Il sacerdote e la carità

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San Muziano-Maria Wiaux F.S.C.qui a lato: San Muziano Maria Wiaux F.S.C.

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI APRILE

IL SACERDOTE E LA CARITÀ

 

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Scrive S. Paolo al Corinti: Nunc autem manent fides, spes, charitas, tria haec: mator autem horum est charitas (I, 13, 13).

Lo stesso Apostolo in una commovente preghiera che può essere applicata in modo particolare ai sacerdoti, implora da Dio per i cristiani di Efeso il passaggio dalla fede a un'ardente carità: Ut det vobis secundum divitias gloriae suae… Christum habitare per fidem in cordibus vestris: in charitate radicati et fundati, scire etiam supereminentem scientiae charitatem Christi, ut impleamini in omnem plenitudinem Dei (Eph., 3, 16-19).

E' facile stabilire il primato della carità ricordando che Gesù ce la presenta come oggetto del primo e massimo comandamento, che compendia tutta la legge e i profeti; poi riflettendo ch'essa innalza l'uomo a Dio. non perché ne tragga vantaggio, ma affinché riposi in Lui Senza dubbio la carità ci unisce a Dio infinitamente buono e infinitamente amabile, ma per spronarci ad amarlo per Se stesso secondo la bella espressione di S. Bernardo: «Il motivo d'amare Dio è Dio stesso, la misura di amarlo è d'amarlo senza misura» (16).

L'argomentazione di S. Tommaso in proposito è d'una chiarezza precisa: Semper id quod est per se, majus est eo quod est per aliud. Fides autem et spes attingunt quidem Deum secundum quod ex ipso provenit nobis vel cognitio veri vel adeptio boni; sed charitas attingit ipsum Deum, ut in ipso sistat, non ut ex eo aliquid nobis proveniat; et ideo charitas est excellentior fide et spe, et per consequens omnibus aliis virtutibus (17).

E' facile inoltre comprendere che più di ogni altro il sacerdote deve essere eminente in carità. Anzitutto perchè il suo ministero ha per fine diretto e ultimo di crearla, di difenderla, di ripararla, di dilatarla nelle anime: Dii effecti deos efficientes. I santi si formano solo colla carità, vinculum perfectionis (Colos., 3, 14); ora, nemo dat quod non habet. Il prete che non possiede una misura colma, pigiata e sovrabbondante» di carità, non riuscirà mai a comunicarne alle anime una scintilla abbastanza ardente. E' vero che egli dispone dell'efficacia ex opere operato dei sacramenti che amministra; ma questa amministrazione assorbe la minor parte dell'attività del suo apostolato. E poi, perchè i sacramenti producano effettivamente la grazia nelle anime, è necessario che queste apportino nel riceverli disposizioni speciali, dipendenti in gran parte dall'efficacia dello zelo sacerdotale. Se non si può volere per un'altra anima, si può tuttavia aiutarla a volere, e soltanto la carità comunica tale efficacia all'apostolo.

Inoltre, il prete dev'essere eminente in carità perchè, più di ogni altro, è oggetto delle divine predilezioni le quali, secondo S. Giovanni, sono il grande argomento dell'amore. Non si rileggono mai abbastanza queste parole: Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas, non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit. nos (I Ioan., 4, 9). Quindi l’amore antecedente di Dio, quest'amore provato con il dono del suo Figlio, ci da’ il grande motivo della carità. E fino a qual punto questo motivo s'imponga al sacerdote, ne avremo un'idea mettendo in luce i rapporti di reale e adorabile amicizia che l'uniscono a Gesù. La libera elezione, l'intimità della vita, la comunanza dei beni sono le note della vera amicizia; vediamo come si realizzano fra il sacerdote e Gesù Cristo.

 

1. LIBERA ELEZIONE

Non è inutile rilevare subito che la carità è anzitutto un'amicizia particolare tra l'uomo e Dio.

Comunemente si da una definizione incompleta dell'amore, dicendo che consiste nella volontà di fare del bene a qualcuno. Questo è benevolenza, e un sentimento di bontà basta a spiegarlo, benché possa essere e generalmente sia un effetto dell'amore. Ma l'amore va più oltre e sospinge l'anima all'intera donazione di sé, all'immolazione per l'amato: Ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Ioan. 15, 13). E quando tale sentimento profondo è reciproco si ha l'amicizia. Ascoltiamo S. Tommaso: Nec benevolentia sufficit ad rationem amicitiae, sed requiritur quaedam mutua amatio, quia amicus est amico amicus. Talis autem mutua benevolentia fundatur super aliqua communicatione (18).

Ora, mediante la carità, andiamo a Dio che ci vuoi comunicare la sua beatitudine, La sua vita intima, e andiamo a Lui coll’oblazione di noi stessi ex toto corde, ex tota mente, ex totis viribus. V'è dunque un mutuo scambio che costituisce l'amicizia reale.

Però bisogna rilevare una nota speciale, che, per la sua intensità più o meno vibrata, caratterizza, accentuandolo, il sentimento di cui trattiamo: questa nota è la libertà.

Vi sono affetti imposti quale sacro dovere e non saranno mai qualificati di amicizia, benché suppongano il dono reciproco; per esempio, l'affetto filiale. Non si scelgono i propri genitori. Quindi, per quanto vivo possa essere l'impulso del cuore che ad essi ci porta, non ha a che fare con-l'impulso che ci guida all'amico di nostra elezione. In un senso verissimo e splendido, tutte le anime create da Dio nella sua indipendenza inalienabile, sono scelte da Lui: Elegit nos in ipso ante mundi constitutionem (Ephes., 1, 4). A loro volta esse son libere di andare a Lui o di dannarsi. Ma l'elezione divina del sacerdote è un elezione tutta particolare, che supera ogni altra in delicatezza, in elevatezza, perché i beni che l'amicizia di Dio vuole comunicare al suo ministro sorpassano infinitamente i beni ch'Egli destina al semplici cristiani, fossero anche santi; lo vedremo più innanzi.

Aspirare al sacerdozio vuoi dire aspirare ad una dignità regale, a funzioni sante: Vos autem genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus acquisitionis, ut virtutes annuntietis ejus qui de tenebris vos vocavit in admirabile lumen suum (1 Petr. 2, 9). Ora, non si ascende ad un trono che per eredità o per elezione; diversamente, sarebbe usurparlo. L'Apostolo non eccettua da questa condizione neppure Gesù Cristo nella sua elevazione al supremo Sacerdozio: Nec quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo, tanquam Aaron. Sic et Christus non semetipsum clariflcavit ut pontifex fieret; sed qui locutus est ad eum: Filius meus es tu, ego hodie genut te. Quemadmodum et in alio loco dicit: Tu es sacerdos in aeternum (Hebr. 5, 4 seq.).

Con quanta soavità penseremo dunque a queste parole che Gesù rivolge a ciascuno di noi: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos, et posui vos ut eatis et fructum afferatis (Ioan. 15, 16). Quel nostro fratello, quel nostro amico d'infanzia non hanno ricevuto tanto privilegio. A noi, non ad essi, si applica ancora il testo: Praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis, posuisti in capite ejus coronam de lapide pretioso (Ps. 20, 3). Eravamo nel Cuore dell'Unico Sacerdote, quando con una scelta ufficiale, creava il collegio apostolico: Elegit duodecim quos et apostolos nominavit (Luc. 6, 13). Non lo fece freddamente, ma in queste elezioni pose quanto in Lui vi poteva essere di meglio, tutte le sue tenerezze anticipate.

Questa grazia preesistente della nostra vocazione ci fu rivelata progressivamente nelle diverse tappe della nostra vita: prima Comunione forse, entrata nel Seminarlo Minore, poi nel Seminario Maggiore, ascensione ai vari gradi che precedono il sacerdozio; ed ogni manifestazione era accompagnata da una luce più viva alla nostra intelligenza, da un più caldo influsso sul nostro cuore, da più valido aiuto alla nostra volontà: Elegit eum et praeligit eum. Siamo stati scelti, separati dalla massa dei fedeli: Vos elegit Dominus ut stetis coram eo (2 Par. 9, 11).

 

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Possiamo e dobbiamo vivere la speranza

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Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

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RITIRO DEL MESE DI MARZO

IL SACERDOTE E LA SPERANZA

 

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2. – POSSIAMO. DOBBIAMO VIVERE DI SPERANZA

 

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La speranza, virtù teologica, ci fa aspettare Dio stesso. che conosceremo nella luce della sua conoscenza, facie ad faciem, che ameremo nel suo proprio amore nella vita eterna.

Ma questo fine, per essere raggiunto, suppone mezzi, i quali pure formeranno l'oggetto della virtù.

V'è sempre proporzione fra mezzi e fine. Per andare a Dio è necessario l'aiuto di Dio, in altri termini, la grazia; e questo aiuto è certo.

La nostra speranza si fonda sulla parola stessa di Die, il quale, rivelandoci i suoi disegni, ci manifesta pure la sua efficace volontà di chiamarci alla beatitudine superna. Inutile insistere su questo punto; è insegnamento della fede, fondamento della nostra speranza: Universa propter semetipsum operatus est Dominus (Prov. 16, 4), l'essere intelligente, si potrebbe dire, ancor più degli altri, perché creato per Dio. come può dimostrare, e dimostra la stessa ragione, è destinato alla beatitudine infinita.

Ora di tale suo volere di beatificarci. Dio ci ha dato un pegno, e questo pegno è Nostro Signore Gesù Cristo, principio dell'ordine sopranaturale, causa efficiente, causa meritoria, causa esemplare, causa finale della grazia. E' dato a noi Colui che vede e possiede il Padre, che ne gode con eterna sazietà. E' nostro e vuole condurci al Padre, darci al Padre. Adorabile realtà, e sublime mistero! Quante volte abbiamo letto, senza comprenderle, le parole rivelate che affermano tale certezza! Parvulus natus est nobis, et Filius datus est nóbis (Isaia 9, 6). — Sic Deus dìlexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Ioan., 3, 16). Destinati a possedere Dio in eterno, lo possediamo fin d'ora nel tempo!

Egli si è dato a noi per associarci alla sua vita: Veni ut vitam habeant (Ioan., 10, 10). — Ego sum vita (id. 14, 6) per applicarci ì suoi meriti: Per quem maxima et pretiosa nobis promìssa donavit, ut per haec efficiamini divinae consortes naturae (2 Petr. 1, 4); ecco il centro preciso e stupendo dei mistero! S. Paolo ne parla con mirabile certezza, tutto riassumendo in questa frase concisa diretta ai Corinti: Et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22).

Come eravamo in Adamo per la nostra rovina, così siamo in Cristo per la nostra salvezza e ciò senza interruzione, poiché Egli compì l'opera sua con tutta la sua vita, con tutti i suoi misteri. Eravamo in Lui quando si incarnava, quando nasceva, quando lavorava, soffriva, moriva, risuscitava, ascendeva al Cielo. Ecco tutta la teologia dell'Apostolo, sotto la penna del quale sovrabbondano i testi: Mortui sumus ***** Christo… (Rom., 6, 2), consepulti sumus ***** ilio… (id., 6. 4). Convivificavit nos in Christo, et conresuscitavit, et consedere fedi in coelestibus in Christo Jesu (Ephes., 2, 5).Che si potrebbe desiderare di più forte e di più soave insieme per infondere ferma speranza? Noi leggiamo ancora nella lettera agli Efesini: Dio ha fatto tutto ciò, ut stenderet in saeculis ervenientibus abundantes divitias gratiae mune in bonitate super nos in Christo Jesu. Gratia enim estis salvati per fidem; et hoc non ex nobis, Dei enim donum est (Ephes., 2, 7) Si stenta a lasciare questo capitolo. Ma no, non lasciamolo; leggiamo ancora, leggiamo sempre, meditiamo tale dottrina e viviamone; con essa dilatiamo i nostri cuori, ravviviamo le nostre anime.

Le hanno gustate i Padri che le predicavano ampiamente. Ecco S. Leone a proposito dell'Incarnazione: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. In nobis utique, quos sibi Verbi divinitas coaptavit, cujus caro de utero virginis sumpta nos sumus 11). E a proposito della Natività, ricordando l'insieme della dottrina: Sicut ***** Christo in Passione crucifixi in Resurrectione resuscitati, in Ascensione ad dexteram Patris collocati, ita ***** ipso sumus in hac Nativitate congeniti 12).

Ecco Tertulllano a proposito della Risurrezione: Quemadmodum enim nobis arrhabonem. Spiritus reliquit, ita et a nobis arrhabonem carnis accepit, et vexìt in coelum, pignus totius summae illuc quandoque redigendae. Securi estote, caro et sanguis, usurpastis et coelum et regnum Dei in Christo 13).

Ecco in fine S. Ambrogio parlando dell'Ascensione: Debuit tamen novo victori novum iter parari; semper enim victor tanquam maior praecelsior est: sed quia aeternae sunt iustitiae portae, eaedemque novi et veteris testamenti, quibus coelum aperitur, non mutantur utique sed elevantur: quia non unus homo, sed totus in omnium Redemptare mundus intrabat 14).

Non insistiamo più oltre, ma riflettiamo che la parola di S. Paolo: Nostra autem conversatio in coelis est (Philip., 3, 20) non è una semplice promessa, ma una realtà. La nostra vita, mihi vivere Christus est (id. 1, 21), è in Cielo. Quando Gesù vi salì glorioso volle collocare anche noi lassù insieme alla sua adorabile umanità: Vado ad Patrem meum et Patrem vestrum… parare vobis lo*****! (Ioan. 16, 38)… Ecco il grande motivo della nostra speranza; motivo ancor più forte per noi sacerdoti se pensiamo che Gesù è nostro più che d'ogni altro.

— Viviamo in alto, molto in alto! Viviamo fidenti anche se il nostro passato ci apparisse «degno di odio», anche se ci sentissimo ricoperti di peccati. Qualche cosa di noi stessi ha già preso posto in Cielo. Il mistero della nostra glorificazione ha bisogno di essere completato, ma in realtà è già cominciato. Questo basta per farci tendere la nostra volontà in uno sforzo generoso che ci permetterà di gustare, umili ma con pace, le ispirate parole che le nostre labbra pronunciano troppo spesso macchinalmente: Pars mea Dominus; propterea expectabo eum (Thren. 3, 24). — Qui confidimi in Domino, sicut mons Sion; non commovebitur in aeternum qui habitat in Jerusalem (Ps. 124,: — In te Domine speravi, non confundar in cesternum (Ps. 30, 1).

E a quest'ultima filiale protesta dell'animo nostro, Dio risponderà: Sacerdotes ejus induam it et sancii ejus exultatione exultabunt Ps 12. 17).

 

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Il sacerdote e la speranza

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Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

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RITIRO DEL MESE DI MARZO

IL SACERDOTE E LA SPERANZA

 

 

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La fede ci introduce nella speranza: Fides sperandarum substantia renivi (Hebr. 11, 1). L'Apostolo, che scrive queste parole, c'invita a vivere di ferma speranza: Fortissimum solatium habeamus, qui confugimus ad tenendovi propositam spera: quarti sicut anchoram habemus animae tutam ac firmavi, et incedentem usque ad interiora velaminis: ubi praecursar pro nobis introivit Jesus, secundum ordinem Melchisedech Pontifex factus in aeternum (Hebr., 6, 18 seq.).

Se osserviamo l'abituale indirizzo dei nostri pensieri, se studiamo attentamente 1 moti Istintivi del nostro cuore, constateremo che i pensieri si elevano a stento, che il cuore più che dilatarsi si restringe. Causa di ciò si è che la speranza non forma abbastanza l'oggetto delle nostre meditazioni, non ispira che debolmente i nostri sentimenti. Recitiamo, è vero, la formula, ma non ne facciamo atti frequenti: questi illuminerebbero la nostra vita, la renderebbero soave, riuscirebbero a sublimarla rendendola, secondo la bella espressione di San Lorenzo Giustiniani, quasi «la perpetua vigilia dell'eterna solennità» 8).Meditiamo dunque sul bisogno che abbiamo di vivere di speranza e che possiamo e dobbiamo praticare questa virtù.

1. – ABBIAMO BISOGNO DI VIVERE DI SPERANZA

Non si può leggere senza turbarsi la celebre sentenza di S. Giovanni Crisostomo: Non alio modo loquor, quarti ut affectus sum. Non multos puto sacerdotes salvos fieri, sed longe plures perire, non alia de causa, quam quod res magnum postulet animimi (9). E nel grande Vescovo essa non è frutto di impressione passeggera, ma piuttosto un vero assillo, perché scrive ancora: Omnium quos regis. mulierum et virorum et piterorum, a te reddenda est ratto: tanto igni caput tuum subiicis. Miror an fieri possit ut aliquis ex rectoribus sit salvus (10).

L'affermazione del libro della Sapienza (6, 6): ludicium durissimum his Qui praestint e l'affermazione stessa di Gesù: Cui multum datum est, multum quaeretur ab eo (Luc. 12, 48) non ci permettono di tacciare di esagerato quel testo cosi tremendo del santo Dottore.

E poi, se riflettiamo all'eccellenza della nostra vocazione, alla santità dei nostri ministeri, alla nostra schiacciante responsabilità, non riusciremo a tranquillizzarci, pensando specialmente alla nostra fragilità, causa di tante miserie e di tante cadute.

Quando il bambino spensierato e allegro attende al gioco, non pensa alla mamma. Ma tosto che si presenta il pericolo oh, con quale ansia a lei stende le braccia! La nostra vita è esposta inevitabilmente a molti pericoli. Per viverla nella sua pienezza, occorre una certa sicurezza, la quale può esserci infusa solo dalla speranza. Per agire con amore è necessario non credersi inesorabilmente votato all'odio. Noi abbiamo un bisogno immenso di confidenza per la nostra tranquillità e per la santificazione nostra e delle anime. Siamo sacerdoti per il solo scopo di popolare di eletti il cielo. Ora il nostro ministero si compie essenzialmente colla preghiera e col sacrifizio: Ex hominibus assumptus pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis (Hebr., 5, 1). Il nostro apostolato continua l'opera della grande mediazione del Cristo. Ma Gesù quando pregava diceva al Padre: Ego autem sciebam quia semper me audis (Ioan. 11, 42); quando si disponeva a bere il calice della Passione, ne aspettava la ricompensa con splendida certezza: Clarifica Fìlium tuum ut Filius tuus clarificet Te (Ioan., 17, I)

 

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Abiterò nei vostri cuori grazie alla fede

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San Mugle Febres Cordero  (1854-1910) religioso, dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole CristianeMons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI FEBBRAIO

IL SACERDOTE E LA FEDE
(parte prima)

 

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HABITARE PER FIDEM IN CORDIBUS VESTRIS, in caritate radicati et fundati (Ephes., 3, 14 seg.)

Esame Sull'applicazione Intellettuale

Vi adoro. Signore Gesù, mentre pronunziate queste parole: Vos vocatis me Magister et Domine, et bene dicitis; sum etenim… (Ioan., 13. 13). Siamo dunque discepoli, alunni; per conseguenza dobbiamo studiare. Cosi intende S. Paolo, sacerdote perfetto, che afferma di sapere Jesum Christum, e perciò si dichiara pronto a sacrificare tutto: Existimo omnia detrimentum esse, propter eminentem scientiam Jesu Christi (Phil. 3, 8). Eccoci in presenza di un grave dovere: l'applicazione intellettuale. Sono convinto della sua necessità? Le mie convinzioni m'inducono all'attuazione pratica? Su questi punti ho bisogno di esaminarmi seriamente.

1. – NECESSITA' DELL'APPLICAZIONE INTELLETTUALE

Il lavoro in genere s' impone all'uomo per diritto divino.

Creati ad immagine di Dio, atto purissimo, siamo esseri attivi; dobbiamo quindi essere operosi. Adamo nel Paradiso terrestre aveva ricevuto l'ordine di lavorare, ut operaretur; quando ne fu scacciato intese la legge: In sudore vultus tui vesceris pane (Gen. 3, 19). Lozio non è permesso a nessuno. Io sono laborioso? — Non vi sono preti davvero indolenti? Levata a tarda ora, ministero assai limitato, nulla li stimola; perdono il tempo in visite pericolose, vanno gironzolando, fantasticando; che scandalo! — Temo l'ozio? Multam malitiam docuit otiositas (Eccli. 33, 29). E' davvero temibile al punto che da alcuni si afferma che val meglio far dei nonnulla piuttosto che nulla.

Comprendo che il lavoro a cui è tenuto il prete è lavoro intellettuale? Come principio anzitutto: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo quod proceda de ore Dei 7) (Mat., 4, 4). Il pane veramente sostanziale che dà la vita è quello che comunica la vita eterna, la quale sfida la morte. Ora, haec est vita aeterna ut cognoscant Te solum Deum verum et quem misisti Jesum Christum (Ioan. 17, 3). Conoscere Dio e il suo Cristo suppone studio profondo e molto arduo.

— In pratica, poi:

    • Se non studio dimenticherò inevitabilmente quanto appresi in Seminario. E, per essere sincero, quando uscii da quel luogo benedetto che cosa sapevo? Ahimè! nulla, se non ero cosciente della mia ignoranza. — Sarei mai uno di quei preti che non hanno più aperto libro di teologia se non per preparare la soluzione dei casi? Infelici! Troppo spesso la loro presunzione è proporzionata al vuoto del loro spirito e li accieca. Deridono quelli che studiano con una stoltezza di cui non avvertono nemmeno il ridicolo. Sentenziano reciso nelle discussioni con l'assolutismo degli stolti, per i quali non è facile astenersi dalle parole dure e insolenti. E' negli edifici vuoti che la risonanza è più sonora. —
    • Se non studio non potrò riuscire buon catechista. Comprendo la mia responsabilità in proposito? I miei ragazzi per tutto alimento sopranaturale, per seme di vita cristiana ed eterna avranno appunto quanto io avrò loro distribuito negli anni di catechismo, anni ridotti a poche ore: Parvuli petierunt panem et non erat qui frangerei eis (Thren. 4, 4). — Sarò un predicatore inetto. Concludo veramente qualche cosa in pulpito? Si acquista una certa facilità di eloquio, s'impiega tutto il quarto d'ora destinato alla predicazione in frasi vuote, in parole senza dottrina. — Sarò direttore incapace. Confido nella mia pretesa psicologia sperimentale, nel mio buon senso quando si tratta dell'ars artium che preoccupa tanto confratelli più dotti e più intelligenti di me? Non temo la sentenza del Maestro: Caecus autem si caeco ducatum praestat, ambo in foveam eadunt (Mat. 15, 14). — Se ci rifletto, comprendo che senza applicazione allo studio, non posso rimanere tranquillo in coscienza.

2. – PRATICA

Devo eliminare gli ostacoli e disciplinare il mio studio.

1. Ostacoli; Non mi sono creato un'obiezione insolubile: a) delle mie occupazioni materiali, b) del mio ministero sovraccarico, c) della mancanza di uno scopo determinato, d) della mancanza di mezzi? — a) Devo stare attento a ordinare bene la mia vita; ma non sono né giardiniere, né cuoco. — b) Il mio ministero ben regolato deve lasciarmi tempo per pregare e studiare; altrimenti la mia non è più attività sacerdotale ma agitazione febbrile. — c) Istruire le anime, si trattasse pur solo di tre vecchie o di tre fanciulli, non è scopo spregevole e certo è difficile a raggiungersi; esige dunque applicazione. — Poi, conosco abbastanza il mio Dio? Il grado di gloria è proporzionato al grado di conoscenza. — d) Non ne ho il gusto!… Ut faber fabricando. — Son poco intelligente… labor improbus omnia vincit. — Mi mancano libri.. Si troverà chi li presta!

2. Disciplina: Ho un tempo determinato per lo studio? In una vita sovraccarica d'occupazioni, questo può essere difficile, ma non impossibile. — Seguo un ordine nelle materie dì studio? Svolazzare un po' su tutto dissipa lo spirito e lo lascia vuoto; l'Inclinazione personale interviene opportunamente In proposito per approfondire qualche argomento. — Faccio convergere verso le scienze sacre le mie migliori energie, tutto il mio tempo? E' deplorevole che vi siano preti, letterati distinti, matematici eruditi, ma ignari della Sacra Scrittura e della teologia.

— Signore e Maestro, vi supplico di fare di me un Vostro vero, fervente, attivo discepolo. Aprite la mia mente, elevate il mio cuore, a fin che lo giunga ***** omnibus sanctts… scire etiam supereminentem scientiae caritatem Christi (Ephes,. 3. 19).

 

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Il sacerdote e la fede

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Sant'Arcangelo Tadini, parroco Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI FEBBRAIO

IL SACERDOTE E LA FEDE
(parte prima)

 

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Uno dei rimproveri più frequenti che Gesù soleva fare a quelli che lo avvicinavano era motivato dalla mancanza di fede. A tutti i suoi Apostoli troppo umanamente preoccupati del domani, o troppo spauriti dalla tempesta dice: Quid timidi estis modicae fidei? (Mat. 8, 26); Quid cogitatis inter vos, modicae fidei? (id. 16, 8). A S. Pietro che cammina sulle acque ed è colto da improvviso spavento per l'imperversare del vento: Modicae fidei, quare dubitasti? (id. 14, 31). Ai discepoli di Emmaus mesti, perchè dimentichi di una parola, che avrebbe dovuto essere tutta luce per essi: Re-gnuvn meum non est de hoc mundo (Ioan. 18, 36) dice mestamente: O stulti et tardi corde ad credendum! (Lue. 24, 25). A Tommaso che Per credere esige una prova tangibile: Quia vidisti me, Thomas, credidisti; beati qui nonviderunt et credìderunt! (Ioan. 20, 29).

Si rallegra al contrario con quelli che credono e attribuisce ogni potere alla docilità del loro spirito: Fides tua te salvum fecit (Mat. 9, 22) dice al cieco dopo averlo guarito e così Pure all'ammalata che gli ha toccato l'orlo della veste. e alla Cananea: O mulier, magna est fides tua: fiat tibi sicut vis (id. 15, 28) E finalmente da la certezza assoluta: Si habueritis fidem sicut granum sinapis… nihil impossibile erit vobis (id. 17, 19). — Omnia possibilla sunt credenti (Marc. 9, 22). E si potrebbero moltiplicare le citazioni.

Si tratta dunque di una virtù che deve starci a cuore in modo particolare. Per noi sacerdoti è stata l'oggetto di una speciale preghiera di Nostro Signore: Rogavi pro te ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus, confirma fratres tuos (Luc. 22, 32). Meditiamola e convinciamoci seriamente che: 1° dobbiamo avere fede, dobbiamo vivere di fede.

1. – DOBBIAMO AVER FEDE

Ne abbiamo la prova nelle pagine evangeliche sopra ricordate. Ma non è inutile approfondirle.

Il sacerdote, continuatore del Cristo, è o dev'essere perfetto religioso dì Dio come il Cristo. Ora S. Tommaso scrive 3): Religio habet duplices actus: quosdam quidem proprios et immediatos… sicut sacrificare, adorare…: alios autem actus habet, quos producit mediantibus virtutibus, quibus imperat. Fra queste virtù tiene il primo posto la fede.

Senza dubbio la fede, virtù teologale, precede la religione; l'epistola agli Ebrei lo fa notare: Credere enim oportet accedentem ad Deum, quia est (Hebr. 11, 6). Si crede in Dio prima di rendergli omaggio, ma gli si rende omaggio credendo in Lui, e l'atto più bello e nello stesso tempo più fecondo della nostra religione è l'atto di fede; con quest'atto pratichiamo profondamente l'adorazione in spiritu et veritate, voluta dal Padre.

Nell'atto di fede la ragione crede fermamente senza vedere, come e più ancora che se vedesse; essa s'immola così e onora la veracità di Dio, motivo del suo sacrificio, insieme agli altri attributi divini, oggetto della fede.

La fede è la nota distintiva del cristiano: Justus meus ex fide vivit (Hebr. 10, 38), il quale è perciò chiamato con il bel nome di fedele. E dev'esserlo in modo sovra eminente il sacerdote, cui S. Paolo scrive: Exemplum esto fidelium, in fide (Tim. 4, 12). — Tu autem, homo Dei, sectare… fidem (id. 6, 11).

S. Agostino asserisce che «la fede ci ha ordinati chierici e consacrati sacerdoti»4). Ecco dunque perché aspicientes in auctorem fidei, et consummatorem Jesum (Hebr. 12, 2), dobbiamo poter dire coll'Apostolo che possediamo la fede: fidem servavi.

Dobbiamo averla profonda, luminosa.

a) Profonda. — Il sacerdote è il depositario, il custode della fede: Labia sacerdotis custodient scientiam et legem requirentex ore ejus (Malac. 2, 17). Deve quindi possederla più di tutti, egli che a tutti dev'essere maestro: Forma facti gregis ex animo (Petr. 5. 3). L'adesione del suo intelletto dev'essere più fermarle sue cognizioni dogmatiche più solide, più estese. L'adesione più ferma dell'intelletto esige una corrispondenza generosa dell'anima alla grazia della fede; essa è una grazia, non lo si dimentichi, la prima delle grazie, punto di partenza, sorgente di tutte le altre. S. Tommaso dice: Homo participat cognitionem divinarti per virtutem fidei 5). E' una specie d'influsso divino operante una vera deificazione della nostra intelligenza, che vede le verità rivelate nella luce stessa in cui le vede Dio: Fides est habitus mentis, quo inchoatur vita aeterna in nobis.

E' oscura nel suo oggetto che è il mistero; è chiara nel suo motivo, che è la veridicità di Dio. Essa comunica all'anima una certezza che supera l'evidenza stessa dell'ordine naturale. L'atto di fede è essenzialmente, intrinsecamente sopranaturale, è esclusivamente opera della grazia di Dio.

Che richiede la corrispondenza a tanta grazia? S. Paolo traccia un vasto programma in due parole: Habentes, mysterium fldei in conscientia pura (1 Tim. 3, 9).

E anzitutto, prendendo tali parole ut sonant, è necessario aver l'anima molto pura. Quando caro concupisca adversus spiritum (Galat. 5, 17), attenti! Se le nubi si accavallano, l'atmosfera s'oscura; se le nebbie s'infittiscono dinanzi allo sguardo, non si vede più chiaro.

Ma se è necessaria la purità del cuore molto più lo è la purezza della mente. Essa è una vigile custode di ciò che potrebbe attenuare quanto S. Ilario di Poitiers chiama casta verginità della verità 6). L'Apostolo mette in guardia contro tale insidia: Profanas vo***** novitates devita (Tim. 6, 20). L'umiltà, la semplicità, la rettitudine del giudizio son riparo a tanto pericolo. Queste disposizioni intime non sono retaggio degli stolti, più curiosi che eruditi, più saccenti che sapienti; esse mantengono l’equilibrio nell'intelligenza e sono indizio di vero valore intellettuale.

Questa duplice purezza di mente e di cuore è frutto della preghiera, la quale rende la fede veramente profonda.

E' una grazia che bisogna implorare; è una specie di visione di Dio, a cui bisogna accostarsi; appello dell'anima, prostrazione dell'anima, che ogni sacerdote deve coltivare con premura. Se non diciamo: Domine, fac ut videam.Adjuva incredulitatem meam Adauge nobis fidem non perderemo forse la fede; ma che fede avremo?

Si badi: se dissipati, irriflessivi, andiamo innanzi in forza di un impulso lontanamente ricevuto, corriamo rischio di divenire formalisti e ci premuniamo male dalle infiltrazioni naturalistiche, le quali ci impediscono d'essere veri preti, ossia uomini superiori agli altri uomini deificati: Tu autem, homo Dei (1 Tim. 4, 12).

b) Luminosa. —Il prete non è un custode della fede, avaro del suo tesoro; tutt'altro! Ne dev'essere prodigo anzi, come le anime lo esigono: Legem requirent ex ore ejus (Malac. 2, 7); egli è stato inviato per questo: Evangelizare pauperibus misit me. Quindi il Maestro ci dice: Praedicate evangelium omni creaturae… qui crediderìt et baptizatus fuerit, salvus erit (Marc. 16, 15). A tal fine ci vuole luce: Vos estis lux mundi (Mat. 5, 14), — ut fili lucis sitis (Ioan. 12, 36).

E i suoi consigli sono essenzialmente pratici positivi. Quando dice che «la nostra luce deve risplendere dinanzi agli uomini», aggiunge: «affinchè vedano le vostre opere buone». Fede luminosa, fede irradiante: non è espressione vaga questa; si tratta delle opere buone!

Predichiamo e predichiamo con l'esempio: Verbo movent, exempla trahunt. Quanti ci vedono anche senza essere psicologi accorti, sanno distinguere fra prete e prete. Chi non ha sentito mai questa frase: «Oh, quello sì ci crede!».

Come se non ogni prete credesse!… Vè dunque un modo speciale dì dimostrare la nostra fede? Sì; mostriamo di crederci. S. Giovanni-Maria Vianney diceva soltanto queste parole: «Oh! figliuoli miei, amiamo tanto il buon Dio!» e tutti gli astanti ne erano commossi. Sì; v'è una particolare fisonomia creata dal contegno, dai modi, dalle parole, dai costumi che distingue l'uomo di fede. Guai! se qualcuno vedendoci dovesse esclamare: Quello fa il suo mestiere!

Predichiamo, e predichiamo con la parola. La predicazione è un dovere essenziale del prete: Oportet sacerdotem… praedicare. Ma del nostro insegnamento si deve poter dire: Verbum ipsius. quasi facula ardebat (Eccli. 48, 1). Accade talvolta di ascoltare delle prediche, che, pur essendo splendide nella forma, lasciano gli uditori freddi; se ne odono altre spoglie d'ogni artifizio, ma che penetrano nelle intelligenze come raggio di sole in andito oscuro e avvolgono i cuori quasi del caldo effluvio d'un focolare ardente. Nemo dat quod non habet; solo gli oratori che sono lucerna ardens et lucens (Ioan. 5,35). posseggono davvero la fede.

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Il ”dies irae” del sacerdote

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Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

* * *

Preparazione alla morte

IL « DIES IRAE » DEL SACERDOTE
Sorpresa dell'anima

Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in favilla…
Teste David cum Sybilla.

* * *

Dio mio, mi vado incamminando verso la morte e non è possibile evitarla. Il peso del mio essere mi trascina al suo incontro con la vertiginosa rapidità del tempo. Ogni giorno più mi ci avvicino; tutto me lo dice: la rivelazione e la ragione, la storia e l'esperienza: teste David cum Sybilla; e ci penso poco, non ci rifletto che alla sfuggita… mi stanco ed ho paura : ne distolgo l'attenzione subito distratta dai molteplici oggetti che la seducono, dalle contingenze che l'assorbono.

Ma questo non è sapienza!

Non devo aspettare l'ora in cui ridurrete in cenere il mondo intero: Solvet saeclum in favilla! V'è un'ora, prossima ormai, in cui io sarò, ridotto in cenere: Pulvis es et in pulverem reverteris! (Gen. 3,19). — Putredini dixi: poter meus es, mater mea, et soror mea, vermibus! (Iob. 17, 14).

Non sarà terribile (dies irae, dies illa!) il dissolvimento del mio essere? Tutto mi sfugge: persone e cose spariranno dal mio sguardo ottenebrato; sentirò che tutto mi vien tolto, che io stesso sono strappato a tutto… Che cosa mi sta a cuore?… Le mie sostanze, le mie idee? Le mie sostanze passeranno nelle mani di chi non le avrei mai volute; si spartiranno i miei libri, si bruceranno i miei scritti o saranno derisi; le mie iniziative verranno abbandonate, criticate; le mie idee vittoriosamente combattute! — Chi mi sta a cuore?… Coloro che amo molto, mi dimenticheranno; ameranno il mio successore forse più di me … oblivioni, datus sum tanquam mortuus a corde (Ps. 30, 12) e su me si stenderà il silenzio del nulla.

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Verso le vette della santtià sacerdotale

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Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

 

PREFAZIONE DELL'AUTORE

Dopo le prime tre serie di « Ritiri mensili » :
I) Il Sacerdote e i suoi grandi doveri –

II) Il Sacerdote nella sua atmosfera soprannaturale
III) Il Sacerdote alla scuola del Maestro Divino, ecco la quarta: Le gemme della corona sacerdotale. Si completa così un lavoro nel quale abbiamo trasfuso tutto il nostro cuore, perché intrapreso per «gli Amici del Maestro». Vogliano essi trovare in queste ultime pagine, come già nelle prime, la prova del nostro vivo desiderio d'aiutarli a conoscere meglio, a volere più fortemente.

Quanto più addentro abbiamo potuto penetrare nelle anime sacerdotali, tanto più si è intensificato il nostro sincero e affettuoso rispetto per esse. Quali virtù, quante bellezze inorali abbiamo scoperte in coloro che ci è pur dolce chiamare, edificati e commossi:

« Venerati e cari Confratelli». E più grande è la nostra ammirazione perché meglio ci son note le condizioni a volte tanto penose della loro esistenza solitaria, priva di consolazione e d'incoraggiamento.

Come comprendiamo bene il bisogno che hanno ì sacerdoti di accostarsi a Dio sempre più, di appoggiarsi a Lui!

Il Ritiro mensile può aiutarli in questo e per noi è vera gioia poterne facilitare la pratica con questo quarto e ultimo volume.

Supplichiamo la Vergine Immacolata di benedire te nostre intenzioni, e per sua mediazione imploriamo dal Cuore Sacratissimo di Gesù le migliori effusioni delle sue grazie sui nostri degnissimi e amatissimi lettori.

Agostino
Vescovo di Moulins.

LE GEMME DELLA CORONA SACERDOTALE

 

RITIRO DEL MESE DI GENNAIO

 

IL SACERDOTE E LA VIRTÙ' DI RELIGIONE

« Il grande disegno di Dio nella vocazione al sacerdozio è di avere delle persone, che, sciolte da ogni legame, si dedichino unicamente e attendano continuamente all'esercizio del suo culto religioso. Siccome egli è infinitamente santo e perfetto in se stesso e infinitamente buono e liberale verso le sue creature, cosi merita di essere onorato per la sua grandezza e lodato, ringraziato per tutti i suoi benefici. E poiché il suo essere è eterno e le sue perfezioni sono immutabili, come ininterrotti sono i suoi benefìzi, così egli vuole essere glorificato senza posa e continuamente lodato da coloro che, ad ogni istante, sono arricchiti delle sue grazie.

« Nel cielo ha creato gli angeli che lo adorano, lo lodano, continuamente, e gli rendono il culto dovuto alla sua divina maestà.

« Ma il nostro Dio, che desidera sulla terra un culto simile a quello del cielo, e che vuol essere sempre onorato e per le sue adorabili grandezze e per i benefici che spande ognora sulle sue creature, vedendo che la maggior parte degli uomini non avrebbero voluto soddisfarlo o ne sarebbero stati distolti dalle necessità della vita, scelse, a farne le veci, i sacerdoti, perché in nome di tutti gli tributassero l'ossequio di un perpetuo culto di religione.

« Il sacerdote è come un sacramento di Gesù Cristo, religioso di Dio suo Padre; infatti Gesù sotto le apparenze del sacerdote continua a onorare perfettamente il Padre. Il sacerdote è dunque il supplemento del Cristo, nel quale Egli completa ciò che manca al suo culto religioso, come completava in S. Paolo ciò che mancava alle sue sofferenze. Il sacerdote è un mediatore fra Dio e gli uomini, che rende a Dio i doveri della sua Chiesa, e a questa distribuisce i doni di Dio. In una parola il sacerdote è come un sommario e una sintesi di tutta la religione » 1)

Belli e gravi pensieri di un gran servo di Dio che aveva meditato profondamente sul sacerdozio. Non sono essi il commento della parola dell'Apostolo, così completo nella sua . concisione? omnis pontifex ex hominibus as-sumptus, pro hominibus constituitur, in his quae sunt ad Deum (Hebr. 5, 1). Non son l'eco della dichiarazione solenne fatta da Gesù alla Samaritana? Venit hora, et nunc est, quando veri adoratores adombunt Patrem in spirita et ventate. Nam et Pater tales quaerit qui adorent eum (Joan. 4, 23).

Ci troviamo di fronte a un dovere importante, essenziale. Il Padre cerca veri adoratori e deve trovarli nei suoi sacerdoti, continuatori del solo vero Sacerdote, del solo vero Adoratore e Mediatore. Eppure questo dovere non è il meglio compreso né il più fedelmente osservato. Per riuscire ad osservarlo come si conviene, ravviviamo le nostre convinzioni e perciò meditiamo: 1° il fondamento; la pratica della virtù di religione.

1) Olier; Trattato degli Ordini Sacri, 1» parte, cap VII.

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La vita di unione con Maria

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SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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CORONAMENTO DELL'OPERA
V. LA VITA DI UNIONE CON MARIA. PER IPSAM, ET CUM IPSA ET IN IPSA

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Ecco un Mistero celeste! ecco la vera vita del Sacerdote, la sua luce, la sua forza, la sua consolazione, il tratto più dolce di somiglianza con Gesù. La vita di unione con Maria consiste nel riprodurre fedelmente in noi le disposizioni del Sacro Cuore di Gesù. Fin dall'eternità, il Verbo ebbe per la sua futura Madre le inclinazioni più tenere e le più commoventi preferenze. Coelo Redemptor praetulit – Felicis alvum Virginis, – ubi futura Victima – mortale corpus induit! (677). Quando venne al mondo, volle aver bisogno di Maria, della sua tenerezza, delle sue cure, del suo latte, delle sue mani e, del suo lavoro. Fattosi grande, volle dipendere da lei, obbedirla e servirla (678). Non incominciò la sua vita pubblica che sul desiderio di lei; la volle associata ai suoi viaggi apostolici; benché Maria si sia nascosta in una profonda oscurità, chi potrebbe dubitare che non sia stata, con le sue preghiere, i suoi esempi e tutta la sua vita, il perfetto aiuto della missione del Redentore? Sul Calvario, mentre Gesù offriva al Padre il prezzo della nostra Redenzione, Maria fu Corredentrice immolandosi con Gesù (679). Dopo che il Sacrificio fu compiuto con la morte, la lancia trasse dal Sacra Cuore le ultime gocce di sangue; Gesù volle così, perché quest'ultimo sangue prezioso del suo Cuore esausto ed esanime, da Maria sempre in piedi come il Sacerdote che offre il Sacrificio, venisse presentato alla Santità ed alla Misericordia di Dio. Quando poi l'adorabile Vittima lasciò l'altare della Croce, venne deposta nelle mani e sulle ginocchia di sua Madre, come sopra un altare più venerabile e più santo di quello della Croce.

Gesù e Maria non sono che una cosa sola. Così Giovanni e Maria sono una cosa sola: Ex illa hora accepit eam discipulus in sua. Il Beato Grignon di Montfort traduce: «Giovanni prese Maria con sé perché essa fosse per lui ogni sorta di beni, Accepit eam in sua omnia» (680). L'unione di Giovanni con Maria! Quale delizioso soggetto di contemplazione, di ammirazione e di amore! Ascoltiamo san Bernardo: «Allora (sul Calvario), questi due Prediletti (Maria e Giovanni) mescolarono le loro lagrime; allora queste due anime Vergini furono assieme Martiri: l'anima di Maria e l'anima di san Giovanni furono, con immenso dolore, ugualmente trapassate dalla spada della morte di Gesù» (681). Il Mistero di una tale unione così santa e ammirabile ebbe origine da quelle parole di Gesù: «Donna, ecco il vostro Figlio, – Figliuolo, ecco la tua madre»; e venne compiuto dalla spada di un comune Sacrificio. Maria e Giovanni se n'andarono quindi nel mondo, da Gerusalemme a Efeso, da Efeso a Gerusalemme portando dappertutto, nella preghiera, nelle fatiche apostoliche, in tutti i sacrifizi, questo suggello divino, questa grazia celeste derivata dal Calvario, quella vita di unione così forte e così tenera, felice per Giovanni e consolante per Maria, gloriosa per il Signore, santificante e feconda per la Chiesa. O meraviglia di grazia, d'innocenza e di amore! O Unione senza nome possibile quaggiù! O Vita unica di Giovanni e della Madre sua! Santuario augusto, al quale non possiamo avvicinarci senza profondo rispetto, ma con l'anima tutta commossa e compresa da un desiderio inesprimibile di stabilirvi, ad onta della nostra indegnità, la nostra dimora perpetua sino al cielo (682).

La Vita di unione con Maria consiste nelle tre pratiche seguenti: Vivere e fare ogni cosa per mezzo di Maria – con Maria – e nel suo Spirito: Per Ipsam, – et cum Ipsa – et in Ipsa.

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Maria, nostra Regina

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SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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CORONAMENTO DELL'OPERA
III. MARIA NOSTRA REGINA

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Per quanto sia glorioso il nostro Sacerdozio coi suoi poteri meravigliosi, è evidente che la Vergine trova si ben al disopra di poi. Eppure parecchie anime sacerdotali, rapite dall'ammirazione per la grande sublimità della nostra dignità, han detto che, sotto certi aspetti, siamo più onorati e più potenti della Vergine divina; perché abbiamo certi poteri che essa non ebbe. Questi sentimenti non ci sorprendono, ma sono esagerazioni che non sono senza inconvenienti, trattandosi di grandi opere della Destra e del Cuore di Dio.

Mettiamo a confronto i nostri poteri con quelli della Madonna, e vedremo ch'essa è veramente la nostra Sovrana:

I. – Noi abbiamo il diritto ineffabile e la grazia inestimabile di consacrare il Corpo e il Sangue di Nostro Signor Gesù Cristo. Nulla di più sublime tra gli uomini e tra gli angeli. – Orbene, nell'esercizio di questo potere Maria è nostra Sovrana. Il suo potere di Madre di Dio è più elevato, più esteso e più completo del nostro potere sacerdotale. Infatti:

1°) Maria ha dato a Gesù l'essere e la vita, col dargli il proprio sangue e la propria sostanza, dimodochè Gesù è davvero consustanziale con Maria. Noi invece non diamo nulla di noi medesimi a Gesù; non siamo genitori del Figlio di Dio, ma soltanto ministri dei suo Sacerdozio.

2°) Maria ha dato a Gesù l'Essere di natura, un essere inammissibile. Noi invece gli diamo un essere sacramentale che, di sua natura, è temporaneo, poiché dipende dalla conservazione delle specie sacramentali. Il Fiat della Madonna che operò il Mistero dell'Incarnazione fu dunque di un ordine oltremodo superiore all’atto della Consacrazione.

3°) il Fiat detto da Maria, secondo il volere di Dio, era un atto necessario per l'Incarnazione e soltanto da essa poteva estere pronunciato. Noi pure pronunciamo nella Consacrazione certe parole che Gesù ha voluto fossero necessarie, ma nessuno di noi è indispensabile perché Gesù sia presente nel mondo.

4°) È vero che noi diamo a Gesù l'esistenza sacramentale nello stato glorioso, mentre Maria lo generò nello stato di mortalità; ma ciò non costituisce nèssuna superiorità del nostro ministero in confronto della Maternità divina. Anche durante la sua vita mortale, Gesù era glorioso nell'interiore dell'anima; e se la sua gloria corporale e esterna venne differita sino alla Risurrezione, Egli intrinsecamente vi aveva ogni diritto. Gesù nel seno di Maria era dunque perfetto, tanto come ora in cielo.

5°) È vero ancora che Maria ha generato una volta sola il Verbo incarnato, e noi ogni giorno lo produciamo sull'altare. Ma l'atto della consacrazione, fosse pur rinnovato migliaia di volte! attraverso migliaia di secoli; sarà sempre infinitamente inferiore all'atto unico di Maria. Per altro, possiamo anche dite che la volontà incessante, con cui la Madonna offriva l'adorabile Vittima sulla terra, e continua ad offrirla ancora in Cielo, è come una Consacrazione perpetua.

6°) E’ il Sacramento dell'Ordine che non venne conferito alla Madonna?.. Risponde sant'Antonino: Licet Sacramentum Ordinis non acceperit, quidquid tamen DIGNITATIS ET GRATIAE in ipso confertur, de hoc plena fuit. Confertur in eo saptiformis gratia Spiritus Sancti, qua omnifariam plena fuit» (662). San Giovanni Damasceno ha detto pure: Infinitum Dei servorum ac Mariae discrimen est (663). Osserviamo inoltre, ché il carattere sacramentale, benché oltremodo venerabile, non è per se stesso santificante, poiché, come ha detto san Tommaso: Post hanc vitam remanet… in malis ad eorum ignominiam (664).

Maria è manifestamente la nostra eminente e gloriosa Sovrana.

II. – Noi fummo innalzati al Sacerdozio mediante certi gradi, che sono gli Ordini minori e maggiori, i quali ci conferivano il potere di compiere certe funzioni in relazione più o meno diretta con la presenza di Nostro Signore nel SS. Sacramento, ministeri angelici, anzi divini poiché Nostro Signore medesimo si degnò di esercitarli. Orbene, la Vergine SS. li ha pure esercitati, in una maniera eminente, con un diritto, una autorità, una fedeltà e una religione oltremodo superiori alle disposizioni che potrebbero mai avere i più gran Santi. Sant'Alberto Magno, commentando quella parola dei Proverbi: Ab aeterno ordinata sum, così fa parlare la Vergine santissima: «L'Eterno Padre mi ha ordinata Ostiaria, per escludere dal Tempio gli uomini impuri; Esorcista, per scacciare i demonii; Lettrice, perché in me si compiono gli oracoli dei Profeti; Accolita, perché sono illuminatrice come l'aurora e la stella mattutina; Suddiacona, perché dovevo contemplare il Verbo divino e conservare nel mio cuore la memoria dei suoi atti per trasmetterli agli scrittori sacri; Diacono e Sacerdote, per formare e dispensare il Corpo di Gesù Cristo; Vescovo, per la mia sollecitudine universale riguardo a tutte le Chiese; infine Pontefice Sovrana, perché sono la Madre di tutti, e, meglio del Vicario di Gesù Cristo, possiedo il potere sovrano sulla terra e nel Cielo, nel Purgatorio e persino nell'Inferno medesimo» (665).

III. – Noi riceviamo il potere di rimettere i peccati. Maria evidentemente non ha mai potuto dare neppure una assoluzione, ma essa è la dispensi era di ogni grazia. Ogni bene ci viene dal merito del Figlio suo, quindi passa per le sue mani materne. Perciò tutte le disposizioni necessarie perché l'assoluzione sacramentale abbia il suo effetto, dipendono dalla Madonna e da questa vengono comunicate ai peccatori. Ricordiamo le parole di san Bernardo: Sic est voluntas Dei, qui totum nos habere voluit per Mariam (666); e queste di san Bernardino: Omnia dona, virtutes et gratiae quibus vult, quomodo vult et quandiu vult, per manus ipsius administrantur (667).

Maria è quindi, molto più di noi, la Riconciliatrice dei peccatori. Essa dà al nostro potere sacramentale di misericordia e di perdono, la sua efficacia. Perciò Gersone ha potuto dite: Maria non habet characterem sacerdotalem formaliter, fateor; sed habet eminentius ad reconciliationem… contra miserias omnes tam corporum quam animarum (668). Maria, dice pure sant'Antonino, Sacerdos est spiritualis… ob absolutionem a cuplis et poenis per Filium suum (669).

IV. – In virtù della nostra consacrazione, noi siamo costituiti, ad un titolo santo e magnifico, Religiosi di Dio, Mediatori di Dio, Vittime di espiazione e di soddisfazione a pro degli uomini e Dispensatori della sua grazia, della sua volontà e della sua parola: ministeri sublimi e gloriosi!

Anche sotto tale aspetto, Maria è la nostra Sovrana. Tutti quei titoli, infatti, si applicano alla Madonna in modo eminente. Essa è la grande Religiosa di Dio, la universale Mediatrice, la Vittima purissima, lo strumento fedelissimo della volontà divina; ad essa i Padri e la Chiesa attribuiscono la vittoria sopra tutte le eresie. Anche in Cielo la nostra fede la contempla ancora nell'atto misericordioso della supplicazione. «Per te, dice s. Cirillo di Alessandria, Trinitas sanctificatur, per te crux pretiosa celebratur et adoratur in toto orbe terrarum… Per te, omnis creatura idolorum errore detenta conversa est ad agnitionem veritatis… Per te Apostoli salutem gentibus praedicarunt (670). Voluit Filius, dice sant'Antonino, ut, post Ascensionem Mater beatissima remaneret ad tempus in mundo, Doctrix et Illuminatrix Apostolorum… et Evangelistarum (671).

O Sacerdoti! innalziamo al cielo un cantico di riconoscenza, perché Maria, sotto ogni rapporto, è la nostra Sovrana, Sovrana amantissima, Regina gloriosissima. Diciamo pure con sant'Ildefonso di Toledo: O Domina mea, Dominatrix mea, dominans mihi… te rogo ut habeam Spiritum Domini tui, etc. Tu enim es electa a Deo… proxima Deo, adhaerens Deo, conjuncta Deo… Beatam te dicent omnes generationes… Beata tu fidei meae, beata tu animae meae, beata dilectioni meae, praeconiis et praedicationibus meis (672).

 

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La maternità divina è una dignità sacerdotale

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SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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Coronamento II.
LA MATERNITÀ DIVINA
E' UNA DIGNITÀ SACERDOTALE

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Questa proposizione, tutt'altro che singolare e ardita, deriva dalla dottrina che abbiamo esposta.

Il Padre, da tutta l'Eternità, genera il Figlio, che è la sua gloria essenziale: lo genera pure nel tempo perché sia la sua gloria accidentale è affidata al Sacerdozio e al Sacrificio di Gesù Cristo, anzi consiste in questo Sacerdozio e in questo Sacrificio. Orbene, nella generazione temporale del Figlio, Maria era Cooperatrice del Padre, e Cooperatrice così perfetta che, mentre apportava il suo concorso all'opera che si compiva in unità d'azione, essa conosceva chiaramente i fini adorabili della propria cooperazione. Quando dava il suo consenso dicendo: Fiat mihi, essa sapeva che stava per concepire, nel suo seno immacolato, Colui che sarebbe la gloria, e quindi il Sacerdote e l'Ostia del Padre. Questo era noto a Davide, ai Profeti (656); come mai Maria lo avrebbe ignorato? (657). Essa dunque intendeva essere Madre come Dio è Padre; entrando in tutti i disegni del Padre, voleva dargli quanto Egli medesimo voleva dare a se stesso in quella generazione temporale, vale a dire, nel Figlio incarnato la gloria più grande e più perfetta, e quindi un Sacerdote degno di Lui, un'Ostia il cui Sacrificio gli presterebbe tutta la Religione a Lui dovuta. Orbene, voler dare al Padre questa gloria, questo Sacerdote, questa Ostia, non era forse per l'umile e ammirabile Vergine, compiere in un modo sublime e senza pari, un atto veramente sacerdotale?

 

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