IL SACERDOZIO DI CRISTO SALVATORE

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SACERDOTE CON CRISTO
SACERDOTE E VITTIMA
 Corso di teologia spirituale per sacerdoti
del P. R. GARRIGOU-LAGRANGE, O. P.

PARTE PRIMA
DIGNITÀ DEL SACERDOZIO

Per trattare in forma dogmatica di questo argomento che è il fondamento dottrinale del presente trattato è necessario parlare prima del Sacerdozio di Cristo e poi del nostro, che è in qualche modo partecipazione a quello di Cristo.
Dovremo quindi studiare non solo la natura, ma altresì la finalità di entrambi: sarà allora evidente che tanto l'uno come l'altro, sono manifestazione della carità di Dio verso gli uomini da salvare, per donarci la via e donarcela sempre più copiosamente.

CAPITOLO I
IL SACERDOZIO DI CRISTO SALVATORE

Bisogna leggere quel che dicono S. Paolo nell'Epistola agli Ebrei ed i Padri e S. Tommaso nei loro Commenti a detta Epistola, nonchè quel che si dice in proposito nella Somma[1].
È articolo di fede che Cristo Salvatore è Sacerdote, anzi Sommo Sacerdote e che il suo sacerdozio dura in eterno. Vedere a tal fine nell'Epistola agli Ebrei: «Abbiamo un Pontefice grande che penetrò nei cieli, Gesù, Figlio di Dio » (4, 14); e: «rimane Sacerdote in perpetuo» (7, 3); e ancora: «vivendo sempre a fine di supplicare per noi» (7, 25). Così pure il Concilio di Efeso e quello di Trento[2].
Cristo è Sacerdote quale uomo: è infatti ufficio proprio del Sacerdote essere mediatore tra Dio e gli uomini, sia dando a questi le cose sacre, ossia dottrina e grazia (mediazione discendente), sia offrendo a Dio le loro preghiere e i loro sacrifici (mediazione ascendente) e questo conviene in modo mirabile a Cristo, come uomo, in quanto la sua umanità è al disotto della natura divina, ma unita personalmente ed ipostaticamente al Verbo, ed inoltre riceve, quale Capo della Chiesa, la pienezza della grazia. Risulta chiaro da ciò che il suo sacerdozio è ordinato alla manifestazione dell'amore di Dio verso di noi. S. Tommaso[3], nell'esaminare se a Cristo convenga l'essere sacerdote, cita queste parole della seconda Epistola di S. Pietro (1, 4): «Fece a voi dono di grandissime e preziose promesse, affinchè per queste diveniate partecipi della divina natura». Il «dono sacro» fu quello della grazia che è seme di gloria e di vita eterna. E parimenti S. Tommaso cita, allo stesso luogo, l'epistola ai Colossesi: «Poichè fu beneplacito (dal Padre) che in lui abitasse ogni pienezza e che per lui fossero riconciliate tutte le Cose».
Come uomo, è sacerdote e mediatore e, perciò, sotto tale aspetto, inferiore a Dio; ma è, altresì come uomo, al disopra degli angeli non per natura, ma per l'unione ipostatica e la pienezza della grazia e della gloria.
Perché il suo sacerdozio é detto eterno? S. Tommaso[4] risponde che lo è per tre ragioni: 1) a causa della unzione che non viene mai meno, ossia della unione ipostatica da cui derivano grazia e gloria in una pienezza che non può venire meno; 2) inoltre vien detto eterno in quanto non ha successore e continuamente perora la nostra causa; 3) per la consumazione del suo sacrificio che ha per effetto l'unione eterna degli uomini redenti con Dio, visto faccia a faccia. E questo l'eterno frutto del sacrificio del Salvatore, ossia la vita eterna, Perciò nella Epistola agli Ebrei Cristo vien detto: «pontefice dei beni futuri» (9,2).
Infine Cristo è insieme sacerdote e vittima, perchè offrì se stesso al Padre per noi, soggiacendo alla morte. Ciò è materia di fede, primo per quanto dice la Scrittura (Ef. 5, 2) «ha dato per noi se stesso a Dio, oblazione ed ostia di soave odore» ed afferma anche il Concilio di Trento «semel seipsum in ara crucis, morte intercedente, Deo Patri obtulisse ut aeternam illis redemptionem operaretur»[5]. Cristo è perciò nella Messa il principale sacerdote e la vittima[6].
Qual'è il costitutivo formale del sacerdozio di Cristo? Il suo sacerdozio è formalmente costituito, come afferma un numero sempre crescente di teologi, dalla grazia della unione ipostatica, per una triplice ragione: 1) l'unione ipostatica dà al sacrificio un valore infinito nel soddisfare per noi e meritarci la grazia e la vita eterna. 2) Inoltre Cristo, quale uomo, è sacerdote in quanto è stato unto da Dio, e sua prima unzione è la grazia di unione. 3) Per questa stessa grazia Cristo è santo e santificatore, ed è santo in primo luogo per la grazia di unione.
Ma bisogna anche ripetere con insistenza che la dignità del sacerdozio di Cristo balza viva e concreta anche dalla considerazione che Egli è stato ed è sempre sacerdote e vittima contemporaneamente, come afferma San Tommaso[7]. Nella Epistola agli Efesini leggiamo che «Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi a Dio, oblazione e ostia in odore di soavità» (5, 2). Questo è stato definito anche dal Concilio di Trento, come già dicemmo[8], quando si trattò della istituzione del sacrificio della Messa e del sacerdozio della Nuova Legge, fatta da Cristo.
Per quale ragione Cristo è stato ed è sempre insieme Sacerdote e vittima? Perchè nessun'altra vittima era degna del suo sacerdozio. E fu ostia perfettissima di infinito valore, così come l'offerta del sacrificio della croce aveva soggettivamente un valore infinito da parte della persona del Verbo. Fu invero ostia in tre modi: ostia per il peccato ossia in remissione dei peccati, ostia pacifica, per conservare la grazia, ostia di olocausto per unire in modo perfetto le anime redente a Dio nella gloria[9].
Cristo invero non si è ucciso, ma ha sostenuto volontariamente l'assalto dei suoi carnefici, che avrebbe potuto respingere con grande facilità, come quando i suoi avversari caddero a terra nell'orto del Getsemani, Ed aveva detto: «Nessuno mi toglie la vita, ma io la depongo da me» (Gv. 10, 8).
S. Tommaso afferma che il fuoco che consumò la vittima era fuoco di amore disceso dal cielo, perciò apparve manifesto nella gloriosa resurrezione e nell'Ascensione che il Padre accettava la vittima offerta in tal modo.
Bisogna notare che la morte volontaria di Cristo differisce da quella dei martiri, perchè il suo fu un sacrificio propriamente detto. La morte dei martiri è sì volontaria, ma una volta ricevuto il colpo mortale, non hanno questi la libertà di conservare o di deporre la vita, mentre invece Cristo poteva benissimo non morire per le ferite mortali, e l'avrebbe potuto volere se la volontà del Padre non gli avesse mandato di morire per noi. Inoltre non tutti i martiri sono sacerdoti ed il loro sacrificio non e un sacrificio propriamente detto, offerto da un sacerdote.
Cristo Sacerdote si è offerto come vittima prima in modo incruento nella Cena, sotto le specie del pane e del vino, e poi con spargimento di sangue e nella sua Umanità visibile, sulla Croce. Ma anche se non vi fosse stata la cena, la sua morte volontaria sulla croce sarebbe stata un vero sacrificio completo e non solo una parte del sacrificio. In questo molti teologi si discostano dal P. de la Taille, o, piuttosto, egli si allontana da loro. Nella crocifissione vi è stata non solo l'immolazione cruenta, ma anche l'oblazione non soltanto interna, ma manifestata anche esternamente, soprattutto con le ultime parole: «Nelle tue mani, o Signore, raccomando il mio spirito». – Effetto di questo sacrificio è l'espiazione dei nostri peccati: «Egli ha sopportato le nostre infermità e si è caricato del peso dei nostri dolori».

* * *

È il sacerdozio di Cristo sì perfetto da non potersene pensare uno maggiore? Si risponde affermativamente, secondo l'insegnamento di S. Agostino[10], di S. Alberto Magno[11] e di S. Tommaso[12].
Tale affermazione viene comprovata dalla definizione stessa di sacerdozio (notando che la grazia abituale di Cristo può venire aumentata, non già la grazia di unione). Ed ecco a cosa si riduce tale dimostrazione:
Il sacerdozio è tanto più alto quanto più il sacerdote è unito: 1) a Dio; 2) alla vittima più pura, più preziosa e più consumata; 3) al popolo per il quale si offre il sacrificio.
Questo principio deriva dalla definizione stessa di sacerdote, e mediatore tra Dio e gli uomini per l'offerta del sacrificio. Perciò:
1) il sacerdote deve essere unito a Dio per mezzo della santità, per supplire alla imperfezione dell' orazione, delle suppliche, delle riparazioni e dei ringraziamenti dei fedeli.
2) Il sacerdozio è tanto più perfetto in quanto si offre in sacrificio una ostia più pura e più preziosa, per esprimere la purezza dell'anima contrita, ed una ostia interamente consumata per indicare la completa elevazione di tutta l'anima a Dio[13]. Ed il sacerdozio, per ciò che si riferisce all'ostia, è tanto più perfetto quanto più sono uniti il sacerdote e l'ostia, perchè l'offerta e la immolazione visibile della vittima stanno a significare la oblazione interna del cuore del sacerdote, come dice il salmo 50 (v. 18): «Perchè se tu avessi voluto un sacrificio (esteriore) lo avrei offerto; non ti compiacerai degli olocausti. Sacrificio a Dio è lo spirito addolorato: non disprezzerai il cuore contrito e umiliato, o Dio». Per questo Iddio non accettò il sacrificio di Caino che era puramente esteriore.
3) Il sacerdozio è tanto più perfetto quanto maggiormente il sacerdote è unito al popolo, e ad un popolo il più possibile numeroso; perchè il sacerdote, quale mediatore degli uomini nell'offrire il sacrificio a Dio, deve radunare tutte le adorazioni, le riparazioni, le suppliche e i ringraziamenti dei fedeli in un'unica elevazione della mente a Dio, che sia come l'anima della orazione di tutto il popolo. Ne consegue perciò che il sacerdozio è tanto più perfetto quanto più stretta è l'unione del sacerdote con il popolo e quanto più questo è numeroso, chè allora il sacrificio dà un maggiore onore a Dio e il suo effetto è più universale. In un certo senso come accadeva quando il santo parroco Giovanni Vianney celebrava per i suoi fedeli e per i numerosi pellegrini accorsi.
È facile applicare tale principio al sacerdozio dì Cristo; ne appare allora evidente la somma perfezione che esclude qualsiasi possibilità di pensarne una maggiore.
Infatti 1°) Cristo, come sacerdote, non è soltanto più santo dì tutti gli altri sacerdoti, ma è la Santità stessa, quale Verbo Incarnato; è anche santo come uomo anzitutto per la grazia increata della unione con il Verbo che consacra la sua umanità; così da questo lato la santità formale e primaria di Cristo non è acquisita, ma innata, non accidentale, ma sostanziale, non creata, ma increata. I suoi atti sacerdotali quale uomo sono teandrici per la persona divina del Verbo, così ebbero un valore ab intrinseco infinito sia meritorio che satisfattorio, ed ora lo hanno parimenti per l'adorazione e il ringraziamento. Non bastava la grazia di capo, che è grazia abituale creata, a dar loro questo infinito valore.
Inoltro il Cristo è santo per la pienezza della grazia abituale e della carità creata. Ma in Lui sia l'una che l'altra per la assoluta potenza di Dio erano suscettibili di aumento, mentre invece la grazia della unione ipostatica non poteva essere maggiore. Viene così confermato che il sacerdozio di Cristo, maggiore di qualunque altro sì possa immaginare, è finalmente costituito dalla grazia di unione.
In fine Cristo aveva la potestas excellentiae per istituire i sacramenti e un sacerdozio indefettibile fino alla fine del mondo[14]. Egli è quindi la sorgente di ogni sacerdozio.
Così, a motivo della sua santità e della sua indefettibile unione con Dio il sacerdozio dì Cristo è il più perfetto possibile, perchè non può essere data grazia maggiore della grazia di unione, quantunque per la assoluta potenza di Dio sarebbero possibili una grazia abituale e una carità, maggiori di quelle che ricevette l'anima santissima di Cristo.
2°) Il sacerdozio di Cristo è anche il più perfetto per l'unione con la più perfetta ostia offerta. Infatti Egli è insieme sacerdote e vittima, come vien detto nell'a. 2. Nessun'altra ostia sarebbe stata degna del suo sacerdozio. Inoltre Egli fu vittima non solo nel corpo, ma anche nella anima, che fu triste fino alla morte. Non è possibile una unione più completa della sua tra il sacrificio esteriore e quello interiore, e l'ostia non poteva essere più pura, né più degna e più consumata. Il sacrificio del Calvario fu quindi l'olocausto più perfetto, come fu detto (a. 2) e si realizzarono le parole di Giovanni Battista «Ecco l'Agnello di Dio… che toglie i peccati del mondo» (Gv. 1, 29).
3°) il sacerdozio di Cristo è il più perfetto dì tutti per la unione di Cristo con il popolo cristiano, anzi con gli uomini di ogni tempo e di ogni razza, che formano e debbono formare il Suo mistico Corpo, perchè Egli è morto per tutti, nessuno eccettuato.
Il popolo per cui è stato offerto il sacrificio della croce non può essere più diffuso nello spazio e nel tempo, né più intima, da parte di Cristo, la Sua unione con il popolo. Confrontare a tale proposito, la dottrina del Corpo mistico, secondo S. Paolo[15]. Il Cristo, nel corso della Sua vita terrena, influì moralmente sul Suo Corpo mistico mediante il merito e la soddisfazione, ora influisce ancora moralmente con la Sua orazione d'intercessione, in quanto a vive sempre, a fine di supplicare per noi»[16] e physíce instrumentaliter in quanto ci comunica tutte le grazie che riceviamo[17] ed è la causa fisica strumentale di ogni transustanziazione che Egli vuole attualmente.
Dunque il sacerdozio di Cristo è il più perfetto tra tutti per una triplice ragione; l'unione di Cristo uomo con Dio, con la vittima offerta e con l'immenso popolo per cui viene offerta. Non sì può immaginare una unione più intima del sacerdote con Dio, da ciò resta confermata l'affermazione che il sacerdozio di Cristo è formalmente costituito non dalla grazia abituale e di capo che insieme con la carità avrebbero potuto essere più grandi in lui per assoluto potere divino[18], ma dalla grazia increata della unione la quale è la stessa Persona del Verbo in quanto termina, possiede e santifica l'umanità di Cristo[19] e dà al sacrificio della Croce, e quindi a quello della Messa, un valore infinito.
Da tutto questo risulta che il sacerdozio di Cristo è talmente perfetto che non possiamo immaginarlo più perfetto:

1°) perchè non vi può essere unione più intima del sacerdote con Dio che la unione ipostatica;
2°) perchè il sacerdote non si può unire maggiormente con l'ostia poichè Cristo è stato vittima e sacerdote insieme, e vittima non solo nel corpo, ma anche nell'anima, che fu triste fino alla morte;
3°) perchè il sacerdote non può unirsi con un popolo più immenso: Cristo è infatti capo di tutti gli uomini e per tutti offre il suo sacrifico.
Sul sacerdozio di Cristo rimane ancora da trattare una questione riferentesi alle messe che vengono celebrate ogni giorno.

* * *

Il sacerdozio di Cristo ha un'azione attuale in ogni messa, ossia Cristo offre non solo virtualmente, ma attualmente ogni messa che si celebra?
Tale argomento è stato trattato bene daì Salmanticesi nel De Eucharistia[20] ed io l'ho trattato abbastanza a lungo nel libro De Eucharistia[21].
Secondo alcuni autori, quali Scoto, Nominalisti e Vasquez, Cristo è il principale offerente in quanto istituì una volta il sacrificio della messa e comandò che si offerisse in suo nome: ma ora non compie l'offerta attualmente, perchè non si possono moltiplicare in Cristo gli atti di oblazione interna.
Al contrario moltissimi teologi, specialmente tomisti, affermano che Cristo offre non solo virtualmente, ma attualmente ogni messa che si celebra, ogni giorno; ma non per un moltiplicarsi degli atti di oblazione nella sua anima, bensì per un atto permanente che perdura in essa.
Questo sostengono il Gaetano, Giovanni di S. Tommaso, i Salmanticensi, Suarez, Bellarmino, Bérulle, Condren, Bossuet, Olier, Thomassin, e, di recente, Lepin, Grímal, Hérvé, Michel, Petazzi S. I.
Molte sono le prove.
1°) Lo accenna il Concilio di Trento[22] «Unica e medesima è l'ostia, e Colui che la offre attualmente per il ministero del sacerdote è Colui stesso che si immolò sulla croce; differisce soltanto il modo della offerta».
Ossia Egli medesimo è ora attualmente il principale oblatore.
Ma il sacrificio ora non è più cruento, doloroso, meritorio, perchè Cristo non è più viatore e la messa ci applica i suoi meriti e le sue soddisfazioni passate.
2°) Pio XI dice[23]: «Cristo si è offerto e si offre in perpetuo come vittima per i peccati». E parimenti Pio XII nella grande enciclica «Mediator Dei et hominum» del 30 novembre 1947, parlando di Cristo, quale principale offerente, dice: «Similmente offre se stesso ogni giorno sugli altari per la nostra redenzione, affinchè, liberati dalla dannazione eterna siamo accolti nel gregge degli eletti». E questo non per un nuovo merito ora acquisito, ma per l'applicazione dei meriti della Croce.
3°) L'argomento teologico fondamentale si trova parte nella S. Scrittura, parte nella tradizione e si riduce al testo: Il Cristo vive sempre al fine di supplicare per noi, dice l'Epistola agli Ebrei (7, 25) e quella ai Romani (8, 34): e, come generalmente insegnano i Padri, Egli è il sacerdote principale del sacrificio della Messa e di qualsiasi messa.
Cristo, infatti, non ha esercitato questo suo ufficio di sacerdote principale, solo nel momento in cui istituì la Messa, essendo «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec» e «sempre vivendo a fine di intercedere per noi», lo esercita attualmente poichè non potrebbe mai in eterno venir meno a questo suo ufficio di offerente principale.
Perciò Egli, quale principale sacerdote del sacrificio della messa, in maniera attuale vuole ed offre qualsiasi messa, e proprio in questo, e non solo nella vittima offerta appare la sublime dignità del nostro sacrificio che ha come principale offerente Cristo che esplica la sua azione teandrica di adorazione riparatrice, d'intercessione, di ringraziamento.
I Padri compresero tutto questo, come ho mostrato nel libro De Eucharistia[24].
4°) Secondo S. Tommaso[25] e la maggior parte dei teologi l'umanità di Cristo è strumento congiunto alla divInità per ogni effetto soprannaturale, strumento conscio di sè e volontario, ossia Cristo, quale uomo vuole e concorre fisicamente a produrre tali effetti soprannaturali «hic et nunc».
Tra questi effetti va annoverata ogni transustanziazione. Perciò Cristo come uomo la vuole e già l'ha avuta quando era sulla terra, perchè la sua visione beatifica e la sua scienza infusa previde e volle tutte le messe e ciascuna in particolare, quali applicazioni del sacrificio della croce[26].
Questa oblazione interiore perdura nella mente del Cristo glorioso senza che vi sia interruzione, nè rinnovazione, nè moltiplicazione. Ed essa, per quel che riguarda gli effetti, non è coordinata, ma subordinata a quella del sacrificio della croce, in quanto la Messa ne è l'applicazione. Per questo Cristo potè dire sulla Croce: «è compiuto» in quanto la messa è soltanto una applicazione dei meriti della Passione.
Prova. È certo che Cristo vuole darsi attualmente nella comunione a ogni fedele che Lo riceva, a più forte ragione perciò vuole attualmente offrirsi al Padre, secondo i quattro fini del sacrificio. La consacrazione ha maggior valore della comunione, in quanto l'essenza del sacrificio vale più della partecipazione dei fedeli ad esso; e Cristo le vuole entrambe attualmente[27]. Questo è ormai accertato e confermato dalla recente enciclica di Pio XII: Mediator Dei et hominum.

Conseguenze spirituali per il celebrante.

Da tutto ciò deriva che il celebrante deve aspirare ad una unione sempre più intima ed attuale con Cristo, che in modo attuale offre la messa in quanto la offre in modo perfettissimo con un atto teandrico di infinito valore, con la sua eccelsa contemplazione, con la sua carità ardentissima, e la sua perfettissima religione e pietà.
Il celebrante partecipa così più intimamente al supremo sacerdozio di Cristo… e inoltre vien portato a pensare che Cristo è non solo sacerdote, ma altresì vittima, che una volta soffrì ogni dolore, ed ora offre al Padre le sofferenze del suo corpo mistico, ossia le nostre, perchè abbiano maggior valore per la salvezza delle anime.
Certamente, se il celebrante è un poco distratto nel momento della consacrazione, per dei particolari del culto che possono talvolta venire a mancare, il Cristo non è distratto: la sua anima nel Verbo vede e vuole questa consacrazione, il suo valore, la sua efficacia, e la sua irradiazione fino al purgatorio. Tutto questo Egli vede intuitivamente e vuole in modo attuale.
Vedeva già tutto questo quando era sulla terra, come giudice dei vivi e dei morti, secondo l'esposizione che ne fa S. Tommaso[28], a più forte ragione perciò ora in cielo conosce e vuole tutte queste cose e le vede per la visione beatifica che non si misura con il tempo ma secondo l'eternità partecipata. Perciò l'anima santissima di Cristo in questo presente sempre fisso dell'eternità, vede e vuole ogni messa e la irradiazione di ciascuna sulla terra, nelle missioni, in purgatorio, ed anche in cielo, perchè la messa ci porta alla vita eterna e dà grande gloria a Dio.
Ed è necessario ripetere questo anche ai fedeli, in modo che facciano maggiore attenzione al sacerdote principale, di cui il celebrante è solo il ministro e non già il successore. Così conosceranno meglio il valore infinito della messa, non solo per la vittima che vi si offre, ma per colui che ne è il principale offerente. E comprenderanno meglio che il sacrificio della messa e quello della Croce sono identici per la sostanza (cioè la vittima e l'offerente principale), sebbene differiscano per il modo della immolazione che una volta fu cruenta, dolorosa, meritoria, ed ora è incruenta, sacramentale, non più dolorosa nè meritoria, ma ci applica «ex opere operato» la soddisfazione e i meriti della Passione, e produce nelle nostre anime frutti ricchissimi, proporzionati alla disposizione nostra. Più volte i santi assistendo al sacrificio della messa non videro più il celebrante, ma lo stesso Cristo che offriva se stesso in modo attuale, per la gloria del Padre e la salvezza delle anime. Da tutto questo appare evidente che il sacerdozio di Cristo è tanto perfetto che non se ne può immaginare uno più grande.

NOTE

[1] III, q. 22.
[2] Denz. 122 e 938.
[3] III, q. 22, a. 1.
[4] III, q. 22, a. 5.
[5] Denz. 938.
[6] Vedi Conc. Trident., Denz. 940: «unica ed eguale è la vittima (nel sacrificio della croce ed in quello della Messa) e si offre per il ministero dei sacerdote Colui che allora offrì se stesso sulla crocee; soltanto il modo di offrire è diverso, chè ora la immolazione non è più cruenta, né meritoria, ma ci applica i meriti della Passione.
[7] III, q. 22, a. 2.
[8] Denz. 938, 939, 940.
[9] Questo risulta da parecchi passi dell'Epistola agli Ebrei, citati da S. Tommaso nella Somma (III, q. 22, a. 2).
[10] Lib. IV De Trinitate, c. 14.
[11] De Eucharistia, dist. V, e. 3, ed. Borgnet, 1899, v. 3, p. 387.
[12] III, q. 48, a. 3; q. 22, a. 1 ad 4.
[13] Così da parte della vittima il più alto di tutti i sacrifici dell'Antico Testamento fu quello di Abramo per il quale egli offrì il suo figlio amatissimo, il quale, come figura di Cristo, offrì se esso eroicamente senza opporre resistenza, ma pregando e amando Dio.
[14] S. Tommaso, III, q. 64, a. 4; q. 50, a. 4 ad 3.
[15] I ai Cor. 12, 27. – Ef 4, 25. 26.
[16] Cfr. III. q. 21 e II-II, q. 83, a. 11.
[17] III, q. 62, a. 5.
[18] III, q. 7, a. 12 ad 2; q. 10, a. 4 ad 3.
[19] III, q. 6, a. 6.
[20] Disp. XII, dub. III, 1, (21)
[21] Ediz. 1942, pagg. 290-300.
[22] Denz. 1295.
[23] Denz. 1295.
[24] Pag. 294.
[25] III, q. 62, a. 5.
[26] III, q. 10, a. 2; 11, a. 1.
[27] Il Cardinale de Bérulle dice nella sua Vita di Gesù al cap. 26°: «L'oblazione e la volontà iniziale di Gesù sono atti non passeggeri come i nostri, ma permanenti, in quanto procedono dalla natura, e dallo stato dell'eternità. Atto e volontà perpetui, che non sono mai venuti meno, nè di giorno, nè di notte, che non sono mai stati distratti nè interrotti da nessun'altra azione, ma sono stati continuamente in atto nel suo cuore. Come il cuore ha un movimento perenne in cui consiste la vita, così questo moto spirituale è stato perenne e perpetuo nel cuore e nello spirito di Gesù».
Questo atto di oblazione di se medesimo perdura in Cristo, come la visione beatifica, l'amore beatifico, l'adorazione e non viene misurato dal tempo, bensì dall'eternità di cui partecipa.
Cfr. Bossuet: Elevazioni sul misteri, elev. 7ª della XIIIª settimana:
«Appena Gesù (entrando nel mondo) ebbe iniziato questo grande atto (l'oblazione di se medesimo) non lo interruppe mai e rimase fin dalla sua infanzia e dal seno di sua madre, nello stato di vittima abbandonata alla volontà di Dio».
[28] III, q. 10, a. 2.

 

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