et baptizatus fuerit, salvus erit (Marc. 16, 15). A tal fine ci vuole luce: Vos estis lux mundi (Mat. 5, 14), — ut fili lucis sitis (Ioan. 12, 36).

E i suoi consigli sono essenzialmente pratici positivi. Quando dice che «la nostra luce deve risplendere dinanzi agli uomini», aggiunge: «affinchè vedano le vostre opere buone». Fede luminosa, fede irradiante: non è espressione vaga questa; si tratta delle opere buone!

Predichiamo e predichiamo con l'esempio: Verbo movent, exempla trahunt. Quanti ci vedono anche senza essere psicologi accorti, sanno distinguere fra prete e prete. Chi non ha sentito mai questa frase: «Oh, quello sì ci crede!».

Come se non ogni prete credesse!… Vè dunque un modo speciale dì dimostrare la nostra fede? Sì; mostriamo di crederci. S. Giovanni-Maria Vianney diceva soltanto queste parole: «Oh! figliuoli miei, amiamo tanto il buon Dio!» e tutti gli astanti ne erano commossi. Sì; v'è una particolare fisonomia creata dal contegno, dai modi, dalle parole, dai costumi che distingue l'uomo di fede. Guai! se qualcuno vedendoci dovesse esclamare: Quello fa il suo mestiere!

Predichiamo, e predichiamo con la parola. La predicazione è un dovere essenziale del prete: Oportet sacerdotem… praedicare. Ma del nostro insegnamento si deve poter dire: Verbum ipsius. quasi facula ardebat (Eccli. 48, 1). Accade talvolta di ascoltare delle prediche, che, pur essendo splendide nella forma, lasciano gli uditori freddi; se ne odono altre spoglie d'ogni artifizio, ma che penetrano nelle intelligenze come raggio di sole in andito oscuro e avvolgono i cuori quasi del caldo effluvio d'un focolare ardente. Nemo dat quod non habet; solo gli oratori che sono lucerna ardens et lucens (Ioan. 5,35). posseggono davvero la fede.

2. – DOBBIAMO VIVERE DI FEDE

Dobbiamo dunque possedere la fede, ma non come un germe sterile o un principio inoperoso; la fede è essenzialmente vita, in fide Divo Filii Dei (Galat. 2, 20), ossia un'attività, un elemento di progresso e di sviluppo. Diamole solide basi, viviamone lo spirito, lasciamola svolgere nel suo pieno rigoglio.

a) Abbiamo ricordato sopra che siamo depositari della fede; S. Paolo ci dice: depositum custodi. Scrive ai Romani: Fides ex auditu; auditus autem per verbum Christi (Rom. 10, 17). La grazia della fede non fa miracoli in favore dell'inerzia intellettule, e neppure ci conferisce il dono dell'ispirazione. Essa esige studio e studio orante.

Ex auditu: l'oggetto della fede, il dogma cattolico, i motivi di credibilità formano un complesso di dottrina che dobbiamo assiduamente, profondamente studiare: Scrutamini scriptu-ras, quìa vos putatis in ipsis vitam aeternam habere; et ìllae sunt quae testimonium perhibent de me (Ioan. 5, 39). Suggestiva questa osservazione del buon Maestro! Ogni sacerdote è praedicator et apostolus, doctor gentium in fide et ventate (1 Tim. 2, 7); dottore per essere predicatore.

Lo studio della teologia è per noi rigorosamente obbligatorio. Ricordi vaghi delle lezioni di Seminario, incerte e generiche nozioni teologiche, non sono fondamento saldo abbastarna per la fede del praedicator in fide et veritate! Per fare opera solida è necessario vigore, e posseggono vigore soltanto coloro che corroborano la mente con sostanzioso alimento.

La fede anemica è una rovina e non rara; ma non incoglie lo studioso!

Auditus per verbum Dei. V'è differenza fra studio e studio. Un curioso non è un sapiente; ragionatore non vuoi sempre dire ragionevole. Lo studio richiesto dalla fede dev'essere orante: Abscondisti haec sapientibus et prudentibus, et revelasti ea parvulis (Mat 11, 25).

Si tratta insomma di vedere, di conoscere Dio quanto lo consente la nostra natura; Egli habitat lucem inaccessibilem. Che siamo dinanzi a Lui? Ignoranti e limitati, non abbiamo che a prostrarci nel sentimento della nostra impotenza ed innalzare umilmente il grido supplichevole: Da mihi intellectum et scrutabor legem tuam (Ps. 11, 34).

Andiamo alla Luce con umiltà: Deus superbis resista, humilibus autem dat gratìam. Sappiamo già che è dovere questo, per noi, ma la diffidenza di noi non deve togliere la fiducia in Dio. Egli ci vuole illuminare; ne è prova il suo Verbo incarnato. Seminatore di luce, lux vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Ioan., 1, 9), istruisce chi lo ascolta, e gli comunica, come a Maria, meliorem partem quae non auferetur (Luc. 10, 42)

b) Ci sforzeremo dunque di non perdere mai di vista la visione del Maestro. S. Tommaso ha detto che si partecipa alla conoscenza divina mediante la fede. E' quasi un inizio allo stato dei Beati: In lumine tuo videbimus lumen (Ps. 35, 9). La grazia e la gloria appartengono allo stesso ordine; la grazia non è che un principio della gloria in noi. E' necessario creare in noi l'abitudine di tale visione iniziale della gloria, mediante lo spirito di fede.

Ricordiamo una distinzione classica. Vi sono tre luci nel mondo: la luce che illumina la materia e colpisce gli occhi del corpo; la luce che illumina le verità speculative e colpisce lo sguardo della mente; la luce che fa vedere tutto nello splendore di Dio ed è percepita solo dall'anima. Le due prime sono naturali, la terza è soprannaturale e costituisce propriamente lo spirito di fede. La ragione vede le cose in se stesse; lo spirito di fede le vede in Dio; Egli dev'essere la nostra guida.

Il prete è certamente l'uomo segnato dall'impronta della luce divina: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine (Ps. 4, 6). La sua formazione sacerdotale gli ha conferito illuminatos oculos cordis. In virtù della sua consacrazione appartiene alla schiera- di coloro che possono dire: Ipse illuxit in cordibus nostris, ad illuminationem scientiae claritatis Dei, in facie Christi Jesu (2 Cor., 4, 6). Oh, sia dunque fedele il sacerdote nel considerare, valutare tutto nella luce della fede, luce di Dio!

Nos autem sensum Christi habemus (1 Cor. 2, 16). Per chi è dotato di questo senso, v'è un insieme di principi che trascendono la ragione, formano la sua atmosfera intellettuale, dirigono istintivamente i suoi giudizi e diventano tuo modo abituale di vedere. La Chiesa, le anime… il mondo, il male… gli avvenimenti, il tempo… tutto ha per lui una sfumatura speciale, un valore che l'animalis homo non percepisce.

Animalis homo! Questo severo qualificativo usato dall'Apostolo, non lo si può forse applicare a certi preti che non hanno saputo preservarsi dall'influenza della società, dell'ambiente? Il mondo in cui viviamo è molto volgare, tutto naturalismo e materialismo: Non percipit ea quae sunt spiritus Dei, stultitia enim est illi, et non potest intelligere (1 Cor. 2. 14). Senza una reazione costante ed energica è facile subirne l’influsso. Quale danno se il lievito non fa fermentare tutta la massa! Ne rimarrà soffocato.

c) S'impone dunque perentoriamente l'obbligo di tradurre in atti positivi i principi dello spirito di fedo, di trarre conclusioni logiche dalle luminose premesse.

Corde creditur ad justitiam, ore autem confessio fit ad salutem (Rom. 10, 10): è la pratica della fede che deve formare la nostra preoccupazione. Questa sola ci salva: Fides sine operibus mortua est (Iacob., 2, 20). Non divengono inetti i congegni inoperosi?

Ora, il sistema del meno possibile, il sistema paralizzante degli utilitaristi, sembra ispiri qualche volta l'esercizio della virtù. La parte più sublime del Vangelo appare un ideale bello per la contemplazione, ma non per la pratica, e le sante follie dei consigli sono arrestate dai calcoli dei precetti.

Il sacerdote, uomo votato alla perfezione, non ponga una separazione netta fra quanto intravede lo spirito e gli atti della volontà. La fede gli dice che le otto beatitudini furono predicate dal Maestro divino ai suoi antenati nel sacerdozio; ch'essi ricevettero in consegna i consigli evangelici quale retaggio di famiglia.

Se ha fede il sacerdote, se vuoi vivere la sua fede, coltivi lo spirito di povertà, di distacco; coltivi l'umiltà, la rinunzia; viva di sacrificio, d'immolazione; sia delicato di coscienza e tema anche le più piccole trascuratezze; mai non ponga limiti al dono di sè all'Amore Infinito che lo tormenta.

— Oh, bella, grande la virtù della fede! Sia 1'oggetto del nostro zelo; ispiri le nostre ardenti preghiere! Chiediamola con S. Paolo; essa formerà in noi e per mezzo nostro nelle anime, Cristo Redentore, meraviglia delle meraviglie! Flecto genua mea ad Patrem Domini nostri Jesu Christi… ut det vobis secundum divitias gratiae suae, virtute corroborari per spiritum ejus in interiorem hominem Christum