Ut sit Deus omnia in omnibus

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SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

 

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO DICIOTTESIMO.
CONCLUSIONE FINALE

«UT SIT DEUS OMNIA IN OMNIBUS»

 

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Dopo aver parlato della Risurrezione di Gesù Cristo, causa della risurrezione degli eletti, san Paolo dice queste regnum Deo et Patri, c,um evacuaverit omnem principatum, et potestatem, et virtutem. Oportet autem illum regnare, donec et potestatem, et virtutem. Oportet autem illum regnare, donec ponat omnes inimicos sub pedibus ejus. Novissima autem inimica destruetur mors; omnia enim subjecit sub pedibus ejus… c.um autcm subjecta fuerint illi omnia; tunc et ipse Filius subjectus erit ei, qui subjecit sibi omnia, ut sit Deus omnia in omnibus (I Cor 15, 24-28).

Deinde finis. Il grande Apostolo annuncia che allora Gesù Cristo «consegnerà al Padre suo», rimetterà nelle mani di Lui, quale Oblazione degna della sua gloria e dei suoi disegni pieni di misericordia, la Chiesa, quel reame conquistato col proprio Sangue, quella Sposa diletta che ha unita a se stesso sulla Croce, quell'assemblea degli eletti che ha generata nel dolore sul Calvario, nutrita quaggiù con la sua carne e governata coi suoi Ministri. Questo atto col quale Gesù Cristo rimetterà e consacrerà al Padre una tale oblazione, viene da san Paolo chiamato la fine di ogni cosa.

Qui sta, infatti, il termine finale di tutto quanto, fin dal principio, era negli intenti di Dio Creatore, Redentore e Santificatore. Vi era una somma di gloria, di omaggi e di obbedienza che Dio voleva ricevere dal suo Cristo, ma dal suo Cristo completo, e vale a dire, non solo da Gesù Cristo personalmente, unico oggetto del suo perfetto compiacimento; ma pure dalla Sposa di questo Figlio prediletto, dalla Chiesa che è il complemento e la pienezza di Gesù Cristo. Da questa Chiesa, Corpo mistico del Verbo incarnato col quale essa forma una sola cosa, Dio voleva ricevere una somma di gloria sconosciuta agli uomini, ma ordinata e fissata nella sua sapienza; e la voleva ottenere mediante la somiglianza di questa Sposa santa col suo sposo adorabile. Per arrivare ad una tale somiglianza, essa doveva acquistare un grado, già determinato, di grazia, di virtù e di santità; doveva raggiungere quel compimento della Passione di Gesù Cristo a cui pensava san Paolo quando diceva: Adimpleo ea quae desunt Passionum Christi (Col 1, 24). Occorrevano secoli di prove, di lotte, di sacrifici d'ogni sorta, perché essa fosse degna di Gesù Cristo, «gloriosa e senza macchia, santa e immacolata» (Ef 5, 27).

Quando la Chiesa sarà giunta ad un tal grado di santità e di perfezione, il Padre avrà ricevuta tutta quella gloria e tutta quella soddisfazione: allora sarà la fine. Perché ogni cosa quaggiù non esiste che in vista della Chiesa, nel giorno in cui essa avrà compiuta la sua missione di dare a Dio, in Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo, tutta la gloria dovuta e determinata, non vi sarà più nessuna ragione perché il mondo esista (625).

Sarà la fine, non solo d'ogni cosa terrestre, ma di ogni cosa figurativa e temporanea, benché santa; quindi la fine anche dei Sacramenti. Tutto quanto è simbolo o segno sensibile scomparirà, perché non sarà più necessario nessun mezzo.

Sarà pure la fine d'ogni autorità e d'ogni ministero tanto angelico come umano. Secondo il sentimento di sant'Agostino, quelle parole c.um evacuaverit omnem principatum, etc., indicano la cessazione dell'autorità e del governo che gli Angeli esercitano nella Chiesa (626). Sant'Ambrogio ci insegna, infatti, che: Non solum Episcopos ad tuendum gregem Dominus ordinavit, sed etiam Angelos destinavit! (627). Cesserà quindi anche il ministero ecclesiastico. Sarà la fine universale di tutto quanto è destinato a servire alla Chiesa: Sacramenti, culto, giurisdizione e governo. E che ne sarà del nostro Sacerdozio? Vediamolo, studiando sempre quel testo di S. Paolo.

Il Figlio ha tutto consegnato al Padre, e il Padre a sua vece, tutto riconsegna al Figlio: ecco la gloria e il trionfo del Figlio, solenne manifestazione davanti a tutta la Chiesa (angeli e uomini) della verità di quelle parole: Mea omnia tua sunt, et tua mea sunt (Gv 17, 10). Che fa allora il Figlio? O profonda, luminosa e deliziosa dottrina dell'Apostolo! «Quando tutte le cose saranno soggettate al Figlio, allora il Figlio medesimo si assoggetterà a Colui che gli avrà soggettato ogni cosa». È un nuovo ritorno del Figlio verso il Padre, ritorno eterno. Il Figlio è in possesso di tutto nel modo più assoluto, poiché il Padre gli ha soggettato ogni cosa; così tutto è nel Cristo, ed è vera e più gloriosamente che mai, quella parola dell'Apostolo: Omnia et in omnibus Christus (Col 3, 11); ed ecco che Gesù Cristo, portando in sé l'essere divino e umano, e in pari tempo, il suo Corpo mistico ossia tutta la sua Chiesa, si assoggetta al Padre. Che significa quella parola: «si assoggetta al Padre?». Sant'Agostino ci dà qualche lume su questo soggetto dell'Eternità:

c.um Mediator Dei et hominum, Homo Christus Jesus, tradiderit regnum Deo et Patri, ut jam non interpellet pro nobìs Mediator et Sacerdos noster…, sed et ipse, in quantum Sacerdos est assumpta propter nos servi forma, subjectus sit ei qui subjecit illi omnia, et cui subjecit omnia; ut… in quantum Sacerdos, nobis c.um illi subjectus sit (628).

In quanto è Sacerdote, Cristo sarà soggetto a Dio come noi. È manifesto che questo assoggettamento al Padre sarà il suo Sacrificio; quindi, in Cielo, Egli si costituisce incessantemente Ostia davanti al Padre per la gloria del Padre (629). Ma, tutti gli Eletti sono assoggettati a Lui e sono in Lui; ne consegue che tutti gli Eletti sono Ostie come Lui, in Lui e per mezzo di Lui. Questo stato di Gesù Cristo e degli Eletti è l'ordine eccellente e perfetto, la verità perfetta e assoluta; orbene il Padre si compiace nell'ordine e nella verità, quindi quello stato e questo compiacimento sono già espressi in quella parola grande e misteriosa: Ut sit Deus omnia in omnibus. Ma, essa, non ha soltanto questo senso, come vedremo. Intanto, è da insistere su questo punto essenziale, che Gesù Cristo e la sua Chiesa sono Ostie del Padre, nello Spirito Santo; poiché «sempre Gesù Cristo si offre, nello Spirito Santo, quale Ostia immacolata» (Eb 9, 14).

Ma, Gesù, benché sia necessariamente l'unico principio di ogni Sacerdozio non è Ostia tutto solo, quindi non è Sacerdote tutto solo. I Santi sono pure Sacerdoti (Ap 5, 8-10; 20, 6); il loro Sacerdozio ebbe il suo inizio nel Battesimo e si confermò durante la loro vita con tutto il seguito delle grazie attuali, e la loro gloria non è che il pieno sviluppo della grazia. Sono Sacerdoti in Cielo, quindi vi esercitano la funzione sacerdotale, ossia, si offrono lassù come si offrivano sulla terra, e con una perfezione tanto maggiore, quanto era più ardente il fervore con cui si offrivano sulla terra. Ma, nessuna oblazione può essere gradita al Padre se non viene fatta in Gesù Cristo, anzi non vi è che una sola offerta che sia gradita al Padre: Gesù Cristo. I Santi adunque si offrono in Gesù Cristo e per mezzo del Sacerdozio di Gesù Cristo; o meglio, Gesù Cristo medesimo offre i Santi e con essi offre se stesso, comunicando ai Santi lo spirito e la virtù del suo unico Sacerdozio perché essi offrano se medesimi e lo offrano pure Lui stesso. In tal modo, in una maniera ineffabile ma reale, in Gesù Cristo, per mezzo di Gesù Cristo e con Gesù Cristo; gli Eletti sono ad una volta Vittime e Sacerdoti di Dio Padre, per l'azione dello Spirito Santo.

Noi pure, speriamolo, parteciperemo a questa gloria del Sacerdozio dei Santi. Ma, e per noi Sacerdoti, non vi sarà nulla da aggiungere? Se il Sacerdozio dei Santi è la perfezione della grazia del Battesimo? cosa sarà del nostro Sacerdozio in Cielo, Sacerdozio che sarà la perfezione di quella grazia della nostra Ordinazione, che ci è stata conferita mediante un carattere indelebile? Questo carattere, che risplenderà in eterno, manifestamente ci distinguerà dagli altri Eletti; sarà per tutta la Corte celeste il segno d'una grazia sacerdotale ben più sublime e perfetta che non quella dei semplici fedeli. Perché, adunque, non potremo credere che ci darà diritto ad una gloria sacerdotale più perfetta, vale a dire, ad una unione più intima e più gloriosa con Gesù Sacerdote eterno? In virtù della relazione naturale che v'è fra la grazia in terra e la gloria in Cielo, possiamo credere che a parità di meriti, l'unione di ministero che abbiamo quaggiù con Gesù Cristo avrà il suo perfetto compimento in una unione più intima con Lui nella Patria.

È vero che la gloria essenziale dei Beati è proporzionata al loro merito personale, e non al ministero, per quanto sia santo, adempiuto su la terra; ma vi sono dei motivi di gloria accidentale, come, per esempio, le aureole (630). Notiamo pure che Dante, il nostro gran poeta teologo, nel Paradiso, pone in gradi diversi nella gloria i bambini morti col solo Battesimo, e si fa rispondere da san Bernardo che Dio è assolutamente libero nella comunicazione della sua Grazia, e che anche ai Bambini Egli la dona in misura disuguale (631).

Ut sit Deus omnia in omnibus. Queste parole significano pure il perfetto, supremo, pieno ed eterno compimento dell'unione divina. Come si compirà questa unione? Che cosa è questo Tutto, Omnia di Dio, questo Tutto del Padre che sarà in ciascuno degli Eletti? Il Tutto del Padre è Gesù Cristo. Tutto quanto il Padre si è compiaciuto di comunicare di Se medesimo, della sua vita, della sua santità, delle sue perfezioni, è Gesù Cristo. Ricordiamo le magnifiche parole di san Paolo: «In Gesù Cristo abita ogni pienezza; Egli è il compendio di tutto; Egli è tutto» (632). Carne in Gesù Cristo il Padre si è riconciliato il mando, così in Gesù Cristo si unirà agli Eletti, si diffonderà negli Eletti, possederà gli Eletti e ne sarà posseduto. Gesù Cristo sarà il Centro nel quale il Padre e gli Eletti si incontreranno, per essere uniti nel modo più perfetto nello Spirito Santo. In tal modo, Gesù Cristo, essendo veramente quel Tutto del Padre che questo ha voluto vi fosse nel suo Figlio incarnato, sarà pure il medesimo «Tutto in ciascuno degli Eletti». Ut sit omnia in omnibus.

Inoltre, siccome per il Padre essere Tutto in tutti vuol dire essere veduto, amato e posseduto tale qual è, dobbiamo concludere che in Gesù Cristo gli Eletti vedranno, ameranno e possederanno il Padre.

Gesù Cristo solo vede, ama e possiede il Padre tale qual è; e, neppure in Cielo potremo far nulla senza di Lui, anche in Cielo riceveremo tutto dalla sua pienezza. In Gesù Cristo, adunque, per mezzo di Gesù Cristo e con Gesù Cristo vedremo, ameremo e possederemo il Padre; in ciò consiste la vita eterna. Et haec vita in Filio ejus est (1 Gv 5, 11). Gesù sarà eternamente il nostro Mediatore, non già per intercedere per noi, chè non ve ne sarà più bisogno; ma per compiere in noi il fine della sua intercessione, del suo Sacrificio, della sua Incarnazione e di tutta la sua missione tra gli uomini, fine che è appunto di far sì che finalmente, nell'Eternità, Dio sia Tutto in tutti, nella visione beatifica, nell'amore e nel possesso deifica.

O Gloria!O Felicità! Vedremo il Padre come la vede Gesù Cristo, e tale visione sarà il rapimento, la gioia, la sazierà del nostro spirito; l'ameremo e lo possederemo come lo ama e lo possiede Gesù Cristo, secondo il grado dei nostri meriti e la bontà gratuita del Padre. Allora si compirà la promessa di Gesù Cristo: Cognoscetis quia ego sum in Patre meo, et vos in me, et ego in vobis. Allora si verificherà pure l'esaudimento completo della sua preghiera nel Cenacolo: Ut omnes unum sint, sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. Claritatem quam dedisti mihi, dedi eis; ut sint unum sicut et nos unum sumus. Ego in eis, et tu in me: ut sint consummati in unum (Gv 17, 21-23), Sarà la pienezza del gaudio totale e perfetto del cuore, della volontà e di tutto l'essere nostro! O Gloria! O Pace ineffabile! O Beatitudine infinita! Quod ocuus non viditnec in cor hominis ascendit!

Ma, in quella partecipazione alla vita divina del Padre in Gesù Cristo, vi sarà pure, per noi Sacerdoti, uno stato peculiare, un grado particolare, una benedizione speciale; ed ecco in qual modo:

Nel Cielo vi sarà pienezza di gioia e di soddisfazione, ma non vi sarà sazietà; in presenza delle amabilità divine, nessuno degli eletti dirà mai: «Basta! Ciò che possiedo mi basta». Essi proveranno una fame sempre crescente, che non potrà mai essere sazia; desideri sempre più ardenti e più insaziabili a misura che verranno soddisfatti; vi sarà quindi, negli Eletti, un progresso nella unione sempre zuavo e sempre perfettamente compiuto. Così ci insegnano i Padri.

S. Ireneo non temeva di udire che anche in Cielo vi sarà un esercizio di fede e di speranza, e questa può dirsi in un certo senso: un certo esercizio simigliante alla fede, poiché l'Eletto desidererà veder sempre maggiormente Dio e non riuscirà a vederlo interamente; un esercizio di speranza perchè sempre desidererà di amarlo di più; vi sarà dunque in un certo senso anche nella visione beatifica qualche cosa che assomiglia alla fede e alla speranza, «una eterna speranza eternamente soddisfatta», come diceva un poeta cristiano (633). Non solum in hoc saeculo, sed et in futuro… Haec tunc perscverare, quae sunt fides, spes et charitas… Speremus subinde plus aliquid accipere et discere a Deo; quia bonus est et divitias habens interminabiles (634). Anche san Gregorio Papa parla di un progresso in cielo nella visione e nell'amore: Ut Deus quo magis visus fuerit, eo amplius diligatur (Moral, XXV), e san Gregorio di Nisseno di una fame e di una sete di Dio che sempre saranno insaziabili e sempre soddisfatte; sarà quindi un progresso eterno (635). Un discepolo di san Bernardo, parlando del Cielo, esclama: Hic est fons vitae, qui semper fluit et numquam pereffluit. Ideoque et qui desiderat, semper amat desiderare; etc. Haec est affectio, haec est perfectio; sic semper ire hoc est pervenire (636). Ricordiamo pure le parole di san Pietro: In quem desiderant Angeli prospicere (1 Pt 1, 12). San Bonaventura ha detto: c.um ascendunt (Angeli) ad contemplationem, inquirunt veritatem, de qua et desiderando satiantur, et satiando desiderant (In Ps 90).

Vi è, già fin da questa vita, nelle anime ferventi, una disposizione soprannaturale che corrisponde ad un tale stato divino, ed è la Comunione spirituale. Questa consiste «nell'aprire la bocca verso l'Ostia per attirarne in noi lo spirito», – Os meum aperui et attraxi spiritum (Ps 118, 131) – dimodochè si compia l'unione, l'Ostia prenda possesso di noi, e noi prendiamo possesso dell'Ostia, e così Gesù sia «tutto in noi», e quindi fin d'ora, per mezzo di Gesù Cristo «Dio sia tutto in noi». I Santi, in Cielo, aprono la bocca e questa è sempre piena, perché non possono perdere nulla di ciò che ricevono; noi invece possiamo, pur troppo, perdere molto di tale deliziosa pienezza. Questa pienezza, quaggiù, ci è nascosta (Ps. 30, 2), perché, quaggiù, le cose non ci sono manifestate che in parte (1 Cor 13, 12); privo di una visione luminosa, il nostro amore sovente è debole e incostante sempre. Tuttavia noi incessantemente rivolgiamo le nostre labbra verso l'Ostia santa; guardando con amore il Dio dell'Ostia, siamo sempre più infiammati del desiderio di possederlo, e la nostra fame si accresce sempre più. Ed ecco come la comunione spirituale diventa lo stato dell'anima fervente, stato che diventa sempre più abituale con la ripetizione delle Sante Comunioni: fame e sete di Gesù Eucaristico, desideri insaziabili accompagnati talvolta da soprannaturali deliqui.

Un tale stato tutto di amore conviene particolarmente al Sacerdote; la sua grazia speciale è uno stato di continuo e amoroso desiderio della vita di Dio in noi per mezzo dell'Ostia. Questa grazia, quaggiù, non è che un principio, in Cielo giungerà alla sua perfezione. Orbene, in quella guisa che il nostro carattere sacerdotale risplenderà in faccia a tutti gli Eletti come un diritto particolare all'Oblazione eterna di Gesù Cristo nel suo Sacrificio eterno: così quella grazia speciale si manifesterà con una comunione più magnifica, più abbondante e più sublime alla Vita, alla Santità, alla Bellezza, alla Gioia e alla Beatitudine di Dio. Gli Angeli e i Santi che ammirano con stupore il prodigioso onore che ci deriva dal nostro Sacerdozio, in Cielo glorificheranno Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo, per questa Comunione tutta straordinaria a Dio, per questa gloria della speciale insaziabilità dei nostri desideri sempre rinnovata, sempre progressiva sempre soddisfatta.

O felici Sacerdoti! ineffabilmente felici e amati da Dio sulla terra! ineffabilmente felici e uniti a Dio, in Gesù, l'Agnello, l'Ostia del Cielo!…

Oramai, non v'è nulla da dire: «Dio sarà Tutto in tutti», in Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito d'amore. Questo spirito, che compie l'unità, compirà pure l'unità di Dio e degli Eletti in Gesù Cristo, e l'unità degli Eletti tra loro, sempre in Gesù Cristo; e questa unità sarà il perfetto compimento di tutta l'opera di Dio nella creazione; nella santificazione e nella glorificazione delle anime.

È vero che, secondo l'ordine voluto dalla divina Sapienza, nella stato dei Predestinati vi sarà una varietà immensa, à seconda della varietà dei meriti come dei doni; ma, in verità, non vi sarà più che Dio, Dio Padre Principio e Fine, Dio Figlio Autore e Vita, Dio Spirito Santo, Centro e Operatore dell'eterna indefettibile e beatifica Unità: Ut sit Deus omnia in omnibus! – Ibi distantia mansionum, summa tamen in illis erit unius perfectionis aequalitas, quibus erit regni caelestis una felicitas (637).

Da questa terra d'esilio, lo sguardo dell'anima nostra si eleva e si fissa nella incantevole contemplazione di questa magnifica Unità nella Gloria e nella Beatitudine. Come gli Apostoli dopo che Gesù fu tolto ai loro occhi nell'Ascensione, vorremmo che nulla mai ci distogliesse di tale rapimento. Ma gli Angeli dell'Ascensione dissero agli Apostoli: «Quid hic statis?.. Andate a Gerusalemme, andate al mondo romano, greco, pagano dove vi aspettano moltitudini di anime». E gli Apostoli regressi sunt in Jerusalem… profecti praedicaerunt ubique… (638).

A noi pure, Sacerdoti, dedicati ai diversi ministeri nella santa Gerarchia del Clero secolare o negli Ordini religiosi, a noi tutti gli Angeli custodi della chiesa militante dicono: «È santa la contemplazione degli splendori del Cielo; richiamate incessantemente alla vostra mente e al vostro cuore l'incantevole spettacolo di quella Unità: Dio, il suo Verbo, il suo Spirito e tutti gli Eletti in Lui, i Sacerdoti, sempre Sacerdoti, sempre in comunione con Dio in una unione speciale le più sublime… È questo il termine; è il premio, ed è vicino. Ma ora, guardate laggiù, vi aspettano le anime, tutte le anime redente dal Sangue dell'Agnello. Andate! Ogni anima fa parte di quella Messe di Dio, di cui ha parlato il Maestro (639). Ogni anima è grano destinato a diventar pane; andate alle anime e consacratele perché diventino Ostie di Dio. Ma voi soprattutto, siate pane, siate Ostie, donatevi voi stessi! Che tutti si nutrano dei vostri lavori, delle vostre espiazioni, delle vostre preghiere, di tutta la vostra vita di Ostia; e così, come la Chiesa canta degli Apostoli e dei Santi, siate «Apostoli dell'Agnello» (Ap 21, 14), siate la gloria del Padre, il trionfo del Figlio, e il compimento di ogni volontà dello Spirito Santo; e tutto il Cielo ne, sarà ripieno di gioia. In his Paterna gloria, in his triumphat Filius, in his voluntas Spiritus: Coelum repletur gaudio (640).

 

NOTE

(625) Totius enim universi finis est Christus, ejusque Electi, ut si hi finiantur finiatur et Universum. CORNEL, A LAP., in l Cor., XV

(626) De Trinit., I.

(627) In Evangel. secund. Luc.

(628) De Trinitate, lib. I. cap. X.

(629) Vedi sopra, libro I, cap. XX.

(630) Cfr.: S. THOM., Supplem., q. XCVI.

(631) Paradiso, cant. XXXII, verso 61

(632) Ephes I, 9, 10; Coloss., I, 17, 19; III, 11; II Cor., V, 19

(633) REBOUL, I.

(634) S. IREN., Contra Haereses, II.

(635) De anima et Resurrectione.

(636) GUILL. ABBAT., Soliloquia, III.

(637) IULIAN POMERIUS

(638) Act., I, 10; Luc., X, 2; MARC., XVI, 20.

(639) MATH., IX, 37, 38; LUC., X, 2; JOANN., IV, 35.

(640) De Comm. SS. Apst.