La castità del sacerdote

S. Alfonso
Maria de Liguori
CIRCA LA CASTITÀ DEL SACERDOTE
(Selva di materie predicabili – Parte II, Istruz. III)


Sant'Alfonso Maria de' Liguori - S.Alfonso

Omnis autem ponderatio
non est digna continentis animae
[1]. Tutte le ricchezze della terra, tutte le
signorie e dignità sono vili a rispetto d’un’anima casta. Da s. Efrem è
chiamata la castità vita spiritus, da s. Pier Damiani regina virtutum,
e da s. Cipriano acquisitio triumphorum. Chi vince il vizio opposto alla
castità, facilmente vince tutti gli altri vizj. All’incontro chi si lascia
dominare dal vizio impuro facilmente cade in molti altri vizj, di odio, d’ingiustizia,
di sacrilegio ec. La castità, dicea s. Efrem, fa che l’uomo diventi angelo:
Efficit angelum de homine. E s. Ambrogio: Qui castitatem servaverit angelus
est; qui perdidit diabolus
[2]. Con ragione i casti sono assomigliati
agli angeli, che vivono lontani da ogni piacere carnale: Et erunt sicut angeli
Dei
[3]. Gli angeli son puri per natura, ma i casti son puri per virtù:
Huius virtutis merito homines angelis aequantur [4]. E s. Bernardo
dice che l’uomo casto differisce dall’angelo solo nella felicità, non già
nella virtù: Differunt quidem inter se homo pudicus et angelus, sed
felicitate, non virtute; sed etsi illius castitas sit felicior, huius tamen fortior
concluditur
[5]. Aggiunge s. Basilio che la castità rende l’uomo
simile anche a Dio, il quale è spirito puro: Pudicitia hominem Deo simillimum
facit
[6].
La castità poi quanto è pregiabile tanto è necessaria a tutti
per conseguir la salute. Ma maggiormente è necessaria a’ sacerdoti. Il Signore
ordinò per li sacerdoti dell’antica legge tante vesti ed ornamenti bianchi
e tante lavande esterne, tutti simboli della purità del corpo; perché
doveano essi solamente toccare i vasi sacri e perché eran figura de’ sacerdoti
della nuova legge, i quali dovean poi toccare e sacrificare le sacrosante carni del
Verbo umanato. Onde scrisse s. Ambrogio: Si in figura tanta observantia, quanta
in veritate
[7]? All’incontro ordinò Iddio che fossero discacciati
dall’altare i sacerdoti che si trovassero abitualmente infetti di scabbia, simbolo
del vizio impuro: Nec accedet ad ministerium… si albuginem habens in oculo,
si iugem scabiem etc.
[8]. Spiega s. Girolamo: Iugem habet scabiem
qui carnis petulantia dominatur
[9].
Anche i gentili, come scrive Plutarco, esigevano la purità da’ sacerdoti de’
lor falsi dei, dicendo che ogni cosa che riguarda l’onor divino dee esser monda:
Diis omnia munda. E de’ sacerdoti ateniesi riferisce Platone che, per meglio
conservar la pudizia, abitavano in luoghi separati dagli altri: Ne contagione
aliqua eorum castitas labefactetur
[10]. Onde s. Agostino esclama: O
grandis christianorum miseria! ecce pagani doctores fidelium facti sunt.
Parlando
poi de’ sacerdoti del vero Dio, dice Clemente alessandrino che solamente quei che
menano vita casta sono e debbon dirsi veri sacerdoti: Soli qui puram agunt vitam
sunt Dei sacerdotes
[11]. E s. Tomaso da Villanova disse: Sit humilis
sacerdos, sit devotus, si non est castus nihil est.
A tutti è necessaria
la castità, ma principalmente a’ sacerdoti: Omnibus castitas pernecessaria
est, sed maxime ministris altaris
[12]. I sacerdoti debbon trattar sull’altare
coll’agnello immacolato di Dio, che chiamasi giglio, lilium convallium [13],
e che non si pasce se non tra’ gigli, qui pascitur inter lilia [14].
Che perciò Gesù Cristo non volle altra madre che una vergine, non
altro nutritore (qual fu s. Giuseppe) né altro precursore, se non vergine.
E dice s. Girolamo: Prae caeteris discipulis diligebat Iesus Ioannem, propter
praerogativam castitatis.
E per questo pregio di purità Gesù consegnò
a s. Gio. la sua madre, siccome al sacerdote consegna la chiesa e se stesso. Onde
disse Origene: Ante omnia sacerdos, qui divinis assistit altaribus, castitate
debet accingi
. E s. Gio. Grisostomo scrisse che il sacerdote dee esser così
puro che meriti di stare in mezzo agli angeli: Necesse est sacerdotem sic esse
purum ut, si in ipsis coelis esset collocatus, inter coelestes illas virtutes medius
staret
[15]. Dunque chi non è vergine non può esser sacerdote?
Risponde s. Bernardo: Longa castitas pro virginitate reputatur [16].
Perciò la s. chiesa niuna cosa custodisce con tanta gelosia quanto la
purità de’ sacerdoti. Quanti concilj, quanti canoni parlano di ciò!
Innocenzo III. [17] dice: Nemo ad sacrum ordinem permittatur accedere, nisi aut
virgo aut probatae castitatis existat.
E di più ivi stesso prescrive,
eos qui in sacris ordinibus sunt positi, si caste non vixerint, excludendos ab
omni graduum dignitate.
Inoltre s. Gregorio [18] disse: Nullus debet ad ministerium
altaris accedere, nisi cuius castitas ante susceptum ministerium fuerit approbata.
La ragione del celibato prescritto a’ ministri dell’altare la adduce s. Paolo
dicendo: Qui sine uxore est, sollicitus est quae Domini sunt, quomodo placeat
Deo. Qui autem cum uxore est, sollicitus est quae sunt mundi, quomodo placeat uxori,
et divisus est
[19]. Chi è sciolto da’ legami coniugali è
tutto di Dio, poiché non ha da pensare ad altro che a piacere a Dio: ma chi
è legato col matrimonio ha da pensare a piacere alla moglie, a’ figli ed al
mondo; e con ciò il suo cuore ha da restar diviso e non può esser tutto
di Dio. Ebbe ragione dunque s. Atanagio di chiamar la castità casa dello Spirito
santo, vita d’angeli e corona de’ santi: O pudicitia, domicilium Spiritus sancti,
angelorum vita, sanctorum corona
[20]! E s. Girolamo di chiamarla l’onore
della chiesa e la gloria de’ sacerdoti: Ornamentum ecclesiae Dei, corona illustrior
sacerdotum.
Sì, perché il sacerdote, come scrisse s. Ignazio martire,
dee conservarsi puro, come casa di Dio, tempio di Gesù Cristo ed organo dello
Spirito santo; giacché per suo mezzo si santificano le anime: Teipsum castum
custodi, ut domum Dei, templum Christi, organum Spiritus sancti
[21].
Gran pregio dunque è la castità; ma troppo terribile è la guerra
che fa la carne all’uomo per fargliela perdere. E questa è l’arme più
forte che ha il demonio per renderlo suo schiavo: Fortitudo eius in lumbis eius
[22]. Ond’è che rari son coloro che n’escono vincitori. S. Agostino:
Inter omnia certamina sola sunt dura castitatis praelia, ubi quotidiana pugna,
ubi rara victoria
[23]. Quanti miseri, pianse s. Lorenzo Giustiniani,
dopo molti anni di solitudine in un deserto, d’orazioni, digiuni e penitenze, per
la licenza del senso hanno lasciati i deserti ed han perduta la castità e
Dio! Post frequentes orationes, diutissimam eremi habitationem, cibi potusque
parcitatem, ducti spiritu fornicationis, deserta reliquerunt
[24]! Pertanto
i sacerdoti che sono obbligati ad una perpetua castità bisogna che usino grande
attenzione per conservarla. Non sarai mai casto, disse s. Carlo Borromeo ad un ecclesiastico,
se non attendi con tutta la diligenza a custodirti; poiché la castità
facilmente si perde da’ negligenti: Mirum est quam facile ab iis deperdatur qui
ad eius conservationem non invigilant.
Tutta questa attenzione consiste nel prendere
i mezzi a conservarla. Ed i mezzi consistono altri in fuggire alcuni incentivi dell’impudicizia,
altri in adoperare alcuni rimedj contro le tentazioni.
Il primo mezzo è fuggire l’occasione. Scrisse s. Girolamo: Primum huius
vitii remedium est longe fieri ab eis quorum praesentia alliciat ad malum
. Dicea
s. Filippo Neri che in questa guerra vincono i poltroni, cioè quei che fuggono
l’occasione: Nunquam luxuria facilius vincitur quam fugiendo [25]. È
un gran tesoro la grazia di Dio, ma questo tesoro l’abbiamo in noi che siamo vasi
così fragili e facili a perderlo: Habemus thesaurum istum in vasis fictilibus
[26]. La virtù della castità non può ottenersi dall’uomo,
se non gli è data da Dio: Scivi quoniam aliter non possem esse continens,
nisi Deus det,
disse Salomone [27]. Noi non abbiamo forza di osservare niuna
virtù, ma specialmente questa; mentre abbiamo una forte inclinazione naturale
al vizio opposto. L’aiuto divino può fare che l’uomo si conservi casto; ma
questo aiuto Dio non lo concede a chi volontariamente si mette o si trattiene nell’occasione
di peccare: Qui amat periculum peribit in illo [28].
Quindi esortava s. Agostino: Contra libidinis impetum apprehende fugam, si vis
obtinere victoriam
[29]. Oh quanti infelici, avvertì s. Girolamo
a’ suoi discepoli mentre stava moribondo (come scrive Eusebio nella sua epistola
a Damaso papa), son caduti in questo putrido fango per la presunzione di tenersi
sicuri di non cadere! Plurimi sanctissimi ceciderunt hoc vitio propter suam securitatem.
Nullus in hoc confidat.
Niuno dunque, seguiva ad inculcare il santo, dee tenersi
sicuro di non cadere in questo vizio. Ancorché tu fossi santo, dicea, stai
nulladimeno sempre soggetto a cadere: Si sanctus es, nec tamen securus es. Non
è possibile, disse il Savio, camminar sulle brace e non bruciarsi: Nunquid
potest homo ambulare super prunas, ut non comburantur plantae eius
[30]? A
tal proposito dice s. Gio. Grisostomo: Num tu saxum es, num ferrum? Homo es, communi
naturae imbecillitati obnoxius. Ignem capis, nec ureris? Qui fieri id potest? Lucernam
in foeno pone, ac tu aude negare quod foenum uratur. Quod foenum est, hoc natura
nostra est.
E così non è possibile esporsi ultroneamente all’occasione
e non precipitare. Il peccato dee fuggirsi come la faccia del serpente: Quasi
a facie colubri fuge peccata
[31]. De’ serpi non solo si fugge il morso,
ma ancora il tatto ed anche la vicinanza. Dove vi son persone che possono esserci
occasione di cadere bisogna che fuggiamo anche la loro presenza ed i loro discorsi.
Riflette s. Ambrogio che il casto Giuseppe non volle neppure udire quel che gli avea
cominciato a dire la moglie di Putifarre e subito si fuggì, stimando gran
pericolo anche il fermarsi ad ascoltarla: Ne ipsa quidem verba diu passus est;
contagium enim iudicavit si diutius moraretur
[32]. Ma dirà taluno:
io so quel che mi sta bene. Ma senta costui quel che dicea s. Francesco d’Assisi:
«Io so ciò che dovrei fare, ma non so, stando nell’occasione, quel che
farei».
E prima di tutto bisogna fuggire il guardare oggetti pericolosi in questa materia:
Ascendit mors per fenestras [33]. Per fenestras, cioè per gli
occhi, come spiegano s. Girolamo, s. Gregorio ed altri; perché siccome per
difendere una piazza non basta serrar le porte, se si lascia a’ nemici l’entrata
per le finestre, così non ci gioveranno tutti gli altri mezzi a conservar
la castità, se non istiamo cautelati a chiudere gli occhi. Narra Tertulliano
che un certo filosofo gentile volontariamente si tolse gli occhi per mantenersi casto.
Ciò non è lecito a noi cristiani, ma è necessario, se vogliamo
osservar la castità, l’astenerci dal guardare le donne e specialmente dal
riguardarle. Non tanto nuoce, avvertiva s. Francesco di Sales, il guardare, quanto
il riguardare quegli oggetti che possono tentarci. E non solo, aggiunge s. Gian Grisostomo,
bisogna voltare gli occhi dalle donne immodeste, ma anche dalle modeste: Animus
feritur et commovetur non impudicae tantum intuitu, sed etiam pudicae
[34].
Perciò il s. Giobbe fe’ patto cogli occhi di non guardare alcuna femmina,
ancorché onesta vergine, sapendo che dagli sguardi nascono poi i mali pensieri:
Pepigi foedus cum oculis meis ut ne cogitarem quidem de virgine [35]. E
lo stesso avvertì l’ecclesiastico: Virginem ne conspicias, ne forte scandalizeris
in decore illius
[36]. Dice s. Agostino: Visum sequitur cogitatio,
cogitationem delectatio, delectationem consensus.
Dal guardare sorge il mal pensiero;
dal pensiero sorge una certa dilettazione nella carne, benché involontaria;
a questa dilettazione indeliberata spesso succede poi il consenso della volontà:
ed ecco che l’anima è perduta. Riflette Ugon cardinale che perciò l’apostolo
impose che le donne stessero velate in chiesa, propter angelos [37], idest,
commenta Ugone, propter sacerdotes, ne, in earum faciem inspicientes, moverentur
ad libidinem.
S. Girolamo, anche mentre stava nella grotta di Betlemme orando
continuamente e macerandosi colle penitenze, era molto tormentato dalla memoria delle
dame tanto tempo prima vedute in Roma; onde il santo scrisse poi al suo Nepoziano
che non solo si astenesse dal mirar le donne, ma ancora di far parola delle loro
fattezze: Officii tui est non solum oculos castos custodire, sed et linguam, nunquam
de formis mulierum disputes
[38]. Davide per un’occhiata curiosa in guardar
Betsabea cadde miseramente in tanti peccati di adulterio, di omicidio e di scandalo.
Nostris tantum initiis (diabolus) opus habet, dicea lo stesso s. Girolamo.
Il demonio ha bisogno solamente che noi cominciamo ad aprirgli la porta, perché
esso poi finirà d’aprirsela. Uno sguardo avvertito e fissato in volto ad una
giovane sarà una scintilla d’inferno che manderà in rovina l’anima
E parlando specialmente s. Girolamo de’ sacerdoti, dicea che non solo essi debbon
fuggire ogni atto impuro, ma anche ogni girata d’occhi: Pudicitia sacerdotalis
non solum ab opere immundo se abstineat, sed etiam a iactu oculi
[39].
Se poi per conservar la castità è necessario l’astenersi dal guardare
le donne, molto più è necessario il fuggir la loro conversazione: In
medio mulierum noli commorari,
dice lo Spirito santo [40]. E ne soggiunge la
ragione, dicendo che siccome dal panno nasce la tignuola, così dalla conversazione
colle donne ha origine la malvagità degli uomini: De vestimentis enim procedit
tinea, et a muliere iniquitas viri
[41]. E siccome, commenta Cornelio
a Lapide, la tignuola nasce contro voglia del padrone dalla veste, così dal
trattar colle femmine sorge senza volerlo il cattivo desiderio: Sicut tibi
nihil tale volenti nascitur tinea, ita tibi nihil tale volenti nascitur a foemina
desiderium.
E soggiunge che siccome insensibilmente la tignuola si genera nella
veste e la rode, così insensibilmente, conversando gli uomini colle donne,
si muove in essi la concupiscenza, ancorché sieno spirituali: Insensibiliter
tinea in veste nascitur et eam rodit, sic insensibiliter ex conversatione cum muliere
oritur libido, etiam inter religiosos.
S. Agostino dà per certo il presto
precipizio in questa materia di taluno che non vuole astenersi dalle familiarità
con oggetti pericolosi: Sine ulla dubitatione, qui familiaritatem non vult vitare
suspectam cito labitur in ruinam
[42]. Narra s. Gregorio [43], di Orsino
prete, che essendosi separato dalla moglie e fatto sacerdote col di lei consenso,
dopo quarant’anni di separazione, stando per morire, la moglie accostò l’orecchio
alla di lui bocca per iscorgere se ancor respirava: ma allora Orsino gridò:
Recede, mulier: adhuc igniculus vivit; tolle paleam. Scostati, donna, disse,
e togli la paglia; perché ancor vive in me un picciol fuoco di vita, che può
ambedue consumarci.
Basti a far tremare ognuno l’infelice esempio di Salomone, che, essendo stato prima
così caro e familiare a Dio, fatto per dir così penna dello Spirito
santo, dopo, per la conversazione colle donne gentili, fatto vecchio, giunse sino
ad adorare gl`idoli: Cumque… esset senex, depravatum est cor eius per mulieres
ut sequeretur Deos alienos
[44]. Ma che maraviglia, dice s. Cipriano,
se è impossibile star in mezzo alle fiamme e non bruciare? Impossibile
est flammis circumdari et non ardere.
E s. Bernardo scrisse che vi bisogna minor
virtù a risuscitare un morto, che frequentando la familiarità con una
donna, a mantenersi casto: Cum foemina frequenter esse et foeminam non tangere
nonne plus est quam mortuum suscitare
[45]? Dunque, se vuoi star sicuro,
dice lo Spirito santo, longe fac ab ea viam tuum [46]. Procura presso
la casa di colei verso cui il demonio ti tenta, neppur di passarvi; passa da lontano;
e quando fosse veramente necessario a taluno il parlare con qualche donna, dice s.
Agostino, dee parlarle con poche parole ed austere: Cum foeminis sermo brevis
et rigidus
[47]. Lo stesso scrive s. Cipriano, dicendo che il trattar
colle donne bisogna che sia di passaggio, senza fermarvisi e come fuggendo: Transeunter
foeminis exhibenda est accessio quodammodo fugitiva.
Ma quella è brutta,
dice taluno: Dio me ne guardi. Ma ti risponde s. Cipriano che il demonio è
pittore, e, quando è mossa la concupiscenza, un viso deforme lo fa comparire
bello: Diabolus, pingens, speciosum efficit quidquid horridum fuerit. Ma quella
m’è parente. A ciò ti risponde s. Girolamo: Prohibe tecum commorari
etiam quae de tuo genere sunt.
La parentela alle volte serve per togliere la
soggezione e per moltiplicare i peccati, aggiungendo all’impudicizia ed al sacrilegio
anche l’incesto. Scrisse s. Cipriano: Magis illicito delinquitur ubi sine suspicione
securum potest esse delictum.
S. Carlo Borromeo fe’ decreto che i suoi preti
non potessero senza sua licenza coabitare con donne, neppure loro strette consanguinee.
Ma quella è mia penitente ed è santa: non ci è paura. Non c’è
paura? Ma no, dice s. Agostino; quanto più la tua penitente è santa,
tanto più dei temerne e fuggirne la familiarità; perché le donne
quando sono più divote e spirituali, allora maggiormente allettano: Sermo
brevis et rigidus cum his mulieribus habendus est: nec tamen quia sanctiores sunt,
ideo minus cavendae: quo enim sanctiores fuerint, eo magis alliciunt
[48].
Diceva il ven. p. Sertorio Caputo, come si legge nella sua vita, che il demonio
prima fa prendere affetto alla virtù e così procura di assicurare che
non ci sia pericolo; indi fa entrar l’affetto alla persona e poi tenta; e così
fa ruine. E prima lo disse s. Tomaso: Licet carnalis affectio sit omnibus periculosa,
ipsis tamen magis perniciosa quando conversantur cum persona quae spiritualis videtur:
nam quamvis principium videatur purum, tamen frequens familiaritas domesticum est
periculum; quae quidem familiaritas quanto plus crescit, infirmatur principale motivum
et puritas maculatur.
E soggiunge che il demonio sa ben nascondere un tal pericolo;
poiché al principio non manda saette che si conoscano avvelenate, ma solamente
di quelle che fan picciole ferite ed accendono l’affetto: ma in breve poi avviene
che tali persone non trattino più fra loro come angeli, siccome han principiato,
ma come vestite di carne: gli sguardi non sono immodesti, ma sono spessi a vicenda:
le parole sembrano essere spirituali, ma son troppo affettive. Quindi l’uno comincia
a desiderare spesso la presenza dell’altro: Sicque, conclude il santo spiritualis
devotio convertitur in carnalem. S. Bonaventura dà cinque segni per
conoscere quando l’amore da spirituale si è fatto carnale. 1. Quando vi sono
discorsi lunghi ed inutili; e quando sono lunghi, sempre sono inutili. 2. Quando
vi sono sguardi e lodi a vicenda. 3. Quando l’uno scusa i difetti dell’altro. 4.
Quando si affacciano certe piccole gelosie. 5. Quando si sente nella lontananza una
certa inquietezza.
Tremiamo: siamo di carne. Il b. Giordano riprese fortemente una volta un suo religioso
per aver data la mano ad una donna, benché senza malizia. Rispose il religioso
che quella era santa. Ma il beato, «Senti, gli disse: la pioggia è buona
e la terra anche è buona; ma mischiate insieme pioggia e terra fanno loto».
Quegli è santo e quella ancora è santa, ma perché si mettono
nell’occasione, si perdono tutti e due: Fortis impegit in fortem, et ambo pariter
conciderunt
[49]. È celebre quel caso funesto che si legge nella
storia ecclesiastica di quella donna santa che usava la carità di prendere
i corpi dei santi martiri e seppellirli. Costui un giorno ne trovò uno creduto
già morto, ma che non era ancora spirato, lo condusse in sua casa, lo fe’
curare; e quegli ricuperò la santità. Ma che avvenne? questi due santi,
col conversare insieme, perderono la castità e la grazia di Dio. E questo
caso non è avvenuto una o poche volte: quanti sacerdoti prima santi, per simili
attacchi principiati collo spirito, han perduto in fine lo spirito e Dio? Attesta
s. Agostino aver conosciuti alcuni gran prelati della chiesa, stimati da lui non
meno che un s. Girolamo e un s. Ambrogio, esser poi precipitati per tali occasioni:
Magnos praelatos ecclesiae sub hac specie corruisse reperi, de quorum casu non
magis praesumebam quam Hieronymi et Ambrosii
[50]. Pertanto scrisse s.
Girolamo a Nepoziano: Ne in praeterita castitate confidas, solus cum sola absque
teste non sedeas. Non sedeas
viene a dire non fermarsi. E s. Isidoro pelusiota
scrisse: Si cum ipsis conversari necessitas te obstringat, oculos humi eiectos
habe: cumque pauca locutus fueris, statim avola
[51]. Diceva il p. Pietro
Consolini dell’Oratorio che colle donne anche sante si dee praticar la carità
come colle anime del purgatorio, da lontano e senza guardarle. Diceva ancora questo
buon padre che giova a’ sacerdoti, quando sono tentati contro la castità,
il considerare la loro dignità: e narrava a questo proposito che un certo
cardinale, allorché era molestato da’ pensieri, si volgeva a guardar la sua
berretta, considerando la sua dignità cardinalizia, dicendo: «Berretta
mia, mi ti raccomando;» e così resisteva alla tentazione.
Inoltre bisogna fuggire i mali compagni. Dice s. Girolamo che tale diventa l’uomo,
quali sono i compagni con cui conversa: Talis efficitur homo, quali conversatione
utitur.
Noi camminiamo per una via oscura e sdrucciola; tal è la vita
presente, lubricum in tenebris: se v’è un mal compagno che ci spinga
al precipizio, siam perduti. Narra s. Bernardino da Siena [52], aver conosciuta egli
una persona che per trentotto anni avea conservata la sua verginità e poi,
per aver intesa nominare da un’altra persona una certa impudicizia, precipitò
in una vita così laida che se il demonio, diceva il santo, avesse avuta carne,
non avrebbe potuto commettere simili sordidezze.
Inoltre, per mantenerci casti, bisogna che fuggiamo l’ozio. Dice lo Spirito santo
che l’ozio insegna a commettere molti peccati: Multam… malitiam docuit otiositas
[53]. Ed Ezechiele dice che l’ozio fu la causa delle scelleraggini de’ cittadini
di Sodoma e finalmente della loro totale ruina: Haec fuit iniquitas Sodomae…
otium ipsius
[54]. E questa medesima fu la causa, come riflette s. Bernardo,
della caduta di Salomone. Il fomite della carne colla fatica si reprime: Cedet
libido operibus
[55]. Quindi s. Girolamo esortava Rustico a farsi trovar
sempre occupato per quando veniva il demonio a tentarlo: Facito ut te semper diabolus
inveniat occupatum
[56]. Scrisse s. Bonaventura che colui il quale sta
applicato sarà tentato da un solo demonio, ma l’ozioso sarà spesso
assalito da molti: Occupatus ab uno daemone, otiosus ab innumeris vastatur.
Abbiamo vedute dunque le cose che si han da fuggire per conservar la castità,
cioè l’occasione e l’ozio. Vediamo ora le cose che si han da praticare. Per.
1. si ha da esercitar la mortificazione de’ sensi. S’inganna, dice s. Girolamo, chi
vuol vivere tra’ piaceri e vuole star libero dai vizj de’ piaceri: Si quis existimat
posse se versare in deliciis, et deliciarum vitiis non teneri, seipsum decipit

[57]. L’apostolo, quando era molestato dagli stimoli della carne, così
si aiutava, colle mortificazioni del corpo: Castigo corpus meum et in servitutem
redigo
[58]. Quando la carne non è mortificata, difficilmente ubbidisce
allo spirito. Sicut lilium inter spinas, sic amica mea inter sponsas [59].
Siccome il giglio si conserva tra le spine, così la castità si
custodisce tra le mortificazioni. E principalmente chi vuol mantenersi casto bisogna
che si astenga dalle intemperanze della gola, così nel bere, come nel mangiare.
Noli regibus dare vinum [60]. Chi prende vino più di quel che
bisogna sarà certamente molestato da molti moti di senso, in modo che difficilmente
potrà poi reggere la sua carne e far ch’ella conservi la castità: Venter
enim mero aestuans despumat in libidinem
, scrisse s. Girolamo; poiché
il vino, come disse il profeta, fa perdere all’uomo la ragione e lo fa divenir bruto:
Ebrietas et vinum auferunt cor [61]. Del Battista fu predetto: Vinum
et siceram non bibet, et Spiritu sancto replebitur
[62]. Taluno adduce
la necessità del vino a cagion della debolezza del suo stomaco. Bene; ma per
rimedio dello stomaco poco vino è bastante, secondo scrisse l’apostolo a Timoteo:
Modico vino utere propter stomachum tuum et frequentes tuas infirmitates [63].
Così anche bisogna astenersi dalla superfluità del cibo. Dicea
s. Girolamo che la sazietà del ventre è causa dell’impudicizia. E s.
Bonaventura: Luxuria nutritur a ventris ingluvie [64]. All’incontro,
come ne insegna la s. chiesa, il digiuno reprime i vizj e produce le virtù:
Deus, qui corporali ieiunio vitia comprimis, mentem elevas, virtutes largiris
et praemia.
Scrisse s. Tomaso che quando il demonio tenta una persona di gola
e resta vinta, lascia di tentarla d’impurità: Diabolus victus de gula non
tentat de libidine.

Per 2. bisogna esercitar l’umiltà. Dice Cassiano che chi non è umile
non può esser casto: Castitatem apprehendi non posse, nisi humilitatis
fundamenta in corde fuerint collocata.
Non rare volte accade che Dio castiga
i superbi col permettere che cadano in qualche laidezza. Questa fu la cagione della
caduta di Davide, siccome egli stesso confessò: Priusquam humiliarer, ego
deliqui
[65]. L’umiltà è quella che ci ottiene la castità.
Ut castitas detur, humilitas meretur, scrisse s. Bernardo [66]. E s. Agostino:
Custos virginitatis caritas, locus custodis humilitas [67]. L’amor
divino è il custode della purità, ma l’umiltà è quella
casa poi nella quale abita un tal custode. Dicea s. Giovanni Climaco che chi nel
combattere colla carne vuol vincere colla sola continenza è come chi sta in
mare e vuol salvarsi nuotando con una sola mano: perciò bisogna che alla continenza
unisca ancor l’umiltà: Qui sola continentia bellum hoc superare nititur
similis est ei qui una manu natans pelago liberari contendit: sit ergo humilitas
continentiae coniuncta
[68].
Ma sovra tutto per ottener la virtù della castità è necessaria
l’orazione; bisogna pregare e continuamente pregare. Già di sopra si è
detto che la castità non può ottenersi né conservarsi, se Iddio
non concede il suo aiuto per conservarla: ma questo aiuto il Signore non lo concede
se non a chi glielo domanda. Dicono i ss. padri che l’orazione di petizione, cioè
la preghiera, agli adulti è necessaria di necessità di mezzo, secondo
parlano le scritture: Oportet semper orare et non deficere [69]. Petite
et dabitur vobis
[70].
Onde poi scrisse l’angelico: Post baptismum necessaria est homini iugis oratio
[71]. E se per esercitare qualunque virtù vi bisogna l’aiuto divino,
per conservar la castità vi bisogna un aiuto maggiore, per ragion della gran
tendenza che ha l’uomo al vizio opposto. È impossibile all’uomo, scrisse Cassiano,
colle sue forze mantenersi casto, senza la divina assistenza: e perciò in
questo combattimento bisogna domandarla al Signore con tutti gli affetti del cuore:
Impossibile est hominem suis pennis ad huiusmodi virtutis praemium evolare, nisi
eum gratia evexerit: idcirco adeundus est Dominus et ex totis praecordiis deprecandus.
Onde scrisse s. Cipriano che il primo mezzo per ottenere la castità è
il domandare a Dio il di lui aiuto: Inter haec media ad obtinendam castitatem,
imo et ante haec omnia de divinis castris auxilium petendum est
[72]. E
prima lo disse Salomone: Et ut scivi quoniam aliter non possem esse continens,
nisi Deus det, et hoc ipsum erat sapientiae scire cuius esset hoc donum; adii Dominum
et deprecatus sum illum et dixi ex totis praecordiis meis
[73].
Subito dunque, ci avverte s. Cipriano, ai primi solletichi sensuali con cui ci assalta
il demonio dobbiamo resistere e non permettere che la serpe, cioè la tentazione,
da picciola si faccia grande: Primis diabolis titillationibus obviandum est, nec
coluber foveri debet donec in serpentem formetur
[74]. Lo stesso avverte
s. Girolamo: Nolo sinas cogitationes crescere; dum parvus est hostis interfice
[75]. È facile uccidere il leone quando è picciolo; ma è
difficile quando è grande. Guardiamoci pertanto in questa materia dal metterci
a discorrere colla tentazione: subito senza discorrere procuriamo di scacciarla.
E come dicono i maestri di spirito, il miglior modo per discacciar tali tentazioni
di senso non è già di combattere direttamente da faccia a faccia col
mal pensiero, facendo atti contrarj di volontà, ma di sviarlo indirettamente
con fare atti d’amore a Dio o di contrizione, od almeno con divertire la mente a
pensare ad altre cose. Ma il mezzo in cui più allora dobbiam fidarci è
il pregare e raccomandarci a Dio: subito allora, ai primi moti d’impurità,
giova rinnovare il proposito di voler prima soffrir la morte che peccare; e immediatamente
dopo bisogna ricorrere alle piaghe di Gesù Cristo per aiuto. Così han
fatto i santi, che ancora eran di carne ed eran tentati, e così han vinto.
Cum me pulsat, dicea s. Agostino, aliqua turpis cogitatio, recurro ad vulnera
Christi: tuta requies in vulneribus Salvatoris
[76]. Così anche
s. Tomaso d’Aquino superò l’assalto di quella donna impudica, dicendo: Ne
sinas, Domine Iesu, et sanctissima Virgo Maria.

Giova molto anche allora il segnarsi col segno della croce sul petto. Giova ricorrere
all’angelo custode ed al santo avvocato. Ma sopra tutto giova ricorrere a Gesù
Cristo e alla divina Madre, invocando subito allora e più volte i loro santissimi
nomi, finché non si senta abbattuta la tentazione. Oh che forza hanno i nomi
di Gesù e di Maria contro gl’insulti disonesti! Tra le altre divozioni per
conservar la castità è utilissima la divozione verso la s. Vergine,
la quale vien chiamata mater pulcrae dilectionis et custos virginitatis. Singolarmente
è giovevolissima la divozione di recitare nel levarsi la mattina e nell’andare
a letto la sera tre Ave alla purità di Maria. Narra il p. Segneri che
un giorno andò a confessarsi dal p. Nicola Zucchi della compagnia di Gesù
un peccatore tutto infangato d’impurità: questo padre gli diè per rimedio
che in ogni mattina e sera non avesse lasciato mai di raccomandarsi alla purità
di Maria colle suddette tre Ave. In capo a più anni quel peccatore,
dopo aver girato il mondo, ritornò a piedi del nominato padre e, confessandosi
di nuovo, dimostrò d’essersi in tutto emendato. Gli dimandò il padre
come avea fatta sì bella mutazione: rispose d’avere ottenuta la grazia per
mezzo di quella piccola divozione delle tre Ave. Il p. Zucchi, colla licenza
del penitente, disse un giorno dal pulpito questo fatto. L’intese un certo soldato
che tenea attualmente una mala pratica: cominciò a dire ogni giorno le tre
Ave Maria; ed ecco che presto coll’aiuto della divina Madre lasciò
la pratica. Ma un giorno, spinto da falso zelo, volle andare a trovar quella donna
col pensiero di convertirla; ma quando fu per entrare alla di lei casa si sentì
dare una grande spinta e si ritrovò trasportato in altro luogo, molto da quella
casa lontano. Allora egli conobbe, e ne ringraziò la sua benefattrice, che
l’essere stato impedito di andare a parlar colla donna era stata una special grazia
impetratagli da Maria, perché, se si fosse posto di nuovo all’occasione, facilmente
sarebbe ricaduto.

NOTE

[1] Eccli. 26. 20.
[2] Lib. 1. de virgin.
[3] Matth. 22. 30.
[4] Cassian. lib. 6. Instit.
[5] Ep. 22.
[6] Lib. de virgin.
[7] L. 1. de offic. c. 5.
[8] Lev. 18. 20.
[9] Pastor. part. 1. c. ult.
[10] Appr. mons Sperell. part. 1. rag. 17.
[11] L. 3. Stromat.
[12] S. Aug. serm. 249. de temp.
[13] Cant. 2. 1.
[14] Cant. 2. 16.
[15] De sacerd. lib. 3. cap. 4.
[16] De modo bene vivendi. cap. 22.
[17] In. c. A multis, de aetate et qual. ord.
[18] L. 1. ep. 42.
[19] 1. Cor. 7. 32. et. 33.
[20] L. de virginit.
[21] Epist. 10. ad Herod.
[22] Iob. 40. 11.
[23] Tract. de honor. mulier.
[24] De spirit. an.
[25] Petr. Blessens. in ps. 40. v. 1.
[26] 2. Cor. 4. 7.
[27] Sap. 8. 21
[28] Eccli. 3. 27.
[29] Serm. 350. de temp.
[30] Prov. 6. 27. et 28.
[31] Eccli. 21. 2.
[32] De s. Ios.
[33] Ier. 9. 21.
[34] L. 6. de sacerd. c. 5.
[35] Iob. 31. 1.
[36] Eccli. 9. 5.
[37] 1. Cor. 11. 10.
[38] Epist. ad Nepot.
[39] In. c. 1. epist. ad Tit.
[40] Eccl. 42. 12.
[41] Ib. v. 13.
[42] Serm. 2. in dom. 29.
[43] Dial. l. 4. c. 2.
[44] 3. Reg. 11. 4.
[45] Serm. 26. in Cant.
[46] Prov. 5. 8.
[47] In ps. 50.
[48] Tom 8. in ps. 50.
[49] Ier. 46. 12.
[50] Apud s. Thom. opusc. de modo confit. a. 2.
[51] L. 1. ep. 320.
[52] c. 4. serm. 10.
[53] Eccl. 23. 29.
[54] 16. 49.
[55] S. Isidor. de contemptu mundi.
[56] Epist. 4. ad Rust.
[57] L. contra Iovin.
[58] 1. Cor 9. 27.
[59] Cant. 2. 2.
[60] Prov. 31. 4.
[61] Oseae 4. 11.
[62] Luc. 1. 15.
[63] 1. Tim. 5. 23.
[64] De prof. relig, l. 2. c. 52.
[65] Ps. 118. 67.
[66] Epist. 42. c. 15.
[67] De s. virgin. c. 51.
[68] De castit. gradu 15.
[69] Luc. 18. 1.
[70] Matth. 7. 7.
[71] 3. p. q. 39. art. 5.
[72] De bono pudic.
[73] Sap. 8. 21.
[74] De ieiun.
[75] Epist. 22.
[76] Medit. c. 22.