Maria e il Cuore Sacerdotale di Cristo

MARIA E IL SACERDOZIO
di Padre Paolo Philippe, O.P.

PARTE SECONDA.  MARIA E LA VITA INTERIORE SACERDOTALE
CAPITOLO I. MARIA E IL CUORE SACERDOTALE DI CRISTO

Se la Maternità divina è il fondamento di tutte le relazioni che intercorrono tra la Santissima Vergine e nostro Signore, essa, tuttavia, non esaurisce tutti gli aspetti di tali relazioni.
Maria è stata predestinata ad essere la Madre del Figliuolo Unigenito di Dio, non solo per plasmare la sua santa Umanità, offrirgli la possibilità di divenire Sacerdote, ma anche per dargli il suo Cuore verginale e cooperare all’opera che egli è venuto a compiere in terra, la Redenzione.
Sono queste relazioni di Maria col Sommo Sacerdote che dovremo ora contemplare. Esse ci sveleranno a quale intimità con la Vergine Santa noi siamo invitati nella Chiesa e nella nostra vita interiore di Sacerdoti.

1. IL CUORE SACERDOTALE DI CRISTO NELLA PASSIONE
Qualunque siano le divergenze di scuola circa il motivo dell’Incarnazione, è un fatto ammesso da tutti i teologi che il Verbo s’è incarnato per salvarci. Si può discutere su ciò che Dio avrebbe decretato se l’uomo non avesse peccato, ma non si può negare che, di fatto, in ciò che vediamo dei disegni dell’Autore Infinito, l’Incarnazione sia stata ordinata alla Redenzione. “Dio ha talmente amato il mondo, che ha dato il Figliuol suo unigenito, affinché chiunque crede in lui, non perisca ma abbia la vita eterna” (Jo., III, 16).
Ma il piano dell’Amore Infinito è mirabilmente logico nella sua misericordia. Dio sa fino a qual punto noi siamo impastati di sensibilità e incapaci di elevarci alle cose invisibili se non a mezzo delle visibili: “Dum visibiliter cognoscimus, in invisibilium amorem rapiamur” (Prefatio di Natale). Perciò non si contenta di assumere la carne d’uomo, di farsi bambino per insegnarci a non aver paura di lui e soprattutto per farci capire che con lui dobbiamo renderci noi pure bambini; Dio vuole manifestarci il suo amore sino in fondo: “In finem dilexit” (Jo., XIII, 1). fino alla morte di Croce. “usque ad mortem Crucis” (Ad Phil., II, 8).
Un solo atto d’amore di Cristo sarebbe bastato infatti ad operare la nostra Redenzione, a saldare al Padre il debito infinito che avevamo contratto con la giustizia divina, a riparare l’offesa — d’una gravità smisurata— a Dio inferta. Una sola oblazione interiore del Cuore di Gesù avrebbe potuto ottenere la salvezza dell’umanità tutta, poiché il più piccolo atto d’amore di questo Sacro Cuore prendeva un valore infinito nella persona del Verbo, amore tuttavia umano e, conseguentemente, capace di rappresentare dinanzi al Padre l’umanità intera.
Perché dunque la Passione, il Sangue, la Coronazione di spine, il Calvario?
 
La ragione sta nell’Amore Infinito che Dio ci porta; è per nostro amore che Dio ha decretato la morte ignominiosa della Croce ed il Sacrificio cruento del Sommo Sacerdote. Se Gesù ci avesse riscattati col più piccolo atto d’amore, noi non avremmo compreso e non avremmo corrisposto. Come dice S. Agostino — “Dio non ci salverà senza di noi” (AUGUSTINUS, S., Serm., 169, 13; PL. 38, 923): a che cosa sarebbe servito dunque che Gesù ci ottenesse il perdono dal Padre, se noi non ne avessimo tratto profitto? Affinché dei poveri siano rifocillati non basta che vengano invitati ad un banchetto preparato loro da un ricco benefattore, bisogna ancora elle acconsentano ad andarvi e prendano il cibo loro offerto: diversamente, potrebbero morire di fame di fronte a quella tavola si bene imbandita. Parimenti, per essere salvi, bisogna far propri. con un atto personale, i frutti della Redenzione; l’amore di Gesù per noi non basta, è necessario anche il nostro amore per lui. Per stabilire un’amicizia occorre reciprocità: altrimenti non si conclude nulla ed inutile è il sangue di Cristo.
Ora, se dopo venti secoli tanti cristiani — pur convinti che le piaghe di Cristo contengano il cibo della vita eterna — muoiono di fame e di sete, perché non vanno ad attingere, cosa sarebbe stato se nostro Signore non avesse messo tutto in opera per manifestare quanto aveva fatto per riscattarci? Se si fosse contentato semplicemente di un interiore atto d’amore, certo, sul Cuore del Padre ci avrebbe ottenuto le identiche possibilità di salvezza che abbiamo ora, ma noi, peccatori induriti quali siamo, non avremmo “creduto all’Amore” oppure l’avremmo dimenticato dopo poco tempo.

Tutto lo scopo dell’Amore infinito nell’opera della nostra salvezza, nell’Incarnazione, come nella Redenzione, consiste dunque nel ridestare il nostro amore per Dio. No¬stro Signore perciò ha fatto veramente tutto per provarci il suo amore, ben sapendo che, per provocare una risposta d’amore, niente vale più di una prova d’amore.
Ora, il mezzo più efficace per manifestare l’amore non è forse il dono di se stesso, il dono che non si risparmia, che accetta la sofferenza e giunge fino alla morte? “Non v’è amore più grande che dare la vita per gli amici” (Jo., XV, 13). A nulla serve dire ad un amico che lo si ama. se non glielo si prova con una dedizione totale al momento del biso¬gno (THOMAS AQUINAS. S. Summa Theol.. II-II, Q. 31, a.1).
Se tutto ciò risponde alle intuizioni della nostra psi¬cologia umana, usa ha trionfare degli ostacoli della vita a prezzo di sofferenza, non ci deve sembrare però cosa na¬turale quando si tratta di Nostro Signore.
Gesù, infatti, non avrebbe dovuto soffrite. Il dolore è per noi una pena, una pena dovuta al pec¬cato, e Cristo non ha peccato. E poi, Nostro Signore godeva sulla terra la visione beatifica; celava tuttavia la sua bea¬titudine sotto i veli d’una umanità sofferente.
Nostro Signore ha, dunque, scelto anche lui lo stato di sofferenza nel quale troviamo noi tutti, dalla nascita povera ed umile nella mangiatoia di Betlemme fino alla morte sulla Croce, passando attraverso le fatiche, la fame e le tristezze dei viaggi apostolici lungo le vie di Palesti¬na, attraverso la tentazione stessa e la debolezza dinanzi al calice della volontà divina.

Egli ha scelto liberamente ciascuna di queste sofferenze ordinarie e. soprattutto, ha accettato liberamente e per l’Amore Infinito del suo Cuore le sofferenze della Passione, che dovevano permettergli di compiere l’atto principale del suo Sacerdozio, il sacrificio redentivo, mediante il quale doveva offrire se stesso qual vittima d’amore. Egli s’è dato totalmente in balia del dolore per nostro amore.
    Gesù avrebbe potuto scegliere una morte meno ignominiosa di quella che ha voluto subire. La prima goccia di sangue sarebbe bastata a soddisfare la giustizia divina, ma l’amore glielo ha fatto versare fino all’ultima goccia… ”propter nimiam caritatem” (Ad Eph., II, 4).
Il Cuore di Gesù è veramente vittima d’amore, “Cor Jesu caritatis victimam». S’è fatto vittima per amore ed è vittima del suo amore, prigioniero del suo amore, perché obbligatosi per amore a giungere fin lì, malgrado le incomprensioni degli uomini.
Ma quali sono le sofferenze subite da Nostro Signore durante la vita mortale e soprattutto nella Passione? E’ necessario conoscerle per comprendere fino a qual punto Gesù ci ha amato. Per noi Sacerdoti ciò ha un’importanza capitale, dato che nella Messa, dovremo rappresentare — vale a dire: rendere presenti e presentare di nuovo. riprodurre e continuare, nei limiti del possibile— tutti i sentimenti del Cuore di Gesù sulla Croce.
Le sofferenze fisiche di Cristo durante la Passione furono atroci (BARRET, P., – La Passion corporelle de Jésus – Issound, 1940). Quanto abbiamo potuto vedere in certi malati da noi assistiti, in talune anime favorite di sofferenze mistiche, può darci appena un’idea di ciò che furono le sofferenze fisiche della Passione.
Ma esse son poca cosa a confronto delle sofferenze morali che non hanno cessato di abbeverare il Cuore di Nostro Signore durante tutta la vita, e soprattutto, dall’agonia del Getsemani fino all’ultimo respiro. Esse erano causate dall’ingratitudine degli uomini, dall’incomprensione degli amici, dal tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e la debolezza di tanti suoi Sacerdoti… Dall’alto della Croce, Gesù, con la sua eminente scienza infusa, vedeva non solo i suoi carnefici ed il suo popolo scatenati, ma l’umanità tutta, tutti noi e ciascuna delle anime nostre con la moltitudine di colpe, infedeltà e indelicatezze continuamente ripetute. Inoltre, la sua anima santa vedeva, in quell’istante, l’inferno e le anime che vi si precipitavano, per le quali stava soffrendo atrocemente. Come dice il Salmista ( 10), egli ha visto “l’inutilità del suo Sangue”, la sconfitta del suo amore per un certo numero di uomini. Tutto ciò l’immerse in un dolore senza fine, a confronto del quale le sofferenze fisiche erano un nulla.
Ma Gesù ha conosciuto una sofferenza ancora più profonda di questo dolore morale, una sofferenza che egli solo ha potuto sentire: quella del peccato, del male de! peccato, dell’offesa infinita che il peccato fa a Dio. La sofferenza morale noi la comprendiamo ancora, perché fatta di compassione e di sentimenti umani, ma bisogna essere Dio per misurare l’infinità dell’offesa inferta a Dio col peccato, per comprendere fino a qual punto egli è beffato nei suoi eterni diritti. E d’altronde, poiché Dio a rigor di termini non può soffrire, bisogna — come Gesù — essere uomo per soffrire di questa offesa infinita. Tale è il mistero delle infinite sofferenze del Sacro Cuore di Gesù (Ps., XXIX, 10).