Giovanni Paolo II – Pastores Dabo Vobis

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GIOVANNI
PAOLO II
ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE
PASTORES DABO VOBIS

(24 marzo 1992)

ESORTAZIONE
APOSTOLICA
POST-SINODALE
PASTORES DABO VOBIS
DI SUA SANTITA’
GIOVANNI PAOLO II
ALL’EPISCOPATO
AL CLERO E AI FEDELI
CIRCA LA FORMAZIONE DEI SACERDOTI
NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI

Venerati
Fratelli e diletti Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione

INTRODUZIONE

« Vi darò
Pastori secondo il mio cuore ».(1)
Con queste parole del profeta Geremia Dio promette al suo popolo di non lasciarlo
mai privo di pastori che lo radunino e lo guidino: « Costituirò sopra
di esse (ossia sulle mie pecore) pastori che le faranno pascolare, così che
non dovranno più temere né sgomentarsi ».(2)
La Chiesa, popolo di Dio, sperimenta sempre la realizzazione di questo annuncio profetico
e nella gioia continua a rendere grazie al Signore. Essa sa che Gesù Cristo
stesso è il compimento vivo, supremo e definitivo della promessa di Dio: «
Io sono il buon pastore ».(3)
Egli, « il Pastore grande delle pecore »,(4) ha affidato agli apostoli
e ai loro successori il ministero di pascere il gregge di Dio.(5) In particolare,
senza sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere quella fondamentale obbedienza che
è al cuore stesso della sua esistenza e della sua missione nella storia: l’obbedienza
al comando di Gesù: « Andate dunque e ammaestrate tutte le genti »
(6) e « Fate questo in memoria di me »,(7) ossia il comando di annunciare
il Vangelo e di rinnovare ogni giorno il sacrificio del suo corpo dato e del suo
sangue versato per la vita del mondo.
Nella fede sappiamo che la promessa del Signore non può venir meno. Proprio
questa promessa è la ragione e la forza che fa gioire la Chiesa di fronte
alla fioritura e alla crescita numerica delle vocazioni sacerdotali, che oggi si
registrano in alcune parti del mondo, così come rappresenta il fondamento
e lo stimolo per un suo atto di fede più grande e di speranza più viva
di fronte alla grave scarsità di sacerdoti, che pesa in altre parti del mondo.
Tutti siamo chiamati a condividere la fiducia piena nell’ininterrotto compiersi della
promessa di Dio, che i Padri sinodali hanno voluto testimoniare in modo chiaro e
forte: « Il Sinodo con piena fiducia nella promessa di Cristo che ha detto:
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (8) e consapevole
dell’attività costante dello Spirito Santo nella Chiesa, intimamente crede
che non mancheranno mai completamente nella Chiesa i sacri ministri… Anche se in
varie regioni si dà scarsità di clero, tuttavia l’azione del Padre,
che suscita le vocazioni, non cesserà mai nella Chiesa ».(9)
Come ho detto a conclusione del Sinodo, di fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali
« la prima risposta che la Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale
nello Spirito Santo. Siamo profondamente convinti che questo fiducioso abbandono
non deluderà, se peraltro restiamo fedeli alla grazia ricevuta ».(10)
2. Restare fedeli alla grazia ricevuta! Infatti, il dono di Dio non annulla la libertà
dell’uomo, ma la suscita, la sviluppa e la esige.
Per questo la fiducia totale nell’incondizionata fedeltà di Dio alla sua promessa
si accompagna nella Chiesa alla grave responsabilità di cooperare all’azione
di Dio che chiama, di contribuire a creare e a mantenere le condizioni nelle quali
il buon seme, seminato da Dio, possa mettere radici e dare frutti abbondanti. La
Chiesa non può mai cessare di pregare il padrone della messe perché
mandi operai nella sua messe,(11) di rivolgere una limpida e coraggiosa proposta
vocazionale alle nuove generazioni, di aiutarle a discernere la verità della
chiamata di Dio e a corrispondervi con generosità, di riservare una cura particolare
per la formazione dei candidati al presbiterato.
In realtà la formazione dei futuri sacerdoti, sia diocesani sia religiosi,
e l’assidua cura, protratta lungo tutto il corso della vita, per la loro santificazione
personale nel ministero e per l’aggiornamento costante del loro impegno pastorale,
sono considerate dalla Chiesa come uno dei compiti di massima delicatezza e importanza
per il futuro dell’evangelizzazione dell’umanità.
Quest’opera formativa della Chiesa è una continuazione nel tempo dell’opera
di Cristo, che l’evangelista Marco indica con le parole: « Gesù salì
sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui.
Ne costituì 12 che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché
avessero il potere di scacciare i demoni ».(12)
Si può affermare che nella sua storia, la Chiesa ha sempre rivissuto, sia
pure con intensità e in modalità diverse, questa pagina del Vangelo
mediante l’opera formativa riservata ai candidati al presbiterato e ai sacerdoti
stessi. Oggi però la Chiesa si sente chiamata a rivivere quanto il Maestro
ha fatto con i suoi apostoli con un impegno nuovo, sollecitata com’è dalle
profonde e rapide trasformazioni delle società e delle culture del nostro
tempo, dalla molteplicità e diversità dei contesti nei quali essa annuncia
e testimonia il Vangelo, dal favorevole andamento numerico delle vocazioni sacerdotali
che si registra in diverse diocesi, dall’urgenza di una nuova verifica dei contenuti
e dei metodi della formazione sacerdotale, dalla preoccupazione dei Vescovi e delle
loro comunità per la persistente scarsità di clero, dall’assoluta necessità
che la « nuova evangelizzazione » abbia nei sacerdoti i suoi primi «
nuovi evangelizzatori ».
Proprio in questo contesto storico e culturale si è collocata l’ultima Assemblea
generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata a « La formazione dei sacerdoti
nelle circostanze attuali », con l’intento, a distanza di 25 anni dalla fine
del Concilio, di portare a compimento la dottrina conciliare su questo argomento
e di renderla più attuale e incisiva nelle circostanze odierne.(13)
3. In continuità con i testi del Concilio Vaticano II circa l’ordine dei presbiteri
e la loro formazione,(14) e nell’intento di applicarne in concreto alle varie situazioni
la ricca ed autorevole dottrina, la Chiesa ha affrontato più volte i problemi
della vita, del ministero e della formazione dei sacerdoti.
Le occasioni più solenni sono stati i Sinodi dei Vescovi. Fin dalla prima
Assemblea generale, svoltasi nell’ottobre del 1967, il Sinodo dedicò 5 congregazioni
generali al tema del rinnovamento dei seminari. Questo lavoro diede impulso decisivo
all’elaborazione del documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica: «
Norme fondamentali per la formazione sacerdotale ».(15)
Fu soprattutto la seconda Assemblea generale ordinaria del 1971 a impegnare la metà
dei suoi lavori sul sacerdozio ministeriale. I frutti di questo lungo confronto sinodale,
ripresi e condensati in alcune « raccomandazioni » sottomesse al mio
Predecessore, Papa Paolo VI, e lette in apertura del Sinodo del 1974, riguardavano
principalmente la dottrina sul sacerdozio ministeriale ed alcuni aspetti della spiritualità
e del ministero sacerdotale.
Anche in molte altre occasioni il Magistero della Chiesa ha continuato a testimoniare
la sua sollecitudine per la vita e per il ministero dei sacerdoti. Si può
dire che negli anni del post-Concilio non ci sia stato intervento magisteriale che
in qualche misura non abbia riguardato, in modo esplicito o implicito, il senso della
presenza dei sacerdoti nella comunità, il loro ruolo e la loro necessità
per la Chiesa e per la vita del mondo.
In questi anni più recenti e da più parti è stata avvertita
la necessità di ritornare sul tema del sacerdozio, affrontandolo da un punto
di vista relativamente nuovo e più adatto alle presenti circostanze ecclesiali
e culturali. L’attenzione si è spostata dal problema dell’identità
del prete ai problemi connessi con l’itinerario formativo al sacerdozio e con la
qualità di vita dei sacerdoti. In realtà le nuove generazioni di chiamati
al sacerdozio ministeriale presentano caratteristiche notevolmente diverse rispetto
a quelle dei loro immediati predecessori e vivono in un mondo per tanti aspetti nuovo
e in continua e rapida evoluzione. E di tutto ciò non si può non tener
conto nella programmazione e nella realizzazione degli itinerari educativi al sacerdozio
ministeriale.
I sacerdoti poi, già inseriti da un tempo più o meno lungo nell’esercizio
del ministero, sembrano oggi soffrire di eccessiva dispersione nelle sempre crescenti
attività pastorali e, di fronte alle difficoltà della società
e della cultura contemporanea, si sentono costretti a ripensare i loro stili di vita
e le priorità degli impegni pastorali, mentre avvertono sempre più
la necessità di una formazione permanente.
Ora all’incremento delle vocazioni al presbiterato, alla loro formazione perché
i candidati conoscano e seguano Gesù preparandosi a celebrare e a vivere il
sacramento dell’Ordine che li configura a Cristo Capo e Pastore, Servo e Sposo della
Chiesa, all’individuazione di itinerari di formazione permanente capaci di sostenere
in modo realistico ed efficace il ministero e la vita spirituale dei sacerdoti sono
state dedicate le preoccupazioni e le riflessioni del Sinodo dei Vescovi 1990.
Questo stesso Sinodo intendeva anche rispondere a una richiesta fatta dal precedente
Sinodo sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. I laici stessi
avevano sollecitato l’impegno dei sacerdoti alla formazione per essere opportunamente
aiutati nel compimento della comune missione ecclesiale. E in realtà, «
più si sviluppa l’apostolato dei laici e più fortemente viene percepito
il bisogno di avere dei sacerdoti che siano ben formati. Così la vita stessa
del popolo di Dio manifesta l’insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto
tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico: infatti nel mistero
della Chiesa la gerarchia ha un carattere ministeriale.(16) Più si approfondisce
il senso della vocazione propria dei laici, più si evidenzia ciò che
è proprio del sacerdozio ».(17)
4. Nell’esperienza ecclesiale tipica del Sinodo, quella cioè di « una
singolare esperienza di comunione episcopale nell’universalità, che rafforza
il senso della Chiesa universale, la responsabilità dei Vescovi verso la Chiesa
universale e la sua missione, in comunione affettiva ed effettiva attorno a Pietro
»,(18) si è fatta sentire, limpida ed accurata, la voce delle diverse
Chiese particolari
– e in questo Sinodo, per la prima volta, di alcune Chiese
dell’Est -, le Chiese hanno proclamato la loro fede nel compimento della promessa
di Dio: « Vi darò pastori secondo il mio cuore »,(19) e hanno
rinnovato il loro impegno pastorale per la cura delle vocazioni e per la formazione
dei sacerdoti, nella consapevolezza che da queste dipendono l’avvenire della Chiesa,
il suo sviluppo e la sua missione universale di salvezza.
Riprendendo ora il ricco patrimonio delle riflessioni, degli orientamenti e delle
indicazioni che hanno preparato e accompagnato i lavori dei Padri sinodali, con questa
Esortazione Apostolica post-sinodale unisco alla loro la mia voce di Vescovo di Roma
e di Successore di Pietro e la rivolgo al cuore di tutti i fedeli e di ciascuno di
essi, in particolare al cuore dei sacerdoti e di quanti sono impegnati nel delicato
ministero della loro formazione. Sì, con tutti i sacerdoti e con ciascuno
di loro, sia diocesani sia religiosi, desidero incontrarmi mediante questa Esortazione.
Con le labbra e il cuore dei Padri sinodali faccio mie le parole e i sentimenti del
« Messaggio finale del Sinodo al popolo di Dio »: « Con animo riconoscente
e pieno di ammirazione ci rivolgiamo a voi che siete i nostri primi cooperatori nel
servizio apostolico. La vostra opera nella Chiesa è veramente necessaria e
insostituibile. Voi sostenete il peso del ministero sacerdotale e avete il contatto
quotidiano con i fedeli. Voi siete i ministri dell’Eucaristia, i dispensatori della
misericordia divina nel Sacramento della Penitenza, i consolatori delle anime, le
guide dei fedeli tutti nelle tempestose difficoltà della vita.
« Vi salutiamo con tutto il cuore, vi esprimiamo la nostra gratitudine e vi
esortiamo a perseverare in questa via con animo lieto e pronto. Non cedete allo scoraggiamento.
La nostra opera non è nostra ma di Dio.
« Colui che ci ha chiamati e che ci ha inviati rimane con noi per tutti i giorni
della nostra vita. Noi infatti operiamo per mandato di Cristo ».(20)

CAPITOLO
I

PRESO FRA GLI UOMINI

5. « Ogni sommo sacerdote,
preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano
Dio ».(21)
La Lettera agli Ebrei afferma chiaramente l’« umanità »
del ministro di Dio: egli viene dagli uomini ed è al servizio degli
uomini, imitando Gesù Cristo « lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza
di noi, escluso il peccato ».(22)
Dio chiama i suoi sacerdoti sempre da determinati contesti umani ed ecclesiali, dai
quali sono inevitabilmente connotati e ai quali sono mandati per il servizio del
Vangelo di Cristo.
Per questo il Sinodo ha contestualizzato l’argomento dei sacerdoti, collocandolo
nell’oggi della società e della Chiesa e aprendolo alle prospettive del terzo
millennio, come del resto risulta dalla stessa formulazione del tema: « La
formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali ».
Certamente « c’è una fisionomia essenziale del sacerdote che non muta:
il sacerdote di domani infatti, non meno di quello di oggi, dovrà assomigliare
a Cristo. Quando viveva sulla terra, Gesù offrì in se stesso il volto
definitivo del presbitero, realizzando un sacerdozio ministeriale di cui gli apostoli
furono i primi ad essere investiti; esso è destinato a durare, a riprodursi
incessantemente in tutti i periodi della storia. Il presbitero del terzo millennio
sarà, in questo senso, il continuatore dei presbiteri che, nei precedenti
millenni, hanno animato la vita della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale
continuerà ad essere la chiamata a vivere l’unico e permanente sacerdozio
di Cristo ».(23) Altrettanto certamente la vita e il ministero del sacerdote
devono anche « adattarsi a ogni epoca e ad ogni ambiente di vita… Da parte
nostra dobbiamo perciò cercare di aprirci, per quanto possibile, alla superiore
illuminazione dello Spirito Santo, per scoprire gli orientamenti della società
contemporanea, riconoscere i bisogni spirituali più profondi, determinare
i compiti concreti più importanti, i metodi pastorali da adottare, e così
rispondere in modo adeguato alle attese umane ».(24)
Dovendo coniugare la permanente verità del ministero presbiterale con le istanze
e le caratteristiche dell’oggi, i Padri Sinodali hanno cercato di rispondere ad alcune
domande
necessarie: quali problemi e, nello stesso tempo, quali stimoli positivi
l’attuale contesto socio-culturale ed ecclesiale suscita nei ragazzi, negli adolescenti
e nei giovani che devono maturare, per tutta l’esistenza, un progetto di vita sacerdotale?
Quali difficoltà e quali nuove possibilità offre il nostro tempo per
l’esercizio di un ministero sacerdotale coerente col dono del Sacramento ricevuto
e con l’esigenza di una vita spirituale corrispondente?
Ripresento ora alcuni elementi dell’analisi della situazione che i Padri sinodali
hanno sviluppato, ben consapevole però che la grande varietà delle
circostanze socio-culturali ed ecclesiali presenti nei diversi paesi consiglia di
segnalare solo i fenomeni più profondi e più diffusi, in particolare
quelli che si rapportano ai problemi educativi e alla formazione sacerdotale.
6. Molteplici fattori sembrano favorire negli uomini d’oggi una più matura
coscienza della dignità della persona e una nuova apertura ai valori religiosi,
al Vangelo e al ministero sacerdotale.
Nell’ambito della società troviamo, nonostante tante contraddizioni, una più
diffusa e forte sete di giustizia e di pace, un senso più vivo della cura
dell’uomo per il creato e per il rispetto della natura, una ricerca più aperta
della verità e della tutela della dignità umana, l’impegno crescente,
in molte fasce della popolazione mondiale, per una più concreta solidarietà
internazionale e per un nuovo ordine planetario, nella libertà e nella giustizia.
Cresce anche, mentre si sviluppa sempre più il potenziale di energie offerto
dalle scienze e dalle tecniche e si diffondono l’informazione e la cultura, una nuova
domanda etica, la domanda, cioè, di senso e quindi di un’oggettiva scala di
valori che permetta di stabilire le possibilità e i limiti del progresso.
Nel campo più propriamente religioso e cristiano, cadono pregiudizi ideologici
e chiusure violente all’annuncio dei valori spirituali e religiosi, mentre sorgono
nuove e insperate possibilità per l’evangelizzazione e la ripresa della vita
ecclesiale in molte parti del mondo. Si notano così una crescente diffusione
della conoscenza delle Sacre Scritture; una vitalità e forza espansiva di
molte Chiese giovani con un ruolo sempre più rilevante nella difesa e nella
promozione dei valori della persona e della vita umana; una splendida testimonianza
del martirio da parte delle Chiese del Centro-Est europeo, come anche della fedeltà
e del coraggio di altre Chiese, che ancora sono costrette a subire persecuzioni e
tribolazioni per la fede.(25)
Il desiderio di Dio e di un rapporto vivo e significativo con Lui si presenta oggi
tanto forte da favorire, là dove manca l’autentico e integrale annuncio del
Vangelo di Gesù, la diffusione di forme di religiosità senza Dio e
di molteplici sette. La loro espansione, anche in alcuni ambienti tradizionalmente
cristiani, è sì per tutti i figli della Chiesa, e per i sacerdoti in
particolare, un costante motivo di esame di coscienza sulla credibilità della
loro testimonianza al Vangelo, ma insieme anche un segno di quanto sia tuttora profonda
e diffusa la ricerca di Dio.
7. Ma con questi e con altri fattori positivi si trovano intrecciati molti elementi
problematici o negativi.
Ancora molto diffuso si presenta il razionalismo, che, in nome di una concezione
riduttiva di scienza, rende insensibile la ragione umana all’incontro con la Rivelazione
e con la trascendenza divina.
È da registrarsi poi una difesa esasperata della soggettività
della persona, che tende a chiuderla nell’individualismo, incapace di vere relazioni
umane. Così molti, soprattutto tra i ragazzi e i giovani, cercano di compensare
questa solitudine con surrogati di varia natura, con forme più o meno acute
di edonismo, di fuga dalle responsabilità; prigionieri dell’attimo fuggente,
cercano di « consumare » esperienze individuali il più possibile
forti e gratificanti sul piano delle emozioni e delle sensazioni immediate, trovandosi
però inevitabilmente indifferenti e come paralizzati di fronte all’appello
di un progetto di vita che includa una dimensione spirituale e religiosa e un impegno
di solidarietà.
Si diffonde, inoltre, in ogni parte del mondo, anche dopo la caduta delle ideologie
che avevano fatto del materialismo un dogma e del rifiuto della religione un programma,
una sorta di ateismo pratico ed esistenziale, che coincide con una visione
secolarista della vita e del destino dell’uomo. Quest’uomo « tutto occupato
di sé, quest’uomo che si fa non soltanto centro di ogni interesse, ma osa
dirsi principio e ragione di ogni realtà »,(26) si trova sempre più
impoverito di quel supplemento d’anima che gli è tanto più necessario
quanto più una larga disponibilità di beni materiali e di risorse lo
illude di autosufficienza. Non c’è più bisogno di combattere Dio, si
pensa di poter fare semplicemente a meno di lui.
In questo quadro, si devono notare, in particolare, la disgregazione della realtà
familiare e l’oscuramento o il travisamento del vero senso della sessualità
umana
: sono fenomeni che incidono in modo fortemente negativo sull’educazione
dei giovani e sulla loro disponibilità ad ogni vocazione religiosa. Si devono
notare, inoltre, l’aggravarsi delle ingiustizie sociali e il concentrarsi
della ricchezza nelle mani di pochi, come frutto di un capitalismo disumano,(27)
che allarga sempre più la distanza tra popoli opulenti e popoli indigenti:
vengono così introdotte nella convivenza umana tensioni e inquietudini che
turbano profondamente la vita delle persone e delle comunità.
Anche nell’ambito ecclesiale, si registrano fenomeni preoccupanti e negativi, che
hanno diretto influsso sulla vita e sul ministero dei sacerdoti. Così l’ignoranza
religiosa che permane in molti credenti; la scarsa incidenza della catechesi, soffocata
dai più diffusi e più suadenti messaggi dei mezzi di comunicazione
di massa; il malinteso pluralismo teologico, culturale e pastorale che, pur partendo
a volte da buone intenzioni, finisce per rendere difficile il dialogo ecumenico e
per attentare alla necessaria unità della fede; il persistere di un senso
di diffidenza e quasi di insofferenza per il magistero gerarchico; le spinte unilaterali
e riduttive della ricchezza del messaggio evangelico, che trasformano l’annuncio
e la testimonianza della fede in un esclusivo fattore di liberazione umana e sociale
oppure in un alienante rifugio nella superstizione e nella religiosità senza
Dio.(28)
Un fenomeno di grande rilievo, anche se relativamente recente in molti paesi di antica
tradizione cristiana, è la presenza in uno stesso territorio di consistenti
nuclei di razze diverse e di diverse religioni. Si sviluppa così sempre più
la società multirazziale e multireligiosa. Se questo può essere occasione,
da un lato, di un esercizio più frequente e fruttuoso del dialogo, di un’apertura
di mentalità, di esperienze di accoglienza e di giusta tolleranza, dall’altro
lato può essere causa di confusione e di relativismo, soprattutto in persone
e popolazioni dalla fede meno matura.
A questi fattori, e in stretto collegamento con la crescita dell’individualismo,
si aggiunge il fenomeno della soggettivizzazione della fede. Si registra cioè,
da parte di un numero crescente di cristiani, una minore sensibilità all’insieme
globale ed oggettivo della dottrina della fede, per un’adesione soggettiva a ciò
che piace, che corrisponde alla propria esperienza, che non scomoda le proprie abitudini.
Anche l’appello all’inviolabilità della coscienza individuale, in se stesso
legittimo, non manca di assumere, in questo contesto, pericolosi caratteri di ambiguità.
Di qui deriva anche il fenomeno delle appartenenze alla Chiesa sempre più
parziali e condizionate, che esercitano un influsso negativo sul nascere di nuove
vocazioni al sacerdozio, sulla stessa autocoscienza del sacerdote e sul suo ministero
nella comunità.
Infine, in molte realtà ecclesiali è, ancora oggi, la scarsa presenza
e disponibilità di forze sacerdotali a creare i problemi più gravi.
I fedeli sono spesso abbandonati per lunghi periodi, senza adeguato sostegno pastorale:
ne soffrono così la crescita della loro vita cristiana nel suo complesso e,
ancor più, la loro capacità di farsi ulteriormente promotori di evangelizzazione.
8. Le numerose contraddizioni e potenzialità di cui sono segnate le nostre
società e culture e, nello stesso tempo, le comunità ecclesiali sono
percepite, vissute e sperimentate con una intensità del tutto particolare
dal mondo dei giovani, con ripercussioni immediate e quanto mai incisive sul loro
cammino educativo. In tal senso il sorgere e lo svilupparsi della vocazione sacerdotale
nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani incontrano continuamente ad un tempo
ostacoli e sollecitazioni.
Quanto mai forte è sui giovani il fascino della cosiddetta « società
dei consumi »
, che li fa succubi e prigionieri di un’interpretazione individualista,
materialista ed edonista dell’esistenza umana. Il benessere materialmente inteso
tende ad imporsi come unico ideale di vita, un benessere da ottenersi a qualsiasi
condizione e prezzo: di qui il rifiuto di tutto ciò che sa di sacrificio e
la rinuncia alla fatica di cercare e di vivere i valori spirituali e religiosi. La
« preoccupazione » esclusiva per l’avere soppianta il primato
dell’essere, con la conseguenza di interpretare e di vivere i valori personali
e interpersonali non secondo la logica del dono e della gratuità, bensì
secondo quella del possesso egoistico e della strumentalizzazione dell’altro.
Questo si riflette, in particolare, sulla visione della sessualità umana,
che viene fatta decadere dalla sua dignità di servizio alla comunione e alla
donazione tra le persone per essere semplicemente ricondotta ad un bene di consumo.
Così l’esperienza affettiva di molti giovani si risolve non in una crescita
armoniosa e gioiosa della propria personalità che si apre all’altro nel dono
di sé, ma in una grave involuzione psicologica ed etica, che non potrà
non avere i suoi pesanti condizionamenti sul loro domani.
Alla radice di queste tendenze si dà per non pochi giovani un’esperienza
distorta della libertà
: lungi dall’essere obbedienza alla verità
oggettiva e universale, la libertà è vissuta come assenso cieco alle
forze istintive e alla volontà di potenza del singolo. Si fanno allora in
qualche modo naturali, sul piano della mentalità e del comportamento, lo sgretolarsi
del consenso intorno ai principii etici, e, sul piano religioso, se non sempre il
rifiuto esplicito di Dio, una larga indifferenza e comunque una vita che, anche nei
suoi momenti più significativi e nelle sue scelte più decisive, viene
vissuta come se Dio non esistesse. In un simile contesto si fa difficile non solo
la realizzazione ma la stessa comprensione del senso di una vocazione al sacerdozio,
che è una specifica testimonianza del primato dell’essere sull’avere, è
riconoscimento del senso della vita come dono libero e responsabile di sé
agli altri, come disponibilità a porsi interamente al servizio del Vangelo
e del Regno di Dio in quella particolare forma.
Anche nell’ambito della comunità ecclesiale il mondo dei giovani costituisce,
non poche volte, un « problema ». In realtà, se nei giovani, ancor
più che negli adulti, sono presenti una forte tendenza alla soggettivizzazione
della fede cristiana e un’appartenenza solo parziale e condizionata alla vita e alla
missione della Chiesa, nella comunità ecclesiale fatica, per una serie di
ragioni, a decollare una pastorale giovanile aggiornata e coraggiosa: i giovani rischiano
di essere lasciati a se stessi, in balìa della loro fragilità psicologica,
insoddisfatti e critici di fronte ad un mondo di adulti che, non vivendo in modo
coerente e maturo la fede, non si presentano loro come modelli credibili.
Si fa allora evidente la difficoltà di proporre ai giovani un’esperienza integrale
e coinvolgente di vita cristiana ed ecclesiale e di educarli ad essa. Così
la prospettiva della vocazione al sacerdozio rimane lontana dagli interessi concreti
e vivi dei giovani.
9. Non mancano però situazioni e stimoli positivi, che suscitano e alimentano
nel cuore degli adolescenti e dei giovani una nuova disponibilità, nonché
una vera e propria ricerca di valori etici e spirituali, che per loro natura offrono
il terreno propizio per un cammino vocazionale verso il dono totale di sé
a Cristo e alla Chiesa nel sacerdozio.
È da rilevare, anzitutto, come si siano attenuati alcuni fenomeni, che in
un recente passato avevano provocato non pochi problemi, quali la contestazione radicale,
le spinte libertarie, le rivendicazioni utopiche, le forme indiscriminate di socializzazione,
la violenza.
Si deve riconoscere, inoltre, che anche i giovani d’oggi, con la forza e la freschezza
tipiche dell’età, sono portatori degli ideali che si fanno strada nella storia:
la sete della libertà, il riconoscimento del valore incommensurabile della
persona, il bisogno dell’autenticità e della trasparenza, un nuovo concetto
e stile di reciprocità nei rapporti tra uomo e donna, la ricerca convinta
e appassionata di un mondo più giusto, più solidale, più unito,
l’apertura e il dialogo con tutti, l’impegno per la pace.
Lo sviluppo, così ricco e vivace in tanti giovani del nostro tempo, di numerose
e varie forme di volontariato rivolto alle situazioni più dimenticate e disagiate
della nostra società, rappresenta oggi una risorsa educativa particolarmente
importante, perché stimola e sostiene i giovani ad uno stile di vita più
disinteressato e più aperto e solidale con i poveri. Questo stile di vita
può facilitare la comprensione, il desiderio e l’accoglienza di una vocazione
al servizio stabile e totale verso gli altri anche sulla strada della piena consacrazione
a Dio con una vita sacerdotale.
Il recente crollo delle ideologie, il modo fortemente critico di porsi di fronte
al mondo degli adulti che non sempre offrono una testimonianza di vita affidata a
valori morali e trascendenti, la stessa esperienza di compagni che cercano evasioni
nella droga e nella violenza, contribuiscono non poco a rendere più acuta
ed ineludibile la fondamentale domanda circa i valori che sono veramente capaci di
dare pienezza di significato alla vita, alla sofferenza e alla morte. In tanti giovani
si fanno più espliciti la domanda religiosa e il bisogno di spiritualità:
di qui il desiderio di esperienze di deserto e di preghiera, il ritorno ad una lettura
più personale e abituale della Parola di Dio e allo studio della teologia.
E come già nell’ambito del volontariato sociale, così in quello della
comunità ecclesiale i giovani si fanno sempre più attivi e protagonisti,
soprattutto con la partecipazione alle varie aggregazioni, da quelle tradizionali
ma rinnovate a quelle più recenti: l’esperienza di una Chiesa « sollecitata
alla nuova evangelizzazione » dalla fedeltà allo Spirito che la anima
e dalle esigenze del mondo lontano da Cristo ma bisognoso di Lui, come pure l’esperienza
di una Chiesa sempre più solidale con l’uomo e con i popoli nella difesa e
nella promozione della dignità personale e dei diritti umani di tutti e di
ciascuno aprono il cuore e la vita dei giovani a ideali quanto mai affascinanti e
impegnativi, che possono trovare la loro concreta realizzazione nella sequela di
Cristo e nel sacerdozio.
È naturale che da questa situazione umana ed ecclesiale, caratterizzata da
forte ambivalenza, non si potrà affatto prescindere non solo nella pastorale
delle vocazioni e nell’opera di formazione dei futuri sacerdoti, ma anche nell’ambito
della vita e del ministero dei sacerdoti e della loro formazione permanente. Così,
se si possono comprendere le varie forme di « crisi » alle quali vanno
soggetti i sacerdoti d’oggi nell’esercizio del ministero, nella loro vita spirituale
ed anche nella stessa interpretazione della natura e del significato del sacerdozio
ministeriale, si devono pure registrare, con gioia e con speranza, le nuove possibilità
positive che il momento storico attuale offre ai sacerdoti per il compimento della
loro missione.
10. La complessa situazione attuale, rapidamente evocata per cenni e in modo esemplificativo,
chiede di essere non solo conosciuta, ma anche e soprattutto interpretata. Solo così
si potrà rispondere in modo adeguato alla fondamentale domanda: Come formare
sacerdoti che siano veramente all’altezza di questi tempi, capaci di evangelizzare
il mondo di oggi?(29)
È importante la conoscenza della situazione. Non basta una semplice
rilevazione dei dati; occorre un’indagine « scientifica » con la quale
delineare un quadro preciso e concreto delle reali circostanze socio-culturali ed
ecclesiali.
Ancor più importante è l’interpretazione della situazione. Essa
è richiesta dall’ambivalenza e talvolta dalla contraddittorietà di
cui è segnata la situazione, che registra profondamente intrecciati tra loro
difficoltà e potenzialità, elementi negativi e ragioni di speranza,
ostacoli e aperture, come il campo evangelico nel quale sono seminati e « convivono
» il buon grano e la zizzania.(30)
Non è sempre facile una lettura interpretativa, che sappia distinguere tra
bene e male, tra segni di speranza e minacce. Nella formazione dei sacerdoti non
si tratta solo e semplicemente di accogliere i fattori positivi e di contrastare
frontalmente quelli negativi. Si tratta di sottoporre gli stessi fattori positivi
ad attento discernimento, perché non si isolino l’uno dall’altro e non vengano
in contrasto tra loro, assolutizzandosi e combattendosi a vicenda. Altrettanto si
dica dei fattori negativi: non sono da respingere in blocco e senza distinzioni,
perché in ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende
di essere liberato e ricondotto alla sua verità piena.
Per il credente l’interpretazione della situazione storica trova il principio conoscitivo
e il criterio delle scelte operative conseguenti in una realtà nuova e originale,
ossia nel discernimento evangelico; è l’interpretazione che avviene
nella luce e nella forza del Vangelo, del Vangelo vivo e personale che è Gesù
Cristo, e con il dono dello Spirito Santo. In tal modo il discernimento evangelico
coglie nella situazione storica e nelle sue vicende e circostanze non un semplice
« dato » da registrare con precisione, di fronte al quale è possibile
rimanere nell’indifferenza o nella passività, bensì un « compito
», una sfida alla libertà responsabile sia della singola persona che
della comunità. È una « sfida » che si collega ad un «
appello », che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa
e attraverso di essa Dio chiama il credente, e prima ancora la Chiesa, a far sì
che « il Vangelo della vocazione e del sacerdozio » esprima la sua verità
perenne nelle mutevoli circostanze della vita. Anche alla formazione dei sacerdoti
sono da applicarsi le parole del Concilio Vaticano II: « È dovere permanente
della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo,
così che, in un modo adatto a ogni generazione, possa rispondere ai perenni
interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco
rapporto. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché
le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche ».(31)
Questo discernimento evangelico si fonda sulla fiducia nell’amore di Gesù
Cristo, che sempre e instancabilmente si prende cura della sua Chiesa,(32) Lui che
è il Signore e il Maestro, chiave di volta, centro e fine di tutta la storia
umana;(33) si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo, che suscita ovunque
e in ogni circostanza l’obbedienza della fede, il coraggio gioioso della sequela
di Gesù, il dono della sapienza che tutto giudica e non è giudicata
da nessuno;(34) riposa sulla fedeltà del Padre alle sue promesse.
In questo modo la Chiesa sente di poter affrontare le difficoltà e le sfide
di questo nuovo periodo della storia e di poter assicurare anche per il presente
e per il futuro sacerdoti ben formati, che siano convinti e ferventi ministri della
« nuova evangelizzazione », servitori fedeli e generosi di Gesù
Cristo e degli uomini.
Non ci nascondiamo le difficoltà. Non sono né poche né leggere.
Ma a vincerle sono la nostra speranza, la nostra fede nell’indefettibile amore di
Cristo, la nostra certezza della insostituibilità del ministero sacerdotale
per la vita della Chiesa e del mondo.

CAPITOLO
II

MI HA CONSACRATO CON L’UNZIONE E MI HA MANDATO

La natura e la missione del sacerdozio ministeriale

11. « Gli occhi di
tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui ».(35) Quanto dice l’evangelista
Luca di coloro che erano presenti quel sabato nella sinagoga di Nazareth in ascolto
del commento, che Gesù avrebbe fatto del rotolo del profeta Isaia da lui stesso
letto, può applicarsi a tutti i cristiani, sempre chiamati a riconoscere in
Gesù di Nazareth il definitivo compimento dell’annuncio profetico: «
Allora cominciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa scrittura
che voi avete udito con i vostri orecchi” ».(36) E la « scrittura
» era questa: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo
mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per
rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore
».(37) Gesù, dunque, si autopresenta come ripieno di Spirito, «
consacrato con l’unzione », « mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio »: è il Messia, il Messia sacerdote, profeta e re.
È questo il volto di Cristo sul quale gli occhi della fede e dell’amore dei
cristiani devono stare fissi. Proprio a partire da e in riferimento a questa «
contemplazione » i Padri sinodali hanno riflettuto sul problema della formazione
dei sacerdoti nelle circostanze attuali. Tale problema non può trovare risposta
senza una previa riflessione sulla meta alla quale è ordinato il cammino formativo:
la meta è il sacerdozio ministeriale, più precisamente il sacerdozio
ministeriale come partecipazione nella Chiesa del sacerdozio stesso di Gesù
Cristo. La conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è
il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più sicura e
lo stimolo più incisivo, per sviluppare nella Chiesa l’azione pastorale di
promozione e di discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati
al ministero ordinato.
La retta e approfondita conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale
è la via da seguire, e il Sinodo di fatto l’ha seguita, per uscire dalla crisi
sull’identità del sacerdote: « Questa crisi – dicevo nel Discorso
al termine del Sinodo – era nata negli anni immediatamente successivi al Concilio.
Si fondava su un’errata comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della
dottrina del magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran
numero di perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che hanno gravemente colpito
il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni missionarie.
È come se il Sinodo del 1990, riscoprendo, attraverso tanti interventi che
abbiamo ascoltato in quest’aula, tutta la profondità dell’identità
sacerdotale, fosse venuto a infondere la speranza dopo queste perdite dolorose. Questi
interventi hanno manifestato la coscienza del legame ontologico specifico che unisce
il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Questa identità sottende
alla natura della formazione che deve essere impartita in vista del sacerdozio, e
quindi lungo tutta la vita sacerdotale. Era questo lo scopo proprio del Sinodo ».(38)
Per questo il Sinodo ha ritenuto necessario richiamare, in modo sintetico e fondamentale,
la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, così come la fede della
Chiesa le ha riconosciute lungo i secoli della sua storia e come il Concilio Vaticano
II le ha ripresentate agli uomini del nostro tempo.(39)
12. « L’identità sacerdotale – hanno scritto i Padri sinodali -, come
ogni identità cristiana, ha la sua fonte nella Santissima Trinità »,(40)
che si rivela e si autocomunica agli uomini in Cristo, costituendo in Lui e per mezzo
dello Spirito la Chiesa come « germe e inizio del Regno ».(41) L’Esortazione
« Christifideles Laici », sintetizzando l’insegnamento conciliare, presenta
la Chiesa come mistero, comunione e missione: essa « è mistero perché
l’amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente
gratuito offerto a quanti sono nati dall’acqua e dallo Spirito,(42) chiamati a rivivere
la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione)
».(43)
È all’interno del mistero della Chiesa, come mistero di comunione trinitaria
in tensione missionaria, che si rivela ogni identità cristiana, e quindi anche
la specifica identità del sacerdote e del suo ministero. Il presbitero, infatti,
in forza della consacrazione che riceve con il sacramento dell’Ordine, è mandato
dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo, al quale come Capo e Pastore del suo
popolo è configurato in modo speciale, per vivere e operare nella forza dello
Spirito Santo a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo.(44)
Si può così comprendere la connotazione essenzialmente « relazionale
» dell’identità del presbitero: mediante il sacerdozio, che scaturisce
dalle profondità dell’ineffabile mistero di Dio, ossia dall’amore del Padre,
dalla grazia di Gesù Cristo e dal dono dell’unità dello Spirito Santo,
il presbitero è inserito sacramentalmente nella comunione con il Vescovo e
con gli altri presbiteri,(45) per servire il Popolo di Dio che è la Chiesa
e attrarre tutti a Cristo, secondo la preghiera del Signore: « Padre santo,
custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola,
come noi… Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa
sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato ».(46)
Non si può allora definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale,
se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima
Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento,
in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano.(47)
In questo contesto l’ecclesiologia di comunione diventa decisiva per cogliere l’identità
del presbitero, la sua originale dignità, la sua vocazione e missione nel
Popolo di Dio e nel mondo. Il riferimento alla Chiesa è, perciò, necessario,
anche se non prioritario nella definizione dell’identità del presbitero. In
quanto mistero, infatti, la Chiesa è essenzialmente relativa a Gesù
Cristo
: di Lui, infatti, è la pienezza, il corpo, la sposa. È il
« segno » e il « memoriale » vivo della sua permanente presenza
e azione fra noi e per noi. Il presbitero trova la verità piena della sua
identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica ed una
continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza:
egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di
Cristo, espressione della sua assoluta « novità » nella storia
della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio
del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora
la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali.
13. Gesù Cristo ha manifestato in se stesso il volto perfetto e definitivo
del sacerdozio della nuova Alleanza:(48) questo ha fatto in tutta la sua vita terrena,
ma soprattutto nell’evento centrale della sua passione, morte e risurrezione.
Come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei, Gesù, essendo uomo come noi
e insieme il Figlio unigenito di Dio, è nel suo stesso essere mediatore perfetto
tra il Padre e l’umanità,(49) Colui che ci dischiude l’accesso immediato a
Dio, grazie al dono dello Spirito: « Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito
del Figlio suo che grida: Abbà, Padre! ».(50)
Gesù porta a piena attuazione il suo essere mediatore attraverso l’offerta
di Se stesso sulla croce, con la quale ci apre, una volta per tutte, l’accesso al
santuario celeste, alla casa del Padre.(51) Al confronto di Gesù, Mosè
e tutti i mediatori dell’Antico Testamento tra Dio e il suo popolo – i re, i sacerdoti
e i profeti – si presentano solo come figure ed ombre dei beni futuri e non come
la realtà stessa.(52)
Gesù è il Buon Pastore preannunciato,(53) Colui che conosce le sue
pecore una ad una, che offre la sua vita per loro e che tutti vuol raccogliere in
un solo gregge con un solo pastore.(54) È il pastore venuto « non per
essere servito, ma per servire »,(55) che, nell’atto pasquale della lavanda
dei piedi,(56) lascia ai suoi il modello del servizio che dovranno avere gli uni
verso gli altri e che si offre liberamente come agnello innocente immolato per la
nostra redenzione.(57)
Con l’unico e definitivo sacrificio della croce, Gesù comunica a tutti i suoi
discepoli la dignità e la missione di sacerdoti della nuova ed eterna Alleanza.
Si adempie così la promessa che Dio ha fatto a Israele: « Voi sarete
per me un regno di sacerdoti e una nazione santa ».(58) È tutto il popolo
della nuova Alleanza – scrive San Pietro – ad essere costituito come « un edificio
spirituale », « un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali
graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo ».(59) Sono i battezzati le «
pietre vive », che costruiscono l’edificio spirituale stringendosi a Cristo
« pietra viva… scelta e preziosa davanti a Dio ».(60) Il nuovo popolo
sacerdotale che è la Chiesa, non solo ha in Cristo la propria autentica immagine,
ma anche da Lui riceve una partecipazione reale e ontologica al suo eterno e unico
sacerdozio, al quale deve conformarsi con tutta la sua vita.
14. A servizio di questo sacerdozio universale della nuova Alleanza, Gesù
chiama a sé, nel corso della sua missione terrena, alcuni discepoli (61) e
con un mandato specifico e autorevole chiama e costituisce i Dodici, affinché
« stessero con lui e anche per mandarli a predicare, e perché avessero
il potere di scacciare i demoni ».(62)
Per questo, già durante il suo ministero pubblico (63) e poi in pienezza dopo
la morte e risurrezione,(64) Gesù conferisce a Pietro e ai Dodici poteri del
tutto particolari nei confronti della futura comunità e per l’evangelizzazione
di tutte le genti. Dopo averli chiamati alla sua sequela, li tiene accanto a sé
e vive con loro, impartendo con l’esempio e con la parola il suo insegnamento di
salvezza e, infine, li manda a tutti gli uomini. E per il compimento di questa missione
Gesù conferisce agli apostoli, in virtù di una specifica effusione
pasquale dello Spirito Santo, la stessa autorità messianica che gli viene
dal Padre e che gli è conferita in pienezza con la risurrezione: « Mi
è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono
con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo ».(65)
Gesù stabilisce così uno stretto collegamento tra il ministero affidato
agli apostoli e la sua propria missione: « Chi accoglie voi accoglie me, e
chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato »;(66) « Chi ascolta
voi ascolta me, chi di- sprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui
che mi ha mandato ».(67) Anzi, il quarto vangelo, nella luce dell’evento pasquale
della morte e della risurrezione, afferma con grande forza e chiarezza: « Come
il Padre ha mandato me, così io mando voi ».(68) Come Gesù ha
una missione che gli viene direttamente da Dio e che concretizza l’autorità
stessa di Dio,(69) così gli apostoli hanno una missione che viene loro da
Gesù. E come « il Figlio non può fare nulla da se stesso »,(70)
sicché la sua dottrina non è sua ma di colui che lo ha mandato,(71)
così agli apostoli Gesù dice: « Senza di me non potete far nulla
»:(72) la loro missione non è loro, ma è la stessa missione di
Gesù. E ciò è possibile non a partire dalle forze umane, ma
solo con il « dono » di Cristo e del suo Spirito, con il « sacramento
»: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi
e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi ».(73) Così, non
per qualche loro merito particolare, ma soltanto per la gratuita partecipazione alla
grazia di Cristo, gli apostoli prolungano nella storia, sino alla consumazione dei
tempi, la stessa missione di salvezza di Gesù a favore degli uomini.
Segno e presupposto dell’autenticità e della fecondità di questa missione
è l’unità degli apostoli con Gesù e, in Lui, tra di loro e col
Padre, come testimonia la preghiera sacerdotale del Signore, sintesi della sua missione.(74)
15. A loro volta, gli apostoli costituiti dal Signore assolveranno via via alla loro
missione chiamando, in forme diverse ma alla fine convergenti, altri uomini, come
Vescovi, come presbiteri e come diaconi, per adempiere al mandato di Gesù
risorto che li ha inviati a tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il Nuovo Testamento è unanime nel sottolineare che è lo stesso Spirito
di Cristo a introdurre nel ministero questi uomini, scelti di mezzo ai fratelli.
Attraverso il gesto dell’imposizione delle mani,(75) che trasmette il dono dello
Spirito, essi sono chiamati e abilitati a continuare lo stesso ministero di riconciliare,
di pascere il gregge di Dio e di insegnare.(76)
Pertanto i presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo
pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in
mezzo al gregge loro affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso la prima Lettera
di Pietro: « Esorto i presbiteri che sono tra voi, quale com-presbitero,
testimone della sofferenza di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi:
pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma
volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo: non spadroneggiando
sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà
il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce ».(77)
I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale
di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne
ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo,
la Penitenza e l’Eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono
totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’unità e conducono al
Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed
agiscono per l’annuncio del Vangelo al mondo e per l’edificazione della Chiesa in
nome e in persona di Cristo Capo e Pastore.(78)
Questo è il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati partecipano
all’unico sacerdozio di Cristo. Lo Spirito Santo mediante l’unzione sacramentale
dell’Ordine li configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo
e Pastore, li conforma ed anima con la sua carità pastorale e li pone nella
Chiesa nella condizione autorevole di servi dell’annuncio del Vangelo ad ogni creatura
e di servi della pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati.
La verità del presbitero quale emerge dalla Parola di Dio, ossia da Gesù
Cristo stesso e dal suo disegno costitutivo della Chiesa, viene così cantata
con gioiosa gratitudine dalla Liturgia nel Prefazio della Messa del Crisma: «
Con l’unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della
nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato
nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e
con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione
delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza. Tu vuoi che nel suo nome rinnovino
il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale, e, servi premurosi
del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti.
Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per
i fratelli, si sforzino di conformarsi all’immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza
di fedeltà e di amore generoso ».
16. Il sacerdote ha come sua relazione fondamentale quella con Gesù Cristo
Capo e Pastore: egli, infatti, partecipa, in modo specifico e autorevole, alla «
consacrazioneunzione » e alla « missione » di Cristo.(79) Ma, intimamente
intrecciata con questa relazione, sta quella con la Chiesa. Non si tratta di «
relazioni » semplicemente accostate tra loro, ma interiormente unite in una
specie di mutua immanenza. Il riferimento alla Chiesa è iscritto nell’unico
e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel senso che è la «
rappresentanza sacramentale » di Cristo a fondare e ad animare il riferimento
del sacerdote alla Chiesa.
In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: « In quanto rappresenta Cristo
capo, pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa
ma anche di fronte alla Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla Parola di Dio
e ai segni sacramentali di cui è al servizio, appartiene agli elementi costitutivi
della Chiesa. Il ministero del presbitero è totalmente a favore della Chiesa;
è per la promozione dell’esercizio del sacerdozio comune di tutto il popolo
di Dio; è ordinato non solo alla Chiesa particolare, ma anche alla Chiesa
universale,(80) in comunione con il Vescovo, con Pietro e sotto Pietro. Mediante
il sacerdozio del Vescovo, il sacerdozio di secondo ordine è incorporato nella
struttura apostolica della Chiesa. Così il presbitero come gli apostoli funge
da ambasciatore per Cristo.(81) In questo si fonda l’indole missionaria di ogni sacerdote
».(82)
Il ministero ordinato sorge dunque con la Chiesa ed ha nei Vescovi, e in riferimento
e comunione con essi nei presbiteri, un particolare rapporto al ministero originario
degli apostoli, al quale realmente succede, anche se rispetto ad esso assume modalità
diverse di esistenza.
Non si deve allora pensare al sacerdozio ordinato come se fosse anteriore alla Chiesa,
perché è totalmente al servizio della Chiesa stessa; ma neppure come
se fosse posteriore alla comunità ecclesiale, quasi che questa possa essere
concepita come già costituita senza tale sacerdozio.
La relazione del sacerdote con Gesù Cristo e, in Lui, con la sua Chiesa si
situa nell’essere stesso del sacerdote, in forza della sua consacrazioneunzione
sacramentale, e nel suo agire, ossia nella sua missione o ministero. In particolare
« il sacerdote ministro è servitore di Cristo presente nella Chiesa
mistero, comunione e missione
. Per il fatto di partecipare all'”unzione”
e alla “missione” di Cristo, egli può prolungare nella Chiesa la
sua preghiera, la sua parola, il suo sacrificio, la sua azione salvifica. È
dunque servitore della Chiesa mistero perché attua i segni ecclesiali
e sacramentali della presenza di Cristo risorto. È servitore della Chiesa
comunione
perché – unito al Vescovo e in stretto rapporto con il presbiterio
– costruisce l’unità della comunità ecclesiale nell’armonia delle diverse
vocazioni, carismi e servizi. È, infine, servitore della Chiesa missione
perché rende la comunità annunciatrice e testimone del Vangelo ».(83)
Così, per la sua stessa natura e missione sacramentale, il sacerdote appare,
nella struttura della Chiesa, come segno della priorità assoluta e della gratuità
della grazia, che alla Chiesa viene donata dal Cristo risorto. Per mezzo del sacerdozio
ministeriale la Chiesa prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa,
ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo. Gli apostoli e i loro successori,
quali detentori di un’autorità che viene loro da Cristo Capo e Pastore, sono
posti – col loro ministero – di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile
e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo,
come origine permanente e sempre nuova della salvezza, « lui che è il
salvatore del suo corpo ».(84)
17. Il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto
solo in quanto il presbitero è unito con Cristo mediante l’inserimento sacramentale
nell’ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con
il proprio Vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale « forma comunitaria
» e può essere assolto solo come « un’opera collettiva ».(85)
Su questa natura comunionale del sacerdozio si è soffermato a lungo il Concilio,(86)
esaminando distintamente il rapporto del presbitero con il proprio Vescovo, con gli
altri presbiteri e con i fedeli laici.
Il ministero dei presbiteri è innanzi tutto comunione e collaborazione responsabile
e necessaria al ministero del Vescovo, nella sollecitudine per la Chiesa universale
e per le singole Chiese particolari, a servizio delle quali essi costituiscono con
il Vescovo un unico presbiterio.
Ciascun sacerdote, sia diocesano che religioso, è unito agli altri membri
di questo presbiterio, sulla base del sacramento dell’Ordine, da particolari vincoli
di carità apostolica, di ministero e di fraternità. Tutti i presbiteri
infatti, sia diocesani sia religiosi, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo
Capo e Pastore, « lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione
del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto
in questi tempi »,(87) e si arricchisce nel corso dei secoli di sempre nuovi
carismi.
I presbiteri, infine, poiché la loro figura e il loro compito nella Chiesa
non sostituiscono, bensì promuovono il sacerdozio battesimale di tutto il
popolo di Dio, conducendolo alla sua piena attuazione ecclesiale, si trovano in relazione
positiva e promovente con i laici. Della loro fede, speranza e carità sono
al servizio. Ne riconoscono e sostengono, come fratelli ed amici, la dignità
di figli di Dio e li aiutano ad esercitare in pienezza il loro ruolo specifico nell’ambito
della missione della Chiesa.(88)
Il sacerdozio ministeriale conferito dal sacramento dell’Ordine e quello comune o
« regale » dei fedeli, che differiscono tra loro per essenza e non solo
per grado,(89) sono tra loro coordinati, derivando entrambi – in forme diverse –
dall’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa
di per sé un maggiore grado di santità rispetto al sacerdozio comune
dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito
un particolare dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare
con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito.(90)
18. Come sottolinea il Concilio, « il dono spirituale che i presbiteri hanno
ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì
a una vastissima e universale missione di salvezza sino agli ultimi confini della
terra, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale
della missione affidata da Cristo agli apostoli ».(91) Per la natura stessa
del loro ministero, essi debbono dunque essere penetrati e animati di un profondo
spirito missionario e « di quello spirito veramente cattolico che li abitua
a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro
alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque
il Vangelo ».(92)
Inoltre, proprio perché all’interno della vita della Chiesa è l’uomo
della comunione, il presbitero dev’essere, nel rapporto con tutti gli uomini, l’uomo
della missione e del dialogo. Profondamente radicato nella verità e nella
carità di Cristo, e animato dal desiderio e dall’imperativo di annunciare
a tutti la sua salvezza, egli è chiamato a intessere rapporti di fraternità,
di servizio, di comune ricerca della verità, di promozione della giustizia
e della pace, con tutti gli uomini. In primo luogo con i fratelli delle altre Chiese
e confessioni cristiane; ma anche con i fedeli delle altre religioni; con gli uomini
di buona volontà, in special modo con i poveri e i più deboli, e con
tutti coloro che anelano, anche senza saperlo ed esprimerlo, alla verità e
alla salvezza di Cristo, secondo la parola di Gesù che ha detto: « Non
sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare
i giusti, ma i peccatori ».(93)
Oggi, in particolare, il prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione,
che investe tutto il Popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una
nuova espressione per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti
radicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare
un nuovo stile di vita pastorale, segnato dalla profonda comunione con il Papa, i
Vescovi e tra di loro, e da un feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto
e nella promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all’interno della comunità
ecclesiale.(94)
« Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri
orecchi ».(95) Ascoltiamo, ancora una volta, queste parole di Gesù,
alla luce del sacerdozio ministeriale che abbiamo presentato nella sua natura e missione.
L’« oggi » di cui parla Gesù, proprio perché appartiene
alla « pienezza del tempo », ossia al tempo della salvezza piena e definitiva,
indica il tempo della Chiesa. La consacrazione e la missione di Cristo: « Lo
Spirito del Signore… mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare
ai poveri un lieto messaggio… »,(96) sono la radice viva da cui germogliano
la consacrazione e la missione della Chiesa, « pienezza » di Cristo:(97)
con la rigenerazione battesimale, su tutti i credenti si effonde lo Spirito del Signore,
che li consacra a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo e li manda a
far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li ha chiamati all’ammirabile
sua luce.(98) Il presbitero partecipa alla consacrazione e alla missione di Cristo
in modo specifico e autorevole
, ossia mediante il sacramento dell’Ordine, in
virtù del quale è configurato nel suo essere a Gesù Cristo Capo
e Pastore e condivide la missione di « annunciare ai poveri un lieto messaggio
» nel nome e nella persona di Cristo stesso.
Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno compendiato in poche ma quanto mai
ricche parole la « verità », meglio, il « mistero »
e il « dono » del sacerdozio ministeriale, dicendo: « La nostra
identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio
da Lui mandato, Sacerdote Sommo e buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con
il sacerdozio ministeriale per l’azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero
del sacerdote sono continuazione della vita e dell’azione dello stesso Cristo. Questa
è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della
nostra gioia, la certezza della nostra vita ».(99)

CAPITOLO
III

LO SPIRITO DEL SIGNORE E’ SOPRA DI ME

La vita spirituale del sacerdote

19. « Lo Spirito
del Signore è sopra di me ».(100) Lo Spirito non sta semplicemente «
sopra » il Messia, ma lo « riempie », lo penetra, lo raggiunge
nel suo essere ed operare. Lo Spirito, infatti, è il principio della «
consacrazione » e della « missione » del Messia: « per questo
mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio… ».(101) In forza dello Spirito, Gesù appartiene totalmente
ed esclusivamente a Dio, partecipa all’infinita santità di Dio che lo chiama,
lo elegge e lo manda. Così lo Spirito del Signore si rivela fonte di santità
e appello alla santificazione.
Questo stesso « Spirito del Signore » è « sopra »
l’intero popolo di Dio, che viene costituito come popolo « consacrato »
a Dio e da Dio « mandato » per l’annuncio del Vangelo che salva. Dallo
Spirito i membri del Popolo di Dio sono « inebriati » e « segnati
» (102) e chiamati alla santità.
In particolare, lo Spirito ci rivela e ci comunica la vocazione fondamentale che
il Padre dall’eternità rivolge a tutti: la vocazione ad essere «
santi
e immacolati al suo cospetto nella carità », in virtù
della predestinazione « a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù
Cristo ».(103) Non solo. Rivelandoci e comunicandoci questa vocazione, lo
Spirito si fa in noi principio e risorsa della sua realizzazione
: lui, lo Spirito
del Figlio,(104) ci conforma a Cristo Gesù e ci rende partecipi della sua
vita filiale, ossia della sua carità verso il Padre e verso i fratelli. «
Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito ».(105) Con queste
parole l’apostolo Paolo ci ricorda che l’esistenza cristiana è « vita
spirituale », ossia vita animata e guidata dallo Spirito verso la santità
o perfezione della carità.
L’affermazione del Concilio: « Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono
chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità
» (106) trova una sua particolare applicazione per i presbiteri: essi sono
chiamati non solo in quanto battezzati, ma anche e specificamente in quanto presbiteri,
ossia ad un titolo nuovo e con modalità originali, derivanti dal sacramento
dell’Ordine.
20. Della « vita spirituale » dei presbiteri e del dono e della responsabilità
di divenire « santi » il Decreto conciliare sul ministero e sulla vita
sacerdotale ci offre una sintesi quanto mai ricca e stimolante: « Con il sacramento
dell’Ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del Capo,
allo scopo di far crescere ed edificare tutto il Corpo che è la Chiesa, in
qualità di cooperatori dell’ordine episcopale. Già fin dalla consacrazione
del Battesimo, essi, come tutti i fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una
vocazione e di una grazia così grande che, pur nell’umana debolezza, possono
e devono tendere alla perfezione, secondo quanto ha detto il Signore: “Siate
dunque perfetti così come il Padre vostro celeste è perfetto”.(107)
Ma i sacerdoti sono specialmente obbligati a tendere a questa perfezione, poiché
essi – che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l’ordinazione –
vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote, per
proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia
l’intero genere umano. Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è
proprio, agisce a nome e nella persona di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia
speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che
gli è affidata e di tutto il Popolo di Dio, egli può avvicinarsi più
efficacemente alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e l’umana
debolezza della carne viene sanata dalla santità di Lui, il quale è
fatto per noi pontefice “santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori”
(108) ».(109)
Il Concilio afferma, anzitutto, la vocazione « comune » alla santità.
Questa vocazione si radica nel Battesimo, che caratterizza il presbitero come un
« fedele » (Christifidelis), come « fratello tra fratelli
», inserito e unito con il Popolo di Dio, nella gioia di condividere i doni
della salvezza (110) e nell’impegno comune di camminare « secondo lo Spirito
», seguendo l’unico Maestro e Signore. Ricordiamo la celebre parola di Sant’Agostino:
« Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un
ufficio assunto, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza
».(111)
Con identica chiarezza il testo conciliare parla anche di una vocazione «
specifica » alla santità
, più precisamente di una vocazione
che si fonda sul sacramento dell’Ordine, quale sacramento proprio e specifico del
sacerdote, in forza dunque di una nuova consacrazione a Dio mediante l’ordinazione.
A questa vocazione specifica allude ancora Sant’Agostino, che all’affermazione «
Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano », fa seguire queste altre parole:
« Se dunque mi è causa di maggior gioia l’essere stato con voi riscattato
che l’esservi posto a capo, seguendo il comando del Signore, mi dedicherò
col massimo impegno a servirvi, per non essere ingrato a chi mi ha riscattato con
quel prezzo che mi ha fatto vostro conservo ».(112)
Il testo del Concilio procede oltre segnalando alcuni elementi necessari a definire
il contenuto della « specificità » della vita spirituale dei presbiteri.
Sono elementi che si connettono con la « consacrazione » propria dei
presbiteri, che li configura a Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa; con
la « missione » o ministero tipico degli stessi presbiteri, che li abilita
e li impegna ad essere strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote e ad agire «
nel nome e nella persona di Cristo stesso »; con la loro intera « vita
», chiamata a manifestare e a testimoniare in modo originale il « radicalismo
evangelico ».113
21. Mediante la consacrazione sacramentale, il sacerdote è configurato a Gesù
Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa e riceve in dono un « potere spirituale
» che è partecipazione all’autorità con la quale Gesù
Cristo mediante il suo Spirito guida la Chiesa.114
Grazie a questa consacrazione operata dallo Spirito nell’effusione sacramentale dell’Ordine,
la vita spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli
atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore
della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale.
Gesù Cristo è Capo della Chiesa, suo Corpo. È «
Capo » nel senso nuovo e originale dell’essere servo, secondo le sue stesse
parole: « Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ».115 Il servizio
di Gesù giunge a pienezza con la morte in croce, ossia con il dono totale
di sé, nell’umiltà e nell’amore: « Spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma
umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte
di croce… ».116 L’autorità di Gesù Cristo Capo coincide dunque
con il suo servizio, con il suo dono, con la sua dedizione totale, umile e amorosa
nei riguardi della Chiesa. E questo in perfetta obbedienza al Padre: egli è
l’unico vero Servo sofferente del Signore, insieme Sacerdote e Vittima.
Da questo preciso tipo di autorità, ossia dal servizio verso la Chiesa, viene
animata e vivificata l’esistenza spirituale di ogni sacerdote, proprio come esigenza
della sua configurazione a Gesù Cristo Capo e servo della Chiesa.117 Così
Sant’Agostino ammoniva un vescovo nel giorno della sua ordinazione: « Chi è
capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto che egli è il servo di
molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni di essere il servo di molti,
poiché non disdegnò di farsi nostro servo il Signore dei signori ».118
La vita spirituale dei ministri del Nuovo Testamento dovrà essere improntata,
dunque, a questo essenziale atteggiamento di servizio al popolo di Dio,119 scevro
da ogni presunzione e da ogni desiderio di « spadroneggiare » sul gregge
affidato.120 Un servizio fatto di buon animo, secondo Dio e volentieri: in questo
modo i ministri, gli « anziani » della comunità, cioè i
presbiteri, potranno essere « modello » del gregge, che, a sua volta,
è chiamato ad assumere nei confronti del mondo intero questo atteggiamento
sacerdotale di servizio alla pienezza della vita dell’uomo e alla sua liberazione
integrale.
22. L’immagine di Gesù Cristo Pastore della Chiesa, suo gregge, riprende
e ripropone, con nuove e più suggestive sfumature, gli stessi contenuti di
quella di Gesù Cristo Capo e servo. Inverando l’annuncio profetico del Messia
Salvatore, cantato gioiosamente dal salmista e dal profeta Ezechiele,121 Gesù
si autopresenta come il « buon Pastore » 122 non solo di Israele, ma
di tutti gli uomini.123 E la sua vita è ininterrotta manifestazione, anzi
quotidiana realizzazione della sua « carità pastorale »: sente
compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore senza
pastore;124 cerca le smarrite e le disperse 125 e fa festa per il loro ritrovamento,
le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama ad una ad una,126 le conduce ai
pascoli erbosi e alle acque tranquille,127 per loro imbandisce una mensa, nutrendole
con la sua stessa vita. Questa vita il buon Pastore offre con la sua morte e risurrezione,
come la liturgia romana della Chiesa canta: « È risorto il Pastore buono
che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro
alla morte. Alleluia ».128
Pietro chiama Gesù il « Principe dei pastori »,129 perché
la sua opera e missione continuano nella Chiesa attraverso gli apostoli 130 e i loro
successori131 e attraverso i presbiteri. In forza della loro consacrazione, i presbiteri
sono configurati a Gesù Buon Pastore e sono chiamati a imitare e a rivivere
la sua stessa carità pastorale.
Il donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del suo amore, si connota di quella dedizione
originale che è propria dello sposo nei riguardi della sposa, come più
volte suggeriscono i testi sacri. Gesù è il vero Sposo che offre
il vino della salvezza alla Chiesa.132 Lui, che è il « capo della Chiesa…
e il salvatore del suo corpo »,133 « ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua
accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta
gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata
».134 La Chiesa è sì il corpo, nel quale è presente e
operante Cristo Capo, ma è anche la Sposa, che scaturisce come nuova Eva dal
costato aperto del Redentore sulla croce: per questo Cristo sta « davanti »
alla Chiesa, « la nutre e la cura » 135 con il dono della sua vita per
lei. Il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo
Sposo della Chiesa:136 certamente egli rimane sempre parte della comunità
come credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle convocati dallo Spirito,
ma in forza della sua configurazione a Cristo Capo e Pastore si trova in tale posizione
sponsale di fronte alla comunità. « In quanto ripresenta Cristo capo,
pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non solo nella Chiesa ma anche
di fronte alla Chiesa ».137 È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale
a rivivere l’amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. La sua vita dev’essere
illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che gli chiede di essere
testimone dell’amore sponsale di Cristo, di essere quindi capace di amare la gente
con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione
piena, continua e fedele, e insieme con una specie di « gelosia » divina,138
con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell’affetto materno, capace
di farsi carico dei « dolori del parto » finché « Cristo
non sia formato » nei fedeli.139
23. Il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale
del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore è la carità
pastorale
, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù
Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito
e appello
alla risposta libera e responsabile del presbitero.
Il contenuto essenziale della carità pastorale è il dono di sé,
il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione
con il dono di Cristo. « La carità pastorale è quella virtù
con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio.
Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che mostra
l’amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro
modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente
esigente per noi… ».140
Il dono di sé, radice e sintesi della carità pastorale, ha come destinataria
la Chiesa. Così è stato di Cristo che « ha amato la Chiesa e
ha dato se stesso per lei »;141 così dev’essere del sacerdote. Con la
carità pastorale che impronta l’esercizio del ministero sacerdotale come «
amoris officium »
,142 « il sacerdote, che accoglie la vocazione al
ministero, è in grado di fare di questo una scelta di amore, per cui la Chiesa
e le anime diventano il suo interesse principale e, con tale spiritualità
concreta, diventa capace di amare la Chiesa universale e quella porzione di essa,
che gli è affidata, con tutto lo slancio di uno sposo verso la sposa ».143
Il dono di sé non ha confini, essendo segnato dallo stesso slancio apostolico
e missionario di Cristo, del buon Pastore, che ha detto: « E ho altre pecore
che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce
e diventeranno un solo gregge e un solo pastore ».144
All’interno della comunità ecclesiale, la carità pastorale del sacerdote
sollecita ed esige in un modo particolare e specifico il suo rapporto personale con
il presbiterio, unito nel e con il Vescovo, come esplicitamente scrive il Concilio:
« La carità pastorale esige che i presbiteri, se non vogliono correre
invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione con i Vescovi e gli altri fratelli
nel sacerdozio ».145
Il dono di sé alla Chiesa la riguarda in quanto essa è il corpo e la
sposa di Gesù Cristo. Per questo la carità del sacerdote si
riferisce primariamente a Gesù Cristo: solo se ama e serve Cristo Capo e Sposo,
la carità diventa fonte, criterio, misura, impulso dell’amore e del servizio
del sacerdote alla Chiesa, corpo e sposa di Cristo. È stata questa la coscienza
limpida e forte dell’apostolo Paolo, che ai cristiani della Chiesa di Corinto scrive:
« Quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù ».146
È questo, soprattutto, l’insegnamento esplicito e programmatico di Gesù
quando affida a Pietro il ministero di pascere il gregge solo dopo la sua triplice
attestazione di amore, anzi di un amore di predilezione: « Gli disse per la
terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro gli disse: “Signore,
tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci
le mie pecorelle…” ».147 La carità pastorale, che ha la sua sorgente
specifica nel sacramento dell’Ordine, trova la sua espressione piena e il suo supremo
alimento nell’Eucaristia: « Questa carità pastorale – leggiamo
nel Concilio – scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta
quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, cosicché l’anima
sacerdotale si studia di rispecchiare in sé ciò che viene realizzato
sull’altare ».148 È nell’Eucaristia, infatti, che viene ripresentato,
ossia fatto di nuovo presente il sacrificio della croce, il dono totale di Cristo
alla sua Chiesa, il dono del suo corpo dato e del suo sangue sparso, quale suprema
testimonianza del suo essere Capo e Pastore, Servo e Sposo della Chiesa. Proprio
per questo, la carità pastorale del sacerdote non solo scaturisce dall’Eucaristia,
ma trova nella celebrazione di questa la sua più alta realizzazione, così
come dall’Eucaristia riceve la grazia e la responsabilità di connotare in
senso « sacrificale » la sua intera esistenza.
Questa stessa carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico
capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote
. Grazie
ad essa può trovare risposta l’essenziale e permanente esigenza dell’unità
tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero, esigenza
quanto mai urgente in un contesto socio-culturale ed ecclesiale fortemente segnato
dalla complessità, dalla frammentarietà e dalla dispersività.
Solo la concentrazione di ogni istante e di ogni gesto attorno alla scelta fondamentale
e qualificante di « dare la vita per il gregge » può garantire
questa unità vitale, indispensabile per l’armonia e per l’equilibrio spirituale
del sacerdote: « L’unità di vita – ci ricorda il Concilio – può
essere raggiunta dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l’esempio
di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di colui che
lo aveva inviato a realizzare la sua opera… Così, rappresentando il buon
Pastore, nello stesso esercizio pastorale della carità troveranno il vincolo
della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita
e attività ».149
24. Lo Spirito del Signore ha consacrato Cristo e lo ha mandato ad annunciare il
Vangelo.150 La missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione,
ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è
per la missione
. Così, non solo la consacrazione, ma anche la missione
sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore
.
Così è stato di Gesù. Così è stato degli apostoli
e dei loro successori. Così è dell’intera Chiesa e in essa dei presbiteri:
tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione all’interno e attraverso
il compimento della missione.151
Esiste dunque un intimo rapporto tra la vita spirituale del presbitero e l’esercizio
del suo ministero,152 rapporto che il Concilio così esprime: « Esercitando
il ministero dello Spirito e della giustizia essi (presbiteri) vengono consolidati
nella vita dello spirito, a condizione però che siano docili agli insegnamenti
dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce. I presbiteri, infatti, sono
ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse azioni che svolgono quotidianamente,
come anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il Vescovo
e tra di loro. Ma la stessa santità dei presbiteri, a sua volta, contribuisce
moltissimo al compimento efficace del loro ministero ».153
« Vivi il mistero che è posto nelle tue mani »! È
questo l’invito, il monito che la Chiesa rivolge al presbitero nel rito dell’ordinazione,
quando gli vengono consegnate le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico.
Il « mistero », di cui il presbitero è dispensatore,154 è,
in definitiva, Gesù Cristo stesso, che nello Spirito è sorgente di
santità e appello alla santificazione. Il « mistero » chiede di
essere inserito nella vita vissuta del presbitero. Per questo esige grande vigilanza
e viva consapevolezza. È ancora il rito dell’ordinazione a far precedere le
parole ricordate dalla raccomandazione: « Renditi conto di ciò che farai
». Già Paolo ammoniva il vescovo Timoteo: « Non trascurare il
dono spirituale che è in te ».155
Il rapporto tra la vita spirituale e l’esercizio del ministero sacerdotale può
trovare una sua spiegazione anche a partire dalla carità pastorale donata
dal sacramento dell’Ordine. Il ministero del sacerdote, proprio perché è
una partecipazione al ministero salvifico di Gesù Cristo Capo e Pastore, non
può non riesprimere e rivivere quella sua carità pastorale che insieme
è la sorgente e lo spirito del suo servizio e del suo dono di sé. Nella
sua realtà oggettiva il ministero sacerdotale è « amoris officium
»
, secondo la citata espressione di Sant’Agostino: proprio questa realtà
oggettiva si pone come fondamento e appello per un ethos corrispondente, che non
può essere se non quello di vivere l’amore, come rileva lo stesso Sant’Agostino:
« Sit amoris officium pascere dominicum gregem ».156 Tale ethos,
e quindi la vita spirituale, altro non è che l’accoglienza nella coscienza
e nella libertà, e pertanto nella mente, nel cuore, nelle decisioni e nelle
azioni, della « verità » del ministero sacerdotale come «
amoris officium ».

25. È essenziale, per una vita spirituale che si sviluppa attraverso l’esercizio
del ministero, che il sacerdote rinnovi continuamente e approfondisca sempre più
la coscienza di essere ministro di Gesù Cristo in forza della consacrazione
sacramentale e della configurazione a Lui Capo e Pastore della Chiesa.
Una simile coscienza non soltanto corrisponde alla vera natura della missione che
il sacerdote svolge a favore della Chiesa e dell’umanità, ma decide anche
della vita spirituale del sacerdote che compie quella missione. Il sacerdote, infatti,
viene scelto da Cristo non come una « cosa », bensì come una «
persona »: egli non è uno strumento inerte e passivo ma uno «
strumento vivo », come si esprime il Concilio, proprio là dove parla
dell’obbligo di tendere alla perfezione.157 È ancora il Concilio a parlare
dei sacerdoti come di « soci e collaboratori » di Dio « santo e
santificatore ».158
In tale senso nell’esercizio del ministero è profondamente coinvolta la persona
cosciente, libera e responsabile del sacerdote. Il legame con Gesù Cristo,
che la consacrazione e configurazione del sacramento dell’Ordine assicurano, fonda
ed esige nel sacerdote un ulteriore legame che è dato dalla « intenzione
», ossia dalla volontà cosciente e libera di fare, mediante il gesto
ministeriale, ciò che intende fare la Chiesa. Un simile legame tende, per
sua natura, a farsi il più ampio e il più profondo possibile, investendo
la mente, i sentimenti, la vita, ossia una serie di « disposizioni »
morali e spirituali corrispondenti ai gesti ministeriali che il sacerdote pone.
Non c’è dubbio che l’esercizio del ministero sacerdotale, in specie la celebrazione
dei Sacramenti, riceve la sua efficacia di salvezza dall’azione stessa di Gesù
Cristo resa presente nei Sacramenti. Ma per un disegno divino, che vuole esaltare
l’assoluta gratuità della salvezza facendo dell’uomo un « salvato »
e insieme un « salvatore » – sempre e solo con Gesù Cristo -,
l’efficacia dell’esercizio del ministero è condizionata anche dalla maggior
o minor accoglienza e partecipazione umana.159 In particolare, la maggiore o minore
santità del ministro influisce realmente sull’annuncio della Parola, sulla
celebrazione dei Sacramenti, sulla guida della comunità nella carità.
È quanto afferma con chiarezza il Concilio: « La stessa santità
dei presbiteri … contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro ministero:
infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l’opera della
salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente,
preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più
docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l’apostolo,
grazie alla propria intima unione con Cristo e alla santità di vita: “Ormai
non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me”160
».161
La coscienza di essere ministro di Gesù Cristo Capo e Pastore comporta anche
la coscienza grata e gioiosa di una singolare grazia ricevuta da Gesù Cristo:
la grazia di essere stato scelto gratuitamente dal Signore come « strumento
vivo » dell’opera della salvezza. Questa scelta testimonia l’amore di Gesù
Cristo per il sacerdote. Proprio quest’amore, come e più d’ogni altro amore,
esige la corrispondenza. Dopo la sua risurrezione, Gesù pone a Pietro la fondamentale
domanda sull’amore: « Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?
». E alla risposta di Pietro segue l’affidamento della missione: « Pasci
i miei agnelli ».162 Gesù chiede a Pietro se lo ami, prima di e per
potergli consegnare il suo gregge. Ma, in realtà, è l’amore libero
e preveniente di Gesù stesso a originare la sua richiesta all’apostolo e l’affidamento
a lui delle « sue » pecore. Così ogni gesto ministeriale, mentre
conduce ad amare e a servire la Chiesa, spinge a maturare sempre più nell’amore
e nel servizio a Gesù Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, un amore
che si configura sempre come risposta a quello preveniente, libero e gratuito di
Dio in Cristo. A sua volta, la crescita dell’amore a Gesù Cristo determina
la crescita dell’amore alla Chiesa: « Siamo vostri pastori (pascimus vobis),
con voi siamo nutriti (pascimur vobiscum). Il Signore ci dia la forza di amarvi
a tal punto da poter morire per voi, o di fatto o col cuore (aut effectu aut affectu)
».163
26. Grazie al prezioso insegnamento del Concilio Vaticano II,164 possiamo cogliere
le condizioni e le esigenze, le modalità e i frutti dell’intimo rapporto che
esiste tra la vita spirituale del sacerdote e l’esercizio del suo triplice ministero:
della Parola, del Sacramento e del servizio della Carità.
Il sacerdote è, anzitutto, ministro della Parola di Dio, è consacrato
e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all’obbedienza
della fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più
profonde del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo. Per questo, il
sacerdote stesso per primo deve sviluppare una grande familiarità personale
con la Parola di Dio: non gli basta conoscerne l’aspetto linguistico o esegetico,
che pure è necessario; gli occorre accostare la Parola con cuore docile e
orante, perché essa penetri a fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi
in lui una mentalità nuova – « il pensiero di Cristo » 165 -,
in modo che le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti siano sempre più
una trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo. Solo « rimanendo
» nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore,
conoscerà la verità e sarà veramente libero, superando ogni
condizionamento contrario od estraneo al Vangelo.166 Il sacerdote dev’essere il primo
« credente » alla Parola, nella piena consapevolezza che le parole del
suo ministero non sono « sue », ma di Colui che lo ha mandato. Di questa
Parola egli non è padrone: è servo. Di questa Parola egli non è
unico possessore: è debitore nei riguardi del Popolo di Dio. Proprio perché
evangelizza e perché possa evangelizzare, il sacerdote, come la Chiesa, deve
crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato.167 Egli
annuncia la Parola nella sua qualità di « ministro », partecipe
dell’autorità profetica di Cristo e della Chiesa. Per questo, per avere in
se stesso e per dare ai fedeli la garanzia di trasmettere il Vangelo nella sua integrità
il sacerdote è chiamato a coltivare una sensibilità, un amore e una
disponibilità particolari nei confronti della Tradizione viva della Chiesa
e del suo Magistero: questi non sono estranei alla Parola, ma ne servono la retta
interpretazione e ne custodiscono il senso autentico.168
È soprattutto nella celebrazione dei Sacramenti e nella celebrazione
della Liturgia delle Ore che il sacerdote è chiamato a vivere e a testimoniare
l’unità profonda tra l’esercizio del suo ministero e la sua vita spirituale:
il dono di grazia offerto alla Chiesa si fa principio di santità e appello
di santificazione. Anche per il sacerdote il posto veramente centrale, sia nel ministero
sia nella vita spirituale, è dell’Eucaristia, perché in essa «
è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo,
nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo,
dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire
insieme a lui se stessi, le proprie fatiche e tutte le cose create ».169
Dai diversi Sacramenti, e in particolare dalla grazia specifica e propria a ciascuno
di essi, la vita spirituale del presbitero riceve connotazioni particolari. Essa,
infatti, viene strutturata e plasmata dalle molteplici caratteristiche ed esigenze
dei diversi Sacramenti celebrati e vissuti.
Una parola speciale voglio riservare per il Sacramento della Penitenza, del quale
i sacerdoti sono i ministri ma devono anche esserne i beneficiari, divenendo testimoni
della compassione di Dio per i peccatori. La vita spirituale e pastorale del sacerdote,
come quella dei suoi fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità
e il suo fervore, dall’assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della
Penitenza. Ripropongo quanto ho scritto nell’Esortazione « Reconciliatio et
Paenitentia »: « La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come quella
dei suoi fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo
fervore, dall’assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza.
La celebrazione dell’Eucaristia e il ministero degli altri Sacramenti, lo zelo pastorale,
il rapporto con i fedeli, la comunione con i confratelli, la collaborazione col Vescovo,
la vita di preghiera, in una parola tutta l’esistenza sacerdotale subisce un inesorabile
scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il
ricorso, periodico e ispirato d’autentica fede e devozione, al Sacramento della Penitenza.
In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere
prete
e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe
anche la Comunità, di cui egli è pastore ».170
Infine, il sacerdote è chiamato a rivivere l’autorità e il servizio
di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa animando e guidando la comunità
ecclesiale
, ossia riunendo « la famiglia di Dio come fraternità
animata nell’unità » e conducendola « al Padre per mezzo di Cristo
nello Spirito Santo ».171 Questo « munus regendi » è compito
molto delicato e complesso, che include, oltre all’attenzione alle singole persone
e alle diverse vocazioni, la capacità di coordinare tutti i doni e i carismi
che lo Spirito suscita nella comunità, verificandoli e valorizzandoli per
l’edificazione della Chiesa sempre in unione con i Vescovi. Si tratta di un ministero
che richiede al sacerdote una vita spirituale intensa, ricca di quelle qualità
e virtù che sono tipiche della persona che « presiede » e «
guida » una comunità, dell’« anziano » nel senso più
nobile e ricco del termine: tali sono la fedeltà, la coerenza, la saggezza,
l’accoglienza di tutti, l’affabile bontà, l’autorevole fermezza sulle cose
essenziali, la libertà da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse
personale, la pazienza, il gusto dell’impegno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto
della grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri.172
27. « Lo Spirito del Signore è sopra di me ».173 Lo Spirito Santo
effuso dal sacramento dell’Ordine è fonte di santità e appello alla
santificazione, non solo perché configura il sacerdote a Cristo Capo e Pastore
della Chiesa e gli affida la missione profetica, sacerdotale e regale da compiere
nel nome e nella persona di Cristo, ma anche perché anima e vivifica la sua
esistenza quotidiana, arricchendola di doni e di esigenze, di virtù e di impulsi,
che si compendiano nella carità pastorale. Una simile carità è
sintesi unificante dei valori e delle virtù evangeliche e insieme forza che
sostiene il loro sviluppo sino alla perfezione cristiana.174
Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza
fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e
ad imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui operata dallo Spirito.175
Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono
« nella » Chiesa, ma anche perché sono « di fronte »
alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo Capo e Pastore, abilitati e impegnati
al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno
e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di
molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale
e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte
al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo
sono i diversi « consigli evangelici », che Gesù propone nel Discorso
della Montagna 176 e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro,d’obbedienza,
castità e povertà:
177 il sacerdote è chiamato a viverli
secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità
e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero
e la esprimono.
28. « Tra le virtù che più sono necessarie nel ministero dei
presbiteri, va ricordata quella disposizione d’animo per cui sempre sono pronti a
cercare non la propria volontà, ma il compimento della volontà di colui
che li ha inviati 178 ».179 È l’obbedienza, che nel caso della
vita spirituale del sacerdote si riveste di alcune caratteristiche peculiari.
Essa è, anzitutto, un’obbedienza « apostolica », nel senso
che riconosce, ama e serve la Chiesa nella sua struttura gerarchica. Non si dà,
infatti, ministero sacerdotale se non nella comunione con il sommo Pontefice e con
il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali
sono da riservarsi « il filiale rispetto e l’obbedienza » promessi nel
rito dell’ordinazione. Questa « sottomissione » a quanti sono rivestiti
dell’autorità ecclesiale non ha nulla di umiliante, ma deriva dalla libertà
responsabile del presbitero, che accoglie non solo le esigenze di una vita ecclesiale
organica e organizzata, ma anche quella grazia di discernimento e di responsabilità
nelle decisioni ecclesiali, che Gesù ha garantito ai suoi apostoli e ai loro
successori, perché sia custodito con fedeltà il mistero della Chiesa
e perché la compagine della comunità cristiana venga servita nel suo
unitario cammino verso la salvezza.
L’obbedienza cristiana autentica, rettamente motivata e vissuta senza servilismi,
aiuta il presbitero ad esercitare con evangelica trasparenza l’autorità che
gli è affidata nei confronti del Popolo di Dio: senza autoritarismi e senza
scelte demagogiche. Solo chi sa obbedire in Cristo, sa come richiedere, secondo il
Vangelo, l’obbedienza altrui.
L’obbedienza presbiterale presenta inoltre un’esigenza « comunitaria »:
non è l’obbedienza di un singolo che individualmente si rapporta con l’autorità,
ma è invece profondamente inserita nell’unità del presbiterio, che
come tale è chiamato a vivere la concorde collaborazione con il Vescovo e,
per suo tramite, con il successore di Pietro.180
Questo aspetto dell’obbedienza del sacerdote richiede una notevole ascesi, sia nel
senso di un’abitudine a non legarsi troppo alle proprie preferenze o ai propri punti
di vista, sia nel senso di lasciare spazio ai confratelli perché possano valorizzare
i loro talenti e le loro capacità, al di fuori di ogni gelosia, invidia e
rivalità. Quella del sacerdote è un’obbedienza solidale, che parte
dalla sua appartenenza all’unico presbiterio e che sempre all’interno di esso e con
esso esprime orientamenti e scelte corresponsabili.
Infine, l’obbedienza sacerdotale ha un particolare carattere di « pastorali-
tà »
. È vissuta, cioè, in un clima di costante disponibilità
a lasciarsi afferrare, quasi « mangiare », dalle necessità e dalle
esigenze del gregge. Queste ultime devono avere una giusta razionalità, e
talvolta vanno selezionate e sottoposte a verifica, ma è innegabile che la
vita del presbitero è « occupata » in modo pieno dalla fame di
Vangelo, di fede, di speranza e di amore di Dio e del suo mistero, la quale più
o meno consapevolmente è presente nel Popolo di Dio a lui affidato.
29. Tra i consigli evangelici – scrive il Concilio – « eccelle questo prezioso
dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni 181 di votarsi a Dio solo più
facilmente e con un cuore senza divisioni 182 nella verginità e nel celibato.
Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre stata tenuta in
singolare onore dalla Chiesa, come un segno e uno stimolo della carità e come
una speciale sorgente di fecondità nel mondo ».183 Nella verginità
e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello
cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione
e prezioso servizio all’amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo
significato sussiste pienamente nella verginità, che realizza, pur nella rinuncia
al matrimonio, il « significato sponsale » del corpo mediante una comunione
e una donazione personale a Gesù Cristo e alla sua Chiesa che prefigurano
e anticipano la comunione e la donazione perfette e definitive dell’al di là:
« Nella verginità l’uomo è in attesa, anche corporalmente, delle
nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa
nella speranza che Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna
».184
In questa luce si possono più facilmente comprendere e apprezzare i motivi
della scelta plurisecolare che la Chiesa di Occidente ha fatto e che ha mantenuto,
nonostante tutte le difficoltà e le obiezioni sollevate lungo i secoli, di
conferire l’ordine presbiterale solo a uomini che diano prova di essere chiamati
da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo.
I Padri sinodali hanno espresso con chiarezza e con forza il loro pensiero con un’importante
Proposizione, che merita di essere integralmente e letteralmente riferita: «
Ferma restante la disciplina delle Chiese Orientali, il Sinodo, convinto che la castità
perfetta nel celibato sacerdotale è un carisma, ricorda ai presbiteri che
essa costituisce un dono inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore
profetico per il mondo attuale. Questo Sinodo nuovamente e con forza afferma quanto
la Chiesa Latina e alcuni riti orientali richiedono, che cioè il sacerdozio
venga conferito solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della vocazione
alla castità celibe (senza pregiudizio della tradizione di alcune Chiese orientali
e dei casi particolari di clero uxorato proveniente da conversioni al cattolicesimo,
per il quale si dà eccezione nell’enciclica di Paolo VI, « Sacerdotalis
Caelibatus »). Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti
sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato
liberamente scelto e perpetuo per i candidati all’ordinazione sacerdotale nel rito
latino. Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena
ricchezza biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua
Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno dell’amore
di Dio verso questo mondo nonché dell’amore indiviso del sacerdote verso Dio
e il Popolo di Dio, così che il celibato sia visto come arricchimento positivo
del sacerdozio ».185
È particolarmente importante che il sacerdote comprenda la motivazione teologica
della legge ecclesiastica sul celibato. In quanto legge, esprime la volontà
della Chiesa
, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla
sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione
nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote
a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù
Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù
Cristo Capo e Sposo l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di
in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio
del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore.
Per un’adeguata vita spirituale del sacerdote occorre che il celibato sia considerato
e vissuto non come un elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di
un orientamento positivo, specifico e caratteristico del sacerdote: egli, lasciando
il padre e la madre, segue Gesù buon Pastore, in una comunione apostolica,
a servizio del Popolo di Dio. Il celibato è dunque da accogliere con libera
e amorosa decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come
« stimolo della carità pastorale »,186 come singolare partecipazione
alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza
al mondo del Regno escatologico. Per vivere tutte le esigenze morali, pastorali e
spirituali del celibato sacerdotale è assolutamente necessaria la preghiera
umile e fiduciosa, come ci avverte il Concilio: « Al mondo d’oggi, quanto più
la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta
maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare insieme alla
Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la richiede,
ricorrendo allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti dispongono
».187 Sarà ancora la preghiera, unita ai Sacramenti della Chiesa e all’impegno
ascetico, ad infondere speranza nelle difficoltà, perdono nelle mancanze,
fiducia e coraggio nella ripresa del cammino.
30. Della povertà evangelica i Padri sinodali hanno dato una descrizione
quanto mai concisa e profonda, presentandola come « sottomissione di tutti
i beni al Bene supremo di Dio e del suo Regno ».188 In realtà, solo
chi contempla e vive il mistero di Dio quale unico e sommo Bene, quale vera e definitiva
Ricchezza, può capire e realizzare la povertà, che non è certamente
disprezzo e rifiuto dei beni materiali, ma è uso grato e cordiale di questi
beni ed insieme lieta rinuncia ad essi con grande libertà interiore, ossia
in ordine a Dio e ai suoi disegni.
La povertà del sacerdote, in forza della sua configurazione sacramentale a
Cristo Capo e Pastore, assume precise connotazioni « pastorali », sulle
quali, riprendendo e sviluppando l’insegnamento conciliare,189 si sono soffermati
i Padri sinodali. Scrivono tra l’altro: « I sacerdoti, sull’esempio di Cristo
che da ricco come era si è fatto povero per nostro amore,190 devono considerare
i poveri e più deboli come loro affidati in una maniera speciale e devono
essere capaci di testimoniare la povertà con una vita semplice e austera,
essendo già abituati a rinunciare generosamente alle cose superflue 191 ».192
È vero che « l’operaio è degno della sua mercede » e che
« il Signore ha disposto che quelli che annunziano il Vangelo vivano del Vangelo
»,193 ma è altrettanto vero che questo diritto dell’apostolo non può
assolutamente confondersi con qualsiasi pretesa di piegare il servizio del Vangelo
e della Chiesa ai vantaggi e agli interessi che ne possono derivare. Solo la povertà
assicura al sacerdote la sua disponibilità ad essere mandato là dove
la sua opera è più utile ed urgente, anche con sacrificio personale.
È condizione e premessa indispensabile alla docilità dell’apostolo
allo Spirito, che lo rende pronto ad « andare », senza zavorre e senza
legami, seguendo solo la volontà del Maestro.194
Personalmente inserito nella vita della comunità e responsabile di essa, il
sacerdote deve offrire anche la testimonianza di una totale « trasparenza »
nell’amministrazione dei beni della comunità stessa, che egli non tratterà
mai come fossero un patrimonio proprio, ma come cosa di cui deve rendere conto a
Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri. La coscienza poi di appartenere all’unico
presbiterio spingerà il sacerdote ad impegnarsi per favorire sia una più
equa distribuzione dei beni tra i confratelli, sia un certo uso in comune dei beni.195
La libertà interiore, che la povertà evangelica custodisce e alimenta,
abilita il prete a stare accanto ai più deboli, a farsi solidale con i loro
sforzi per l’instaurazione d’una società più giusta, ad essere più
sensibile e più capace di comprensione e di discernimento dei fenomeni riguardanti
l’aspetto economico e sociale della vita, a promuovere la scelta preferenziale dei
poveri: questa, senza escludere nessuno dall’annuncio e dal dono della salvezza,
sa chinarsi sui piccoli, sui peccatori, sugli emarginati di ogni specie, secondo
il modello dato da Gesù nello svolgimento del suo ministero profetico e sacerdotale.196
Né va dimenticato il significato profetico della povertà sacerdotale,
particolarmente urgente nelle società opulente e consumiste: « Il sacerdote
veramente povero è di certo un segno concreto della separazione, della rinuncia
e non della sottomissione alla tirannia del mondo contemporaneo che ripone ogni sua
fiducia nel denaro e nella sicurezza materiale ».197
Gesù Cristo, che sulla croce conduce a perfezione la sua carità pastorale
con un’abissale spogliazione esteriore e interiore, è il modello e la fonte
delle virtù di obbedienza, castità e povertà, che il sacerdote
è chiamato a vivere come espressione del suo amore pastorale per i fratelli.
Secondo quanto Paolo scrive ai cristiani di Filippi, il sacerdote deve avere gli
« stessi sentimenti » di Gesù, spogliandosi del proprio «
io », per trovare, nella carità obbediente, casta e povera, la via maestra
dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli.198
31. Come ogni vita spirituale autenticamente cristiana, anche quella del sacerdote
possiede un’essenziale e irrinunciabile dimensione ecclesiale: è partecipazione
alla santità della Chiesa stessa, che nel Credo professiamo quale «
Comunione dei Santi ». La santità del cristiano deriva da quella della
Chiesa, la esprime e nello stesso tempo l’arricchisce. Questa dimensione ecclesiale
riveste modalità, finalità e significati particolari nella vita spirituale
del presbitero, in forza del suo specifico rapporto con la Chiesa, sempre a partire
dalla sua configurazione a Cristo Capo e Pastore, dal suo ministero ordinato, dalla
sua carità pastorale.
In questa prospettiva occorre considerare come valore spirituale del presbitero la
sua appartenenza e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in realtà,
non sono motivate soltanto da ragioni organizzative e disciplinari. Al contrario,
il rapporto con il Vescovo nell’unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine
ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete
condizioni storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali
non si può prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote
e della sua vita spirituale. In questo senso la incardinazione non si esaurisce in
un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di
scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica
alla figura vocazionale del presbitero.
È necessario che il sacerdote abbia la coscienza che il suo « essere
in una Chiesa particolare » costituisce, di sua natura, un elemento qualificante
per vivere la spiritualità cristiana. In tal senso il presbitero trova proprio
nella sua appartenenza e dedicazione alla Chiesa particolare una fonte di significati,
di criteri di discernimento e di azione, che configurano sia la sua missione pastorale
sia la sua vita spirituale.
Al cammino verso la perfezione possono contribuire anche altre ispirazioni o riferimenti
ad altre tradizioni di vita spirituale, capaci di arricchire la vita sacerdotale
dei singoli e di animare il presbiterio di preziosi doni spirituali. È questo
il caso di molte aggregazioni ecclesiali antiche e nuove, che accolgono nel proprio
ambito anche sacerdoti: dalle società di vita apostolica agli istituti secolari
presbiterali, dalle varie forme di comunione e di condivisione spirituale ai movimenti
ecclesiali. I sacerdoti, che appartengono ad ordini e a congregazioni religiose,
sono una ricchezza spirituale per l’intero presbiterio diocesano, al quale offrono
il contributo di specifici carismi e di ministeri qualificati, stimolando con la
loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente la sua apertura
universale.199
L’appartenenza del sacerdote alla Chiesa particolare e la sua dedicazione, fino al
dono della vita, per l’edificazione della Chiesa « nella persona » di
Cristo Capo e Pastore, a servizio di tutta la comunità cristiana, in cordiale
e filiale riferimento al Vescovo, devono essere rafforzate da ogni altro carisma
che entri a far parte di un’esistenza sacerdotale o si affianchi ad essa.200
Perché l’abbondanza dei doni dello Spirito venga accolta nella gioia e fatta
fruttificare a gloria di Dio per il bene della Chiesa intera, si esige da parte di
tutti, in primo luogo, la conoscenza ed il discernimento dei carismi propri ed altrui,
e un loro esercizio accompagnato sempre dall’umiltà cristiana, dal coraggio
dell’autocritica, dall’intenzione, prevalente su ogni altra preoccupazione, di giovare
all’edificazione dell’intera comunità al cui servizio è posto ogni
carisma particolare. Si chiede, inoltre, a tutti un sincero sforzo di reciproca stima,
di rispetto vicendevole e di coordinata valorizzazione di tutte le positive e legittime
diversità presenti nel presbiterio. Anche tutto questo fa parte della vita
spirituale e della continua ascesi del sacerdote.
32. L’appartenenza e la dedicazione alla Chiesa particolare non rinchiudono in essa
l’attività e la vita del presbitero: queste non possono affatto esservi rinchiuse,
per la natura stessa sia della Chiesa particolare 201 sia del ministero sacerdotale.
Il Concilio scrive al riguardo: « Il dono spirituale che i presbiteri hanno
ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì
ad una vastissima e universale missione di salvezza, “fino agli ultimi confini
della terra”,202 dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa
ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli ».203
Ne deriva che la vita spirituale dei sacerdoti dev’essere profondamente segnata dall’anelito
e dal dinamismo missionario. Tocca loro, nell’esercizio del ministero e nella testimonianza
della vita, plasmare la comunità loro affidata come comunità autenticamente
missionaria. Come ho scritto nell’enciclica « Redemptoris Missio », «
tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti
ai bisogni della Chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto,
ai gruppi non cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare,
nel sacrificio eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la Chiesa per tutta
l’umanità ».204
Se questo spirito missionario animerà generosamente la vita dei sacerdoti,
sarà facilitata la risposta a quell’esigenza sempre più grave oggi
nella Chiesa che nasce da una diseguale distribuzione del clero. In questo senso
già il Concilio è stato quanto mai preciso e forte: « Ricordino
i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chiese. Pertanto i presbiteri
di quelle diocesi che hanno maggior abbondanza di vocazioni si mostrino disposti
ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l’invito del
proprio ordinario, in quelle regioni, missioni o opere che soffrano di scarsezza
di clero ».205
33. « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato,
e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio… ».206 Gesù
fa risuonare anche oggi nel nostro cuore di sacerdoti le parole che ha pronunciato
nella sinagoga di Nazaret. La nostra fede, infatti, ci rivela la presenza operante
dello Spirito di Cristo nel nostro essere, nel nostro agire e nel nostro vivere così
come l’ha configurato, abilitato e plasmato il sacramento dell’Ordine.
Sì, lo Spirito del Signore è il grande protagonista della nostra
vita spirituale
. Egli crea il « cuore nuovo », lo anima e lo guida
con la « legge nuova » della carità, della carità pastorale.
Per lo sviluppo della vita spirituale è decisiva la consapevolezza che non
manca mai al sacerdote la grazia dello Spirito Santo, come dono totalmente gratuito
e come compito responsabilizzante. La coscienza del dono infonde e sostiene l’incrollabile
fiducia del sacerdote nelle difficoltà, nelle tentazioni, nelle debolezze
che s’incontrano sul cammino spirituale.
Ripropongo a tutti i sacerdoti quanto dissi a tanti di loro in altra occasione: «
La vocazione sacerdotale è essenzialmente una chiamata alla santità,
nella forma che scaturisce dal sacramento dell’Ordine. La santità è
intimità con Dio, è imitazione di Cristo, povero, casto e umile; è
amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; è amore alla
Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione
che Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i
fratelli a seguire la loro vocazione alla santità.
Come non riflettere… sul ruolo essenziale che lo Spirito Santo svolge nella specifica
chiamata alla santità, che è propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo
le parole del rito dell’Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute centrali nella
formula sacramentale: “Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità
del presbiterato. Rinnova in loro l’effusione del tuo Spirito di santità;
adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te
ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un’integra condotta di vita”.
Mediante l’Ordinazione, carissimi, avete ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che
vi rende simili a Lui, perché possiate agire nel suo nome e vivere in voi
i suoi stessi sentimenti. Questa intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre
garantisce l’efficacia dell’azione sacramentale che voi ponete “in persona Christi”,
chiede anche di esprimersi nel fervore della preghiera, nella coerenza della vita,
nella carità pastorale di un ministero instancabilmente proteso alla salvezza
dei fratelli. Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione ».207

CAPITOLO
IV

VENITE E VEDRETE

La vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa

34. « Venite e
vedrete »
.208 Così Gesù risponde ai due discepoli di Giovanni
il Battista, che gli chiedevano dove abitasse. In queste parole troviamo il significato
della vocazione.
Ecco come l’evangelista racconta la chiamata di Andrea e di Pietro: « Il giorno
dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo
su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli,
sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò
e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbi
(che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”.
Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano
circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni
e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò
per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa
il Cristo)” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su
di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che
vuol dire Pietro)” ».209
Questa pagina di Vangelo è una delle tante del Libro Sacro nelle quali si
descrive il « mistero » della vocazione, nel nostro caso il mistero della
vocazione ad essere apostoli di Gesù. La pagina di Giovanni, che ha un significato
anche per la vocazione cristiana come tale, riveste un valore emblematico per la
vocazione sacerdotale. La Chiesa, quale comunità dei discepoli di Gesù,
è chiamata a fissare il suo sguardo su questa scena che, in qualche modo,
si rinnova continuamente nella storia. È invitata ad approfondire il senso
originale e personale della vocazione alla sequela di Cristo nel ministero sacerdotale
e l’inscindibile legame tra la grazia divina e la responsabilità umana, racchiuso
e rivelato nei due termini che più volte troviamo nel Vangelo: vieni e
seguimi
.210 È sollecitata a decifrare e a percorrere il dinamismo proprio
della vocazione, il suo svilupparsi graduale e concreto nelle fasi del cercare
Gesù,
del seguirlo e del rimanere con lui.
La Chiesa coglie in questo « Vangelo della vocazione » il paradigma,
la forza e l’impulso della sua pastorale vocazionale, ossia della sua missione destinata
a curare la nascita, il discernimento e l’accompagnamento delle vocazioni, in particolare
delle vocazioni al sacerdozio. Proprio perché « la mancanza di sacerdoti
è certamente la tristezza di ogni Chiesa »,211 la pastorale vocazionale
esige, oggi soprattutto, di essere assunta con un nuovo, vigoroso e più deciso
impegno da parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un
elemento secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi
una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è
piuttosto, come hanno ripetutamente affermato i Padri sinodali, un’attività
intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa,212 una cura che dev’essere
integrata e pienamente identificata con la « cura delle anime » cosiddetta
ordinaria,213 una dimensione connaturale ed essenziale della pastorale della Chiesa,
ossia della sua vita e della sua missione.214
Sì, la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale
della Chiesa
. La ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo
senso, l’essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo
nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale,
perché essa è veramente « convocazione », assemblea
dei chiamati
: « Dio ha convocato l’assemblea di coloro che guardano nella
fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace,
e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento
visibile di questa unità salvifica ».215
Una lettura propriamente teologica della vocazione sacerdotale e della pastorale
che la riguarda può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa
come mysterium vocationis.
35. Ogni vocazione cristiana trova il suo fondamento nell’elezione gratuita e preveniente
da parte del Padre « che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei
cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere
santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere
suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della
sua volontà ».216
Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non
viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella
Chiesa e mediante la Chiesa, perché, come ci ricorda il Concilio Vaticano
II, « piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente
e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse
nella verità e santamente lo servisse ».217
La Chiesa non solo raccoglie in sé tutte le vocazioni che Dio le dona nel
suo cammino di salvezza, ma essa stessa si configura come mistero di vocazione, quale
luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità santissima. In realtà
la Chiesa, « popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo »,218 porta in sé il mistero del Padre che, non chiamato
e non inviato da nessuno,219 tutti chiama a santificare il suo nome e a compiere
la sua volontà; custodisce in sé il mistero del Figlio che dal Padre
è chiamato e mandato ad annunciare a tutti il Regno di Dio e che tutti chiama
alla sua sequela; ed è depositaria del mistero dello Spirito Santo che consacra
per la missione quelli che il Padre chiama mediante il Figlio suo Gesù Cristo.
La Chiesa, che per nativa costituzione è « vocazione », è
generatrice ed educatrice di vocazioni. Lo è nel suo essere di «
sacramento », in quanto « segno » e « strumento » in
cui risuona e si compie la vocazione di ogni cristiano; e lo è nel suo operare,
ossia nello svolgimento del suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione
dei Sacramenti e di servizio e testimonianza della carità.
Si può cogliere ora l’essenziale dimensione ecclesiale della vocazione
cristiana
: non solo essa deriva « dalla » Chiesa e dalla sua mediazione,
non solo si fa riconoscere e si compie « nella » Chiesa, ma si configura
– nel fondamentale servizio a Dio – anche e necessariamente come servizio «
alla » Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un dono
destinato all’edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno di Dio nel mondo.220
Ciò che diciamo di ogni vocazione cristiana trova una sua specifica realizzazione
nella vocazione sacerdotale: questa è chiamata, mediante il sacramento dell’Ordine
ricevuto nella Chiesa, a porsi al servizio del Popolo di Dio con una peculiare appartenenza
e configurazione a Gesù Cristo e con l’autorità di agire nel nome e
nella persona di lui Capo e Pastore della Chiesa.
In questa prospettiva si comprende quanto scrivono i Padri sinodali: « La vocazione
di ciascun presbitero sussiste nella Chiesa e per la Chiesa: per essa una simile
vocazione si compie. Ne segue che ogni presbitero riceve la vocazione dal Signore
attraverso la Chiesa come un dono grazioso, una gratia gratis data (charisma).
È proprio del Vescovo o del superiore competente non solo sottoporre ad esame
l’idoneità e la vocazione del candidato, ma anche riconoscerla. Un simile
elemento ecclesiastico inerisce alla vocazione al ministero presbiterale come tale.
Il candidato al presbiterato deve ricevere la vocazione non imponendo le proprie
personali condizioni ma accettando anche le norme e le condizioni che la Chiesa stessa,
per la sua parte di responsabilità, pone ».221
36. La storia di ogni vocazione sacerdotale, come peraltro di ogni vocazione cristiana,
è la storia di un ineffabile dialogo tra Dio e l’uomo, tra l’amore
di Dio che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore risponde a Dio. Questi
due aspetti indissociabili della vocazione, il dono gratuito di Dio e la libertà
responsabile dell’uomo, emergono in modo splendido e quanto mai efficace nelle brevissime
parole con le quali l’evangelista Marco presenta la vocazione dei dodici: Gesù
« salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che
volle
ed essi andarono da lui ».222 Da un lato sta la decisione
assolutamente libera di Gesù, dall’altro l’« andare » dei dodici,
ossia il loro « seguire » Gesù.
È questo il paradigma costante, il dato irrinunciabile di ogni vocazione:
quella dei profeti, degli apostoli, dei sacerdoti, dei religiosi, dei fedeli laici,
di ogni persona.
Ma del tutto prioritario, anzi preveniente e decisivo è l’intervento libero
e gratuito di Dio che chiama
. Sua è l’iniziativa del chiamare. È
questa, ad esempio, l’esperienza del profeta Geremia: « Mi fu rivolta la parola
del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che
tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”
».223 È la stessa verità presentata dall’apostolo Paolo, che
radica ogni vocazione nell’eterna elezione in Cristo, fatta « prima della creazione
del mondo e secondo il beneplacito della sua volontà ».224 L’assoluto
primato della grazia nella vocazione trova la sua perfetta proclamazione nella parola
di Gesù: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti
perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga ».225
Se la vocazione sacerdotale testimonia in modo inequivocabile il primato della grazia,
la libera e sovrana decisione di Dio di chiamare l’uomo domanda assoluto rispetto,
non può minimamente essere forzata da qualsiasi pretesa umana, non può
essere sostituita da qualsiasi decisione umana. La vocazione è un dono della
grazia divina e mai un diritto dell’uomo, così che « non si può
mai considerare la vita sacerdotale come una promozione semplicemente umana, né
la missione del ministro come un semplice progetto personale ».226 È
così escluso in radice ogni vanto e ogni presunzione da parte dei chiamati.227
L’intero spazio spirituale del loro cuore è per una gratitudine ammirata e
commossa, per una fiducia ed una speranza incrollabili, perché i chiamati
sanno di essere fondati non sulle proprie forze, ma sull’incondizionata fedeltà
di Dio che chiama.
« Chiamò quelli che volle ed essi andarono da lui ».228 Questo
« andare », che s’identifica con il « seguire » Gesù,
esprime la risposta libera dei 12 alla chiamata del Maestro. Così è
stato di Pietro e di Andrea: « E disse loro: “Seguitemi, vi farò
pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono ».229
Identica è stata l’esperienza di Giacomo e di Giovanni.230 Così sempre:
nella vocazione risplendono insieme l’amore gratuito di Dio e l’esaltazione più
alta possibile della libertà dell’uomo: quella dell’adesione alla chiamata
di Dio e dell’affidamento a lui.
In realtà, grazia e libertà non si oppongono tra loro. Al contrario,
la grazia anima e sostiene la libertà umana, liberandola dalla schiavitù
del peccato,231 sanandola ed elevandola nelle sue capacità di apertura e di
accoglienza del dono di Dio. E se non si può attentare all’iniziativa assolutamente
gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all’estrema serietà
con la quale l’uomo è sfidato nella sua libertà. Così al «
vieni e seguimi » di Gesù il giovane ricco oppone un rifiuto, segno
– sia pure negativo – della sua libertà: « Ma egli, rattristatosi per
quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni ».232
La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione, una
libertà che nella risposta positiva si qualifica come adesione personale profonda,
come donazione d’amore, o meglio come ri-donazione al Donatore che è Dio che
chiama, come oblazione. « La chiamata – diceva Paolo VI – si commisura con
la risposta. Non vi possono essere vocazioni, se non libere; se esse non sono cioè
offerte spontanee di sé, coscienti, generose, totali… Oblazioni, diciamo:
qui sta praticamente il vero problema… È la voce umile e penetrante di Cristo,
che dice, oggi come ieri, più di ieri: vieni. La libertà è posta
al suo supremo cimento: quello appunto dell’oblazione, della generosità, del
sacrificio ».233
L’oblazione libera, che costituisce il nucleo intimo e più prezioso della
risposta dell’uomo a Dio che chiama, trova il suo incomparabile modello, anzi la
sua radice viva nell’oblazione liberissima di Gesù Cristo, il primo dei chiamati,
alla volontà del Padre: « Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi
hai preparato… Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”
».234
In intima comunione con Cristo, Maria, la Vergine Madre, è stata la creatura
che più di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché
nessuno come lei ha risposto con un amore così grande all’amore immenso di
Dio.235
37. « Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto,
poiché aveva molti beni ».236 Il giovane ricco del Vangelo, che non
segue la chiamata di Gesù, ci ricorda gli ostacoli che possono bloccare o
spegnere la risposta libera dell’uomo: non soltanto i beni materiali possono chiudere
il cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali esigenze del Regno di Dio,
ma anche alcune condizioni sociali e culturali del nostro tempo possono presentare
non poche minacce e imporre visioni distorte e false circa la vera natura della vocazione,
rendendone difficili, se non impossibili, l’accoglienza e la stessa comprensione.
Molti hanno di Dio un’idea così generica e confusa da sconfinare in forme
di religiosità senza Dio, nelle quali la volontà di Dio è concepita
come un destino immutabile e ineluttabile, al quale l’uomo deve solo adeguarsi e
rassegnarsi in piena passività. Ma non è questo il volto di Dio che
Gesù Cristo è venuto a rivelarci: Dio, infatti, è il Padre che
con amore eterno e preveniente chiama l’uomo e lo costituisce in un meraviglioso
e permanente dialogo con lui, invitandolo a condividere, da figlio, la sua stessa
vita divina. È certo che con una visione errata di Dio l’uomo non può
riconoscere neppure la verità di se stesso, sicché la vocazione non
può essere né percepita né vissuta nel suo autentico valore:
può essere sentita soltanto come un peso imposto e insopportabile.
Anche talune idee distorte sull’uomo, spesso sostenute da pretestuosi argomenti filosofici
o « scientifici », inducono talvolta l’uomo a interpretare la propria
esistenza e la propria libertà come totalmente determinate e condizionate
da fattori esterni, di ordine educativo, psicologico, culturale o ambientale. Altre
volte la libertà viene intesa in termini di assoluta autonomia, pretende di
essere l’unica e insindacabile fonte delle scelte personali, si qualifica come affermazione
di sé ad ogni costo. Ma in tal modo si preclude la strada per intendere e
vivere la vocazione quale libero dialogo d’amore, che nasce dalla comunicazione di
Dio all’uomo e si conclude nel dono sincero di se stesso. Nel contesto attuale non
manca anche la tendenza a pensare in modo individualistico e intimistico il rapporto
dell’uomo con Dio, come se la chiamata di Dio raggiungesse la singola persona per
via diretta, senza alcuna mediazione comunitaria, e avesse di mira un vantaggio,
o la stessa salvezza, del singolo chiamato e non la dedizione totale a Dio nel servizio
della comunità. Incontriamo così un’altra più profonda ed insieme
sottile minaccia, che rende impossibile riconoscere e accettare con gioia la dimensione
ecclesiale iscritta nativamente in ogni vocazione cristiana, ed in quella presbiterale
in specie: infatti, come ci ricorda il Concilio, il sacerdozio ministeriale acquista
il suo autentico significato e realizza la piena verità di se stesso nel servire
e nel far crescere la comunità cristiana e il sacerdozio comune dei fedeli.237
Il contesto culturale ora ricordato, il cui influsso non è assente tra gli
stessi cristiani e specialmente tra i giovani, aiuta a comprendere il diffondersi
della crisi delle stesse vocazioni sacerdotali, originate e accompagnate da più
radicali crisi di fede. Lo hanno dichiarato esplicitamente i Padri sinodali, riconoscendo
che la crisi delle vocazioni al presbiterato ha profonde radici nell’ambiente culturale
e nella mentalità e prassi dei cristiani.238
Di qui l’urgenza che la pastorale vocazionale della Chiesa punti decisamente e in
modo prioritario sulla ricostruzione della « mentalità cristiana »,
quale è generata e sostenuta dalla fede. È più che mai necessaria
una evangelizzazione che non si stanchi di presentare il vero volto di Dio, il Padre
che in Gesù Cristo chiama ciascuno di noi, e il senso genuino della libertà
umana quale principio e forza del dono responsabile di se stessi. Solo così
saranno poste le basi indispensabili perché ogni vocazione, compresa quella
sacerdotale, possa essere percepita nella sua verità, amata nella sua bellezza
e vissuta con dedizione totale e con gioia profonda.
38. Certamente la vocazione è un mistero imperscrutabile, che coinvolge il
rapporto che Dio instaura con l’uomo nella sua unicità e irripetibilità,
un mistero che viene percepito e sentito come un appello che attende una risposta
nel profondo della coscienza, in quel « sacrario dell’uomo, dove egli si trova
solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria ».239 Ma ciò
non elimina la dimensione comunitaria, ed ecclesiale in specie, della vocazione:
anche la Chiesa è realmente presente e operante nella vocazione di ogni sacerdote.
Nel servizio alla vocazione sacerdotale e al suo itinerario, ossia alla nascita,
al discernimento e all’accompagnamento della vocazione, la Chiesa può trovare
un modello in Andrea, uno dei primi due discepoli che si pongono al seguito di Gesù.
È lui stesso a raccontare al fratello ciò che gli era accaduto: «
Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) ».240 E il racconto di
questa « scoperta » apre la strada all’incontro: « E lo condusse
da Gesù
».241 Nessun dubbio sull’iniziativa assolutamente libera
e sulla decisione sovrana di Gesù. È Lui che chiama Simone e gli dà
un nuovo nome: « Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu
sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”
».242 Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l’incontro
del fratello con Gesù.
« E lo condusse da Gesù ». Sta qui, in un certo senso,
il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende
cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle
responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito.
La Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a promuovere
e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni sacerdotali con la preghiera
e con la vita sacramentale, con l’annuncio della Parola e con l’educazione alla fede,
con la guida e la testimonianza della carità.
La Chiesa, nella sua dignità e responsabilità di popolo sacerdotale,
ha nella preghiera e nella celebrazione della liturgia i momenti
essenziali e primari della pastorale vocazionale
. La preghiera cristiana, infatti,
nutrendosi della Parola di Dio, crea lo spazio ideale perché ciascuno possa
scoprire la verità del proprio essere e l’identità del personale e
irripetibile progetto di vita che il Padre gli affida. È necessario, quindi,
educare in particolare i ragazzi e i giovani perché siano fedeli alla preghiera
e alla meditazione della Parola di Dio: nel silenzio e nell’ascolto potranno percepire
la chiamata del Signore al sacerdozio e seguirla con prontezza e generosità.
La Chiesa deve accogliere ogni giorno l’invito suadente ed esigente di Gesù,
che chiede di « pregare il padrone della messe perché mandi operai nella
sua messe ».243 Obbedendo al comando di Cristo, la Chiesa compie, prima di
ogni altra cosa, un’umile professione di fede: pregando per le vocazioni, mentre
ne avverte tutta l’urgenza per la sua vita e per la sua missione, riconosce che esse
sono un dono di Dio e, come tali, sono da invocarsi con una supplica incessante e
fiduciosa. Questa preghiera, cardine di tutta la pastorale vocazionale, deve però
impegnare non solo i singoli ma anche le intere comunità ecclesiali. Nessuno
dubita dell’importanza delle singole iniziative di preghiera, dei momenti speciali
riservati a questa invocazione, a cominciare dall’annuale Giornata Mondiale per le
Vocazioni, e dell’impegno esplicito di persone e di gruppi particolarmente sensibili
al problema delle vocazioni sacerdotali. Ma oggi l’attesa orante di nuove vocazioni
deve diventare sempre più un’abitudine costante e largamente condivisa nell’intera
comunità cristiana e in ogni realtà ecclesiale. Così si potrà
rivivere l’esperienza degli apostoli che nel cenacolo, uniti con Maria, attendono
in preghiera l’effusione dello Spirito,244 il quale non mancherà di suscitare
ancora nel Popolo di Dio « degni ministri dell’altare, annunziatori forti e
miti della parola che ci salva ».245
Culmine e fonte della vita della Chiesa 246 e, in particolare, di ogni preghiera
cristiana, anche la liturgia ha un ruolo indispensabile e un’incidenza privilegiata
nella pastorale delle vocazioni. Essa, infatti, costituisce un’esperienza viva del
dono di Dio e una grande scuola della risposta alla sua chiamata. Come tale, ogni
celebrazione liturgica, e innanzitutto quella eucaristica, ci svela il vero volto
di Dio, ci fa comunicare al mistero della Pasqua, ossia all’« ora » per
la quale Gesù è venuto nel mondo e verso la quale si è liberamente
e volontariamente incamminato in obbedienza alla chiamata del Padre,247 ci manifesta
il volto della Chiesa quale popolo di sacerdoti e comunità ben compaginata
nella varietà e complementarità dei carismi e delle vocazioni. Il sacrificio
redentore di Cristo, che la Chiesa celebra nel mistero, dona un valore particolarmente
prezioso alla sofferenza vissuta in unione con il Signore Gesù. I Padri sinodali
ci hanno invitato a non dimenticare mai che « attraverso l’offerta delle sofferenze,
così frequenti nella vita degli uomini, il cristiano ammalato offre se stesso
come vittima a Dio, ad immagine di Cristo, che per tutti noi ha consacrato se stesso
»248 e che « l’offerta delle sofferenze secondo tale intenzione è
di grande giovamento per la promozione delle vocazioni ».249
39. Nell’esercizio della sua missione profetica, la Chiesa sente incombente e irrinunciabile
il compito di annunciare e di testimoniare il senso cristiano della vocazione,
potremmo dire « il Vangelo della vocazione ». Avverte, anche in questo
campo, l’urgenza delle parole dell’apostolo: « Guai a me se non evangelizzassi!
».250 Tale ammonimento risuona innanzitutto per noi pastori e riguarda, insieme
con noi, tutti gli educatori nella Chiesa. La predicazione e la catechesi devono
sempre manifestare la loro intrinseca dimensione vocazionale: la Parola di Dio illumina
i credenti a valutare la vita come risposta alla chiamata di Dio e li accompagna
ad accogliere nella fede il dono della vocazione personale.
Ma tutto questo, che pure è importante ed essenziale, non basta: occorre una
« predicazione diretta sul mistero della vocazione nella Chiesa, sul valore
del sacerdozio ministeriale, sulla sua urgente necessità per il Popolo di
Dio ».251 Una catechesi organica e offerta a tutte le componenti della Chiesa,
oltre a dissipare dubbi e a contrastare idee unilaterali o distorte sul ministero
sacerdotale, apre i cuori dei credenti all’attesa del dono e crea condizioni favorevoli
per la nascita di nuove vocazioni. È giunto il tempo di parlare coraggiosamente
della vita sacerdotale come di un valore inestimabile e come di una forma splendida
e privilegiata di vita cristiana. Gli educatori, e specialmente i sacerdoti, non
devono temere di proporre in modo esplicito e forte la vocazione al presbiterato
come una reale possibilità per quei giovani che mostrano di avere i doni e
le doti ad essa corrispondenti. Non si deve aver alcuna paura di condizionarli o
di limitarne la libertà; al contrario, una proposta precisa, fatta al momento
giusto, può essere decisiva per provocare nei giovani una risposta libera
e autentica. Del resto, la storia della Chiesa e quella di tante vocazioni sacerdotali,
sbocciate anche in tenera età, attestano ampiamente la provvidenzialità
della vicinanza e della parola di un prete: non solo della parola, ma anche della
vicinanza, cioè di una testimonianza concreta e gioiosa, capace di far sorgere
interrogativi e di condurre a decisioni anche definitive.
40. Come popolo regale, la Chiesa si riconosce radicata e animata dalla « legge
dello Spirito che dà vita »,252 che è essenzialmente la legge
regale della carità 253 o la legge perfetta della libertà.254 Essa,
perciò, adempie la sua missione quando guida ogni fedele a scoprire e a
vivere la propria vocazione nella libertà e a portarla a compimento nella
carità.

Nel suo compito educativo, la Chiesa mira, con attenzione privilegiata, a suscitare
nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani il desiderio e la volontà di
una sequela integrale e avvincente di Gesù Cristo. L’opera educativa, che
pure riguarda la comunità cristiana come tale, deve rivolgersi alla singola
persona: Dio, infatti, con la sua chiamata raggiunge il cuore di ciascun uomo e lo
Spirito, che dimora nell’intimo di ogni discepolo,255 si dona a ciascun cristiano
con carismi diversi e con manifestazioni particolari. Ciascuno, dunque, dev’essere
aiutato a cogliere il dono che proprio a lui, come a persona unica e irripetibile,
è affidato e ad ascoltare le parole che lo Spirito di Dio gli rivolge singolarmente.
In questa prospettiva, la cura delle vocazioni al sacerdozio saprà esprimersi
anche in una ferma e persuasiva proposta di direzione spirituale. È
necessario riscoprire la grande tradizione dell’accompagnamento spirituale personale,
che ha sempre portato tanti e preziosi frutti nella vita della Chiesa: esso può
essere aiutato in determinati casi e a precise condizioni, ma non sostituito, da
forme di analisi o di aiuto psicologico.256 I ragazzi, gli adolescenti e i giovani
siano invitati a scoprire e ad apprezzare il dono della direzione spirituale, a ricercarlo
e a sperimentarlo, a chiederlo con fiduciosa insistenza ai loro educatori nella fede.
I sacerdoti, per parte loro, siano i primi a dedicare tempo ed energie a quest’opera
di educazione e di aiuto spirituale personale: non si pentiranno mai di aver trascurato
o messo in secondo piano tante altre cose, pure belle e utili, se questo era inevitabile
per mantenere fede al loro ministero di collaboratori dello Spirito nell’illuminazione
e nella guida dei chiamati.
Fine dell’educazione del cristiano è di giungere, sotto l’influsso dello Spirito,
alla « piena maturità di Cristo ».257 Ciò si verifica quando,
imitandone e condividendone la carità, si fa di tutta la propria vita un servizio
d’amore,258) offrendo a Dio un culto spirituale a lui gradito 259 donandosi ai fratelli.
Il servizio d’amore è il senso fondamentale di ogni vocazione, che
trova una realizzazione specifica nella vocazione del sacerdote: egli, infatti, è
chiamato a rivivere, nella forma più radicale possibile, la carità
pastorale di Gesù, l’amore cioè del buon Pastore che « offre
la vita per le pecore ».260
Per questo un’autentica pastorale vocazionale non si stancherà mai di educare
i ragazzi, gli adolescenti e i giovani al gusto dell’impegno, al senso del servizio
gratuito, al valore del sacrificio, alla donazione incondizionata di sé. Si
fa allora particolarmente utile l’esperienza del volontariato, verso cui sta crescendo
la sensibilità di tanti giovani: se sarà un volontariato evangelicamente
motivato, capace di educare al discernimento dei bisogni, vissuto con dedizione e
fedeltà ogni giorno, aperto all’eventualità di un impegno definitivo
nella vita consacrata, nutrito di preghiera, esso saprà più sicuramente
sostenere una vita di impegno disinteressato e gratuito e renderà più
sensibile chi ad esso si dedica alla voce di Dio che lo può chiamare al sacerdozio.
Diversamente dal giovane ricco, il volontario potrebbe accettare l’invito, colmo
d’amore, che Gesù gli rivolge;261 e lo potrebbe accettare perché gli
unici suoi beni consistono già nel donarsi agli altri e nel « perdere
» la sua vita.
41. La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, che costituisce certamente
un grande bene per colui che ne è il primo destinatario. Ma è anche
un dono per l’intera Chiesa, un bene per la sua vita e per la sua missione. La Chiesa,
dunque, è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è
responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni sacerdotali. Di conseguenza
la pastorale vocazionale ha come soggetto attivo, come protagonista la comunità
ecclesiale come tale, nelle sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla
Chiesa particolare e, analogamente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti
del Popolo di Dio.
È quanto mai urgente, oggi soprattutto, che si diffonda e si radichi la convinzione
che tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità
della cura delle vocazioni
. Il Concilio Vaticano II è stato quanto mai
esplicito nell’affermare che « il dovere di dare incremento alle vocazioni
sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere
questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana ».262 Solo sulla
base di questa convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il suo
volto veramente ecclesiale, sviluppare un’azione concorde, servendosi anche di organismi
specifici e di adeguati strumenti di comunione e di corresponsabilità.
La prima responsabilità della pastorale orientata alle vocazioni sacerdotali
è del Vescovo,263 che è chiamato a viverla in prima persona,
anche se potrà e dovrà suscitare molteplici collaborazioni. Egli è
padre e amico nel suo presbiterio, ed è anzitutto sua la sollecitudine di
« dare continuità » al carisma e al ministero presbiterale, associandovi
nuove forze con l’imposizione delle mani. Egli sarà sollecito che la dimensione
vocazionale sia sempre presente in tutto l’ambito della pastorale ordinaria, anzi
sia pienamente integrata e quasi identificata con essa. A lui spetta il compito di
promuovere e di coordinare le varie iniziative vocazionali.264
Il Vescovo sa di poter contare anzitutto sulla collaborazione del suo presbiterio.
Tutti i sacerdoti sono con lui solidali e corresponsabili nella ricerca e
nella promozione delle vocazioni presbiterali. Infatti, come afferma il Concilio,
« spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori della fede, di
curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria
vocazione specifica ».265 È questa « una funzione che fa parte
della stessa missione sacerdotale, in virtù della quale il presbitero partecipa
della sollecitudine per la Chiesa intera, affinché nel Popolo di Dio qui sulla
terra non manchino mai gli operai ».266 La vita stessa dei presbiteri, la loro
dedizione incondizionata al gregge di Dio, la loro testimonianza di amorevole servizio
al Signore e alla sua Chiesa – una testimonianza segnata dalla scelta della croce
accolta nella speranza e nella gioia pasquale -, la loro concordia fraterna e il
loro zelo per l’evangelizzazione del mondo sono il primo e il più persuasivo
fattore di fecondità vocazionale.267
Una responsabilità particolarissima è affidata alla famiglia cristiana,
che in virtù del Sacramento del Matrimonio partecipa in modo proprio e originale
alla missione educativa della Chiesa maestra e madre. Come hanno scritto i Padri
sinodali, « la famiglia cristiana, che è veramente “come chiesa
domestica”,268 ha sempre offerto e continua ad offrire le condizioni favorevoli
per la nascita delle vocazioni. Poiché oggi l’immagine della famiglia cristiana
è in pericolo, grande importanza dev’essere attribuita alla pastorale familiare,
così che le famiglie stesse, accogliendo generosamente il dono della vita
umana, costituiscano “come il primo seminario”,269 nel quale i figli possano
acquisire dall’inizio il senso della pietà e della preghiera e l’amore verso
la Chiesa ».270 In continuità e in sintonia con l’opera dei genitori
e della famiglia deve porsi la scuola, la quale è chiamata a vivere
la sua identità di « comunità educante » anche con una
proposta culturale capace di far luce sulla dimensione vocazionale come valore nativo
e fondamentale della persona umana. In tal senso, se opportunamente arricchita di
spirito cristiano (sia attraverso significative presenze ecclesiali nella scuola
statale, secondo i vari ordinamenti nazionali, sia soprattutto nel caso della scuola
cattolica), può infondere « nell’animo dei ragazzi e dei giovani il
desiderio di compiere la volontà di Dio nello stato di vita più idoneo
a ciascuno, senza mai escludere la vocazione al ministero sacerdotale ».271
Anche i fedeli laici, in particolare i catechisti, gli insegnanti, gli educatori,
gli animatori della pastorale giovanile, ciascuno con le risorse e modalità
proprie, hanno una grande importanza nella pastorale delle vocazioni sacerdotali:
quanto più approfondiranno il senso della loro vocazione e missione nella
Chiesa, tanto più potranno riconoscere il valore e l’insostituibilità
della vocazione e della missione sacerdotale.
Nell’ambito delle comunità diocesane e parrocchiali sono da stimare e promuovere
quei gruppi vocazionali, i cui membri offrono il loro contributo di preghiera
e di sofferenza per le vocazioni sacerdotali e religiose, nonché di sostegno
morale e materiale.
Sono qui da ricordare anche i numerosi gruppi, movimenti e associazioni di fedeli
laici
che lo Spirito Santo fa sorgere e crescere nella Chiesa in ordine ad una
presenza cristiana più missionaria nel mondo. Queste diverse aggregazioni
di laici si stanno rivelando come un campo particolarmente fertile alla manifestazione
di vocazioni consacrate, veri e propri luoghi di proposta e di crescita vocazionale.
Non pochi giovani, infatti, proprio nell’ambito e grazie a queste aggregazioni hanno
avvertito la chiamata del Signore a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale
272 e hanno risposto con confortante generosità. Sono, quindi, da valorizzare
perché, in comunione con tutta la Chiesa e per la sua crescita, diano il loro
specifico contributo allo sviluppo della pastorale vocazionale.
Le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale
renderanno tanto più efficace la loro opera quanto più stimole ranno
la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire
che il problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere delegato
ad alcuni “incaricati” (i sacerdoti in genere, i sacerdoti del seminario
in specie) perché, essendo “un problema vitale che si colloca nel cuore
stesso della Chiesa”, 273 deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano
verso la Chiesa.

CAPITOLO
V

NE COSTITUI’ DODICI CHE STESSERO CON LUI

La formazione dei candidati al sacerdozio

Vivere al seguito di Cristo come gli apostoli

42. « Salì
sul monte, chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui. Ne
costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché
avessero il potere di scacciare i demoni ».274
« Che stessero con lui »: in queste parole non è difficile
leggere « l’accompagnamento vocazionale » degli apostoli da parte di
Gesù. Dopo averli chiamati e prima di mandarli, anzi per poterli mandare a
predicare, Gesù chiede loro un « tempo » di formazione destinato
a sviluppare un rapporto di comunione e di amicizia profonde con se stesso. Ad essi
egli riserva una catechesi più approfondita rispetto a quella della gente
275 e li vuole testimoni della sua silenziosa preghiera al Padre.276
Nella sua sollecitudine nei riguardi delle vocazioni sacerdotali la Chiesa di tutti
i tempi si ispira all’esempio di Cristo. Sono state, e in parte lo sono tuttora,
molto diverse le forme concrete secondo cui la Chiesa si è impegnata
nella pastorale vocazionale, destinata non solo a discernere ma anche ad «
accompagnare » le vocazioni al sacerdozio. Ma lo spirito, che le deve
animare e sostenere, rimane identico: quello di portare al sacerdozio solo
coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente formati, ossia con una
risposta cosciente e libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona
a Gesù Cristo che chiama all’intimità di vita con lui e alla condivisione
della sua missione di salvezza. In questo senso il seminario nelle sue diverse forme
e in modo analogo la « casa » di formazione dei sacerdoti religiosi,
prima che essere un luogo, uno spazio materiale, rappresenta uno spazio spirituale,
un itinerario di vita, un’atmosfera che favorisce ed assicura un processo formativo
così che colui che è chiamato da Dio al sacerdozio possa divenire,
con il sacramento dell’Ordine, un’immagine vivente di Gesù Cristo Capo e Pastore
della Chiesa. Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno colto in modo immediato
e profondo il significato originale e qualificante della formazione dei candidati
al sacerdozio, dicendo che « vivere in seminario, scuola del Vangelo, significa
vivere al seguito di Cristo come gli apostoli; è lasciarsi iniziare da lui
al servizio del Padre e degli uomini, sotto la guida dello Spirito Santo; è
lasciarsi configurare al Cristo buon Pastore per un migliore servizio sacerdotale
nella Chiesa e nel mondo. Formarsi al sacerdozio significa abituarsi a dare una risposta
personale alla questione fondamentale di Cristo: “Mi ami tu?”. La risposta
per il futuro sacerdote non può essere che il dono totale della propria vita
».277
Si tratta di tradurre questo spirito, che non potrà mai venir meno nella Chiesa,
nelle condizioni sociali, psicologiche, politiche e culturali del mondo attuale,
peraltro così varie oltre che complesse, come hanno testimoniato i Padri sinodali
in rapporto alle diverse Chiese particolari. Gli stessi Padri, con accenti carichi
di pensosa preoccupazione ma anche di grande speranza, hanno potuto conoscere e riflettere
a lungo sullo sforzo di ricerca e di aggiornamento dei metodi di formazione dei candidati
al sacerdozio in atto in tutte le loro Chiese.
Questa Esortazione intende raccogliere il frutto dei lavori sinodali, stabilendo
alcuni punti acquisiti, mostrando alcune mete irrinunciabili, mettendo
a disposizione di tutti la ricchezza di esperienze e di itinerari formativi già
positivamente sperimentati. In questa Esortazione si considera distintamente la formazione
« iniziale »
e la formazione « permanente », senza
però mai dimenticare il profondo legame che le unisce e che deve fare delle
due un unico organico percorso di vita cristiana e sacerdotale. L’Esortazione si
sofferma sulle diverse dimensioni della formazione, umana, spirituale,
intellettuale e pastorale
, come pure sugli ambienti e sui soggetti
responsabili
della formazione stessa dei candidati al sacerdozio.

I.
Le dimensioni della formazione sacerdotale

43. « Senza un’opportuna
formazione umana l’intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario
fondamento ».278 Quest’affermazione dei Padri sinodali esprime non soltanto
un dato quotidianamente suggerito dalla ragione e confermato dall’esperienza, ma
un’esigenza che trova la sua motivazione più profonda e specifica nella natura
stessa del presbitero e del suo ministero.
Il presbitero, chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Capo e Pastore
della Chiesa, deve cercare di riflettere in sé, nella misura del possibile,
quella perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto uomo e che traspare
con singolare efficacia nei suoi atteggiamenti verso gli altri, così come
gli evangelisti li presentano. Il ministero poi del sacerdote è sì
di annunciare la Parola, celebrare il Sacramento, guidare nella carità la
comunità cristiana « nel nome e nella persona di Cristo », ma
questo rivolgendosi sempre e solo a uomini concreti: « Ogni sommo sacerdote,
preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano
Dio ».279 Per questo la formazione umana del sacerdote rivela la sua particolare
importanza in rapporto ai destinatari della sua missione: proprio perché il
suo ministero sia umanamente il più credibile ed accettabile, occorre che
il sacerdote plasmi la sua personalità umana in modo da renderla ponte e non
ostacolo per gli altri nell’incontro con Gesù Cristo Redentore dell’uomo;
è necessario che, sull’esempio di Gesù che « sapeva quello che
c’è in ogni uomo »,280 il sacerdote sia capace di conoscere in profondità
l’animo umano, di intuire difficoltà e problemi, di facilitare l’incontro
e il dialogo, di ottenere fiducia e collaborazione, di esprimere giudizi sereni e
oggettivi.
Non solo, dunque, per una giusta e doverosa maturazione e realizzazione di sé,
ma anche in vista del ministero i futuri presbiteri devono coltivare una serie di
qualità umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate,
forti e libere, capaci di portare il peso delle responsabilità pastorali.
Occorre allora l’educazione all’amore per la verità, alla lealtà, al
rispetto per ogni persona, al senso della giustizia, alla fedeltà alla parola
data, alla vera compassione, alla coerenza e, in particolare, all’equilibrio di giudizio
e di comportamento.281 Un programma semplice e impegnativo per questa formazione
umana è proposto dall’apostolo Paolo ai Filippesi: « Tutto quello che
è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù
e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri ».282 È
interessante rilevare come Paolo, proprio in queste qualità profondamente
umane, presenti se stesso come modello ai suoi fedeli: « Ciò che avete
imparato – prosegue immediatamente -, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è
quello che dovete fare ».283
Di particolare importanza è la capacità di relazione con gli altri,
elemento veramente essenziale per chi è chiamato ad essere responsabile di
una comunità e ad essere « uomo di comunione ». Questo esige che
il sacerdote non sia né arrogante né litigioso, ma sia affabile, ospitale,
sincero nelle parole e nel cuore,284 prudente e discreto, generoso e disponibile
al servizio, capace di offrire personalmente, e di suscitar in tutti, rapporti schietti
e fraterni, pronto a comprendere, perdonare e consolare.285 L’umanità di oggi,
spesso condannata a situazioni di massificazione e di solitudine, soprattutto nelle
grandi concentrazioni urbane, si fa sempre più sensibile al valore della comunione:
questo è oggi uno dei segni più eloquenti ed una delle vie più
efficaci del messaggio evangelico.
In questo contesto si inserisce, come momento qualificante e decisivo, la formazione
del candidato al sacerdozio alla maturità affettiva, quale esito dell’educazione
all’amore vero e responsabile.
44. La maturazione affettiva suppone la consapevolezza della centralità
dell’amore nell’esistenza umana. In realtà, come ho scritto nell’enciclica
« Redemptor Hominis », « l’uomo non può vivere senza amore.
Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di
senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo
sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente ».286
Si tratta di un amore che coinvolge l’intera persona, nelle sue dimensioni e componenti
fisiche, psichiche e spirituali, e che si esprime nel « significato sponsale
» del corpo umano, grazie al quale la persona dona se stessa all’altra e la
accoglie. Alla comprensione e alla realizzazione di questa « verità
» dell’amore umano tende l’educazione sessuale rettamente intesa. Si deve,
infatti, registrare una situazione sociale e culturale diffusa « che “banalizza”
in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive
in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico
».287 Spesso le stesse situazioni familiari, dalle quali provengono le vocazioni
sacerdotali, presentano al riguardo non poche carenze e talvolta anche gravi squilibri.
In un simile contesto si fa più difficile, ma diventa più urgente,
un’educazione alla sessualità che sia veramente e pienamente personale
e che, pertanto, faccia posto alla stima e all’amore per la castità, quale
« virtù che sviluppa l’autentica maturità della persona e la
rende capace di rispettare e di promuovere il “significato sponsale” del
corpo ».288
Ora l’educazione all’amore responsabile e la maturazione affettiva della persona
risultano del tutto necessarie per chi, come il presbitero, è chiamato al
celibato, ossia ad offrire, con la grazia dello Spirito e con la libera risposta
della propria volontà, la totalità del suo amore e della sua sollecitudine
a Gesù Cristo e alla Chiesa. In vista dell’impegno celibatario la maturità
affettiva deve saper includere, all’interno di rapporti umani di serena amicizia
e di profonda fraternità, un grande amore, vivo e personale, nei riguardi
di Gesù Cristo. Come hanno scritto i Padri sinodali, « è di massima
importanza nel suscitare la maturità affettiva l’amore di Cristo, prolungato
in una dedizione universale. Così il candidato, chiamato al celibato, troverà
nella maturità affettiva un fermo fulcro per vivere la castità nella
fedeltà e nella gioia ».289
Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato,
lascia intatte le inclinazioni dell’affettività e le pulsioni dell’istinto,
i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di
prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza
sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali
con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da un’adeguata educazione
alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di fraterno affetto che Cristo
stesso ha vissuto nella sua esistenza.290
La maturità umana, e quella affettiva in particolare, esigono una formazione
limpida e forte ad una libertà che si configura come obbedienza
convinta e cordiale alla « verità » del proprio essere, al «
significato » del proprio esistere, ossia al « dono sincero di sé
» quale via e fondamentale contenuto dell’autentica realizzazione di sé.291
Così intesa, la libertà esige che la persona sia veramente padrona
di sé stessa, decisa a combattere e a superare le diverse forme di egoismo
e di individualismo che insidiano la vita di ciascuno, pronta ad aprirsi agli altri,
generosa nella dedizione e nel servizio al prossimo. Ciò è importante
per la risposta da darsi alla vocazione, e a quella sacerdotale in specie, e per
la fedeltà ad essa e agli impegni che vi sono connessi, anche nei momenti
difficili. In questo itinerario educativo verso una matura libertà responsabile
un aiuto può venire dalla vita comunitaria del Seminario.292
Intimamente congiunta con la formazione alla libertà responsabile è
l’educazione della coscienza morale: questa, mentre sollecita dall’intimo
del proprio « io » l’obbedienza alle obbligazioni morali, rivela il significato
profondo di tale obbedienza, quello di essere una risposta cosciente e libera, e
dunque per amore, alle richieste di Dio e del suo amore. « La maturità
umana del sacerdote – scrivono i Padri sinodali – deve includere specialmente la
formazione della sua coscienza. Il candidato infatti, perché possa fedelmente
assolvere alle sue obbligazioni verso Dio e la Chiesa e perché possa sapientemente
guidare le coscienze dei fedeli, deve abituarsi ad ascoltare la voce di Dio, che
gli parla nel cuore, e ad aderire con amore e fermezza alla sua volontà ».293
45. La stessa formazione umana, se sviluppata nel contesto di un’antropologia che
accoglie l’intera verità dell’uomo, si apre e si completa nella formazione
spirituale. Ogni uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato
ad essere rigenerato « dall’acqua e dallo Spirito »294 e a divenire «
figlio nel Figlio ». Sta in questo disegno efficace di Dio il fondamento della
dimensione costitutivamente religiosa dell’essere umano, peraltro intuita e riconosciuta
dalla semplice ragione: l’uomo è aperto al trascendente, all’assoluto; possiede
un cuore che è inquieto sino a che non riposa nel Signore.295
È da questa fondamentale e insopprimibile esigenza religiosa che parte e si
snoda il processo educativo di una vita spirituale intesa come rapporto e comunione
con Dio. Secondo la rivelazione e l’esperienza cristiana, la formazione spirituale
possiede l’inconfondibile originalità che proviene dalla « novità
» evangelica. Infatti, « essa è opera dello Spirito e impegna
la persona nella sua totalità; introduce nella comunione profonda con Gesù
Cristo, buon Pastore; conduce a una sottomissione di tutta la vita allo Spirito,
in un atteggiamento filiale nei confronti del Padre e in un attaccamento fiducioso
alla Chiesa. Essa si radica nell’esperienza della croce per poter introdurre, in
una comunione profonda, alla totalità del mistero pasquale ».296
Come si vede, si tratta di una formazione spirituale che è comune a tutti
i fedeli, ma che chiede di strutturarsi secondo quei significati e quelle connotazioni
che derivano dall’identità del presbitero e del suo ministero. E come per
ogni fedele la formazione spirituale deve dirsi centrale e unificante in rapporto
al suo essere e al suo vivere da cristiano, ossia da creatura nuova in Cristo che
cammina nello Spirito, così per ogni presbitero la formazione spirituale
costituisce il cuore che unifica e vivifica
il suo essere prete e il suo
fare il prete. In tal senso, i Padri del Sinodo affermano che « senza
la formazione spirituale la formazione pastorale procederebbe senza fondamento »297
e che la formazione spirituale costituisce « come l’elemento di massima importanza
nell’educazione sacerdotale ».298
Il contenuto essenziale della formazione spirituale in un preciso itinerario verso
il sacerdozio è bene espresso dal decreto conciliare « Optatam Totius
»: « La formazione spirituale … sia impartita in modo tale che gli
alunni imparino a vivere in intima comunione e familiarità col Padre per mezzo
del suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo. Destinati a configurarsi a
Cristo sacerdote per mezzo della sacra ordinazione, si abituino anche a vivere intimamente
uniti a lui, come amici, in tutta la loro vita. Vivano il mistero pasquale di Cristo
in modo da sapervi iniziare un giorno il Popolo che sarà loro affidato. Si
insegni loro a cercare Cristo nella fedele meditazione della Parola di Dio; nell’attiva
partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, soprattutto nell’Eucaristia e
nell’ufficio divino; nel Vescovo che li manda e negli uomini ai quali sono inviati,
specialmente nei poveri, nei piccoli, negli infermi, nei peccatori e negli increduli.
Con fiducia filiale amino e venerino la Beatissima Vergine Maria che fu data come
madre da Gesù morente in croce al suo discepolo ».299
46. Il testo conciliare merita un’accurata e amorosa meditazione, dalla quale si
possono facilmente enucleare alcuni fondamentali valori ed esigenze del cammino spirituale
del candidato al sacerdozio.
S’impone, innanzitutto, il valore e l’esigenza di « vivere intimamente uniti
» a Gesù Cristo
. L’unione al Signore Gesù, fondata sul Battesimo
e alimentata con l’Eucaristia, domanda di esprimersi, rinnovandola radicalmente,
nella vita di ogni giorno. L’intima comunione con la Santissima Trinità, ossia
la vita nuova della grazia che rende figli di Dio, costituisce la « novità
» del credente: una novità che coinvolge l’essere e l’operare. Costituisce
il « mistero » dell’esistenza cristiana che sta sotto l’influsso dello
Spirito: deve costituire, di conseguenza, l’« ethos » della vita del
cristiano. Gesù ci ha insegnato questo meraviglioso contenuto della vita cristiana,
che è anche il cuore della vita spirituale, con l’allegoria della vite e dei
tralci: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo… Rimanete
in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite,
voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza
di me non potete far nulla ».300
Nella cultura attuale non mancano, certo, dei valori spirituali e religiosi e l’uomo,
nonostante ogni apparenza contraria, rimane instancabilmente un affamato e un assetato
di Dio. Ma spesso la religione cristiana rischia di essere considerata una religione
fra le tante o di essere ridotta ad una pura etica sociale a servizio dell’uomo.
Così non sempre emerge la sua sconvolgente novità nella storia: essa
è « mistero », è l’evento del Figlio di Dio che si fa uomo
e dà a quanti l’accolgono il « potere di diventare figli di Dio »,301
è l’annuncio, anzi il dono di un’alleanza personale di amore e di vita di
Dio con l’uomo. Solo se i futuri sacerdoti, attraverso un’adeguata formazione spirituale,
avranno fatto conoscenza profonda ed esperienza crescente di questo « mistero
», potranno comunicare agli altri tale sorprendente e beatificante annuncio.302
Il testo conciliare, pur consapevole dell’assoluta trascendenza del mistero cristiano,
connota l’intima comunione dei futuri presbiteri con Gesù con la sfumatura
dell’amicizia.
Non è, questa, un’assurda pretesa dell’uomo. È semplicemente
il dono inestimabile di Cristo, che ai suoi apostoli ha detto: « Non vi chiamo
più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma
vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho
fatto conoscere a voi ».303
Il testo conciliare prosegue indicando un secondo grande valore spirituale: la
ricerca di Gesù
. « Si insegni loro a cercare Cristo ». È
questo, insieme al quaerere Deum, un tema classico della spiritualità cristiana,
che trova una sua specifica applicazione proprio nell’ambito della vocazione degli
apostoli. Giovanni, nel raccontare la sequela di Gesù da parte dei primi due
discepoli, mette in luce il posto occupato da questa « ricerca ». È
Gesù stesso che pone la domanda: « Che cercate? ». E i due rispondono:
« Rabbì, dove abiti? ». L’evangelista prosegue: « Disse
loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel
giorno si fermarono presso di lui ».304 In un certo senso la vita spirituale
di chi si prepara al sacerdozio è dominata da questa ricerca: da questa e
dal « trovare » il Maestro, per seguirlo, per stare in comunione con
lui. Anche nel ministero e nella vita sacerdotale questa « ricerca »
dovrà continuare, tanto è inesauribile il mistero dell’imitazione e
della partecipazione alla vita di Cristo. Così come dovrà continuare
questo « trovare » il Maestro, in ordine ad additarlo agli altri, meglio
ancora in ordine a suscitare negli altri il desiderio di cercare il Maestro. Ma ciò
è veramente possibile se agli altri viene proposta una « esperienza
» di vita, un’esperienza che meriti di essere condivisa. È stata questa
la strada seguita da Andrea per condurre il fratello Simone da Gesù: Andrea,
scrive l’evangelista Giovanni, « incontrò per primo suo fratello Simone,
e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo
condusse da Gesù ».305 E così anche Simone sarà chiamato,
come apostolo, alla sequela del Messia: « Gesù, fissando lo sguardo
su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che
vuol dire Pietro)” ».306
Ma che significa, nella vita spirituale, cercare Cristo? e dove trovarlo? «
Rabbì, dove abiti? ». Il decreto conciliare « Optatam Totius »
sembra indicare una triplice strada da percorrere: la fedele meditazione della Parola
di Dio, l’attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, il servizio della
carità ai « piccoli ». Sono tre grandi valori ed esigenze che
definiscono ulteriormente il contenuto della formazione spirituale del candidato
al sacerdozio.
47. Elemento essenziale della formazione spirituale è la lettura meditata
e orante della Parola di Dio (lectio divina)
, è l’ascolto umile e pieno
d’amore di Colui che parla. È, infatti, nella luce e nella forza della Parola
di Dio che può essere scoperta, compresa, amata e seguita la propria vocazione
e compiuta la propria missione, al punto che l’intera esistenza trova il suo significato
unitario e radicale nell’essere il termine della Parola di Dio che chiama l’uomo
e il principio della parola dell’uomo che risponde a Dio. La familiarità con
la Parola di Dio faciliterà l’itinerario della conversione, non solo nel senso
di distaccarsi dal male per aderire al bene, ma anche nel senso di alimentare nel
cuore i pensieri di Dio, così che la fede, quale risposta alla Parola, diventi
il nuovo criterio di giudizio e di valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti
e dei problemi.
Purché la Parola di Dio sia accostata e accolta nella sua vera natura: essa,
infatti, fa incontrare Dio stesso, Dio che parla all’uomo; fa incontrare Cristo,
il Verbo di Dio, la Verità che insieme è anche Via e Vita.307 Si tratta
di leggere le « scritture » ascoltando le « parole », la
« Parola » di Dio, come ci ricorda il Concilio: « Le Sacre Scritture
contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio
».308
E ancora lo stesso Concilio: « Con questa rivelazione infatti Dio invisibile309
nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici310 e si intrattiene con essi,311
per invitarli e ammetterli alla comunione con sé ».312
La conoscenza amorosa e la familiarità orante con la Parola di Dio rivestono
un significato specifico per il ministero profetico del sacerdote, per il cui adeguato
svolgimento diventano una condizione imprescindibile soprattutto nel contesto della
« nuova evangelizzazione », alla quale la Chiesa oggi è chiamata.
Il Concilio ammonisce: « È necessario che tutti i chierici, in primo
luogo i sacerdoti di Cristo e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente
al ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le Scritture, mediante
la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi “vano
predicatore della Parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta di dentro”313
».314
La prima e fondamentale forma di risposta alla Parola è la preghiera, che
costituisce senz’alcun dubbio un valore ed un’esigenza primari della formazione spirituale.
Questa deve condurre i candidati al sacerdozio a conoscere e a sperimentare il
senso autentico della preghiera cristiana,
quello di essere un incontro vivo
e personale col Padre per mezzo del Figlio unigenito sotto l’azione dello Spirito,
un dialogo che si fa partecipazione del colloquio filiale che Gesù ha col
Padre. Un aspetto non certo secondario della missione del sacerdote è quello
di essere « educatore di preghiera ». Ma solo se il sacerdote è
stato formato e continua a formarsi alla scuola di Gesù orante, potrà
formare gli altri a questa stessa scuola. Questo chiedono al sacerdote gli uomini:
« Il sacerdote è l’uomo di Dio, colui che appartiene a Dio e
fa pensare a Dio. Quando la Lettera agli Ebrei parla di Cristo, lo presenta
come un “sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio”
315… I cristiani sperano di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie,
che li ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e soprattutto
un uomo che li aiuta a guardare Dio, a salire verso di lui. Occorre dunque
che il sacerdote sia formato a una profonda intimità con Dio. Coloro che si
preparano al sacerdozio devono comprendere che tutto il valore della loro vita sacerdotale
dipenderà dal dono che essi sapranno fare di se stessi a Cristo e, per mezzo
di Cristo, al Padre ».316
In un contesto di agitazione e di rumore, come quello della nostra società,
una necessaria pedagogia alla preghiera è l’educazione al senso umano profondo
e al valore religioso del silenzio, quale atmosfera spirituale indispensabile
per percepire la presenza di Dio e per lasciarsene conquistare.317
48. Il vertice della preghiera cristiana è l’Eucaristia, che a sua
volta si pone come « culmine e fonte » dei Sacramenti e della Liturgia
delle Ore.
E per la formazione spirituale di ogni cristiano, e in specie di ogni
sacerdote, è del tutto necessaria l’educazione liturgica, nel senso
pieno di un inserimento vitale nel mistero pasquale di Gesù Cristo morto e
risorto, presente e operante nei sacramenti della Chiesa. La comunione con Dio, fulcro
dell’intera vita spirituale, è dono e frutto dei sacramenti; e nello stesso
tempo è compito e responsabilità che i sacramenti affidano alla libertà
del credente, affinché viva questa stessa comunione nelle decisioni, scelte,
atteggiamenti e azioni della sua quotidiana esistenza. In tal senso, la « grazia
» che fa « nuova » la vita cristiana è la grazia di Gesù
Cristo morto e risorto, che continua ad effondere il suo Spirito santo e santificatore
nei sacramenti; così come la « legge nuova » che deve guidare
e normare l’esistenza del cristiano è scritta dai sacramenti nel « cuore
nuovo ». Ed è legge di carità verso Dio e i fratelli, quale risposta
e prolungamento della carità di Dio verso l’uomo significata e comunicata
dai sacramenti. Si può immediatamente comprendere il valore di una partecipazione
« piena, consapevole e attiva »318 alle celebrazioni sacramentali per
il dono e il compito di quella « carità pastorale » che costituisce
l’anima del ministero sacerdotale.
Ciò vale soprattutto nella partecipazione all’Eucaristia, memoriale della
morte sacrificale di Cristo e della sua gloriosa risurrezione, « sacramento
di pietà, segno di unità, vincolo di carità »,319 convito
pasquale nel quale « ci nutriamo di Cristo, … l’anima è ricolma di
grazia, ci è donato il pegno della gloria ».320 Ora i sacerdoti, nella
loro qualità di ministri delle cose sacre, sono soprattutto i ministri del
Sacrificio della Messa:321 il loro ruolo è del tutto insostituibile, perché
senza sacerdote non vi può essere offerta eucaristica.
Questo spiega l’importanza essenziale dell’Eucaristia per la vita e per il ministero
sacerdotale e, conseguentemente, nella formazione spirituale dei candidati al sacerdozio.
Con grande semplicità e all’insegna della massima concretezza ripeto: «
Converrà pertanto che i seminaristi partecipino ogni giorno alla celebrazione
eucaristica, di modo che, in seguito, assumano come regola della loro vita sacerdotale
questa celebrazione quotidiana. Essi saranno inoltre educati a considerare la celebrazione
eucaristica come il momento essenziale della loro giornata, al quale parteciperanno
attivamente, mai accontentandosi di una assistenza soltanto abitudinaria. Infine,
i candidati al sacerdozio saranno formati alle intime disposizioni che l’Eucaristia
promuove: la riconoscenza per i benefici ricevuti dall’alto, poiché
Eucaristia è azione di grazie; l’atteggiamento oblativo che li spinge
a unire all’offerta eucaristica di Cristo la propria offerta personale; la carità
nutrita da un sacramento che è segno di unità e di condivisione;
il desiderio di contemplazione e di adorazione davanti a Cristo realmente
presente sotto le specie eucaristiche ».322
Doveroso e quanto mai urgente è il richiamo a riscoprire, all’interno della
formazione spirituale, la bellezza e la gioia del Sacramento della Penitenza.
In una cultura che, con rinnovate e più sottili forme di auto-giustificazione,
rischia di perdere fatalmente il « senso del peccato » e, di conseguenza,
la gioia consolante della richiesta di perdono323 e dell’incontro con Dio «
ricco di misericordia »,324 urge educare i futuri presbiteri alla virtù
della penitenza, che è sapientemente alimentata dalla Chiesa nelle sue celebrazioni
e nei tempi dell’anno liturgico e che trova la sua pienezza nel Sacramento della
Riconciliazione. Di qui scaturiscono il senso dell’ascesi e della disciplina interiore,
lo spirito di sacrificio e di rinuncia, l’accettazione della fatica e della croce.
Si tratta di elementi della vita spirituale, che spesso si rivelano particolarmente
ardui per molti candidati al sacerdozio cresciuti in condizioni relativamente comode
e agiate e resi meno inclini e sensibili a questi stessi elementi dai modelli di
comportamento e dagli ideali veicolati dai mezzi di comunicazione sociale, anche
nei paesi dove più povere sono le condizioni di vita e più austera
la situazione giovanile. Per questo, ma soprattutto per realizzare sull’esempio di
Cristo buon Pastore la « radicale donazione di sé » propria del
sacerdote, i Padri sinodali hanno scritto: « È necessario inculcare
il senso della croce, che sta al cuore del mistero pasquale. Grazie a questa identificazione
con Cristo crocifisso, in quanto servo, il mondo può ritrovare il valore dell’austerità,
del dolore ed anche del martirio, dentro l’attuale cultura imbevuta di secolarismo,
di avidità e di edonismo ».325
49. La formazione spirituale comporta anche di cercare Cristo negli uomini. La
vita spirituale, infatti, è sì vita interiore, vita d’intimità
con Dio, vita di preghiera e di contemplazione. Ma proprio l’incontro con Dio, e
con il suo amore di Padre di tutti, pone l’esigenza indeclinabile dell’incontro con
il prossimo, del dono di sé agli altri, nel servizio umile e disinteressato
che Gesù ha proposto a tutti come programma di vita con la lavanda dei piedi
agli apostoli: « Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto
io, facciate anche voi ».326
La formazione al dono generoso e gratuito di sé, favorito anche dalla forma
comunitaria normalmente assunta dalla preparazione al sacerdozio, rappresenta una
condizione irrinunciabile per chi è chiamato a farsi epifania e trasparenza
del buon Pastore che dà la vita.327 Sotto questo aspetto la formazione spirituale
possiede e deve sviluppare la sua intrinseca dimensione pastorale o caritativa, e
può utilmente servirsi anche di una giusta, ossia forte e tenera, devozione
al Cuore di Cristo, come hanno sottolineato i Padri del Sinodo: « Formare i
futuri sacerdoti nella spiritualità del Cuore del Signore implica condurre
una vita che corrisponde all’amore e all’affetto di Cristo Sacerdote e buon Pastore:
al suo amore verso il Padre nello Spirito Santo, al suo amore verso gli uomini sino
a donare nell’immolazione la sua vita ».328
Il sacerdote è, dunque, l’uomo della carità, ed è chiamato
ad educare gli altri all’imitazione di Cristo e al comandamento nuovo dell’amore
fraterno.329 Ma ciò esige che lui stesso si lasci continuamente educare dallo
Spirito alla carità di Cristo. In tal senso la preparazione al sacerdozio
non può non implicare una seria formazione alla carità, in particolare
all’amore preferenziale per i « poveri » nei quali la fede scopre la
presenza di Gesù 330 e all’amore misericordioso per i peccatori.
Nella prospettiva della carità, che consiste nel dono di sé per amore,
trova il suo posto nella formazione spirituale del futuro sacerdote l’educazione
all’obbedienza,
al celibato e alla povertà.331 In questo
senso sta l’invito del Concilio: « In modo ben chiaro gli alunni sappiano di
non essere destinati né al dominio né agli onori, ma di dover mettersi
al completo servizio di Dio e del ministero pastorale. Con particolare sollecitudine
vengano educati all’obbedienza sacerdotale, a un tenore di vita povera, allo spirito
di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare prontamente anche
alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in conformità
con Cristo crocifisso ».332
50. La formazione spirituale di chi è chiamato a vivere il celibato deve riservare
un’attenzione particolare a preparare il futuro sacerdote a conoscere, stimare,
amare e vivere il celibato nella sua vera natura
e nelle sue vere finalità,
quindi nelle sue motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali. Presupposto e contenuto
di questa preparazione è la virtù della castità, che qualifica
tutte le relazioni umane e che conduce « a sperimentare e a manifestare…
un amore sincero, umano, fraterno, personale e capace di sacrifici, sull’esempio
di Cristo, verso tutti e verso ciascuno ».333
Il celibato dei sacerdoti connota la castità di alcune caratteristiche, grazie
alle quali essi « rinunziando alla vita coniugale per il regno dei cieli,334
possono aderire a Dio con un amore indivisibile rispondente intimamente alla nuova
legge, danno testimonianza della futura risurrezione 335 e ricevono un aiuto grandissimo
per l’esercizio continuo di quella perfetta carità che li renderà capaci
nel ministero sacerdotale di farsi tutto a tutti ».336 In tal senso il celibato
sacerdotale non è da considerarsi come semplice norma giuridica, né
come una condizione del tutto esteriore per essere ammessi all’ordinazione, bensì
come un valore profondamente connesso con l’ordinazione sacra, che configura a Gesù
Cristo buon Pastore e Sposo della Chiesa, e quindi come la scelta di un amore più
grande e senza divisioni per Cristo e per la sua Chiesa nella disponibilità
piena e gioiosa del cuore per il ministero pastorale. Il celibato è da considerare
come una grazia speciale, come un dono: « Non tutti possono capirlo, ma solo
coloro ai quali è stato concesso ».337 Certamente una grazia che non
dispensa, ma esige con singolare forza la risposta cosciente e libera da parte di
chi la riceve. Questo carisma dello Spirito racchiude anche la grazia perché
colui che lo riceve rimanga fedele per tutta la vita e compia con generosità
e con gioia gli impegni che vi sono connessi. Nella formazione al celibato sacerdotale
dovrà essere assicurata la coscienza del « prezioso dono di Dio »,338
che condurrà alla preghiera e alla vigilanza perché il dono sia custodito
da tutto ciò che lo può minacciare.
Vivendo il suo celibato il sacerdote potrà meglio compiere il suo ministero
nel Popolo di Dio. In particolare, mentre testimonierà il valore evangelico
della verginità, potrà sostenere gli sposi cristiani a vivere in pienezza
il « grande sacramento » dell’amore di Cristo Sposo per la Chiesa sua
sposa, così come la sua fedeltà nel celibato sarà di aiuto per
la fedeltà degli sposi.339
L’importanza e la delicatezza della preparazione al celibato sacerdotale, specialmente
nelle attuali situazioni sociali e culturali, hanno portato i Padri sinodali ad una
serie di richieste, la cui validità permanente è peraltro confermata
dalla saggezza della Chiesa madre. Le ripropongo autorevolmente come criteri da seguirsi
nella formazione alla castità nel celibato: « I Vescovi insieme ai rettori
e ai direttori spirituali dei seminari stabiliscano principii, offrano criteri e
diano aiuti per il discernimento in questa materia. Di massima importanza per la
formazione alla castità nel celibato sono la sollecitudine del Vescovo e la
vita fraterna tra i sacerdoti. In seminario, durante il periodo di formazione, il
celibato deve essere presentato con chiarezza, senza alcuna ambiguità e in
modo positivo. Il seminarista deve avere un adeguato grado di maturità psichica
e sessuale, nonché una vita assidua ed autentica di preghiera, e deve porsi
sotto la direzione di un padre spirituale. Il direttore spirituale deve aiutare il
seminarista perché egli stesso giunga ad una decisione matura e libera, che
sia fondata nella stima dell’amicizia sacerdotale e dell’autodisciplina, come pure
nell’accettazione della solitudine e in un retto stato personale fisico e psicologico.
Per questo i seminaristi conoscano bene la dottrina del Concilio Vaticano II, l’enciclica
« Sacerdotalis Caelibatus » e l’Istruzione per la formazione al celibato
sacerdotale edita dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica nel 1974. Perché
il seminarista possa abbracciare con decisione libera il celibato sacerdotale per
il Regno dei cieli è necessario che conosca la natura cristiana e veramente
umana nonché il fine della sessualità nel matrimonio e nel celibato.
È necessario anche istruire ed educare i fedeli laici circa le motivazioni
evangeliche, spirituali e pastorali proprie del celibato sacerdotale così
che aiutino i presbiteri con l’amicizia, la comprensione e la collaborazione ».340
51. La formazione intellettuale, pur avendo una sua specificità, si connette
profondamente, sino a costituirne un’espressione necessaria, con la formazione umana
e quella spirituale: si configura, infatti, come un’esigenza insopprimibile dell’intelligenza
con la quale l’uomo « partecipa della luce della mente di Dio » 341
e cerca di acquisire una sapienza, che a sua volta, si apre e punta sulla conoscenza
e sull’adesione a Dio.
La formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione
nella natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di
fronte alla sfida della « nuova evangelizzazione » alla quale il Signore
chiama la Chiesa alle soglie del terzo millennio. « Se già ogni cristiano
– scrivono i Padri sinodali – deve essere pronto a difendere la fede e a rendere
ragione della speranza che vive in noi,342 molto di più i candidati al sacerdozio
e i presbiteri devono avere diligente cura del valore della formazione intellettuale
nell’educazione e nell’attività pastorale, dal momento che per la salvezza
dei fratelli e delle sorelle devono cercare una più profonda conoscenza dei
misteri divini ».343 La situazione attuale poi, pesantemente segnata dall’indifferenza
religiosa e insieme da una sfiducia diffusa nei riguardi della reale capacità
della ragione di raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi
e interrogativi inediti provocati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, esige
con forza un livello eccellente di formazione intellettuale, tale cioè da
rendere i sacerdoti capaci di annunciare, proprio in un simile contesto, l’immutabile
Vangelo di Cristo e di renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze della
ragione umana. Si aggiunga, inoltre, che l’attuale fenomeno del pluralismo quanto
mai accentuato, nell’ambito non solo della società umana ma anche della stessa
comunità ecclesiale, chiede una particolare attitudine al discernimento critico:
è un ulteriore motivo che dimostra la necessità di una formazione intellettuale
quanto mai seria.
Questa motivazione « pastorale » della formazione intellettuale riconferma
quanto già detto sull’unità del processo educativo nelle sue diverse
dimensioni. L’impegno di studio, che occupa non poca parte della vita di chi si prepara
al sacerdozio, non è affatto una componente esteriore e secondaria della sua
crescita umana, cristiana, spirituale e vocazionale: in realtà attraverso
lo studio, soprattutto della teologia, il futuro sacerdote aderisce alla Parola di
Dio, cresce nella sua vita spirituale e si dispone a compiere il suo ministero pastorale.
È questo il molteplice e unitario scopo dello studio teologico indicato dal
Concilio 344 e riproposto dall’Instrumentum laboris del Sinodo: « Affinché
possa essere pastoralmente efficace, la formazione intellettuale va integrata in
un cammino spirituale segnato dall’esperienza personale di Dio, in modo tale da superare
una pura scienza nozionistica e pervenire a quella intelligenza del cuore che sa
“vedere” prima ed è in grado poi di comunicare il mistero di Dio
ai fratelli ».345
52. Un momento essenziale della formazione intellettuale è lo studio della
filosofia, che conduce ad una più profonda comprensione e interpretazione
della persona, della sua libertà, delle sue relazioni con il mondo e con Dio.
Essa si rivela di grande urgenza, non solo per il legame che esiste tra gli argomenti
filosofici e i misteri della salvezza studiati in teologia alla luce superiore della
fede 346 ma anche di fronte ad una situazione culturale quanto mai diffusa che esalta
il soggettivismo come criterio e misura della verità: solo una sana filosofia
può aiutare i candidati al sacerdozio a sviluppare una coscienza riflessa
del rapporto costitutivo che esiste tra lo spirito umano e la verità, quella
verità che si rivela a noi pienamente in Gesù Cristo. Né è
da sottovalutare l’importanza della filosofia per garantire quella « certezza
di verità » che, sola, può stare alla base della donazione personale
totale a Gesù e alla Chiesa. Non è difficile capire come alcune questioni
molto concrete, quali l’identità del sacerdote e il suo impegno apostolico
e missionario, sono profondamente legate alla questione, tutt’altro che astratta,
della verità: se non si è certi della verità, come è
possibile mettere in gioco l’intera propria vita ed avere la forza per interpellare
sul serio la vita degli altri?
La filosofia aiuta non poco il candidato ad arricchire la sua formazione intellettuale
del « culto della verità », cioè di una specie di venerazione
amorosa della verità,
la quale conduce a riconoscere che la verità
stessa non è creata e misurata dall’uomo ma all’uomo è data in dono
dalla Verità suprema, Dio; che, sia pure con limiti e a volte con difficoltà,
la ragione umana può raggiungere la verità oggettiva e universale,
anche quella riguardante Dio e il senso radicale dell’esistenza; che la fede stessa
non può prescindere dalla ragione e dalla fatica di « pensare »
i suoi contenuti, come testimoniava la grande mente di Agostino: « Ho desiderato
vedere con l’intelletto ciò che ho creduto, e ho molto disputato e faticato
».347
Per una più profonda comprensione dell’uomo e dei fenomeni e delle linee evolutive
della società, in ordine all’esercizio il più possibile « incarnato
» del ministero pastorale, di non poca utilità possono essere le
cosiddette « scienze dell’uomo »,
come la sociologia, la psicologia,
la pedagogia, la scienza dell’economia e della politica, la scienza della comunicazione
sociale. Sia pure nell’ambito ben preciso delle scienze positive o descrittive, queste
aiutano il futuro sacerdote a prolungare la « contemporaneità »
vissuta da Cristo. « Cristo, diceva Paolo VI, si è fatto contemporaneo
ad alcuni uomini e ha parlato nel loro linguaggio. La fedeltà a lui chiede
che questa contemporaneità continui ».348
53. La formazione intellettuale del futuro sacerdote si basa e si costruisce soprattutto
sullo studio della sacra doctrina, della teologia. Il valore e l’autenticità
della formazione teologica dipendono dal rispetto scrupoloso della natura propria
della teologia, che i Padri sinodali hanno così compendiato: « La vera
teologia proviene dalla fede e intende condurre alla fede ».349 È questa
la concezione che la Chiesa cattolica, e il suo Magistero in specie, hanno costantemente
proposto. È questa la linea seguita dai grandi teologi, che hanno arricchito
il pensiero della Chiesa cattolica lungo i secoli. San Tommaso è oltremodo
esplicito, quando afferma che la fede è come l’habitus della teologia,
ossia il suo principio operativo permanente,350 e che tutta la teologia è
ordinata a nutrire la fede.351
Il teologo è, dunque, anzitutto un credente, un uomo di fede.
Ma è un credente che s’interroga sulla propria fede (fides quaerens intellectum),
che s’interroga al fine di raggiungere una comprensione più profonda della
fede stessa. I due aspetti, la fede e la riflessione matura, sono profondamente connessi,
intrecciati: proprio la loro intima coordinazione e compenetrazione decide della
vera natura della teologia, e conseguentemente decide dei contenuti, delle modalità
e dello spirito secondo cui la sacra doctrina va elaborata e studiata.
Poiché poi la fede, punto di partenza e di arrivo della teologia, opera un
rapporto personale del credente con Gesù Cristo nella Chiesa, anche la teologia
possiede delle intrinseche connotazioni cristologiche ed ecclesiali, che il candidato
al sacerdozio deve consapevolmente assumere, non solo per le implicazioni che riguardano
la sua vita personale ma anche per quelle che toccano il suo ministero pastorale.
Se è accoglienza della Parola di Dio, la fede si risolve in un « sì
» radicale del credente a Gesù Cristo, Parola piena e definitiva di
Dio al mondo.352 Di conseguenza, la riflessione teologica trova il suo centro nell’adesione
a Gesù Cristo, Sapienza di Dio: la stessa riflessione matura deve dirsi una
partecipazione al « pensiero » di Cristo 353 nella forma umana di una
scienza (scientia fidei). Nello stesso tempo, la fede inserisce il credente
nella Chiesa e lo rende partecipe della vita della Chiesa, quale comunità
di fede. Di conseguenza, la teologia possiede una dimensione ecclesiale, perché
è una riflessione matura sulla fede della Chiesa e da parte del teologo che
è membro della Chiesa.354
Queste prospettive cristologiche ed ecclesiali, che sono connaturali alla teologia,
aiutano a sviluppare nei candidati al sacerdozio, insieme al rigore scientifico,
un grande e vivo amore a Gesù Cristo e alla sua Chiesa: quest’amore, mentre
nutre la loro vita spirituale, li orienta al generoso compimento del loro ministero.
Proprio questo era, in definitiva, l’intento del Concilio Vaticano II che sollecitava
il riordinamento degli studi ecclesiastici disponendo meglio le varie discipline
filosofiche e teologiche e facendole « convergere concordemente alla progressiva
apertura delle menti degli alunni verso il mistero di Cristo, il quale compenetra
tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente
attraverso il ministero sacerdotale ».355
Formazione intellettuale teologica e vita spirituale, in particolare vita di preghiera,
s’incontrano e si rafforzano a vicenda, senza nulla togliere né alla serietà
della ricerca né al sapore spirituale della preghiera. San Bonaventura ci
avverte: « Nessuno creda che gli basti la lettura senza l’unzione, la speculazione
senza la devozione, la ricerca senza lo stupore, l’osservazione senza l’esultanza,
l’attività senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza
senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, l’indagine senza la sapienza
dell’ispirazione divina ».356
54. La formazione teologica è opera quanto mai complessa e impegnativa. Essa
deve condurre il candidato al sacerdozio a possedere una visione delle verità
rivelate da Dio in Gesù Cristo e dell’esperienza di fede della Chiesa che
sia completa e unitaria: di qui la duplice esigenza di conoscere « tutte
» le verità cristiane, senza operare delle scelte arbitrarie, e di conoscerle
in modo organico. Ciò esige che l’alunno sia aiutato ad operare una sintesi
che sia il frutto degli apporti delle diverse discipline teologiche, la cui specificità
acquista autentico valore solo nella loro profonda coordinazione.
Nella sua riflessione matura sulla fede, la teologia si muove in due direzioni. La
prima è quella dello studio della Parola di Dio: la parola scritta
nel Libro sacro, celebrata e vissuta nella Tradizione viva della Chiesa, autorevolmente
interpretata dal Magistero della Chiesa. Di qui lo studio della Sacra Scrittura,
« che deve essere come l’anima di tutta la teologia »,357 dei Padri della
Chiesa e della liturgia, come pure della storia della Chiesa e dei pronunciamenti
del Magistero. La seconda direzione è quella dell’uomo, interlocutore di
Dio:
l’uomo chiamato a « credere », a « vivere », a «
comunicare » agli altri la fides e l’ethos cristiani. Di qui
lo studio della dommatica, della teologia morale, della teologia spirituale, del
diritto canonico e della teologia pastorale.
Il riferimento all’uomo credente conduce la teologia ad avere una particolare attenzione,
da un lato, all’istanza fondamentale e permanente del rapporto fede-ragione, dall’altro,
ad alcune esigenze più collegate con la situazione sociale e culturale d’oggi.
Dal primo punto di vista, si ha lo studio della teologia fondamentale, che ha per
oggetto il fatto della rivelazione cristiana e la sua trasmissione nella Chiesa.
Dall’altro punto di vista, si impongono discipline che hanno conosciuto e conoscono
un più deciso sviluppo come risposte a problemi oggi fortemente sentiti. Così
lo studio della dottrina sociale della Chiesa, che « appartiene… al campo
della teologia e, specialmente, della teologia morale » 358 e che è
da annoverarsi tra le « componenti essenziali » della « nuova evangelizzazione
», di cui costituisce uno strumento.359 Così lo studio della missione,
dell’ecumenismo, del giudaismo, dell’Islam e delle altre religioni non cristiane.
55. La formazione teologica attuale deve prestare attenzione ad alcuni problemi
che non poche volte sollevano difficoltà, tensioni, confusioni all’interno
della vita della Chiesa. Si pensi al rapporto tra i pronunciamenti del Magistero
e le discussioni teologiche,
un rapporto che non sempre si configura come dovrebbe
essere, all’insegna cioè della collaborazione. Certamente « il Magistero
vivo della Chiesa e la teologia, pur avendo doni e funzioni diverse, hanno ultimamente
il medesimo fine: conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e farne
così la “luce delle nazioni”. Questo servizio alla comunità
ecclesiale mette in relazione reciproca il teologo con il Magistero. Quest’ultimo
insegna autenticamente la dottrina degli Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro
teologico, respinge le obiezioni e le deformazioni della fede, proponendo inoltre
con l’autorità ricevuta da Gesù Cristo nuovi approfondimenti, esplicitazioni
e applicazioni della dottrina rivelata. La teologia invece acquisisce, in modo riflesso,
un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio, contenuta nella Scrittura
e trasmessa fedelmente dalla Tradizione viva della Chiesa sotto la guida del Magistero,
cerca di chiarire l’insegnamento della Rivelazione di fronte all’istanza della ragione,
ed infine gli dà una forma organica e sistematica ».360 Quando però,
per una serie di motivi, questa collaborazione viene meno, occorre non prestarsi
a equivoci e a confusioni, sapendo distinguere accuratamente « la dottrina
comune della Chiesa dalle opinioni dei teologi e dalle tendenze che presto passano
(le cosiddette “mode”) ».361 Non si dà un magistero «
parallelo », perché l’unico magistero è quello di Pietro e degli
apostoli, del Papa e dei vescovi.362
Un altro problema, avvertito soprattutto là dove gli studi seminaristici sono
affidati ad istituzioni accademiche, riguarda il rapporto tra il rigore scientifico
della teologia e la sua destinazione pastorale,
e pertanto la natura pastorale
della teologia. Si tratta, in realtà, di due caratteristiche della teologia
e del suo insegnamento che non solo non si oppongono tra loro, ma che concorrono,
sia pure sotto profili diversi, alla più completa intelligenza della fede.
Infatti la pastoralità della teologia non significa una teologia meno dottrinale
o addirittura destituita della sua scientificità; significa, invece, che essa
abilita i futuri sacerdoti ad annunciare il messaggio evangelico attraverso i modi
culturali del loro tempo e a impostare l’azione pastorale secondo un’autentica visione
teologica. E così, da un lato, uno studio rispettoso della scientificità
rigorosa delle singole discipline teologiche contribuirà alla più completa
e profonda formazione del pastore d’anime come maestro della fede; dall’altro lato,
l’adeguata sensibilità alla destinazione pastorale renderà veramente
formativo per i futuri presbiteri lo studio serio e scientifico della teologia.
Un ulteriore problema è dato dall’esigenza, oggi fortemente sentita, dell’evangelizzazione
delle culture e dell’inculturazione del messaggio della fede.
È questo
un problema eminentemente pastorale, che deve entrare con maggiore ampiezza e sensibilità
nella formazione dei candidati al sacerdozio: « Nelle attuali circostanze nelle
quali, in varie regioni del mondo, la religione cristiana è considerata come
qualcosa di estraneo alle culture sia antiche sia moderne, è di grande importanza
che in tutta la formazione intellettuale e umana si ritenga come necessaria ed essenziale
la dimensione dell’inculturazione ».363 Ma ciò preesige una teologia
autentica, ispirata ai principii cattolici circa l’inculturazione. Questi principii
si collegano con il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e con l’antropologia
cristiana e illuminano il senso autentico dell’inculturazione: questa, di fronte
alle più diverse e talvolta contrapposte culture, presenti nelle varie parti
del mondo, vuole essere un’obbedienza al comando di Cristo di predicare il Vangelo
a tutte le genti sino agli estremi confini della terra. Una simile obbedienza non
significa né sincretismo né semplice adattamento dell’annuncio evangelico,
ma che il Vangelo penetra vitalmente nelle culture, si incarna in esse, superandone
gli elementi culturali incompatibili con la fede e con la vita cristiana ed elevandone
i valori al mistero della salvezza che proviene da Cristo.364 Il problema dell’inculturazione
può avere un interesse specifico quando i candidati al sacerdozio provengono
essi stessi da antiche culture: avranno bisogno, allora, di vie adeguate di formazione,
sia per superare il pericolo di essere meno esigenti e di sviluppare un’educazione
più debole ai valori umani, cristiani e sacerdotali, sia per valorizzare gli
elementi buoni e autentici delle loro culture e tradizioni.365
56. Seguendo l’insegnamento e gli orientamenti del Concilio Vaticano II e le indicazioni
applicative della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, si è
determinato nella Chiesa un vasto aggiornamento dell’insegnamento delle discipline
filosofiche e soprattutto teologiche nei seminari. Pur bisognoso in alcuni casi di
ulteriori emendamenti e sviluppi, questo aggiornamento ha contribuito nel suo insieme
a qualificare sempre più la proposta educativa nell’ambito della formazione
intellettuale. Al riguardo « i Padri sinodali hanno nuovamente affermato, con
frequenza e con chiarezza, la necessità, anzi l’urgenza che venga applicato
nei seminari e nelle case di formazione il piano fondamentale degli studi, sia universale
che delle singole nazioni o Conferenze episcopali ».366
È necessario contrastare con decisione la tendenza a ridurre la serietà
e l’impegno degli studi, che si manifesta in alcuni contesti ecclesiali, come conseguenza
anche di una preparazione di base insufficiente e lacunosa degli alunni che iniziano
il curricolo filosofico e teologico. È la stessa situazione contemporanea
ad esigere sempre più dei maestri che siano veramente all’altezza della complessità
dei tempi e siano in grado di affrontare, con competenza e con chiarezza e profondità
di argomentazioni, le domande di senso degli uomini d’oggi, alle quali solo il Vangelo
di Gesù Cristo dà la piena e definitiva risposta.
57. L’intera formazione dei candidati al sacerdozio è destinata a disporli
in un modo più particolare a comunicare alla carità di Cristo, buon
Pastore. Questa formazione, dunque, nei suoi diversi aspetti, deve avere un carattere
essenzialmente pastorale. Lo affermava chiaramente il decreto conciliare «
Optatam Totius » in rapporto ai seminari maggiori: « L’educazione degli
alunni deve tendere allo scopo di formare veri pastori d’anime sull’esempio di
nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore.
Gli alunni perciò
vengano preparati: al ministero della parola, in modo da penetrare sempre meglio
la Parola di Dio rivelata, rendersela propria con la meditazione e saperla esprimere
con la parola e con la vita; al ministero del culto e della santificazione, in modo
che pregando e celebrando le azioni liturgiche sappiano esercitare l’opera della
salvezza per mezzo del Sacrificio eucaristico e dei Sacramenti; al servizio di pastore,
per essere in grado di rappresentare agli uomini Cristo, il quale “non venne
per essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione di molti”
367 e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti 368 ».369
Il testo conciliare insiste sulla profonda coordinazione che esiste tra i diversi
aspetti della formazione umana, spirituale, intellettuale e, nello stesso tempo,
sulla loro specifica finalizzazione pastorale. In tal senso il fine pastorale
assicura alla formazione umana, spirituale e intellettuale determinati contenuti
e precise caratteristiche, così come unifica e specifica l’intera formazione
dei futuri sacerdoti.
Come ogni altra formazione, anche quella pastorale si sviluppa attraverso la riflessione
matura e l’applicazione operativa, e affonda le sue radici vive in uno spirito, che
di tutto costituisce il fulcro e la forza di impulso e di sviluppo.
Si esige, dunque, lo studio di una vera e propria disciplina teologica: la teologia
pastorale o pratica,
che è una riflessione scientifica sulla Chiesa nel
suo edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia; sulla Chiesa,
quindi, come « sacramento universale di salvezza »,370 come segno e strumento
vivo della salvezza di Gesù Cristo nella Parola, nei Sacramenti e nel servizio
della Carità. La pastorale non è soltanto un’arte né un complesso
di esortazioni, di esperienze, di metodi; possiede una sua piena dignità teologica,
perché riceve dalla fede i principii e i criteri dell’azione pastorale della
Chiesa nella storia, di una Chiesa che « genera » ogni giorno la Chiesa
stessa, secondo la felice espressione di S. Beda il Venerabile: « Nam et
Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam
».371 Tra questi principii e criteri
si dà quello particolarmente importante del discernimento evangelico della
situazione socio-culturale ed ecclesiale entro cui si sviluppa l’azione pastorale.
Lo studio della teologia pastorale deve illuminare l’applicazione operativa mediante
la dedizione ad alcuni servizi pastorali che i candidati al sacerdozio, con necessaria
gradualità e sempre in armonia con gli altri impegni formativi, devono assolvere:
si tratta di « esperienze » pastorali, che possono confluire in un vero
e proprio « tirocinio pastorale », che può durare anche per diverso
tempo e che chiede di essere verificato in maniera metodica.
Ma lo studio e l’attività pastorali rimandano ad una sorgente interiore, che
la formazione avrà cura di custodire e di valorizzare: è la comunione
sempre più profonda con la carità pastorale di Gesù,
la
quale, come ha costituito il principio e la forza del suo agire salvifico, così,
grazie all’effusione dello Spirito Santo nel sacramento dell’Ordine, deve costituire
il principio e la forza del ministero del presbitero. Si tratta di una formazione
destinata non soltanto ad assicurare una competenza pastorale scientifica e un’abilità
operativa, ma anche e soprattutto a garantire la crescita di un modo di essere
in comunione con i medesimi sentimenti e comportamenti di Cristo, buon Pastore:
« Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ».372
58. Così intesa, la formazione pastorale non può certo ridursi ad un
semplice apprendistato, rivolto a familiarizzarsi con qualche tecnica pastorale.
La proposta educativa del seminario si fa carico di una vera e propria iniziazione
alla sensibilità del pastore, all’assunzione consapevole e matura delle sue
responsabilità, all’abitudine interiore di valutare i problemi e di stabilire
le priorità e i mezzi di soluzione, sempre in base a limpide motivazioni di
fede e secondo le esigenze teologiche della pastorale stessa.
Attraverso l’iniziale e graduale sperimentazione nel ministero, i futuri sacerdoti
potranno essere inseriti nella viva tradizione pastorale della loro Chiesa particolare,
impareranno ad aprire l’orizzonte della loro mente e del loro cuore alla dimensione
missionaria della vita ecclesiale, si eserciteranno in alcune prime forme di collaborazione
tra loro e con i presbiteri accanto ai quali saranno mandati. A questi ultimi compete,
in collegamento con la proposta del seminario, una responsabilità educativa
pastorale di non poca importanza.
Nella scelta dei luoghi e dei servizi adatti all’esercizio pastorale si dovrà
avere particolare riguardo per la parrocchia,373 cellula vitale delle esperienze
pastorali settoriali e specializzate, nella quale essi verranno a trovarsi di fronte
ai problemi particolari del loro futuro ministero. I Padri sinodali hanno offerto
una serie di esempi concreti, come la visita ai malati; la cura degli emigrati, degli
esiliati e dei nomadi; lo zelo della carità che si traduce in diverse opere
sociali. In particolare essi scrivono: « È necessario che il presbitero
sia testimone della carità di Cristo stesso che è passato facendo del
bene;374 il presbitero deve anche essere il segno visibile della sollecitudine della
Chiesa che è Madre e Maestra. E poiché l’uomo oggi è colpito
da tante disgrazie, specialmente l’uomo che è travolto da una povertà
disumana, dalla cieca violenza e dall’ingiusto potere, è necessario che l’uomo
di Dio ben preparato ad ogni opera buona 375 rivendichi i diritti e la dignità
dell’uomo. Si guardi però dall’aderire a false ideologie e dal dimenticare,
mentre intende promuoverne la perfezione, che il mondo è redento dalla sola
croce di Cristo ».376
L’insieme di queste ed altre attività pastorali educa il futuro sacerdote
a vivere come « servizio » la propria missione di autorità nella
comunità, allontanandosi da ogni atteggiamento di superiorità o di
esercizio di un potere che non sia sempre e solo giustificato dalla carità
pastorale.
Per un’adeguata formazione è necessario che le diverse esperienze dei candidati
al sacerdozio assumano un chiaro carattere ministeriale, restando intimamente collegate
con tutte le esigenze che sono proprie della preparazione al presbiterato e (non,
certo, a scapito dello studio) in riferimento ai servizi dell’annuncio della Parola,
del culto e della presidenza. Questi servizi possono diventare la traduzione concreta
dei ministeri del Lettorato, dell’Accolitato e del Diaconato.
59. Poiché l’azione pastorale è destinata per sua natura ad animare
la Chiesa, che è essenzialmente « mistero », « comunione
», « missione », la formazione pastorale dovrà conoscere
e vivere queste dimensioni ecclesiali nell’esercizio del ministero.
Fondamentale risulta essere la coscienza che la Chiesa è « mistero
»,
opera divina, frutto dello Spirito di Cristo, segno efficace della grazia,
presenza della Trinità nella comunità cristiana: una simile coscienza,
mentre non attenuerà il senso di responsabilità proprio del pastore,
lo renderà convinto che la crescita della Chiesa è opera gratuita dello
Spirito e che il suo servizio – dalla stessa grazia divina affidato alla libera responsabilità
umana – è quello evangelico del servo inutile.377
La coscienza poi della Chiesa quale « comunione » preparerà
il candidato al sacerdozio a realizzare una pastorale comunitaria, in cordiale collaborazione
con i diversi soggetti ecclesiali: sacerdoti e Vescovo, sacerdoti diocesani e religiosi,
sacerdoti e laici. Ma una simile collaborazione presuppone la conoscenza e la stima
dei diversi doni e carismi, delle varie vocazioni e responsabilità che lo
Spirito offre ed affida ai membri del Corpo di Cristo; esige un senso vivo e preciso
della propria e dell’altrui identità nella Chiesa; chiede mutua fiducia, pazienza,
dolcezza, capacità di comprensione e di attesa; si radica soprattutto su di
un amore alla Chiesa più grande dell’amore a se stessi e alle aggregazioni
alle quali si appartiene. Di particolare importanza è preparare i futuri sacerdoti
alla collaborazione con i laici. « Siano pronti – dice il Concilio –
ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni
e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività
umana, in modo da poter assieme a loro riconoscere i segni dei tempi ».378
Anche il recente Sinodo ha insistito sulla sollecitudine pastorale verso i laici:
« Occorre che l’alunno diventi capace di proporre e di introdurre i fedeli
laici, soprattutto i giovani, alle diverse vocazioni (al matrimonio, ai servizi sociali,
all’apostolato, ai ministeri e alle responsabilità nell’assumere l’attività
pastorale, alla vita consacrata, a guidare la vita politica e sociale, alla ricerca
scientifica, all’insegnamento). Soprattutto è necessario insegnare e sostenere
i laici e la loro vocazione a permeare e a trasformare il mondo con la luce del Vangelo,
riconoscendo il loro compito e rispettandolo ».379
Infine, la coscienza della Chiesa quale comunione « missionaria »,
aiuterà il candidato al sacerdozio ad amare e a vivere l’essenziale dimensione
missionaria della Chiesa e delle diverse attività pastorali; ad essere aperto
e disponibile a tutte le possibilità oggi offerte all’annuncio del Vangelo,
senza dimenticare il prezioso servizio che al riguardo può e deve essere dato
dai mezzi della comunicazione sociale;380 a prepararsi ad un ministero che gli potrà
chiedere la concreta disponibilità allo Spirito Santo e al Vescovo per essere
mandato a predicare il Vangelo oltre i confini del suo paese.381

II.
Gli ambienti della formazione sacerdotale

60. La necessità
del Seminario Maggiore – e dell’analoga Casa religiosa – per la formazione dei
candidati al sacerdozio, autorevolmente affermata dal Concilio Vaticano II,382 è
stata riaffermata dal Sinodo con queste parole: « L’istituzione del
Seminario Maggiore, come luogo ottimo di formazione, è certamente da riaffermarsi
quale normale spazio, anche materiale, di una vita comunitaria e gerarchica, anzi
quale casa propria per la formazione dei candidati al sacerdozio, con superiori veramente
consacrati a questo ufficio. Questa istituzione ha dato moltissimi frutti lungo i
secoli e continua a darli in tutto il mondo ».383
Il seminario si presenta sì come un tempo e uno spazio; ma si presenta soprattutto
come una comunità educativa in cammino: è la comunità
promossa dal Vescovo per offrire a chi è chiamato dal Signore a servire come
gli apostoli la possibilità di rivivere l’esperienza formativa che il Signore
ha riservato ai Dodici. In realtà, una prolungata e intima consuetudine di
vita con Gesù viene presentata nei Vangeli come necessaria premessa al ministero
apostolico. Essa richiede ai Dodici di realizzare in modo particolarmente chiaro
e specifico il distacco, in qualche misura proposto a tutti i discepoli, dall’ambiente
di origine, dal lavoro consueto, dagli affetti anche più cari.384 Più
volte abbiamo riportato la tradizione di Marco che sottolinea il legame profondo
che unisce gli apostoli con Cristo e tra di loro: prima di essere mandati a predicare
e a guarire, sono chiamati a « stare con lui ».385
L’identità profonda del seminario è di essere, a suo modo, una continuazione
nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù,
in
ascolto della sua Parola, in cammino verso l’esperienza della Pasqua, in attesa del
dono dello Spirito per la missione. Una simile identità costituisce l’ideale
normativo che stimola il seminario, nelle più diverse forme e nelle molteplici
vicissitudini, che in quanto istituzione umana registra nella storia, a trovare
una concreta realizzazione, fedele ai valori evangelici ai quali si ispira e capace
di rispondere alle situazioni e necessità dei tempi.
Il seminario è, in se stesso, un’esperienza originale della vita della
Chiesa:
in esso il Vescovo si rende presente attraverso il ministero del rettore
e il servizio di corresponsabilità e di comunione da lui animato con gli altri
educatori, per la crescita pastorale e apostolica degli alunni. I vari membri della
comunità del seminario, riuniti dallo Spirito in un’unica fraternità,
collaborano, ciascuno secondo il proprio dono, alla crescita di tutti nella fede
e nella carità, perché si preparino adeguatamente al sacerdozio e quindi
a prolungare nella Chiesa e nella storia la presenza salvifica di Gesù Cristo,
il buon Pastore.
Già sotto un profilo umano, il Seminario Maggiore deve tendere a diventare
« una comunità compaginata da una profonda amicizia e carità,
così da poter essere considerata una vera famiglia che vive nella gioia ».386
Sotto il profilo cristiano, il seminario si deve configurare, continuano i Padri
sinodali, come « comunità ecclesiale », come « comunità
dei discepoli del Signore nella quale si celebra la stessa Liturgia (che permea la
vita di spirito di preghiera), formata ogni giorno nella lettura e nella meditazione
della Parola di Dio e con il sacramento dell’Eucaristia e nell’esercizio della carità
fraterna e della giustizia, una comunità nella quale, nel progresso della
vita comunitaria e nella vita di ciascun suo membro, risplendono lo Spirito di Cristo
e l’amore verso la Chiesa ».387 A conferma e a sviluppo concreto dell’essenziale
dimensione ecclesiale del seminario, i Padri sinodali continuano: « Come comunità
ecclesiale, sia diocesana che interdiocesana, sia anche religiosa, il seminario alimenti
il senso della comunione dei candidati con il loro Vescovo e con il loro presbiterio,
così che partecipino alla loro speranza e alle loro angosce e sappiano estendere
questa apertura alle necessità della Chiesa universale ».388 È
essenziale per la formazione dei candidati al sacerdozio e al ministero pastorale,
che per sua natura è ecclesiale, che il seminario sia sentito non in un modo
esteriore e superficiale, ossia come un semplice luogo di abitazione e di studio,
ma in un modo interiore e profondo: come una comunità, una comunità
specificamente ecclesiale, una comunità che rivive l’esperienza del gruppo
dei Dodici uniti a Gesù.389
61. Il seminario è, dunque, una comunità ecclesiale educativa, anzi
una particolare comunità educante. Ed è il fine specifico a determinarne
la fisionomia, ossia l’accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto
il discernimento della vocazione, l’aiuto a corrispondervi e la preparazione a ricevere
il sacramento dell’Ordine con le grazie e le responsabilità proprie, per le
quali il sacerdote è configurato a Gesù Cristo Capo e Pastore ed è
abilitato e impegnato a condividerne la missione di salvezza nella Chiesa e nel mondo.
In quanto comunità educante, l’intera vita del seminario, nelle sue più
diverse espressioni, è impegnata nella formazione umana, spirituale,
intellettuale e pastorale dei futuri presbiteri: è una formazione che, pur
avendo tanti aspetti comuni con la formazione umana e cristiana di tutti i membri
della Chiesa, presenta contenuti, modalità e caratteristiche che discendono
in modo specifico dal fine perseguito di preparare al sacerdozio.
Ora i contenuti e le forme dell’opera educativa esigono che il seminario abbia una
sua precisa programmazione, un programma di vita cioè che si caratterizzi,
sia per la sua organicità-unità, sia per la sua sintonia o corrispondenza
con l’unico fine che giustifica l’esistenza del seminario: la preparazione dei futuri
presbiteri.
In questo senso i Padri sinodali scrivono: « In quanto comunità educativa,
(il seminario) deve servire ad un programma chiaramente definito che, come nota caratteristica,
abbia l’unità della direzione manifestata nella figura del Rettore e dei collaboratori,
nella coerenza dell’ordinamento di vita, dell’attività formativa e delle esigenze
fondamentali della vita comunitaria, la quale comporta anche gli aspetti essenziali
del compito formativo. Questo programma deve essere al servizio, senza esitazione
e indeterminazione, della finalità specifica che sola giustifica l’esistenza
del seminario, la formazione cioè dei futuri presbiteri, pastori della Chiesa
».390 E perché la programmazione sia veramente adatta ed efficace occorre
che le grandi linee programmatiche si traducano più concretamente in dettaglio,
mediante alcune norme particolari destinate ad ordinare la vita comunitaria, stabilendo
alcuni strumenti e alcuni ritmi temporali precisi.
Un altro aspetto è qui da sottolineare: l’opera educativa, per sua natura,
è l’accompagnamento delle persone storiche concrete che camminano verso la
scelta e l’adesione a determinati ideali di vita. Proprio per questo l’opera educativa
deve saper armonicamente conciliare la proposta chiara della meta da raggiungere,
la richiesta di camminare con serietà verso la meta stessa, l’attenzione al
« viandante », ossia al soggetto concreto impegnato in questa avventura,
e dunque ad una serie di situazioni, di problemi, di difficoltà, di ritmi
diversificati di cammino e di crescita. Ciò esige una sapiente elasticità,
che non significa affatto compromesso né sui valori né sull’impegno
cosciente e libero, ma amore vero e rispetto sincero per chi, nelle sue condizioni
personali, sta camminando verso il sacerdozio. Questo vale non solo in rapporto alla
singola persona, ma anche in rapporto ai diversi contesti sociali e culturali entro
cui vivono i seminari e alla diversa storia che essi hanno. In questo senso l’opera
educativa esige un continuo rinnovamento.
I Padri l’hanno rilevato con forza
anche in rapporto alla configurazione dei seminari: « Salva la validità
delle forme classiche del seminario, il Sinodo desidera che il lavoro di consultazione
delle Conferenze episcopali sulle necessità attuali della formazione prosegua
come si è stabilito nel decreto “Optatam Totius” 391 e nel Sinodo
del 1967. Si rivedano opportunamente le Rationes delle singole nazioni o riti,
sia in occasione delle richieste fatte dalle Conferenze episcopali, sia nelle visite
apostoliche nei seminari delle diverse nazioni, per integrare in esse diverse forme
di formazione collaudate che devono rispondere alle necessità dei popoli di
cultura cosiddetta indigena, delle vocazioni di uomini adulti, delle vocazioni per
le missioni, ecc. ».392
62. La finalità e la configurazione educativa specifica del Seminario Maggiore
esigono che i candidati al sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione
previa.
Una simile preparazione non poneva problemi particolari, almeno sino
a qualche decennio fa, allorquando i candidati al sacerdozio provenivano abitualmente
dai seminari minori e la vita cristiana delle comunità ecclesiali offriva
facilmente a tutti, indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana.
La situazione è in molte parti cambiata. Si dà una forte discrepanza
tra lo stile di vita e la preparazione di base dei ragazzi, degli adolescenti e dei
giovani, anche se cristiani e talvolta impegnati nella vita della Chiesa, da un lato,
e dall’altro lo stile di vita del seminario e le sue esigenze formative. In questo
contesto, in comunione con i Padri sinodali, chiedo che vi sia un periodo adeguato
di preparazione che preceda la formazione del seminario: « È utile che
ci sia un periodo di preparazione umana, cristiana, intellettuale e spirituale per
i candidati al Seminario Maggiore. Questi candidati devono però presentare
determinate qualità: la retta intenzione, un grado sufficiente di maturità
umana, una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede, una qualche introduzione
ai metodi di preghiera e costumi conformi alla tradizione cristiana. Abbiano anche
attitudini proprie delle loro regioni, mediante le quali viene espresso lo sforzo
di trovare Dio e la fede ».393
« Una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede », di cui
parlano i Padri sinodali, è richiesta prima della teologia: non si può
sviluppare una « intellegentia fidei », se non si conosce la «
fides »
nel suo contenuto. Una simile lacuna potrà essere più
facilmente colmata dal prossimo Catechismo universale.
Mentre si fa comune la convinzione della necessità di una simile preparazione
previa al Seminario Maggiore, si dà una diversa valutazione dei suoi contenuti
e delle sue caratteristiche, ossia dello scopo prevalente, se di formazione spirituale
per il discernimento vocazionale o di formazione intellettuale e culturale. D’altra
parte, non si possono dimenticare le molte e profonde diversità che esistono,
non solo in rapporto ai singoli candidati, ma anche in rapporto alle varie regioni
e paesi. Ciò suggerisce una fase ancora di studio e di sperimentazione, perché
si possano definire in modo più opportuno e significativo i diversi elementi
di questa preparazione previa o « periodo propedeutico »: il tempo,
il luogo, la forma, i temi di questo periodo, che peraltro è da coordinarsi
con gli anni successivi della formazione nel seminario.
In questo senso assumo e ripropongo alla Congregazione per l’Educazione Cattolica
la richiesta formulata dai Padri sinodali: « Il Sinodo chiede che la Congregazione
per l’Educazione Cattolica raccolga tutte le informazioni sulle esperienze iniziali
fatte o che si stanno facendo. A tempo opportuno, la Congregazione comunichi alle
Conferenze episcopali le informazioni su questo argomento ».394
63. Come attesta una larga esperienza, la vocazione sacerdotale ha un suo primo momento
di manifestazione spesso negli anni della preadolescenza o nei primissimi anni della
gioventù. Ed anche in soggetti che arrivano a decidere l’ingresso in seminario
più avanti nel tempo non è raro costatare la presenza della chiamata
di Dio in periodi molto precedenti. La storia della Chiesa è una testimonianza
continua di chiamate che il Signore rivolge anche in tenera età. San Tommaso,
ad esempio, spiega la predilezione di Gesù verso l’apostolo Giovanni «
per la sua tenera età » e ne trae la seguente conclusione: « Questo
ci fa capire come Dio ami in modo speciale coloro che si danno al suo servizio fin
dalla prima giovinezza ».395
La Chiesa si prende cura di questi germi di vocazione seminati nei cuori dei fanciulli,
curandone, attraverso l’istituzione dei Seminari Minori, un premuroso, benché
iniziale, discernimento e accompagnamento. In varie parti del mondo, questi seminari
continuano a svolgere una preziosa opera educativa, finalizzata a custodire e a far
sviluppare i germi della vocazione sacerdotale, affinché gli alunni la possano
più facilmente riconoscere e siano resi più capaci di corrispondervi.
La loro proposta educativa tende a favorire in modo tempestivo e graduale quella
formazione umana, culturale e spirituale che condurrà il giovane a intraprendere
il cammino nel Seminario Maggiore con una base adeguata e solida.
« Prepararsi a seguire Cristo Redentore con animo generoso e cuore puro
»:
questo è lo scopo del Seminario Minore indicato dal Concilio
nel decreto « Optatam Totius », che così ne delinea il volto educativo:
gli alunni « sotto la guida paterna dei superiori, coadiuvati opportunamente
dai genitori, conducano un tenore di vita conveniente all’età, allo spirito
e allo sviluppo degli adolescenti e in piena armonia con le norme della sana psicologia,
senza trascurare una conveniente esperienza delle cose umane e i rapporti con la
propria famiglia ».396
Il Seminario Minore potrà essere nella Diocesi anche un punto di riferimento
della pastorale vocazionale, con opportune forme di accoglienza e offerta di occasioni
informative per quegli adolescenti che sono alla ricerca della vocazione o che, già
determinati a seguirla, sono costretti a procrastinare l’ingresso in seminario per
diverse circostanze, familiari o scolastiche.
64. Dove il Seminario Minore – che in molte regioni sembra necessario e molto utile
– non trova possibilità di attuazione, occorre provvedere a costituire altre
« istituzioni »,397 come potrebbero essere i gruppi vocazionali per
adolescenti e per giovani. Pur non essendo permanenti, questi gruppi potranno offrire,
in un contesto comunitario, una guida sistematica per la verifica e la crescita vocazionale.
Pur vivendo in famiglia e frequentando la comunità cristiana che li aiuta
nel loro cammino formativo, questi ragazzi e questi giovani non devono essere lasciati
soli. Essi hanno bisogno di un gruppo particolare o di una comunità di riferimento
cui appoggiarsi per compiere quello specifico itinerario vocazionale che il dono
dello Spirito Santo ha iniziato in loro.
Come è sempre avvenuto nella storia della Chiesa, e con qualche caratteristica
di confortante novità e frequenza nelle attuali circostanze, va registrato
il fenomeno di vocazioni sacerdotali che si verificano in età adulta,
dopo una più o meno lunga esperienza di vita laicale e di impegno professionale.
Non è sempre possibile, e spesso non è neppure conveniente, invitare
gli adulti a seguire l’itinerario educativo del Seminario Maggiore. Si deve piuttosto
provvedere, dopo un accurato discernimento dell’autenticità di queste vocazioni,
a programmare una qualche forma specifica di accompagnamento formativo così
da assicurare, mediante opportuni adattamenti, la necessaria formazione spirituale
e intellettuale.398 Un giusto rapporto con gli altri candidati al sacerdozio e periodi
di presenza nella comunità del Seminario maggiore potranno garantire il pieno
inserimento di queste vocazioni nell’unico presbiterio e la loro intima e cordiale
comunione con esso.

III.
I protagonisti della formazione sacerdotale

65. Poiché la formazione
dei candidati al sacerdozio appartiene alla pastorale vocazionale della Chiesa, si
deve dire che è la Chiesa come tale il soggetto comunitario che ha
la grazia e la responsabilità di accompagnare quanti il Signore chiama a divenire
suoi ministri nel sacerdozio.
In tal senso proprio la lettura del mistero della Chiesa ci aiuta a precisare meglio
il posto e il compito che i suoi diversi membri, sia come singoli sia come membri
di un corpo, hanno nella formazione dei candidati al presbiterato.
Ora la Chiesa è per sua intima natura la « memoria », il «
sacramento » della presenza e dell’azione di Gesù Cristo in mezzo a
noi e per noi. È alla sua presenza salvifica che si deve la chiamata al sacerdozio:
non solo la chiamata, ma anche l’accompagnamento perché il chiamato possa
riconoscere la grazia del Signore e possa darle risposta con libertà e con
amore. È lo Spirito di Gesù che fa luce e dona forza nel discernimento
e nel cammino vocazionale. Non si dà, allora, autentica opera formativa
al sacerdozio senza l’influsso dello Spirito di Cristo.
Ogni formatore umano
deve esserne pienamente cosciente. Come non vedere una « risorsa » totalmente
gratuita e radicalmente efficace, che ha il suo « peso » decisivo nell’impegno
formativo verso il sacerdozio? E come non gioire di fronte alla dignità di
ogni formatore umano, che si configura, in un certo senso, quale visibile rappresentante
di Cristo per il candidato al sacerdozio? Se la formazione al sacerdozio è
essenzialmente la preparazione del futuro « pastore » ad immagine di
Gesù Cristo buon Pastore, chi meglio di Gesù stesso, mediante l’effusione
del suo Spirito, può donare e portare a maturità quella carità
pastorale che egli ha vissuto sino al dono totale di sé 399 e che vuole sia
rivissuta da tutti i presbiteri?
Primo rappresentante di Cristo nella formazione sacerdotale è il Vescovo.
Si potrebbe dire del Vescovo, di ogni Vescovo, quanto l’evangelista Marco ci
dice nel testo più volte citato: « Chiamò a sé quelli
che volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero
con lui
e anche per mandarli… ».400 In realtà la chiamata interiore
dello Spirito ha bisogno di essere riconosciuta come autentica chiamata dal Vescovo.
Se tutti possono « andare » dal Vescovo perché Pastore
e Padre di tutti, lo possono in una maniera particolare i suoi presbiteri per la
comune partecipazione al medesimo sacerdozio e ministero: il Vescovo, dice il Concilio,
deve considerarli e trattarli come « fratelli e amici ».401 E questo,
in modo analogico, si può dire di quanti si preparano al sacerdozio. A proposito
dello stare con lui, con il Vescovo, risulta già quanto mai significativo
della sua responsabilità formativa nei riguardi dei candidati al sacerdozio
che il Vescovo li visiti spesso e in qualche modo « stia » con loro.
La presenza del Vescovo ha un valore particolare, non solo perché aiuta la
comunità del seminario a vivere il suo inserimento nella Chiesa particolare
e la sua comunione con il Pastore che la guida, ma anche perché autentica
e stimola quella finalità pastorale che costituisce lo specifico dell’intera
formazione dei candidati al sacerdozio. Soprattutto, con la sua presenza e con la
condivisione con i candidati al sacerdozio di tutto ciò che riguarda il cammino
pastorale della Chiesa particolare, il Vescovo offre un apporto fondamentale alla
formazione del « senso della Chiesa », quale valore spirituale e pastorale
centrale nell’esercizio del ministero sacerdotale.
66. La comunità educativa del seminario si articola attorno a diversi formatori:
il rettore, il direttore o padre spirituale, i superiori e i professori. Questi
devono sentirsi profondamente uniti al Vescovo, che a diverso titolo e in vario modo
lo rappresentano, e devono essere tra loro in convinta e cordiale comunione e collaborazione:
questa unità degli educatori non solo rende possibile un’adeguata realizzazione
del programma educativo, ma anche e soprattutto offre ai candidati al sacerdozio
l’esempio significativo e la concreta introduzione a quella comunione ecclesiale
che costituisce un valore fondamentale della vita cristiana e del ministero pastorale.
È evidente che gran parte dell’efficacia formativa dipende dalla personalità
matura e forte dei formatori sotto il profilo umano ed evangelico. Per questo diventano
particolarmente importanti, da un lato, la scelta accurata dei formatori e,
dall’altro, lo stimolo ai formatori perché si rendano costantemente sempre
più idonei al compito
loro affidato. Consapevoli che proprio nella
scelta e nella formazione dei formatori risiede l’avvenire della preparazione dei
candidati al sacerdozio, i Padri sinodali si sono soffermati a lungo nel precisare
l’identità degli educatori. In particolare hanno scritto: « Il compito
della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige non solo una qualche
preparazione speciale dei formatori, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale,
umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione nell’unità
per sviluppare il programma, così che sempre sia salvata l’unità nell’azione
pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo dei formatori dia testimonianza
di una vita veramente evangelica e di totale dedizione al Signore. È opportuno
che goda di una qualche stabilità ed abbia residenza abituale nella comunità
del seminario. Sia intimamente congiunto con il Vescovo, quale primo responsabile
della formazione dei sacerdoti ».402
I Vescovi per primi devono sentire la loro grave responsabilità circa la formazione
di coloro che saranno incaricati dell’educazione dei futuri presbiteri. Per questo
ministero devono essere scelti sacerdoti di vita esemplare, in possesso di diverse
qualità: « la maturità umana e spirituale, l’esperienza pastorale,
la competenza professionale, la stabilità nella propria vocazione, la capacità
alla collaborazione, la preparazione dottrinale nelle scienze umane (specialmente
la psicologia) corrispondente all’ufficio, la conoscenza dei modi per lavorare in
gruppo ».403
Fatte salve la distinzione tra foro interno e foro esterno, l’opportuna libertà
di scelta dei confessori e la prudenza e discrezione che convengono al ministero
del direttore spirituale, la comunità presbiterale degli educatori si senta
solidale nella responsabilità di educare i candidati al sacerdozio. Ad essa,
sempre in riferimento all’autorevole valutazione sintetica del Vescovo e del rettore,
spetta in primo luogo il compito di promuovere e verificare l’idoneità dei
candidati quanto alle doti spirituali, umane e intellettuali, soprattutto in riferimento
allo spirito di preghiera, all’assimilazione profonda della dottrina della fede,
alla capacità di autentica fraternità e al carisma del celibato.404
Tenendo presenti – come i Padri sinodali hanno pure ricordato – le indicazioni dell’Esortazione
« Christifideles Laici » e della Lettera Apostolica « Mulieris
Dignitatem »,405 che rilevano l’utilità di un sano influsso della spiritualità
laicale e del carisma della femminilità su ogni itinerario educativo, è
opportuno coinvolgere, in forme prudenti e adattate ai vari contesti culturali, la
collaborazione anche dei fedeli laici, uomini e donne, nell’opera formativa
dei futuri sacerdoti. Sono da scegliersi con cura, nel quadro delle leggi della Chiesa
e secondo i loro particolari carismi e le loro provate competenze. Dalla loro collaborazione,
opportunamente coordinata e integrata alle responsabilità educative primarie
dei formatori dei futuri presbiteri, è lecito attendersi benefici frutti per
una crescita equilibrata del senso della Chiesa e per una percezione più precisa
della propria identità sacerdotale da parte dei candidati al presbiterato.406
67. Quanti introducono e accompagnono i futuri sacerdoti nella sacra doctrina
con l’insegnamento teologico hanno una particolare responsabilità educativa,
che l’esperienza dice essere spesso più decisiva, nello sviluppo della personalità
presbiterale, di quella degli altri educatori.
La responsabilità degli insegnanti di teologia, prima che riguardare
il rapporto di docenza che devono instaurare con i candidati al sacerdozio, riguarda
la concezione che essi stessi devono avere della natura della teologia e del ministero
sacerdotale, come pure lo spirito e lo stile secondo cui devono sviluppare l’insegnamento
teologico. In questo senso i Padri sinodali hanno giustamente affermato che «
il teologo deve rimanere consapevole che con il suo insegnamento non si autorizza
da sé, ma deve aprire e comunicare l’intelligenza della fede ultimamente nel
nome del Signore e della Chiesa. In questo modo, il teologo, pur utilizzando tutte
le possibilità scientifiche, esercita il suo compito su mandato della Chiesa
e collabora con il Vescovo nel compito di insegnare. Poiché i teologi e i
Vescovi sono al servizio della stessa Chiesa nel promuovere la fede, devono sviluppare
e coltivare una reciproca fiducia e in questo spirito superare anche le tensioni
e i conflitti 407 ».408
L’insegnante di teologia, come ogni altro educatore, deve rimanere in comunione e
collaborare cordialmente con tutte le altre persone impegnate nella formazione dei
futuri sacerdoti e presentare con rigore scientifico, generosità, umiltà
e passione il suo contributo originale e qualificato, che non è solo la semplice
comunicazione di una dottrina – sia pure la sacra doctrina -, ma è
soprattutto l’offerta della prospettiva che unifica nel disegno di Dio tutti i diversi
saperi umani e le varie espressioni di vita.
In particolare, la specificità e l’incisività formativa degli insegnanti
di teologia si misura sul loro essere, anzitutto, « uomini di fede e pieni
di amore per la Chiesa, convinti che il soggetto adeguato della conoscenza del mistero
cristiano resta la Chiesa come tale, persuasi pertanto che il loro compito d’insegnare
è un autenico ministero ecclesiale, ricchi di senso pastorale per discernere
non solo i contenuti ma anche le forme adatte nell’esercizio di questo ministero.
In particolare, dagli insegnanti è richiesta la fedeltà piena al Magistero.
Insegnano, infatti, a nome della Chiesa e per questo sono testimoni della fede ».409
68. Le comunità da cui proviene il candidato al sacerdozio, pur con il necessario
distacco che la scelta vocazionale comporta, continuano ad esercitare un influsso
non indifferente sulla formazione del futuro sacerdote. Devono allora essere coscienti
della loro specifica parte di responsabilità.
È da ricordare, anzitutto, la famiglia: i genitori cristiani, come
anche i fratelli e le sorelle e gli altri membri del nucleo familiare, non dovranno
mai cercare di ricondurre il futuro presbitero negli angusti limiti di una logica
troppo umana, se non mondana, pur sostenuta da sincero affetto.410 Animati essi stessi
dal medesimo proposito di « compiere la volontà di Dio » sapranno,
invece, accompagnare il cammino formativo con la preghiera, il rispetto, il buon
esempio delle virtù domestiche e l’aiuto spirituale e materiale, soprattutto
nei momenti difficili. L’esperienza insegna che, in tanti casi, questo aiuto molteplice
si è rivelato decisivo per il candidato al sacerdozio. Anche nel caso di genitori
e familiari indifferenti o contrari alla scelta vocazionale, il confronto chiaro
e sereno con la loro posizione e gli stimoli che ne derivano possono essere di grande
aiuto, perché la vocazione sacerdotale maturi in modo più consapevole
e determinato.
In profondo collegamento con le famiglie sta la comunità parrocchiale,
e le une e l’altra si integrano sul piano dell’educazione alla fede; spesso poi
la parrocchia, con una specifica pastorale giovanile e vocazionale, esercita un ruolo
di supplenza nei riguardi della famiglia. Soprattutto, in quanto realizzazione locale
più immediata del mistero della Chiesa, la parrocchia offre un contributo
originale e particolarmente prezioso alla formazione del futuro sacerdote. La comunità
parrocchiale deve continuare a sentire come parte viva di sé il giovane in
cammino verso il sacerdozio, lo deve accompagnare con la preghiera, accogliere cordialmente
nei periodi di vacanza, rispettare e favorire nel formarsi della sua identità
presbiterale, offrendogli occasioni opportune e stimoli forti per provare la sua
vocazione alla missione sacerdotale.
Anche le associazioni e i movimenti giovanili, segno e conferma della vitalità
che lo Spirito assicura alla Chiesa, possono e devono contribuire alla formazione
dei candidati al sacerdozio, in particolare di quelli che escono dall’esperienza
cristiana, spirituale e apostolica di queste realtà aggregative. I giovani
che hanno ricevuto la loro formazione di base in tali aggregazioni e che si riferiscono
ad esse per la loro esperienza di Chiesa, non dovranno sentirsi invitati a sradicarsi
dal loro passato ed a interrompere le relazioni con l’ambiente che ha contribuito
al determinarsi della loro vocazione, né dovranno cancellare i tratti caratteristici
della spiritualità che là hanno imparato e vissuto, in tutto ciò
che di buono, edificante ed arricchente essi contengono.411 Anche per loro, questo
ambiente d’origine continua ad essere fonte di aiuto e di sostegno nel cammino formativo
verso il sacerdozio.
Le occasioni di educazione alla fede e di crescita cristiana ed ecclesiale, che lo
Spirito offre a tanti giovani, attraverso molteplici forme di gruppi, movimenti e
associazioni di varia ispirazione evangelica, devono essere sentite e vissute come
il dono di un’anima alimentatrice dentro l’istituzione e al suo servizio. Un movimento
o una spiritualità particolare, infatti, « non è una struttura
alternativa all’istituzione. È invece sorgente di una presenza che continuamente
ne rigenera l’autenticità esistenziale e storica. Il sacerdote deve perciò
trovare in un movimento la luce e il calore che lo rende capace di fedeltà
al suo Vescovo, che lo rende pronto alle incombenze dell’istituzione e attento alla
disciplina ecclesiastica, così che più fertile sia la vibrazione della
sua fede ed il gusto della sua fedeltà ».412
È quindi necessario che, nella nuova comunità del Seminario nella quale
sono riuniti dal Vescovo, i giovani provenienti da associazioni e da movimenti ecclesiali
imparino « il rispetto delle altre vie spirituali e lo spirito di dialogo e
di cooperazione », si riferiscano con coerenza e cordialità alle indicazioni
formative del Vescovo e agli educatori del Seminario, affidandosi con schietta fiducia
alla loro guida e alle loro valutazioni.413 Questo atteggiamento, infatti, prepara
e in qualche modo anticipa la genuina scelta presbiterale di servizio all’intero
Popolo di Dio, nella comunione fraterna del presbiterio e in obbedienza al Vescovo.
La partecipazione del seminarista e del presbitero diocesano a particolari spiritualità
o aggregazioni ecclesiali è certamente, in se stessa, un fattore benefico
di crescita e di fraternità sacerdotale. Ma questa partecipazione non deve
ostacolare, bensì aiutare l’esercizio del ministero e la vita spirituale che
sono propri del sacerdote diocesano, il quale « resta sempre il pastore dell’insieme.
Non solo è il “permanente”, disponibile a tutti, ma presiede all’incontro
di tutti – in particolare è a capo delle parrocchie – affinché tutti
trovino l’accoglienza che sono in diritto di attendere nella comunità e nell’Eucaristia
che li riunisce, qualunque sia la loro sensibilità religiosa e il loro impegno
pastorale ».414
69. Non si può dimenticare, infine, che lo stesso candidato al sacerdozio
deve dirsi protagonista necessario e insostituibile della sua formazione: ogni formazione,
anche quella sacerdotale, è ultimamente un’autoformazione. Nessuno, infatti,
può sostituirci nella libertà responsabile che abbiamo come singole
persone.
Certamente anche il futuro sacerdote, lui per primo, deve crescere nella consapevolezza
che il protagonista per antonomasia della sua formazione è lo Spirito Santo
che, con il dono del cuore nuovo, configura e assimila a Gesù Cristo buon
Pastore: in tal senso il candidato affermerà nella forma più radicale
la sua libertà nell’accogliere l’azione formativa dello Spirito. Ma accogliere
questa azione significa anche, da parte del candidato al sacerdozio, accogliere le
mediazioni umane di cui lo Spirito si serve. Per questo l’azione dei vari educatori
risulta veramente e pienamente efficace solo se il futuro sacerdote offre ad essa
la sua personale convinta e cordiale collaborazione.

CAPITOLO
VI

TI RICORDO DI RAVVIVARE IL DONO DI DIO CHE È IN TE

La formazione permanente dei sacerdoti

70. « Ti ricordo
di ravvivare il dono di Dio che è in te ».415
Le parole dell’Apostolo al vescovo Timoteo si possono legittimamente applicare a
quella formazione permanente alla quale sono chiamati tutti i sacerdoti in forza
del « dono di Dio » che hanno ricevuto con l’ordinazione sacra. Esse
ci introducono a cogliere la verità intera e l’originalità inconfondibile
della formazione permanente dei presbiteri. In questo siamo aiutati anche da un altro
testo di Paolo, che allo stesso Timoteo scrive: « Non trascurare il dono spirituale
che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti,
con l’imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. Abbi premura di
queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso.
Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo
salverai te stesso e coloro che ti ascoltano ».416
L’Apostolo chiede a Timoteo di « ravvivare », ossia di riaccendere come
si fa per il fuoco sotto la cenere, il dono divino, nel senso di accoglierlo e di
viverlo senza mai perdere o dimenticare quella « novità permanente »
che è propria di ogni dono di Dio, di Colui che fa nuove tutte le cose,417
e dunque di viverlo nella sua intramontabile freschezza e bellezza originaria.
Ma quel « ravvivare » non è solo l’esito di un compito affidato
alla responsabilità personale di Timoteo, non è solo il risultato di
un impegno della sua memoria e della sua volontà. È l’effetto di un
dinamismo di grazia intrinseco al dono di Dio: è Dio stesso, dunque, a ravvivare
il suo stesso dono, meglio, a sprigionare tutta la straordinaria ricchezza di grazia
e di responsabilità che in esso è racchiusa.
Con l’effusione sacramentale dello Spirito Santo che consacra e manda, il presbitero
viene configurato a Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e viene mandato
a compiere il ministero pastorale. In tal modo, il sacerdote è segnato per
sempre e in modo indelebile nel suo essere come ministro di Gesù e della Chiesa
ed è inserito in una condizione permanente e irreversibile di vita ed è
incaricato di un ministero pastorale che, radicato nell’essere, coinvolge tutta la
sua esistenza, ed è esso pure permanente. Il sacramento dell’Ordine conferisce
al sacerdote la grazia sacramentale, che lo rende partecipe non solo del «
potere » e del « ministero » salvifici di Gesù, ma anche
del suo « amore » pastorale; nello stesso tempo assicura al sacerdote
tutte quelle grazie attuali che gli verranno date ogniqualvolta saranno necessarie
e utili per il degno e perfetto compimento del ministero ricevuto.
La formazione permanente trova così il suo fondamento proprio e la sua motivazione
originale nel dinamismo del sacramento dell’Ordine.
Certo non mancano ragioni anche semplicemente umane che sollecitano il sacerdote
a realizzare una formazione permanente. Questa è un’esigenza della sua progressiva
realizzazione: ogni vita è un cammino incessante verso la maturità,
e questa passa attraverso la continua formazione. È esigenza, inoltre, del
ministero sacerdotale, sia pure colto nella sua natura generica e comune alle altre
professioni, e quindi come servizio rivolto agli altri: ora non c’è professione
o impegno o lavoro che non esiga un continuo aggiornamento, se vuole essere attuale
ed efficace. L’esigenza di « tenere il passo » con il cammino della storia
è un’altra ragione umana che giustifica la formazione permanente.
Ma queste ed altre ragioni vengono assunte e specificate dalle ragioni teologiche
ora ricordate e che si possono ulteriormente approfondire.
Il sacramento dell’Ordine, per la natura di « segno », che è
propria di tutti i sacramenti, può considerarsi, come realmente è,
Parola di Dio: è Parola di Dio che chiama e manda, è
l’espressione più forte della vocazione e della missione del sacerdote. Mediante
il sacramento dell’Ordine Dio chiama coram Ecclesia il candidato « al »
sacerdozio.
Il « vieni e seguimi » di Gesù trova la sua proclamazione
piena e definitiva nella celebrazione del sacramento della sua Chiesa: si manifesta
e si comunica attraverso la voce della Chiesa, che risuona sulle labbra del Vescovo
che prega e impone le mani. E il sacerdote dà risposta, nella fede, alla chiamata
di Gesù: « vengo e ti seguo ». Da questo momento ha inizio quella
risposta che, come scelta fondamentale, deve riesprimersi e riaffermarsi lungo gli
anni del sacerdozio in numerosissime altre risposte, tutte radicate e vivificate
dal « sì » dell’Ordine sacro.
In questo senso si può parlare di una vocazione « nel » sacerdozio.
In realtà Dio continua a chiamare e a mandare, rivelando il suo disegno
salvifico nello sviluppo storico della vita del sacerdote e nelle vicende della Chiesa
e della società. E proprio in questa prospettiva emerge il significato della
formazione permanente: essa è necessaria in ordine a discernere e a seguire
questa continua chiamata o volontà di Dio. Così l’apostolo Pietro è
chiamato a seguire Gesù anche dopo che il Risorto gli ha affidato il suo gregge:
« Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In verità,
in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo,
e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà
la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo gli disse per indicare
con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”
».418 C’è, dunque, un « seguimi » che accompagna la vita
e la missione dell’apostolo. È un « seguimi » che attesta l’appello
e l’esigenza della fedeltà sino alla morte,419 un « seguimi »
che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé
nel martirio.420
I Padri sinodali hanno espresso la ragione che giustifica la necessità della
formazione permanente e che nello stesso tempo ne rivela la natura profonda, qualificandola
come « fedeltà » al ministero sacerdotale e come
« processo di continua conversione ».421 È lo Spirito Santo,
effuso con il sacramento, che sostiene il presbitero in questa fedeltà e che
lo accompagna e lo stimola in questo cammino di incessante conversione. Il dono dello
Spirito non dispensa, ma sollecita la libertà del sacerdote, perché
cooperi responsabilmente e assuma la formazione permanente come compito che gli è
affidato. In tal modo la formazione permanente è espressione ed esigenza della
fedeltà del sacerdote al suo ministero, anzi al suo stesso essere. È
dunque amore a Gesù Cristo e coerenza con se stessi. Ma è anche atto
di amore verso il Popolo di Dio,
al cui servizio il sacerdote è posto.
Anzi, atto di vera e propria giustizia: egli è debitore verso il Popolo
di Dio, essendo chiamato a riconoscerne e a promuoverne il « diritto »,
quello fondamentale, di essere destinatario della Parola di Dio, dei Sacramenti e
del servizio della Carità, che sono il contenuto originale e irrinunciabile
del ministero pastorale del sacerdote. La formazione permanente è necessaria
perché il sacerdote sia in grado di rispondere, nel modo dovuto, a tale diritto
del Popolo di Dio.
Anima e forma della formazione permanente del sacerdote è la carità
pastorale:
lo Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce
e accompagna il sacerdote a conoscere sempre più profondamente il mistero
di Cristo che è insondabile nella sua ricchezza 422 e, di riflesso, a conoscere
il mistero del sacerdozio cristiano. La stessa carità pastorale spinge il
sacerdote a conoscere sempre più le attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità
dei destinatari del suo ministero: destinatari colti nelle loro concrete situazioni
personali, familiari, sociali.
A tutto questo tende la formazione permanente intesa come cosciente e libera proposta
al dinamismo della carità pastorale e dello Spirito Santo, che ne è
la sorgente prima e l’alimento continuo. In questo senso la formazione permanente
è un’esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto e si
rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere particolarmente
urgente, non solo per il rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli
uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella
« nuova evangelizzazione » che costituisce il compito essenziale e indilazionabile
della Chiesa alla fine del secondo millennio.
71. La formazione permanente dei sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, è
la continuazione naturale e assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione
della personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in Seminario
o nella Casa religiosa con il cammino formativo in vista dell’Ordinazione.
È di particolare importanza avvertire e rispettare l’intrinseco legame
che esiste tra la formazione precedente l’ordinazione e quella successiva.
Se,
infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra queste
due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi conseguenze sull’attività
pastorale e sulla comunione fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli
di differente età. La formazione permanente non è una ripetizione di
quella acquisita in Seminario, semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti
applicativi. Essa si sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso metodi relativamente
nuovi, come un fatto vitale unitario che, nel suo progresso – affondando le radici
nella formazione seminaristica – richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche,
senza però subire rotture o soluzioni di continuità.
E viceversa, fin dal Seminario Maggiore occorre preparare la futura formazione permanente,
e aprire ad essa l’animo e il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la necessità,
i vantaggi e lo spirito, e assicurando le condizioni del suo realizzarsi.
Proprio perché la formazione permanente è una continuazione di quella
del Seminario, il suo fine non può essere un puro atteggiamento per così
dire professionale, ottenuto con l’apprendimento di alcune tecniche pastorali nuove.
Deve essere piuttosto il mantenere vivo un generale e integrale processo di continua
maturazione, mediante l’approfondimento sia di ciascuna delle dimensioni della formazione
– umana, spirituale, intellettuale e pastorale -, sia del loro intimo e vivo collegamento
specifico, a partire dalla carità pastorale e in riferimento ad essa.
72. Un primo approfondimento riguarda la dimensione umana della formazione
sacerdotale. Nel contatto quotidiano con gli uomini, nella condivisione della loro
vita di ogni giorno, il sacerdote deve crescere e approfondire quella sensibilità
umana che gli permette di comprendere i bisogni ed accogliere le richieste, di intuire
le domande inespresse, di spartire le speranze e le attese, le gioie e la fatiche
del vivere comune; di essere capace di incontrare tutti e di dialogare con tutti.
Soprattutto conoscendo e condividendo, cioè facendo propria, l’esperienza
umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, dall’indigenza alla
malattia, dall’emarginazione all’ignoranza, alla solitudine, alle povertà
materiali e morali, il sacerdote arricchisce la propria umanità e la rende
più autentica e trasparente in un crescente e appassionato amore all’uomo.
Nel portare a maturità la sua formazione umana, il sacerdote riceve un particolare
aiuto dalla grazia di Gesù Cristo: la carità del buon Pastore, infatti,
si è espressa non solo con il dono della salvezza agli uomini, ma anche con
la condivisione della loro vita, della quale il Verbo, che si è fatto «
carne »,423 ha voluto conoscere la gioia e la sofferenza, sperimentare la fatica,
spartire le emozioni, consolare la pena. Vivendo da uomo fra gli uomini e con gli
uomini, Gesù Cristo offre la più assoluta, genuina e perfetta espressione
di umanità: lo vediamo far festa alle nozze di Cana, frequentare una famiglia
di amici, commuoversi per la folla affamata che lo segue, restituire figli malati
o morti ai genitori, piangere la perdita di Lazzaro…
Del sacerdote, maturato sempre più nella sua sensibilità umana, il
Popolo di Dio deve poter dire qualcosa di analogo a quanto di Gesù dice la
Lettera agli Ebrei: « Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire
le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza
di noi, escluso il peccato ».424
La formazione del presbitero nella sua dimensione spirituale è un’esigenza
della vita nuova ed evangelica alla quale egli è chiamato in modo specifico
dallo Spirito Santo effuso nel sacramento dell’Ordine. Lo Spirito, consacrando il
sacerdote e configurandolo a Gesù Cristo Capo e Pastore, crea un legame che,
situato nell’essere stesso del sacerdote, chiede di essere assimilato e vissuto in
maniera personale, cioè cosciente e libera, mediante una comunione di vita
e di amore sempre più ricca e una condivisione sempre più ampia e radicale
dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesù Cristo. In questo legame tra
il Signore Gesù e il sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale
e morale, sta il fondamento e nello stesso tempo la forza per quella « vita
secondo lo Spirito » e per quel « radicalismo evangelico » al quale
è chiamato ogni sacerdote e che viene favorito dalla formazione permanente
nel suo aspetto spirituale. Questa formazione risulta necessaria anche in ordine
al ministero sacerdotale, alla sua autenticità e fecondità spirituale.
« Eserciti la cura d’anime? », si chiedeva san Carlo Borromeo. E così
rispondeva nel discorso rivolto ai sacerdoti: « Non trascurare per questo la
cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di
te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore,
ma non dimenticarti di te stesso. Comprendete, fratelli, che niente è così
necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna
e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò.425
Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la
Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di
che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e “tutto
si faccia tra voi nella carità”.426 Così potremo superare le difficoltà
che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è
richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare
Cristo in noi e negli altri ».427
In particolare la vita di preghiera dev’essere continuamente « riformata »
nel sacerdote. L’esperienza, infatti, insegna che nell’orazione non si vive di rendita:
ogni giorno occorre, non solo riconquistare la fedeltà esteriore ai momenti
di preghiera, soprattutto a quelli destinati alla celebrazione della « Liturgia
delle Ore » e a quelli lasciati alla scelta personale e non sostenuti da scadenze
e orari del servizio liturgico, ma anche e specialmente rieducare la continua ricerca
di un vero incontro personale con Gesù, di un fiducioso colloquio con il Padre,
di una profonda esperienza dello Spirito.
Quanto l’apostolo Paolo dice di tutti i credenti, che devono giungere « a formare
l’uomo maturo, al livello di statura che attua la pienezza del Cristo »,428
può essere applicato in modo specifico ai sacerdoti chiamati alla perfezione
della carità e quindi alla santità, anche perché il loro stesso
ministero pastorale li vuole modelli viventi per tutti i fedeli.
Anche la dimensione intellettuale della formazione chiede di essere continuata
e approfondita durante tutta la vita del sacerdote, in particolare mediante lo studio
e l’aggiornamento culturale serio ed impegnato. Partecipe della missione profetica
di Gesù e inserito nel mistero della Chiesa Maestra di verità, il sacerdote
è chiamato a rivelare in Gesù Cristo agli uomini il volto di Dio, e
con ciò il vero volto dell’uomo.429 Ma questo esige che il sacerdote stesso
ricerchi tale volto e lo contempli con venerazione e amore:430 solo così lo
può far conoscere agli altri. In particolare la continuazione dello studio
teologico risulta anche necessaria perché il sacerdote possa adempiere con
fedeltà il ministero della Parola, annunciandola senza confusioni e ambiguità,
distinguendola dalle semplici opinioni umane, anche se rinomate e diffuse. Così
potrà porsi veramente al servizio del Popolo di Dio, aiutandolo a rendere
ragione, a quanti lo chiedono, della speranza cristiana.431 Inoltre, « il sacerdote,
nell’applicarsi con coscienza e costanza allo studio teologico, è in grado
di assimilare in forma sicura e personale la genuina ricchezza ecclesiale. Può
quindi compiere la missione, che lo impegna nel rispondere alle difficoltà
circa l’autentica dottrina cattolica, e superare l’inclinazione, propria e altrui,
al dissenso e all’atteggiamento negativo riguardo al Magistero e alla Tradizione
».432
L’aspetto pastorale della formazione permanente è bene espresso dalle
parole dell’apostolo Pietro: « Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola
a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio
».433 Per vivere ogni giorno secondo la grazia ricevuta occorre che il sacerdote
sia sempre più aperto ad accogliere la carità pastorale di Gesù
Cristo, donatagli dal suo Spirito con il sacramento ricevuto. Come tutta l’attività
del Signore è stata il frutto e il segno della carità pastorale, così
deve essere anche per l’operosità ministeriale del sacerdote. La carità
pastorale è un dono e, insieme, un compito, una grazia e una responsabilità
alla quale occorre essere fedeli: occorre cioè accoglierla e viverne il dinamismo
sino alle esigenze più radicali. Questa stessa carità pastorale, come
si è detto, spinge e stimola il sacerdote a conoscere sempre meglio la condizione
reale degli uomini ai quali è mandato, a discernere nelle circostanze storiche
nelle quali è inserito gli appelli dello Spirito, a ricercare i metodi più
adatti e le forme più utili per esercitare oggi il suo ministero. Così
la carità pastorale anima e sostiene gli sforzi umani del sacerdote per un’operosità
pastorale che sia attuale, credibile ed efficace. Ma ciò esige una permanente
formazione pastorale.
Il cammino verso la maturità non richiede solo che il sacerdote continui ad
approfondire le diverse dimensioni della sua formazione, ma anche e soprattutto che
sappia integrare sempre più armonicamente tra loro queste stesse dimensioni,
raggiungendone progressivamente l’unità interiore: ciò sarà
reso possibile dalla carità pastorale. Questa, infatti, non solo coordina
e unifica i diversi aspetti, ma li specifica connotandoli come aspetti della formazione
del sacerdote in quanto tale, ossia del sacerdote come trasparenza, immagine viva,
ministro di Gesù buon Pastore.
La formazione permanente aiuta il sacerdote a superare la tentazione di ricondurre
il suo ministero ad un attivismo fine a se stesso, ad una impersonale prestazione
di cose, sia pure spirituali o sacre, ad una funzione impiegatizia al servizio dell’organizzazione
ecclesiastica. Solo la formazione permanente aiuta il prete a custodire con vigile
amore il « mistero » che porta in sé per il bene della Chiesa
e dell’umanità.

73. Le diverse e complementari dimensioni della formanzione permanente ci aiutano
a coglierne il significato profondo: essa tende ad aiutare il prete ad essere
e a fare il prete nello spirito e secondo lo stile di Gesù buon
Pastore.
La verità è da farsi! Così ci ammonisce san Giacomo: «
Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo
voi stessi ».434 I sacerdoti sono chiamati a « fare la verità
» del loro essere, ossia a vivere « nella carità » 435 la
loro identità e il loro ministero nella Chiesa e per la Chiesa. Sono chiamati
a prendere coscienza sempre più viva del dono di Dio, a farne continua memoria.
È questo l’invito di Paolo a Timoteo: « Custodisci il buon deposito
con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi ».436
Nel contesto ecclesiologico più volte ricordato si può considerare
il significato profondo della formazione permanente del sacerdote in ordine alla
sua presenza e azione nella Chiesa mysterium, communio et missio.
Entro la Chiesa « mistero » il sacerdote è chiamato, mediante
la formazione permanente, a conservare e sviluppare nella fede la coscienza della
verità intera e sorprendente del suo essere:
egli è ministro di
Cristo e amministratore dei misteri di Dio.437 Paolo chiede espressamente ai cristiani
che lo considerino secondo questa identità; ma lui stesso, per primo, vive
nella consapevolezza del dono sublime ricevuto dal Signore. Così dev’essere
di ogni sacerdote, se vuole rimanere nella verità del suo essere. Ma ciò
è possibile solo nella fede, solo con lo sguardo e con gli occhi di Cristo.
In questo senso si può dire che la formazione permanente tende a far sì
che il prete sia un credente e lo diventi sempre più: che si veda sempre
nella sua verità, con gli occhi di Cristo. Egli deve custodire questa verità
con amore grato e gioioso. Deve rinnovare la sua fede quando esercita il ministero
sacerdotale: sentirsi ministro di Gesù Cristo, sacramento dell’amore di Dio
per l’uomo, ogniqualvolta è tramite e strumento vivo del conferimento della
grazia di Dio agli uomini. Deve riconoscere questa stessa verità nei confratelli:
è il principio della stima e dell’amore verso gli altri sacerdoti.
74. La formazione permanente aiuta il sacerdote, entro la Chiesa « comunione
»,
a maturare la coscienza che il suo ministero è ultimamente ordinato
a riunire la famiglia di Dio come fraternità animata dalla carità
e a condurla al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.438
Il sacerdote deve crescere nella consapevolezza della profonda comunione che lo
lega al Popolo di Dio:
non è soltanto « davanti » alla Chiesa,
ma anzitutto « nella » Chiesa. È fratello tra fratelli. Con il
Battesimo, insignito della dignità e della libertà dei figli di Dio
nel Figlio unigenito, il sacerdote è membro dello stesso e unico Corpo di
Cristo.439 La coscienza di questa comunione sfocia nel bisogno di suscitare e sviluppare
la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con
la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito
offre ai credenti per l’edificazione della Chiesa. È soprattutto nel compimento
del ministero pastorale, per sua natura ordinato al bene del Popolo di Dio, che il
sacerdote deve vivere e testimoniare la sua profonda comunione con tutti, come scriveva
Paolo VI: « Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo
essere loro pastori, padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi
il servizio ».440
In modo più specifico il sacerdote è chiamato a maturare la coscienza
dell’essere membro della Chiesa particolare nella quale è incardinato,
ossia inserito con un legame insieme giuridico, spirituale e pastorale. Una simile
coscienza suppone e sviluppa l’amore particolare alla propria Chiesa. Questa, in
realtà, è il termine vivo e permanente della carità pastorale
che deve accompagnare la vita del prete e che lo conduce a condividere di questa
stessa Chiesa particolare la storia o esperienza di vita nelle sue ricchezze e fragilità,
nelle sue difficoltà e speranze, a lavorare in essa per la sua crescita. Sentirsi,
dunque, insieme arricchiti dalla Chiesa particolare e impegnati attivamente alla
sua edificazione, prolungando, ciascun sacerdote e con gli altri, quell’operosità
pastorale che ha contraddistinto i confratelli che li hanno preceduti. Un’esigenza
insopprimibile della carità pastorale verso la propria Chiesa particolare
e il suo domani ministeriale è la sollecitudine che il sacerdote deve avere
di trovare, per così dire, qualcuno che lo sostituisca nel sacerdozio.
Il sacerdote deve maturare nella coscienza della comunione che sussiste tra le
diverse Chiese particolari,
una comunione radicata nel loro stesso essere di
Chiese che vivono in loco la Chiesa unica e universale di Cristo. Una simile coscienza
di comunione interecclesiale favorirà lo « scambio dei doni »,
a cominciare dai doni vivi e personali, quali sono gli stessi sacerdoti. Di qui
la disponibilità, anzi l’impegno generoso per il realizzarsi di una equa distribuzione
del clero.441 Tra queste Chiese particolari sono da ricordarsi quelle che «
prive di libertà, non possono avere vocazioni proprie », come pure le
« Chiese recentemente uscite dalla persecuzione e quelle povere alle quali
sono stati dati già per lungo tempo e da parte di molti degli aiuti con animo
grande e fraterno, e tuttora vengono dati ».442
All’interno della comunione ecclesiale, il sacerdote è chiamato in particolare
a crescere, nella sua formazione permanente, nel e con il proprio presbiterio
unito al Vescovo.
Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium:
infatti è una realtà soprannaturale perché si radica nel sacramento
dell’Ordine. Questo è la sua fonte, la sua origine. È il « luogo
» della sua nascita e della sua crescita. Infatti, « i presbiteri mediante
il sacramento dell’Ordine sono collegati con un vincolo personale e indissolubile
con Cristo unico sacerdote. L’Ordine viene conferito ad essi come singoli, ma sono
inseriti nella comunione del presbiterio congiunto con il Vescovo 443 ».444
Questa origine sacramentale si riflette e si prolunga nell’ambito dell’esercizio
del ministero presbiterale: dal mysterium al ministerium. « L’unità
dei presbiteri con il Vescovo e tra di loro non si aggiunge dall’esterno alla natura
propria del loro servizio, ma ne esprime l’essenza in quanto è la cura di
Cristo sacerdote nei riguardi del Popolo adunato dall’unità della Santissima
Trinità ».445 Questa unità presbiterale, vissuta nello spirito
della carità pastorale, rende i sacerdoti testimoni di Gesù Cristo,
che ha pregato il Padre « perché tutti siano una cosa sola ».446
La fisionomia del presbiterio è, dunque, quella di una vera famiglia,
di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue,
ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani,
psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande,
penetra e si rivela e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco,
non solo quelle spirituali ma anche quelle materiali. La fraternità presbiterale
non esclude nessuno, ma può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evangeliche,
riservate a chi ha più grande bisogno di aiuto o di incoraggiamento. Tale
fraternità « ha una cura speciale per i giovani presbiteri, tiene un
cordiale e fraterno dialogo con quelli di media e maggior età e con quelli
che per ragioni diverse sperimentano difficoltà; anche i sacerdoti che hanno
abbandonato questa forma di vita o che non la seguono, non solo non li abbandona
ma li segue ancor più con fraterna sollecitudine ».447
Dell’unico presbiterio fanno parte, a titolo diverso, anche i presbiteri religiosi
residenti e operanti in una Chiesa particolare. La loro presenza costituisce
un arricchimento per tutti i sacerdoti e i vari carismi particolari da essi vissuti,
mentre sono un richiamo perché i presbiteri crescano nella comprensione del
sacerdozio stesso, contribuiscono a stimolare e ad accompagnare la formazione permanente
dei sacerdoti. Il dono della vita religiosa, nella compagine diocesana, quando è
accompagnato da sincera stima e da giusto rispetto delle particolarità di
ogni istituto e di ogni tradizione spirituale, allarga l’orizzonte della testimonianza
cristiana e contribuisce in vario modo ad arricchire la spiritualità sacerdotale,
soprattutto in riferimento al corretto rapporto e al reciproco influsso tra i valori
della Chiesa particolare e quelli dell’universalità del Popolo di Dio. Da
parte loro, i religiosi saranno attenti a garantire uno spirito di vera comunione
ecclesiale, una partecipazione cordiale al cammino della Diocesi e alle scelte pastorali
del Vescovo, mettendo volentieri a disposizione il proprio carisma per l’edificazione
di tutti nella carità.448
Infine, nel contesto della Chiesa comunione e del presbiterio si può meglio
affrontare il problema della solitudine del sacerdote, sulla quale si sono
fermati i Padri sinodali. Si dà una solitudine che fa parte dell’esperienza
di tutti e che è qualcosa di assolutamente normale. Ma si dà anche
una solitudine che nasce da difficoltà varie e che a sua volta provoca ulteriori
difficoltà. In questo senso, « l’attiva partecipazione al presbiterio
diocesano, i contatti regolari con il Vescovo e con gli altri sacerdoti, la mutua
collaborazione, la vita comune o fraterna tra sacerdoti, come anche l’amicizia e
la cordialità con i fedeli laici che sono attivi nelle parrocchie, sono mezzi
molto utili per superare gli effetti negativi della solitudine che alcune volte il
sacerdote può sperimentare ».449
La solitudine non crea però solo difficoltà, offre anche opportunità
positive per la vita del sacerdote: « Accettata in spirito di offerta e ricercata
nell’intimità con Gesù Cristo Signore, la solitudine può essere
un’opportunità per l’orazione e lo studio, come pure un aiuto per la santificazione
e la crescita umana ».450
Senza dire che una certa forma di solitudine è elemento necessario per la
formazione permanente. Gesù sapeva ritirarsi, spesso, da solo a pregare.451
La capacità di reggere una buona solitudine è condizione indispensabile
alla cura della vita interiore. Si tratta di una solitudine abitata dalla presenza
del Signore, che ci mette in contatto, nella luce dello Spirito, con il Padre. In
questo senso, la cura del silenzio e la ricerca di spazi e tempi di « deserto
» sono necessari alla formazione permanente sia in campo intellettuale, sia
in campo spirituale e pastorale. In questo senso ancora, si può affermare
che non è capace di vera e fraterna comunione chi non sa vivere bene la propria
solitudine.
75. La formazione permanente è destinata a far crescere nel sacerdote la
coscienza della sua partecipazione alla missione salvifica della Chiesa.
Nella
Chiesa « missione » la formazione permanente del sacerdote entra non
solo come necessaria condizione, ma anche come mezzo indispensabile per rimettere
costantemente a fuoco il senso della missione e per garantirne una realizzazione
fedele e generosa. Con tale formazione il sacerdote è aiutato ad avvertire
tutta la gravità, ma nello stesso tempo la splendida grazia, da un lato, di
un’obbligazione che non lo può lasciare tranquillo – come Paolo deve poter
dire: « Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere.
Guai a me se non predicassi il Vangelo! » 452 – e, dall’altro lato, di una
richiesta, esplicita o implicita, che prepotente viene dagli uomini, che Dio instancabilmente
chiama alla salvezza.
Solo un’adeguata formazione permanente riesce a sostenere il sacerdote in ciò
che è essenziale e decisivo per il suo ministero, ossia la fedeltà,
come scrive l’apostolo Paolo: « Ora, quanto si richiede negli amministratori
(dei misteri di Dio) è che ognuno risulti fedele ».453 Il sacerdote
dev’essere fedele, nonostante le più diverse difficoltà incontrate,
anche nelle condizioni più disagiate o di comprensibile stanchezza, con tutte
le energie di cui dispone, e sino alla fine della vita. La testimonianza di Paolo
dev’essere di esempio e di stimolo per ogni sacerdote: « Da parte nostra –
scrive ai cristiani di Corinto – non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché
non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri
di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce,
nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni;
con purezza, sapienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con
parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra
e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo
ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi;
moribondi, ed ecco viviamo; puniti ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti;
poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto
».454
76. La formazione permanente, proprio perché « permanente », deve
accompagnare i sacerdoti sempre, quindi in ogni periodo e condizione della
loro vita, come pure ad ogni livello di responsabilità ecclesiale: evidentemente
con quelle possibilità e caratteristiche che si collegano al variare dell’età,
della condizione di vita e dei compiti affidati.
La formazione permanente è dovere, anzitutto, per i giovani sacerdoti:
deve avere quella frequenza e quella sistematicità di incontri che, mentre
prolungano la serietà e la solidità della formazione ricevuta in seminario,
introducono progressivamente i giovani a comprendere e a vivere la singolare ricchezza
del « dono » di Dio – il sacerdozio – e ad esprimere le loro potenzialità
e attitudini ministeriali, anche mediante un inserimento sempre più convinto
e responsabile nel presbiterio, e quindi nella comunione e nella corresponsabilità
con tutti i confratelli.
Se si può comprendere un certo senso di « sazietà » che
può prendere il giovane prete appena uscito dal seminario di fronte a nuovi
momenti di studio e di incontro, si deve respingere come assolutamente falsa e pericolosa
l’idea che la formazione presbiterale si concluda con il terminare della presenza
in seminario.
Partecipando agli incontri della formazione permanente i giovani sacerdoti potranno
offrirsi un reciproco aiuto con lo scambio di esperienze e di riflessioni sulla traduzione
concreta di quell’ideale presbiterale e ministeriale che hanno assimilato negli anni
del seminario. Nello stesso tempo la loro attiva partecipazione agli incontri formativi
del presbiterio potrà essere di esempio e di stimolo agli altri sacerdoti
che sono più avanti negli anni, testimoniando così il proprio amore
all’intero presbiterio e la propria passione per la Chiesa particolare bisognosa
di sacerdoti ben formati.
Per accompagnare i sacerdoti giovani in questa prima delicata fase della loro vita
e del loro ministero, è quanto mai opportuno, se non addirittura necessario
oggi, creare un’apposita struttura di sostegno, con guide e maestri appropriati,
nella quale essi possano trovare, in modo organico e continuativo, gli aiuti necessari
ad iniziare bene il loro servizio sacerdotale. In occasione di incontri periodici,
sufficientemente lunghi e frequenti, possibilmente condotti in un ambiente comunitario,
in modo residenziale, saranno loro garantiti momenti preziosi di riposo, di preghiera,
di riflessione e di scambio fraterno. Sarà così per loro più
facile dare, fin dall’inizio, un’impostazione evangelicamente equilibrata alla loro
vita presbiterale. E se le singole Chiese particolari non potessero offrire questo
servizio ai propri giovani sacerdoti, sarà opportuno che si uniscano tra loro
le Chiese vicine e insieme investano risorse ed elaborino programmi adatti.
77. La formazione permanente costituisce un dovere anche per i presbiteri di mezza
età.
In realtà, sono molteplici i rischi che possono correre, proprio
in ragione dell’età, come ad esempio un attivismo esagerato e una certa routine
nell’esercizio del ministero. Così il sacerdote è tentato di presumere
di sé, come se la propria personale esperienza, ormai collaudata, non dovesse
più confrontarsi con nulla e con nessuno. Non di rado, il sacerdote adulto
soffre di una specie di stanchezza interiore pericolosa, segno di una delusione rassegnata
di fronte alle difficoltà e agli insuccessi. La risposta a questa situazione
è data dalla formazione permanente, da una continua ed equilibrata revisione
di sé e del proprio agire, dalla ricerca costante di motivazioni e di strumenti
per la propria missione: così il sacerdote manterrà lo spirito vigile
e pronto alle perenni e pure sempre nuove istanze di salvezza che ciascuno pone al
prete, « uomo di Dio ».
La formazione permanente deve interessare anche quei presbiteri che per l’età
avanzata sono indicati come anziani e che in alcune Chiese sono la parte più
numerosa del presbiterio. Questo deve riservare loro gratitudine per il fedele servizio
che hanno riservato a Cristo e alla Chiesa e concreta solidarietà per la loro
condizione. Per questi presbiteri la formazione permanente non comporterà
tanto impegni di studio, di aggiornamento e di dibattito culturale, quanto la conferma
serena e rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel presbiterio:
non solo per il proseguimento, sia pure in forme diverse, del ministero pastorale,
ma anche per la possibilità che essi hanno, grazie alla loro esperienza di
vita e di apostolato, di diventare loro stessi validi maestri e formatori di altri
sacerdoti.
Anche i sacerdoti, che per le fatiche o le malattie si trovano in una condizione
di debilitazione fisica o di stanchezza morale,
possono essere aiutati da una
formazione permanente che li stimoli a proseguire in modo sereno e forte il loro
servizio alla Chiesa, a non isolarsi né dalla comunità né dal
presbiterio, a ridurre l’attività esterna per dedicarsi a quegli atti di relazione
pastorale e di personale spiritualità capaci di sostenere le motivazioni e
la gioia del loro sacerdozio. La formazione permanente li aiuterà, in particolare,
a mantenere viva quella convinzione che essi stessi hanno inculcato nei fedeli, la
convinzione cioè di continuare ad essere membri attivi nell’edificazione della
Chiesa anche e specialmente in forza della loro unione a Gesù Cristo sofferente
e a tanti altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione
del Signore, rivivendo l’esperienza spirituale di Paolo che diceva: « Sono
lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa ».455
78. Le condizioni in cui spesso e in più parti si svolge attualmente il ministero
dei presbiteri non rendono facile un impegno serio di formazione: il moltiplicarsi
dei compiti e dei servizi, la complessità della vita umana in genere e di
quella delle comunità cristiane in particolare, l’attivismo e l’affanno tipico
di tante aree della nostra società privano spesso i sacerdoti del tempo e
delle energie indispensabili a « vigilare su se stessi ».456
Questo deve far crescere in tutti la responsabilità, cosicché le difficoltà
siano superate, anzi diventino una sfida per elaborare e realizzare una formazione
permanente che risponda in modo adeguato alla grandezza del dono di Dio e alla gravità
delle richieste ed esigenze del nostro tempo.
I responsabili della formazione permanente dei sacerdoti sono da ricercare nella
Chiesa « comunione ». In tal senso, è l’intera Chiesa particolare
che, sotto la guida del Vescovo, viene investita della responsabilità
di stimolare e di curare in vari modi la formazione permanente dei sacerdoti. Questi
non sono per se stessi, ma per il Popolo di Dio: per questo, la formazione permanente,
mentre assicura la maturità umana, spirituale, intellettuale e pastorale dei
sacerdoti, si risolve in un bene di cui è destinatario lo stesso Popolo di
Dio. Del resto, lo stesso esercizio del ministero pastorale conduce ad un continuo
e fecondo scambio reciproco tra la vita di fede dei presbiteri e quella dei fedeli.
Proprio la condivisione di vita tra il presbitero e la comunità, se
sapientemente condotta e utilizzata, costituisce un fondamentale contributo alla
formazione permanente, peraltro non riconducibile a qualche episodio o iniziativa
isolata, ma estesa e attraversante tutto il ministero e la vita del presbitero.
Infatti, l’esperienza cristiana delle persone semplici e umili, gli slanci spirituali
delle persone innamorate di Dio, le applicazioni coraggiose della fede alla vita
da parte dei cristiani impegnati nelle varie responsabilità sociali e civili,
vengono accolti dal presbitero che, mentre li illumina con il suo servizio sacerdotale,
ne ricava un prezioso alimento spirituale. Anche i dubbi, le crisi e i ritardi di
fronte alle più svariate condizioni personali e sociali, le tentazioni di
rifiuto o di disperazione nel momento del dolore, della malattia, della morte: insomma,
tutte le circostanze difficili che gli uomini incontrano sul cammino della fede,
vengono fraternamente vissute e sinceramente sofferte nel cuore del presbitero che,
nel cercare le risposte per gli altri, è continuamente stimolato a trovarle
innanzitutto per sé.
Così l’intero Popolo di Dio, in tutti i suoi membri, può e deve offrire
un prezioso aiuto alla formazione permanente dei suoi sacerdoti. In questo senso
deve lasciare ai sacerdoti spazi di tempo per lo studio e per la preghiera, chiedere
loro ciò per cui sono stati mandati da Cristo e non altro, offrire collaborazione
nei vari ambiti della missione pastorale, specialmente in quelli attinenti la promozione
umana e il servizio della carità, assicurare rapporti cordiali e fraterni
con loro, agevolare nei sacerdoti la coscienza di non essere « padroni della
fede » ma « collaboratori della gioia » di tutti i fedeli.457
La responsabilità formativa della Chiesa particolare nei riguardi dei sacerdoti
si concretizza e si specifica in rapporto ai diversi membri che la compongono, a
cominciare dal sacerdote stesso.
79. In un certo senso, è proprio lui, il singolo sacerdote, il primo
responsabile nella Chiesa della formazione permanente:
in realtà su ciascun
sacerdote incombe il dovere, radicato nel sacramento dell’Ordine, di essere fedele
al dono di Dio e al dinamismo di conversione quotidiana che viene dal dono stesso.
I regolamenti o le norme dell’autorità ecclesiastica al riguardo, come pure
lo stesso esempio degli altri sacerdoti, non bastano a rendere appetibile la formazione
permanente, se il singolo non è personalmente convinto della sua necessità
e non è determinato a valorizzarne le occasioni, i tempi, le forme. La formazione
permanente mantiene la « giovinezza » dello spirito, che nessuno può
imporre dall’esterno, ma che ciascuno deve ritrovare continuamente dentro se stesso.
Solo chi conserva sempre vivo il desiderio di imparare e di crescere possiede questa
« giovinezza ».
Fondamentale è la responsabilità del Vescovo, e con lui del
presbiterio. Quella del Vescovo si fonda sul fatto che i presbiteri ricevono
attraverso di lui il loro sacerdozio e condividono con lui la sollecitudine pastorale
verso il Popolo di Dio. Egli è responsabile di quella formazione permanente
che è destinata a far sì che tutti i suoi presbiteri siano generosamente
fedeli al dono e al ministero ricevuto, così come il Popolo di Dio li vuole
e ha « diritto » di averli. Questa responsabilità conduce il Vescovo,
in comunione con il presbiterio, a delineare un progetto e a stabilire una programmazione
capaci di configurare la formazione permanente non come qualcosa di episodico, ma
come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di
modalità precise. Il Vescovo vivrà la sua responsabilità, non
soltanto assicurando al suo presbiterio luoghi e momenti di formazione permanente,
ma rendendosi presente personalmente e partecipandovi in modo convinto e cordiale.
Spesso sarà opportuno, o anche necessario, che i Vescovi di più diocesi
confinanti o di una regione ecclesiastica si accordino tra loro ed uniscano le loro
forze per poter offrire iniziative più qualificate e veramente stimolanti
per la formazione permanente, come sono i corsi di aggiornamento biblico, teologico
e pastorale, le settimane residenziali, i cicli di conferenze, i momenti di riflessione
e di verifica sul cammino pastorale del presbiterio e della comunità ecclesiale.
Il Vescovo assolverà la sua responsabilità sollecitando anche l’apporto
che può venire dalle facoltà e dagli istituti teologici e pastorali,
dai seminari, dagli organismi o federazioni che riuniscono persone – sacerdoti, religiosi
e fedeli laici – impegnate nella formazione presbiterale.
Nell’ambito della Chiesa particolare un posto significativo è riservato alle
famiglie: ad esse, infatti, nella loro dimensione di « chiese domestiche
», fa riferimento concreto la vita delle comunità ecclesiali animate
e guidate dai sacerdoti. In particolare è da rilevarsi il ruolo della famiglia
d’origine. Questa, in unione e in comunione di intenti, può offrire alla missione
del figlio un proprio specifico importante contributo. Portando a compimento il piano
provvidenziale che l’ha voluta culla del germe vocazionale, indispensabile aiuto
per la sua crescita e il suo sviluppo, la famiglia del sacerdote, nel più
assoluto rispetto di questo figlio che ha scelto di donarsi a Dio e al prossimo,
deve rimanere sempre come fedele, incoraggiante testimone della sua missione, affiancandola
e condividendola con dedizione e rispetto.
80. Se ogni momento può essere un « tempo favorevole » 458 nel
quale lo Spirito Santo conduce il sacerdote ad una diretta crescita nella preghiera,
nello studio e nella coscienza delle proprie responsabilità pastorali, ci
sono però momenti « privilegiati », anche se più comuni
e prestabiliti.
Sono qui da ricordarsi, anzitutto, gli incontri del Vescovo con il suo presbiterio,
siano essi liturgici (in particolare la concelebrazione della Messa Crismale
del Giovedì Santo), siano essi pastorali e culturali, in ordine cioè
al confronto sull’attività pastorale o allo studio su determinati problemi
teologici.
Ci sono poi gli incontri di spiritualità sacerdotale, come gli esercizi
spirituali, le giornate di ritiro e di spiritualità, ecc. Sono un’occasione
per una crescita spirituale e pastorale, per una preghiera più prolungata
e calma, per un ritorno alle radici dell’essere prete, per ritrovare freschezza di
motivazioni per la fedeltà e lo slancio pastorale.
Importanti sono anche gli incontri di studio e di riflessione comune: impediscono
l’impoverimento culturale e l’arroccamento su posizioni di comodo anche in campo
pastorale, frutto di pigrizia mentale; assicurano una sintesi più matura tra
i diversi elementi della vita spirituale, culturale e apostolica; aprono la mente
e il cuore alle nuove sfide della storia e ai nuovi appelli che lo Spirito rivolge
alla Chiesa.
81. Molteplici sono gli aiuti e i mezzi di cui ci si può servire perché
la formazione permanente diventi sempre più una preziosa esperienza vitale
per i sacerdoti. Tra questi ricordiamo le diverse forme di vita comune tra
i sacerdoti, sempre presenti, anche se in modalità e intensità differenti,
nella storia della Chiesa: « Oggi non si può non raccomandarle, soprattutto
tra coloro che vivono o sono impegnati pastoralmente nello stesso luogo. Oltre che
a giovare alla vita e all’azione apostolica, questa vita comune del clero offre a
tutti, compresbiteri e laici, un esempio luminoso di carità e di unità
».459
Altro aiuto può essere dato dalle associazioni sacerdotali, in particolare
dagli istituti secolari sacerdotali, che presentano come nota specifica la diocesanità,
in forza della quale i sacerdoti si uniscono più strettamente al Vescovo e
costituiscono « uno stato di consacrazione nel quale i sacerdoti mediante voti
o altri legami sacri sono consacrati ad incarnare nella vita i consigli evangelici
».460 Tutte le forme di « fraternità sacerdotale » approvate
dalla Chiesa sono utili non solo per la vita spirituale, ma anche per la vita apostolica
e pastorale.
Anche la pratica della direzione spirituale contribuisce non poco a favorire
la formazione permanente dei sacerdoti. È un mezzo classico, che nulla ha
perso di preziosità non solo per assicurare la formazione spirituale, ma anche
per promuovere e sostenere una continua fedeltà e generosità nell’esercizio
del ministero sacerdotale. Come scriveva il futuro Paolo VI, « la direzione
spirituale ha una funzione bellissima e si può dire indispensabile per l’educazione
morale e spirituale della gioventù, che voglia interpretare e seguire con
assoluta lealtà la vocazione, qualunque essa sia, della propria vita; e conserva
sempre importanza benefica per ogni età della vita, quando al lume e alla
carità d’un consiglio pio e prudente si chieda la verifica della propria rettitudine
ed il conforto al compimento generoso dei propri doveri. È mezzo pedagogico
molto delicato, ma di grandissimo valore; è arte pedagogica e psicologica
di grave responsabilità in chi la esercita; è esercizio spirituale
di umiltà e di fiducia in chi la riceve ».461

CONCLUSIONE

82. « Vi darò
pastori secondo il mio cuore ».462
Ancora oggi, questa promessa di Dio è viva e operante nella Chiesa: essa si
sente, in ogni tempo, fortunata destinataria di queste parole profetiche; vede il
loro realizzarsi quotidiano in tante parti della terra, meglio, in tanti cuori umani,
soprattutto di giovani. E desidera, di fronte alle gravi e urgenti necessità
proprie e del mondo, che sulle soglie del terzo millennio questa divina promessa
si compia in un modo nuovo, più ampio, intenso, efficace: quasi una straordinaria
effusione dello Spirito della Pentecoste.
La promessa del Signore suscita nel cuore della Chiesa la preghiera, l’implorazione
fiduciosa e ardente nell’amore del Padre che, come ha mandato Gesù il buon
Pastore, gli apostoli, i loro successori, una schiera senza numero di presbiteri,
così continui a manifestare agli uomini d’oggi la sua fedeltà e la
sua bontà.
E la Chiesa è pronta a rispondere a questa grazia. Sente che il dono di Dio
esige una risposta corale e generosa: tutto il Popolo di Dio deve instancabilmente
pregare e lavorare per le vocazioni sacerdotali; i candidati al sacerdozio devono
prepararsi con grande serietà ad accogliere e a vivere il dono di Dio, consapevoli
che la Chiesa e il mondo hanno assoluto bisogno di loro; devono innamorarsi di Cristo
buon Pastore, modellare sul suo il loro cuore, essere pronti ad uscire per le strade
del mondo come sua immagine per proclamare a tutti Cristo Via, Verità e Vita.
Un appello particolare rivolgo alle famiglie: che i genitori, e specialmente le mamme,
siano generosi nel donare al Signore, che li chiama al sacerdozio, i loro figli,
e collaborino con gioia al loro itinerario vocazionale, consapevoli che in questo
modo rendono più grande e profonda la loro fecondità cristiana ed ecclesiale
e che possono sperimentare, in un certo senso, la beatitudine della Vergine Madre
Maria: « Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo ».463
E ai giovani d’oggi dico: siate più docili alla voce dello Spirito, lasciate
risuonare nel profondo del cuore le grandi attese della Chiesa e dell’umanità,
non temete di aprire il vostro spirito alla chiamata di Cristo Signore, sentite su
di voi lo sguardo d’amore di Gesù e rispondete con entusiasmo alla proposta
di una sequela radicale.
La Chiesa risponde alla grazia mediante l’impegno che i sacerdoti assumono per realizzare
quella formazione permanente che è richiesta dalla dignità e dalla
responsabilità loro conferite dal sacramento dell’Ordine. Tutti i sacerdoti
sono chiamati ad avvertire la singolare urgenza della loro formazione nell’ora presente:
la nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti
che si impegnano a vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità.
La promessa di Dio è di assicurare alla Chiesa non pastori qualunque, ma pastori
« secondo il suo cuore ». Il « cuore » di Dio si è
rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon Pastore. E il cuore di Cristo
continua oggi ad avere compassione delle folle e a donare loro il pane della verità
e il pane dell’amore e della vita,464 e chiede di palpitare in altri cuori – quelli
dei sacerdoti -: « Voi stessi date loro da mangiare ».465 La gente ha
bisogno di uscire dall’anonimato e dalla paura, ha bisogno di essere conosciuta e
chiamata per nome, di camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata
se perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come supremo dono dell’amore
di Dio: proprio questo fa Gesù, il buon Pastore; Lui e i presbiteri con lui.
Ed ora, al termine di questa Esortazione, volgo lo sguardo alla moltitudine di aspiranti
al sacerdozio, di seminaristi e di sacerdoti che, in tutte le parti del mondo, nelle
condizioni anche più difficili e qualche volta drammatiche, e sempre nella
gioiosa fatica della fedeltà al Signore e dell’instancabile servizio al suo
gregge, offrono quotidianamente la propria vita per la crescita della fede, della
speranza e della carità nei cuori e nella storia degli uomini e delle donne
del nostro tempo.
Voi, carissimi sacerdoti, lo fate perché il Signore stesso, con la forza del
suo Spirito, vi ha chiamati a ripresentare nei vasi di creta della vostra semplice
vita il tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono.
In comunione con i Padri sinodali e a nome di tutti i Vescovi del mondo e dell’intera
comunità ecclesiale esprimo tutta la riconoscenza che la vostra fedeltà
e il vostro servizio si meritano.466
E mentre auguro a tutti voi la grazia di rinnovare ogni giorno il dono di Dio ricevuto
con l’imposizione delle mani,467 di sentire il conforto della profonda amicizia che
vi lega a Gesù e vi unisce tra voi, di sperimentare la gioia della crescita
del gregge di Dio verso un amore sempre più grande a Lui e a ogni uomo, di
coltivare la rasserenante persuasione che colui che ha iniziato in voi questa opera
buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù,468 con
tutti e con ciascuno di voi mi rivolgo in preghiera a Maria, madre ed educatrice
del nostro sacerdozio
.
Ogni aspetto della formazione sacerdotale può essere riferito a Maria come
alla persona umana che più di ogni altra ha corrisposto alla vocazione di
Dio, che si è fatta serva e discepola della Parola sino a concepire nel suo
cuore e nella sua carne il Verbo fatto uomo per donarlo all’umanità, che è
stata chiamata all’educazione dell’unico ed eterno sacerdote fattosi docile e sottomesso
alla sua autorità materna. Con il suo esempio e la sua intercessione, la Vergine
Santissima continua a vigilare sullo sviluppo delle vocazioni e della vita sacerdotale
nella Chiesa.
Per questo noi sacerdoti siamo chiamati a crescere in una solida e tenera devozione
alla Vergine Maria, testimoniandola con l’imitazione delle sue virtù e con
la preghiera frequente.

Madre di Gesù Cristo
e Madre dei sacerdoti,
ricevi questo titolo che noi tributiamo a te
per celebrare la tua maternità
e contemplare presso di te il Sacerdozio
del tuo Figlio e dei tuoi figli,
Santa Genitrice di Dio.
Madre di Cristo,
al Messia Sacerdote hai dato il corpo di carne
per l’unzione del Santo Spirito
a salvezza dei poveri e contriti di cuore,
custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti,
Madre del Salvatore.
Madre della fede,
hai accompagnato al tempio il Figlio dell’uomo,
compimento delle promesse date ai Padri,
consegna al Padre per la sua gloria
i sacerdoti del Figlio tuo,
Arca dell’Alleanza.
Madre della Chiesa,
tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito
per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori,
ottieni all’ordine dei presbiteri
la pienezza dei doni,
Regina degli Apostoli.
Madre di Gesù Cristo,
eri con Lui agli inizi della sua vita
e della sua missione,
lo hai cercato Maestro tra la folla,
lo hai assistito innalzato da terra,
consumato per il sacrificio unico eterno,
e avevi Giovanni vicino, tuo figlio,
accogli fin dall’inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero
i tuoi figli,
Madre dei sacerdoti.
Amen!

Dato a Roma, presso
San Pietro, il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno
1992, decimoquarto del mio Pontificato.

GIOVANNI
PAOLO II

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