L’unione ammirabile tra Gesù e il suo sacerdote

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni

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CAPITOLO TERZO. Dell’unione ammirabile tra Gesù e il suo sacerdote nell’esercizio del sacerdozio

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    Trasportiamoci, col pensiero, in qualche chiesa cattolica; e vediamo di assistere alla grande meraviglia dell’unione o, meglio, dell’unità, dell’identità di GESÙ CRISTO col suo umile Sacerdote, nell’esercizio del Sacerdozio, all’altare eucaristico.
   Quel Sacerdote, che l’Eterno Padre ha eletto fin dall’eternità, come Aronne, – meglio ancora, come CRISTO medesimo, – e che l’ordinazione sacerdotale, con l’imposizione delle mani del Vescovo, ha consacrato, e consacrato per l’eternità, ascende all’altare, rivestito dei sacri paramenti. Egli compie diversi riti, recita le varie preghiere prescritte, tutto avviene in una straordinaria gravità e in una sorta di mistero. Infine, ecco quel momento che, dopo la morte del Figlio di Dio sulla Croce, non ha uguale nella storia umana: il momento della Consacrazione. Il Sacerdote richiama, in poche parole storiche, ciò che avvenne nell’ultima Cena, indi prende il pane, lo benedice, s’inchina e dice: Hoc est enim corpus meum. Poi, prende il calice, benedice il vino che vi è contenuto, s’inchina e dice: Hic est enim calix sanguinis mei. E il Sacrificio, è compiuto.

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     Ma cosa vuol dire che il Sacrificio è compiuto, e in qual senso?
     In virtù delle parole sacramentali, GESÙ è presente sull’altare come Sacerdote e come Ostia. Da quel momento, tra le mani stesse del suo ministro, GESÙ compie l’opera incessante, perpetua, che gli è propria, sia come Sacerdote, sia come Ostia: Egli offre se medesimo al Padre suo, e si offre per la Chiesa. Per parlare propriamente, il nostro ministero è terminato. Da qui a pochi momenti, dovremo ricevere il Sacramento, nella santa Comunione; dovremo darlo ai fedeli, se occorre. Ma il Sacrificio, all’altare come sul Calvario, è azione personale del Sommo Sacerdote, di GESÙ CRISTO. In virtù della Consacrazione, l’abbiamo posto in istato, se un tal linguaggio non è troppo volgare, di compiere quella grande Azione; ed Egli la compie. Senza di noi, senza il nostro concorso, attese le condizioni determinate dalla sua stessa Sapienza e dalla sua Provvidenza. Egli non potrebbe offrire, nella sua Chiesa, il suo Sacrificio; perché, dopo la sua Ascensione non è più sulla terra personalmente, nella qualità di Uomo Dio. Ma ecco che, nella nostra profonda umiltà e confusione, noi diciamo come Lui e nel suo spirito: «Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue»: e GESÙ, il Verbo incarnato, vero Dio e insieme vero Uomo, trovasi presente nelle nostre mani. In ciò sta la nostra parte nell’azione, il nostro concorso indispensabile, l’atto proprio del nostro Sacerdozio. Ma questo atto non è un Sacrificio; ha per termine il Sacrificio e dà luogo al Sacrificio ed è la condizione per divina istituzione intrinsecamente indispensabile per il Sacrificio, e pertanto veramente un atto Sacerdotale. Chi lo compie, esercita un potere veramente divino; perché in realtà il ministro, e non GESÙ CRISTO solo, opera il miracolo incomparabile della transustanziazione. Ma, ripetiamolo, GESÙ CRISTO solo è sempre il Sacerdote che offre il Sacrificio; come pure l’Ostia che viene offerta è sempre GESÙ CRISTO medesimo.
     È GESÙ CRISTO solo! Ma qui appunto sta la meraviglia celeste e tutta divina della unione di GESÙ CRISTO e del suo ministro, nell’atto sacerdotale della Consacrazione.

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     Per operare il cambiamento delle sostanze, il Ministro dice: «Questo è il mio Corpo; – Questo è il mio Sangue». Ma non sono il suo proprio corpo e il suo sangue che si rendono presenti sull’altare. D’ordinario, le parole sacramentali esprimono e significano la cosa che viene operata. Sembra dunque che in questo ministero si dovrebbe dire: «Questo è il corpo; – Questo è il sangue di GESÙ CRISTO; e il pane diventerebbe il corpo di GESÙ) e il vino il suo sangue. Orbene, il Sacerdote dice: «Questo è il mio corpo; – questo è il mio sangue». Ma quel pane non è il corpo del Sacerdote, quel vino non è il suo sangue. Eppure, se egli non parla in questo modo, se non dice quelle medesime parole che disse GESÙ CRISTO, non consacra, e compie un atto assolutamente inutile!… Qual’è dunque questo Mistero! Ma, non è forse lui che parla? È proprio lui, è proprio la sua voce che pronuncia le parole; ma non è la sua persona che parla (231). Egli adunque non c’entra quasi per nulla in questo grande Sacrificio. Da una parte infatti, egli non è il Sacerdote che offre il Sacrificio, meno ancora l’Ostia che viene offerta; d’altra parte, nell’atto medesimo con cui rende presente il Sommo Sacerdote che è anche l’Ostia, non è punto lui che parla, poiché non può attribuire a se stesso il senso di quelle parole; e siccome sono queste che operano il cambiamento delle sostanze, dovremo noi concludere che non è lui che opera il miracolo?…
    Tutto ciò è mistero. Per verità, il Sacerdote qui è ridotto a nulla.
    Ebbene! in questo appunto sta la sua grande gloria. Non essendo nulla, egli è tutto; perché non essendo nulla, egli è GESÙ CRISTO medesimo. GESÙ è in lui, GESÙ lo ha, in certo qual modo, invaso: e una volta che il suo ministro ha formulato, come è necessario, l’intenzione di consacrare, GESÙ fa tutto il resto. Il Sacerdote non è più che un aiuto, sempre cosciente, è vero, sempre libero, ma che trae tutta la sua efficacia dalla virtù di Colui del quale è organo e strumento. Indi quelle belle espressioni dei dottori e dei padri: Ipse est (Christus) qui sanctificat et immolat… Cum videris Sacerdotem offerentem, ne ut Sacerdotem esse putes, sed Christi manum invisibiliter extensam… Sacerdos linguam suam commodat (232). Os tuum, (o Sacerdos), os CRISTI est (233). Nil aliud Sacrifex est quam Christi simulacrum (234).

    Perciò, noi che abbiamo ricevuto la grazia e l’onore di un ministero così stupendo, dovremmo vivere in una continua e perpetua ammirazione, in un atto incessante di riconoscenza e di amore per il nostro Dio e somma Sacerdote. Perché, dopo la grandezza eminente e affatto incomparabile della Maternità divina, è impossibile concepire una dignità così magnifica come quella di cui siamo stati onorati. Che sono mai, in confronto del nostro titolo di Ministri di GESÙ CRISTO e della condizione ineffabile che è la nostra all’Altare santo, che sono mai, sopra questa terra, le cariche e dignità più alte e più celebrate? Che cosa è mai l’eccellenza dei ministeri angelici medesimi con tutta la loro gloria, a paragone con la divina sublimità dell’atto tutto divino che noi operiamo, con GESÙ CRISTO, nel momento della Consacrazione?
     Gli spiriti celesti delle più alte gerarchie sono assistenti al trono di Dio, e certo, un tale onore è al disopra di ogni sentimento umano; ma chi, anche fra gli angeli, potrà intendere quale sia l’eccesso di grandezza e di gloria cui ci eleva la nostra unione col Figlio di Dio, nell’atto più prodigioso del suo Sacerdozio? Solo MARIA è al disopra di noi. E ancora, autori venerabili e santi hanno avuto l’ardimento di dire che il nostro potere supera quello di MARIA, e che si può con ragione, attribuire a noi un onore maggiore che alla Madre del Verbo incarnato (235). Queste esagerazioni attestano la grande ammirazione dei Santi per la gloriosa sublimità del nostro Sacerdozio.

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     Senza arrivare a tali eccessi, i Padri alla nostra dignità tutta divina hanno profuso le più magnifiche lodi.
     Sant’Efrem esclama:
«Excedit intellectum et rationem o omnemque cogitationem donum altitudinis dignitatis sacerdotalis… Ipsos caelos caelorum sine impedimento atque labore ascendit Sacerdos… et in medio Angelorum, simul cum Spiritibus incorporeis, facile versatur. Quin et cum ipso Angelorum Domino atque Creatore Datoreque luminum, familiariter agit… O quam magnam in se continet profunditatem formidabile et admirabile Sacerdotium!» (De Sacerdotio).
     San Bernardo, così parla ai Sacerdoti: «Quantam dignitatem contulit vobis Deus! Praetulit vos Deus regibus et imperatoribus… imo, ut altius loquar, praetulit vos Angelis et Archangelis… Non Angelis sed hominibus, solisque Sacerdotibus, Dominici Corporis et Sanguinis commisit consecrationem… Longe (Angelico) excellentius est officium vestrum, quod admirabile est, non solum in oculis vestris, sed etiam Angelorum» (Sermo ad Pastores in Synodo).
     Negli scritti dei santi Dottori e degli ascetici del medio evo, si trovano bene spesso esclamazioni come queste: «O Sacerdotium! Deifica professio! Corona gloria in manu Domini!» (236).
     Tutti avremo letto e meditato le belle e toccanti riflessioni dell’Imitazione (Lib. IV, cap. V).
     Deus est ibi principalis auctor et invisibilis operator, cui subest omne quol voluerit et paret omne quod jusserit! Ecco, sia detto una volta ancora, la nostra gloria, nella nostra propria diminuzione. Ci si permetta qui un paragone, che ci farà meglio intendere l’immenso ed inesprimibile onore che ci deriva del nostro ministero al santo Altare. Qual’è, nel mistero dell’Unione ipostatica, la gloria dell’Umanità di GESÙ, della sua Anima creata, del suo cuore creato? Quella appunto di entrare meno che sia possibile nelle opere compiute dal Verbo Incarnato, e, in particolar modo, di aver perduto, o piuttosto, di non aver mai. avuto la propria personalità. Quale disgrazia incomparabile per l’umanità, in GESÙ CRISTO, se, per un supposto impossibile, essa dopo l’Incarnazione fosse diventata una persona umana? Essa di colpo avrebbe perduto la sua gloria essenziale. Quell’uomo non sarebbe più stato il Figlio consustanziale del Padre; le sue opere sarebbero rimaste prive dei loro merito, del loro valore infinito. Ridotto allo stato di pura creatura, sarebbe rimasto privo dell’adorazione degli omaggi di tutte le Creature. In una parola, se la natura umana, in GESÙ CRISTO fosse diventata padrona di se stessa ed avesse ricevuto la propria personalità umana, si sarebbe trovata dei pari estremamente impoverita. Ma invece il suo impoverimento reale, per il quale non ha personalità propria, è la sua grande e magnifica gloria.

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      Ebbene! Così di noi, più siamo diminuiti all’altare, maggiormente Dio è in noi; maggiormente GESÙ, il sommo ed unico Sacerdote, si unisce a noi, si diffonde in noi, pervade miracolosamente e divinamente tutta la nostra persona, quindi ci muove a volere ciò che vuole Egli medesimo, cui subest omne quod voluerit; ci sottomette alla sua azione onnipotente e al suo comando cui tutto obbedisce, cui paret omne quod jusserit; prende in prestito la nostra lingua e le nostre labbra, e ci fa dire, o piuttosto dice Lui medesimo, con l’espressione della nostra voce: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue…» O Mistero che supera ogni intelligenza, ogni ammirazione e ogni lode! Più il Sacerdote scompare, più GESÙ CRISTO ne prende il posto. Più completamente il Sacerdote si ritira e scompare, più GESÙ CRISTO lo riveste di gloria, di onore e di autorità. Oh, quale fortuna per noi cessare in tal modo di essere noi stessi, per essere GESÙ CRISTO! e, per mezzo di GESÙ CRISTO, essere il Padre medesimo, poiché solo il Padre originariamente ha il diritto di offrire il Sacrificio e di dare a se stesso un’Ostia tale – e, per mezzo di GESÙ CRISTO e col Padre, essere lo Spirito Santo; perché appunto la virtù dello Spirito Santo opera il cambiamento della sostanza del pane e del vino (237). O incomprensibile operazione di Dio! O inenarrabile esaltazione di una umile creatura! O vera deificazione!… Così, per verità, in modo ammirabile, si verifica quella parola della Scrittura che i Padri sì frequentemente applicano ai Sacerdoti: «Io l’ho detto: Voi siete Dei» (238).

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NOTE
(231) Reliqua omnia, a Sacerdote dicuntur… Ubi venitur ut conficiatur venerabile Sacramentum, jam non suis sermonibus utitur Sacerdos, sed utitur sermonibus Christi. Ergo, sermo Christi hoc conficit Sacramentum. Quis est sermo Christi? Nempe is quo facta sunt omnia. – S: AMB., De Sacram., lib. IV. – Ecce, Ambrosius non solum vult Sacerdotem loqui in persona Christi, sed etiam non loqui in propria persona, neque illa esse verba Sacerdotis. Quia, cum Sacerdos assumatur a Christo ut eum repraesentet, et ut Christus per os Sacerdotis loquatur, non decuit Sacerdotem adhuc retinere in his verbis propriam personam. – DE LUGO, De Euchar.

(232) s. JOANN. CHRYSOST., Homilia LXXXVII, in Joann., n. 4.

(233) S. AMBROS., In Isaiam, cap. VIII; De Isaac et anima, cap. VIII.

(234) PETRUS BLESS., De Euch., cap. VII.

(235) Excedit Sacerdotis potestas potestatem Virginis… quantum debet esse sanctus et justus et dignus, qui jam non mortuum, sed glorificatum et in aeternum victorem contrectat!, etc. – S. BERNARD. SENENS., Sermo XXII. – Cfr.: OLIER. Trattato dei santi Ordini, III parte, c. II.

(236) Ven. PETRUS BLESS., Ad Sacerdotes.

(237) Interrogas quomodo panis fit corpus Christi? Respondeo et ego: Spiritus Sanctus obumbrat et haec operatur super sermonem et intelligentiam. – S. JOANN. DAMASCEN., De Fide orthodoxa, IV. – (Sacerdote celebrante), Pater et Filius et Spiritus Sanctus omnia operantur. – S. JOANN. CHRYSOST., Homil. LXXXVII in Joann.

(238) Ps., LXXXI, 6. – Perspicuum est illam esse illorum Sacerdotum functionem qua nuila major excogitari possit. Quare merito non solum Angeli sed Dei etiam, quod Dei immortalis vim numen apud nos teneant, appellantur. Catech. Rom., De Ordin., I. – Sacerdotes, Dei et Christi dici reperiuntur propter accepti Ministerii Sacramentum. – S. PETR. DAM., Opusc. VI. – Post Deum terrenus Deus. – S. CLEM., Constit., lib. II.