L’amore della nostra divina vittima per Dio suo Padre

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA


CAPITOLO DODICESIMO. L’amore della nostra divina vittima per Dio suo Padre – Il suo amore di compiacenza e di riconoscenza


Non colitur Deus nisi amando. Nella Religione ciò che v’è di più santo e di più sublime, è l’amore. È questa la cima alla quale l’anima si eleva per contrarre con Dio l’unione più stretta. «La carità si unisce a Dio per riposare in Lui medesimo, non già per ritrarne qualche vantaggio; perciò essa è più nobile che la fede, la speranza e tutte le altre virtù» (S. TH., II-II, q. 23, a. 6.). Così parla san Tommaso. Del resto è questo un oracolo di san Paolo (I Cor 13, 13).
      L’amore di Nostro Signore GESÙ CRISTO per il Padre suo! Chi mai potrebbe parlarne degnamente? Tutto in GESÙ è ugualmente perfetto in sommo grado; ma Egli ha voluto che nel suo stato di Ostia risplendessero le disposizioni più sublimi, più meravigliose e più sante, e particolarmente vi risplendesse la carità.

     San Dionigi chiama la carità una forza che unifica, raduna e concentra, in modo eccellente, nel Bello e nel Bene (111). Quella forza divina, quel movimento impetuoso e dolce, quel trasporto amoroso e tenero, pieno di gioia, di una gioia estatica. (112), era la vita costante della nostra adorabile Vittima; vita, tutta di amore per il Padre suo. In GESÙ adoriamo l’amore verso il Padre nei suoi quattro aspetti: compiacenza, riconoscenza, benevolenza e condoglianza.
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    L’amore di Compiacenza è quello che deriva dalla contemplazione della Bellezza infinita, immutabile ed eterna, sempre nuova e sempre antica (113) dell’Essere divino, con le sue ineffabili perfezioni, con i suoi profondi, gloriosi ed essenziali attributi, con la sua vita intima, ossia la vita della Trinità,  con le sue opere esterne, in una parola: dalla contemplazione di Dio. In tale contemplazione l’anima riposa, gode, non ha consolazione, contentezza, sentimenti di trasporto, felicità e vita, se non nella cognizione intima e certa, nella vista chiara e sicura di quella Bellezza eterna, di quel Bene indefettibile ed eterno; sotto l’influenza di tale soprannaturale visione essa dimentica quanto non è il suo Dio; in tutto l’essere suo si compiace che Dio sia quella Bellezza e quel Bene ch’essa contempla, benché sia intimamente persuasa che, quando si tratta di Dio, quel poco che si conosce è niente a confronto dì ciò che si ignora, perché l’Essere divino possiede una immensità di amabilità infinite assolutamente impenetrabili a qualsiasi sguardo creato (114).
      Ma, che Dio sia ciò che Egli è, così grande e potente, così santo e libero, così bello e assoluto nel suo Essere: Dio! che possiede il proprio Essere da se stesso, essendo necessariamente, sostanzialmente Padre, Figlio e Spirito Santo; insomma, che Dio sia Dio, e non solo che Dio sia Dio (se è lecito usare un tal linguaggio), ma che essendo ciò che è, Egli sia a se stesso la propria gloria, la propria lode, la propria beatitudine, dimodochè, in ogni evento, Dio basti a sé, Dio sia contento in se medesimo, Dio trovi eternamente e essenzialmente in se stesso, tutto quanto. forma la suprema felicità… ecco il godimento dell’anima che lo conosce e si innalza a Lui per l’amore; ecco il suo trasporto, la sua dolcissima compiacenza, la sua inesprimibile gioia.
     Molte anime – le anime dei santi – hanno sperimentato un tal amore. Ma come parlare dell’amore di Compiacenza del nostro Sacerdote, della nostra Ostia, di GESÙ? Egli era sempre in presenza del Padre suo, appunto nella sua qualità di Sacerdote e Ostia; e il suo sguardo, nella chiara luce, non già soltanto di una fede viva, ma della Gloria medesima, contemplava senza velo la suprema e gloriosa Bellezza dell’Essere divino. Soltanto nell’eternità ci sarà dato di contemplare qualcuno dei secreti dell’amore di Compiacenza che inondava, trasportava, consumava quel Cuore adorabile. Ma fino a quel momento non ne sapremo nulla. San Dionigi ha detto: «L’amore è estatico, e, sotto un tale impero, colui che ama non appartiene più a sé, ma all’oggetto del suo amore» (115). E soggiunge: «Il grande san Paolo, posseduto dall’amore divino, e dalla violenza di questo amore rapito in estasi, esclamava con una voce deificata: «Non sono più io che vivo». Ecco il vero amante, trasformato in Dio, ut qui excessit Deo, vivente non più della propria vita, ma della vita sovranamente cara dell’oggetto del suo amore».
     «L’anima che esercita l’amore di compiacenza, grida incessantemente nel suo sacro silenzio: A me basta che Dio sia Dio, che la sua bontà sia infinita, e la sua perfezione immensa. Poco mi importa ch’io viva o muoia, poiché il mio diletto vive eternamente di una vita tutta trionfante. La morte non può rattristare un cuore, il quale sa che il suo Amore sovrano è vivente. All’anima che ama, basta che Colui che essa ama più di se stessa sia colmo di eterna beatitudine; poiché essa vive più in Colui che ama, che non nel corpo che informa, essendo che veramente non è essa che vive, ma il suo diletto che vive in lei» (116).
     L’estasi di san Paolo era d’una grande bellezza soprannaturale, eppure che cosa è essa mai in confronto delle elevazioni, dei trasporti, della gioia dell’anima di GESÙ? dell’anima di GESÙ che contemplava la Bellezza dell’Essere divino, e amava questo Essere divino secondo tutta la forza della sua visione e della sua scienza? Queste, infatti, erano in certo qual modo infinite in Gesù, a motivo della luce stessa principio di tale scienza, che era Dio, e a motivo pure della natura stessa del suo amore, che era lo Spirito Santo? Perché l’amore con cui Nostro Signore amava in tal modo suo Padre, era lo stesso Spirito Santo con cui lo ama eternamente. Certo, ciò è vero anche per noi; il nostro amore soprannaturale per Dio, è quello stesso amore col quale le Persone divine si amano a vicenda, e questo amore è lo Spirito Santo; ma noi amiamo senza vedere la Bellezza dell’oggetto amato; il nostro amore per Dio è imperfetto, come la nostra scienza. GESÙ invece amava secondo tutta la conoscenza che aveva delle amabilità del Padre suo; e tale conoscenza, attinta dalla Visione beatifica medesima, necessariamente era senza velo e senza ombra, e pertanto perfettissima.
    Vi era dunque nella nostra dolce Vittima, ciò che noi chiameremmo una continua estasi di gioia, alla vista di tante perfezioni infinitamente amabili; ma, qui ancora, adoriamo, benediciamo il nostro Dio e Salvatore, per essersi degnato di lasciarci intravvedere sì ammirabili magnificenze della sua vita umana; e sospiriamo l’Eternità per contemplare, non più «in enigma, ma faccia a faccia», tali divini splendori.
    Noi ammiriamo con vero stupore, nell’anima beata di GESÙ, quell’incomparabile beatifico rapimento in presenza delle amabilità di suo Padre ch’Egli sempre contemplava, sempre lodava e sempre amava; quella compiacenza universale ch’Egli provava. in tutto l’essere suo, nel suo spirito, nel suo cuore e nella sua volontà, per la delizia, il trasporto e l’ebbrezza della contemplazione di tale spettacolo eternamente bello; ma come si conciliava tutto ciò col dolore, con la tristezza e la desolazione che Egli provava. sul Calvario ed anche durante la sua vita?

    È evidente che ci troviamo qui in presenza di un profondo mistero. Ma, se ci fosse permesso di balbettare qualche cosa in proposito, vorremmo dire che, in GESÙ, vi era la Vittima di lode e la Vittima di espiazione. La Vittima di lode, nella parte superiore dell’anima che è l’intelletto, contemplava l’infinita Bellezza dell’Essere divino, e questa visione ne riempiva l’anima di una gioia immensa e inalterabile; ma la Vittima di espiazione era particolarmente colpita, nella parte inferiore dell’anima nella quale risiede la sensibilità, dalla vista del peccato e della malizia dell’uomo; perché Nostro Signore, come abbiamo detto, possedeva, in tutta la loro perfezione, tutte le facoltà dell’anima umana. Questa divina sensibilità riceveva dunque, in Lui, la dolorosa e continua impressione di tutto quanto è richiesto dall’espiazione, vale a dire, delle tristezze interiori come della sofferenza che affligge il corpo. E perché Nostro Signore operava la nostra salvezza in questa qualità di Vittima di espiazione, e non già come Vittima di lode; la Divinità che risiedeva in Lui, rifiutava alla sua umanità qualsiasi consolazione nella parte inferiore, affinché nulla mancasse per il fine che il disegno del Padre voleva ottenere.
     L’amore di Compiacenza è lo stato più elevato dell’anima di GESÙ Vittima, e rimane eternamente l’espressione più sublime dei rapporti che esistono tra Lui e il celeste suo Padre. Tale amore è la vera gloria, la purissima lode cantata dal Verbo, quel cantico così sublime di cui parla san Francesco di Sales: «Dopo aver udito tutte le lodi che tante creature «così diverse, come in una ammirabile gara, con voce unanime, offrono alloro Creatore; quando infine si sente quella del Salvatore, vi si trova una certa infinità di merito, di valore, di soavità, che eccede ogni speranza ed ogni aspettativa del cuore… La sua voce risuona al disopra dei Serafini e di tutte le creature; Egli ha la vista «del capriolo» per penetrare più avanti di ogni altro nella bellezza del sacro oggetto ch’Egli vuole lodare; si compiace più di tutti nella melodia e nella lode della gloria del Padre suo; perciò i suoi trasporti, le sue lodi e le sue benedizioni sono superiori alla capacità di tutte le creature. Oh! quale soavità per i nostri cuori, quando le nostre voci, unite e associate con quella del Salvatore, parteciperanno alla dolcezza infinita delle lodi che questo Figlio prediletto offre all’eterno suo «Padre» (117).

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    Amore di Riconoscenza. – «Dio è Carità» (1 Gv 4, 8). Quel Dio che Gesù incessantemente contempla, adora e ama; quel Dio così perfetto, così bello e buono in modo assoluto, non è buono solamente in se medesimo e nella sua Essenza, ma anche fuori di sé; tutto quanto esiste è una comunicazione ch’Egli ha fatto esternamente della sua bontà essenziale. Quanto è eccellente la sua bontà verso le creature!
     Egli le ama non già in se stesse, bensì in se medesimo; o piuttosto in ciascuna delle creature Dio ama se stesso e unicamente se stesso (118). Da ciò risulta la solidità, la forza e la perfezione del suo amore. La creatura, che sa di essere amata in tal modo, e di ricevere per la virtù propria di questo amore tutti i beni che la arricchiscono, concepisce i sentimenti di un amore oltremodo forte e dolce che è la riconoscenza.
     Orbene, chi è stato da Dio amato più di GESÙ? Chi ha ricevuto tanto come Lui? Egli è «il Figlio dell’amore del Padre. Il Padre ha posto in Lui tutte le sue compiacenze. Egli è stato predestinato Figlio di Dio. È il Principio e il fine di ogni cosa. Tutte le cose sono in Lui e per mezzo di Lui e a riflesso di Lui. È il Re dei Re, e Signore dei dominanti», l’unico Sacerdote e l’Ostia pure unica del Padre, ciò che esprime la massima gloria!… «Dio si è compiaciuto di riunire in Lui tutte le cose, dimodochè ogni creatura tutto riceve dalla pienezza di Lui». Tutto quanto può essere comunicato dell’Essere divino, tutto travasi in Lui in pienezza: potenza, sapienza, santità, verità, carità, bellezza e vita. «Egli è lo splendore della gloria e figura della sostanza di Dio». In una parola, «tutto è in Lui», e, per la comunicazione che fa di quanto ha ricevuto, «Egli è tutto in ogni cosa» (119).
     Perciò il Cuore di GESÙ Vittima si eleva incessantemente verso il Padre suo, in un cantico di azioni di grazie; e l’amore riconoscente che anima quel suo cantico, è pure uno dei segreti dell’Eternità. GESÙ ama sua Padre nei doni che ne riceve; ama i doni ricevuti con l’amore medesimo col quale suo Padre li ama; poiché, come abbiamo detto, nei suoi doni Dio ama se stesso e non i doni che elargisce. Quale abisso, l’amore di Riconoscenza in GESÙ? San Dionigi ha detto che «l’amore è come un circolo eterno che abbraccia tutto, che trascina tutto, che partendo dal Bello e dal Bene, conduce tutto finalmente al Buono e al Bene, sempre invariato nei suoi movimenti, sempre tendente al solo e medesimo fine, che è Dio» (120). Ecco lo stato dell’anima della nostra divina Vittima: essa è tutta nell’amore, o piuttosto ella stessa è l’Amore, e tutto quanto fa è amore; essa abbraccia ogni cosa nel suo amore riconoscente, abbraccia tutte le creature, delle quali è l’Esemplare e il Tipo, e, nell’atto incessante di una gratitudine infinita, le eleva verso il loro Principio e il loro Fine che è Dio. Così GESÙ ringrazia pure per tutti i beni che le creature hanno ricevuto dal Padre. Egli ringrazia ufficialmente a nome di tutti, non solo perché Egli è sempre il nostro supplemento, ma perché, in tutta verità, le creature non ricevono se non ciò ch’Egli prima ha ricevuto (121). Tutto quanto hanno le creature, prima è proprietà di GESÙ, poiché esse tutto assolutamente ricevono dalla divina pienezza di Lui.
    L’azione di grazie non fu soltanto una delle grandi occupazioni della intera vita di Gesù; essa fu la sua vita, tutto il suo essere, ma anche la sua gioia e la sua felicità. Ringraziare suo Padre era il cantico di tutti i palpiti del suo Cuore, di tutti i movimenti della sua vita, di tutto l’essere sua teandrico, considerato anche solamente come costituito davanti al Padre nella qualità di Sacerdote e di Ostia. Ciò che Gesù è davanti al Padre, ecco la più perfetta azione di grazie, la più perfetta che il Padre passa ricevere. Così sarà in eterno; ed è così ancora, per la gloria del nostro esilio, nella Chiesa la quale possiede quell’ammirabile Mistero di amore che è Gesù medesimo sempre consumato dalle divine fiamme di una carità ineffabile; Mistero ch’Egli ha voluto si chiamasse Eucaristia, vale a dire, Riconoscenza e Azione di grazie.


NOTE

(111) Est nomen virtutis cujusdam unificae ac collectivae excellenterque contemperantis, quae in pulchro et bono per pulchrum et bonum praeexistit, et ex pulchro et bono propter pulchrum et bonum emanat. De div. nom., cap. IV.

(112) Ipse Deus propter amorem est extasim passus. Dionys. Areop. ap. S. TH., I-II, p. XXVIII, art. 3.

(113) S. AUG., Confess., X, 27.

(114) Quid est, quaeso, pulchritudine divina admirabilius ?… Inexplicabiles prorsus nec ulli pro dignitate enarrabiles, quae e fulgurantissimo illo divinae pulchritudinis fonte intermicant ac prosiliunt fulgetrae. S. BASIL., Regulae, interrogatio II.

(115) Est praeterea divinus amor exstaticus, qui non sinit esse suos eos qui sunt amatores, sed eorum quos amant. De div. nom., cap. IV.

(116) S. FRANCESCO DI SALES, Traité de l’Amour de Dieu, liv. V, chapitre III. Cfr.: DE BÉRULLE, Oeuvres; MIGNE,. col. 1105.

(117) Traité de 1’Amour de Dieu, liv. V, chap. XI.
 
(118) Amas te in teipso… Amas et teipsum in nobis, mittendo Spiritum Filii tui in corda nostra, clamantem: Abba! Pater! Sic nos efficiens tui amatores; imo sic teipsum in nobis amans. GUILLELMI, abb. S. Theodorici, Soliloquia, cap. VII.

(119) Cfr.: MATTH., III, 17; JOANN., 1, 16; Rom., I, 4; Ephes., I, 10; Coloss., I, II, III; I Tim., VI, 15; Apoc., I, 8; XXI, 6; XXII, 13.

(120) De div. nom., cap. IV.
 
(121) Accepit Unigenitus Spiritum Sanctum propter nos, ut omnem sanctificet naturam. Non enim in suum commodum venit; sed ut nobis omnibus principium, et via, et janua sit bonorum coelestium. – S. CYRILL. ALEX., in Joann., II