Come S. Paolo della Croce recitava il breviario

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Con quanta devozione
S. Paolo della Croce recitava il divino Ufficio
di S. Vincenzo M. Strambi C.P.

Chiunque recitava l'Ufficio Divino con poca fede e raccoglimento, bastava che avesse osservato il nostro Santo per rimanere confuso ed istruito del modo con cui si deve eseguire un'azione sì grande che dai S. Padri è chiamata opus divinum. Quantunque infermo o aggravato dalla. vecchiaia, recitò sempre anche con suo gravissimo incomodo l'Ufficio e non volle mai prevalersi della dispensa concessagli da Clemente XIV, se non quando gli fu del tutto impossibile recitarlo: ma essendo oppresso dai suoi mali e negli ultimi anni di sua vita, si faceva aiutare da qualche sacerdote che avesse voce chiara ed intelligibile, per non privarsi del celeste pascolo che nella recita del divino Ufficio gustava l'anima sua. Ogni volta poi che recitava l'Ufficio stava col capo scoperto, con compostezza esemplare e grandissima devozione. Sebbene fosse infermo e carico di acciacchi, nulladimeno non si poté mai indurre a coprirsi il capo nel tempo che lo recitava.
Non poteva quasi fare a meno di mostrare il suo dispiacere, se talvolta vedeva che qualcuno stava col capo coperto senza necessità. Anche in occasione di viaggi, recitando l'Ufficio, stava a capo scoperto, sebbene fosse d'inverno, in campagna aperta e in tempo di grande freddo.
Negli ultimi anni di sua vita, quando maggiormente era travagliato dai suoi incomodi, il compagno lo stimolava istantemente a coprirsi il capo, dicendogli che non sarebbe stata mancanza di rispetto, se per motivo delle sue indisposizioni si fosse dispensato dal suo pio costume ed avesse recitato l'Ufficio così coperto. Perchè il Santo non sapeva resistere ma voleva accondiscendere virtuosamente ad ognuno, per un poco si copriva, ma poi dopo un poco si scopriva di nuovo dicendo che assolutamente non poteva recitar l'Ufficio col capo coperto e soggiungeva: «Bisogna pensare, che si dice l'Ufficio», quasi volesse dire: «Ora si parla con Dio!» Voleva anche, per quanto gli fosse stato possibile, nelle sue indisposizioni alzarsi di letto per adempire con maggiore ossequio a questo dovere tanto gradito a Dio e tanto utile a tutta la Chiesa.
Più chiaramente dava a conoscere la sua fede e devozione quando trovavasi nel coro comune a pregare con gli altri. Era esatto e diligente nell'intervenirvi: non se ne dispensava né di giorno, né di notte; anzi la notte tanto più volentieri si alzava e vi assisteva. Era persuaso che quel sacrifizio di lode offerto in quelle ore in cui la maggior parte degli uomini riposa o sta perdendo tempo in vani divertimenti o in peccati, è una dimostrazione di sincero amore all'amabilissimo Dio e diceva che in quel tempo si facevano al Signore le serenate d'amore. Molte volte, benché fosse ammalato e mezzo storpio e appena si potesse reggere in piedi, voleva intervenire al coro ed era per tutti uno spettacolo di edificazione e di tenerezza vedere il loro vecchio Padre, strascinarsi a stento nel luogo dell'orazione e quivi fermatosi in piedi come poteva, offrire con grande devozione a Dio quel sacrifizio di cui trovava tutte le delizie del suo spirito. Si vedeva quanto bene praticasse quella massima che inculcava agli altri:

«Quando andiamo in coro a recitare il divino Officio, ravviviamo la fede perchè in tali occasioni facciamo l'officio degli Angeli, dei quali si riempie il coro ad offrire un sacrificio di lode alla Divina Maestà».

Stava attentissimo perchè il canto fosse regolato dalla vera devozione ed accompagnato sempre da quella distinzione e pausa che tanto contribuisce affinché la soavità sia unita al vero decoro e giusta gravità. Per animare tutti a salmeggiare con fervore, ricordava con vivezza e forza di spirito le parole dell'Inno: «Os lingua, mens, sensus, vigor confessionem personent». Se talora qualcuno sbadigliava, animato da vivo zelo bussava col suo bastoncino in terra e diceva: «Non è questo il modo di recitare il divino Ufficio, stando alla presenza di Dio». Vide una volta che un religioso recitava l'Ufficio stando appoggiato al muro senza quella compostezza che conveniva. Il Santo gli raccomandò di recitare l'Ufficio con attenzione e riverenza, perchè in punto di morte il Signore gli avrebbe fatto vedere quello che egli allora non considerava. Mi ricordo che avendo sbagliato un chierico in coro – racconta un testimone – nella recita dell'Ufficio Divino, il Padre Paolo gli disse sotto voce: «Maledictus homo qui facit opus Dei negligenter». Queste parole furono udite da me e da altri, perchè il coro era assai angusto; ci riempirono di un santo timore e terrore, sicché si stava attentissimi a non sbagliare (S. 490, b. a).
Così parla e così pensa chi ha vivo sentimento di fede, per cui parlando con Dio, invisibile agli occhi del corpo, Lo vede e Lo contempla cogli occhi dello spirito.


testo tratto da: San Vincenzo M. Strambi, Lo spirito di S.Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, Alba: ed. Paoline, 1950, pp. 55-58.