Il sacrificio di Gesù nel cielo

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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CAPITOLO VENTESIMO. Il sacrificio di Gesù nel cielo

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Il Venerato Olier ha scritto, sul Mistero della Risurrezione, queste belle parole:
    «Nei sacrifici dell’antica legge, l’Ostia, stando immolata sull’altare, aspettava la sua chiarificazione, vale a dire, quel chiarore nel quale sarebbe entrata passando nella natura e nella luce del fuoco, che la doveva consumare sull’altare medesimo. Così, dopo che Nostro Signore fu immolato e ucciso sulla Croce, fu posto nella tomba; e là, come l’Ostia sull’altare, Egli aspettava che il fuoco divino, vale a dire Dio Padre, scendesse nel sepolcro, per far passare la sua Ostia nella sua propria natura di luce e di gloria.
    «Mi sembrava veder il Padre nell’atto di abbracciare il suo Figlio ancora giacente nella tomba, circondarlo di gloria; prenderlo tra le sue braccia, con occhio di gioia e con faccia ridente. Mi sembrava di vedere come lo portava nel suo seno, ricongiungeva e riuniva il corpo e l’anima, se li stringeva al petto, si distendeva sopra di essi come il Profeta sopra il fanciullo della vedova e li riscaldava nel seno della sua gloria. Lo vedevo come in atto di consumare ciò che in GESÙ CRISTO apparteneva allo stato di infermità, col dargli, nel seno della tomba, una vita di gloria al posto della vita di infermità e di sofferenza ch’esso aveva ricevuto da Davide; infine lo faceva passare dallo stato di Ostia per il peccato, in quello di Ostia di lode, mediante una glorificazione della carne e dell’anima di GESÙ CRISTO, salda, verace, reale e sostanziale» (Vie intérieure de la T. S. Vierge, chap. XIII).
    Anche il grande Pontefice Benedetto XIV, ha detto formalmente nel suo Trattato sulla S. Messa: In sacrificiis Judaicis Victima incendebatur super altare holocaustorum, ut quidquid in ea vitii esset, flammis absumeretur… In nova lege, consumpta fuit Victima in Christi Resurrectione; nam in     Resurrectione absorptum fuit in Christo «quod mortale est a vita», ut ait Apostolus; absumptumque fuit quidquid inesse poterat corruptibile» (De Sacrificio Missae, lib. II, cap. XI.).
   «Salito al Cielo, dice pure sant’Ambrogio, Cristo ha offerto al Padre suo la propria Umanità come graditissima oblazione» (De Fide orthod., VIII).
    Ecco dunque GESÙ consacrato Vittima eterna, nella gloria della sua Risurrezione; perché, «una volta risuscitato, non muore più; la morte più non lo dominerà» (Rm 6, 9). E mentre diventa Vittima eterna, Egli è nuovamente consacrato Sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec.

 Orbene, nel quarantesimo giorno dopo questo glorioso Mistero, Egli s’innalzò al cielo, e portò così nell’eternità il suo Sacerdozio e il suo Sacrificio. Così Egli compiva e effettuava la quarta parte del Sacrificio figurativo, la Comunione. Col ritornare al Padre, si dava in tutta realtà in comunione al Padre. Come altre volte Dio si degnava di ricevere «in odore di soavità» (Gn 8, 21; Lv 1, 13) le offerte che gli venivano fatte, e che la parte interamente consumata della Vittima era considerata come quella ch’Egli si appropriava in modo singolare, univa, a se stesso le prendeva in certo qual modo nel suo seno a modo d’un cibo gradito (163); così ricevette in se medesimo, nel suo seno, il Diletto Figlio suo che ritornava dalla terra. Il fumo odoroso dei Sacrifici secondo s. Agostino, figurava quella divina Ascensione (164); ma ben altra consolazione era per il Padre questo ritorno della sua Vittima perfetta, questo ingresso nel cielo e nel suo proprio seno, di quel Figlio così obbediente alla sua volontà, così amorevolmente zelante nel suo ministero di Sacerdote e così umile nel suo stato di Ostia!… GESÙ aveva «perfettamente compiuta l’opera sua». «Uscito altra volta dal Padre per quest’opera, «ora era di ritorno» (Gv 17, 4; 16, 28) sempre Vittima del Padre, ma Vittima di gioia, odore di vita e di santità, Olocausto universalmente degno della divina Maestà, finale e perfetto compimento di quell’amoroso compiacimento che il Padre medesimo aveva espresso sulle rive del Giordano e sul monte Tabor. Quale festa, questa Comunione, per il Cuore di Dio! e quale aumento di gioia, se pur è lecito così parlare con s. Cipriano, quale, aumento di gioia per Colui che è la Beatitudine immutabile! (165).

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    Orbene, una volta compiute e realizzate tutte le figure antiche; una volta data al Padre quella Comunione affatto ineffabile, Comunione alla quale la Chiesa non tardò di partecipare nel Sacramento dell’Altare; una volta avvenuto il fatto di quell’ascensione, di quel riposo nel seno del Padre, allora ebbe principio, nell’Eternità stessa, il Sacrificio dell’Eternità, Sacrificio il più perfetto, e, a dire il vero, il solo assolutamente perfetto sotto ogni rapporto. Per verità, un tal Sacrificio non è altro che il Sacrificio stesso della Croce; non può essere diversamente. Ma, nella immolazione cruenta avvenuta sulla Croce, parecchie circostanze esterne e vari caratteri accidentali erano grandemente imperfetti. Gli strumenti che vi cooperarono erano perversi, pieni di malizia e di iniquità; con la loro indifferenza o empietà, gli uomini ne resero, e continuarono a renderne inefficace la virtù; la Vittima stessa era in uno stato di umiliazione e di disgrazia, che indicava come sotto questo rapporto, il Sacrificio fosse transitorio. Entrando GESÙ in Cielo, tutto si cambia: la sostanza è ancora quella, ma l’esteriore è scomparso. «Era necessario che, soffrisse, e così entrasse nella sua gloria»; ha sofferto, e ora sta nella gloria; e il suo Sacrificio «è coronato di gloria e di onore», come dice san Paolo parlando del sommo Sacerdote che l’offre (Eb 2, 9). «Quando si presentò al Padre suo con la sua carne glorificata, il sommo Sacerdote, dice san Gregorio Papa, celebrò una solenne immolazione» (GREG. MAGNUS, In I Reg., libr. I).

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    Ecco dunque il Sacrificio del Cielo, che non finirà mai più. Di questo Sacrificio eterno han parlato con tanta ammirazione san Paolo e i Padri.
    Ecco dapprima il luminoso insegnamento dell’Apostolo:
    «Habentes Pontificem magnum, qui penetravit caelis, Jesum, Filium Dei… Eo quod maneat in aeternum sempiternum habet sacerdotium… Talem habemus Pontificem, qui consedit in dextera sedis magnitudinis in caelis sanctorum Minister, ct tabemaculi veri… Unde necesse est ct hunc habere aliquid quod offerat. Christus autem assistens Pontifex futurorum bonorum… per proprium sanguinem, introivit semel in sancta, aeterna redemptione inventa» (Hebr., IV-IX).
     Sentiamo i Padri, e dapprima san Giovanni Crisostomo:
     «Christus Sacerdos (in Caelis) non sedet sed stat… Ecce in supernis habemus Victimam, in supernis Sacerdotem, in supernis Hostiam… Legale sacerdotium, quoniam erat imbecillum ejectum est; hoc autem stat et manet, quoniam est potens et validum… Quoniam est unus Sacerdos, et non esset unus, nisi immortalis… Tabernaculum ejus caelum. Illic enim est intus Pontifex… Dicit Paulus apparuisse (Christum) vultui Dei pro nobis. Quid est: pro nobis? Ascendit, iniquit, cum sacrificio quo potest placare Patrem… Ipse est ergo Sacrificium, Sacerdos et Hostia…» (In Epist. ad Hebr.).
     Sant’Epifanio: «In quo (Sacrificio a Christo in terris oblato) idem ipse Victima fuit, ipse Sacrificium, ipse Sacerdos, ipse Altare, ipse Deus, ipse homo, ipse Rex, ipse Pontifex, ipse ovis, ipse agnus: ideoque omnia in omnibus propter nos est factus, ut modis omnibus nobis vita suppeteret, ac Sacerdotii sui costantem et immutatabilem firmitatem in scmpiternum statueret» (Adversus Haereses.).
    «Quomodo non inusitatus plane Sacerdos Christus est, dice s. Cirillo di Alessandria, qui et in divinitatis throno considet, et tanem ut homo sacra facit?» (S. CYRILL, ALEX, Ad Reginas, de recta Fide; oratio altera).
      E Sant’Ambrogio: «Christus semper agit causas nostras apud Patrem, cujus postulatio contemni non potest, quia in dextera Dei est… Vulnera suscepta pro nobis caelo inferre maluit, abolere noluit, ut Deo Patri nostrae pretia libertatis ostenderet» (Espositio Evang. secund. Lucam, lib. X.)

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     I Padri, al primo aspetto, sembrano indicare soltanto quel Sacrificio che attualmente GESÙ CRISTO offre in cielo, in nostro favore, mostrando le sue piaghe, semper vivens ad interpellapdum pro nobis (Eb 7, 25; 9, 24). Ma se si riflette ch’Egli è Sacerdote eterno, e che il Sacerdote, secondo l’Apostolo, «deve aver qualche cosa da offrire»; se si riflette inoltre che Dio avrà sempre diritto, in cielo come in terra, alla Religione delle sue creature glorificate, e, quindi, alla, Religione di Colui che è il Capo necessario di qualsiasi culto che si rende a Dio, e che la Religione e il culto consistono principalmente nel Sacrificio; bisogna ammettere con certezza che questo Sacrificio durerà in eterno (166). Parecchi suoi effetti è vero, cesseranno quando non vi saranno più eletti da santificare sulla terra. La supplicazione, l’intercessione, dopo il Giudizio universale, non avranno più luogo, perché il nostro Pontefice e «Avvocato» (1 Gv 2, 1) vedrà il suo corpo mistico santificato e glorificato con se medesimo. Ma l’adorazione, la lode, l’azione di grazie: ciò che forma la sostanza della Religione che non cesserà d’essere resa a Dio, tutto ciò durerà nei secoli dei secoli.

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     Felici di conoscere questo bello e prezioso mistero del Sacrificio eterno, esaminiamo ora in che consiste.
    E dapprima, è un Sacrificio soltanto interno, o anche esterno e visibile?
    Ci sembra lecito di riconoscere in esso qualche carattere esterno, in forza di quella parola di san Giovanni: «Io vidi in mezzo al trono e ai quattro animali, e ai seniori, un Agnello sui suoi piedi, come scannato a morte» (Ap 5, 6), e inoltre, a motivo delle cicatrici che GESÙ porterà nelle sue mani, nei suoi piedi, e nel suo costato, come apparivano nella gloria stessa della sua Risurrezione (167). Ma ciò the avviene nella Gloria eterna, non può aver somiglianza alcuna con ciò che ha luogo sull’altare della Chiesa della terra, dove vi è posto ancora per la figura. In cielo, non vi è più che la luminosa verità, contemplata in se medesima, senza velo, senza figura, senza riti, senza nessuna di quelle forme sensibili che sono necessarie quaggiù.
      Tuttavia, fatta questa restrizione, possiamo trovare nel glorioso Sacrificio del Cielo le condizioni richieste per qualsiasi Sacrificio perfetto; un Tempio, un Altare, un Sacerdote, una Vittima, una Vittima offerta, immolata, consumata nel fuoco, data in comunione.

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     Il Tempio è il seno medesimo del Padre. Nel giorno della sua Ascensione, GESÙ, Vittima immortale, per la gloria della sua Risurrezione entrò in quel seno adorabile, e vi portò il suo Sacerdozio e il suo stato di Ostia. Egli aveva detto: «Uscito dal Padre, sono venuto nel mondo e di nuovo vado al Padre mio»: e allora si compiva questa sua parola. «Il Tempio dì Dio, dice san Giovanni, venne aperto nel cielo, e in questo Tempio apparve l’Arca del nuovo Testamento». Qual è quest’Arca, se non la sacratissima Umanità di GESÙ? e dove può mai trovarsi, se non nel seno del Padre, come nel suo Tempio? «Non vidi nessun Tempio nella città. Il Tempio è il Signore Dio Onnipotente» (Ap 11, 9; 21, 22). Perciò san Paolo ci rappresenta GESÙ come «il nostro Pontefice, che penetra nei cieli, e arriva sino al Santo dei Santi, oltre il velo». GESÙ medesimo ci insegnava che anche durante la sua vita viatrice, Egli non cessava di essere nel seno del Padre, come nella sua dimora, come nel suo Tempio allora sconosciuto: mistero nascosto agli uomini, ma destinato ad essere, per noi, l’oggetto della visione eterna: Et visa est arca testamenti ejus in templo ejus.

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    La Persona del Verbo Incarnato è l’Altare, sopra il quale si consuma la sua adorabile Umanità. La santa Chiesa e i santi Dottori sono unanimi in tale insegnamento. Ogni mattina, nella celebrazione della santa Messa, noi diciamo queste misteriose parole: Jube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum. Nell’ordinazione dei Suddiaconi, il Vescovo dice:
 Altare quidem sanctae Ecclesiae, ipse est Christus, teste Joanne,  qui, in Apocalypsi sua, altare aureum se vidisse perhibet, stans ante thronum,  in quo, et per quem oblationes fidelium Deo Patri consecrantur. –  Altare, dice s. Gregorio, Dei Filius est… cui in hac vita cordium nostrorum  sacrificia imponimus (168).
     Quale sarà il Sacerdote? Noi, fin dal principio di questo libro, lo conosciamo e lo adoriamo.
     Qual’è l’Ostia? L’unica che sia degna di un tal Sacerdote, santo e unico. La sua memoria intenerisce senza posa i nostri cuori; e tale memoria non ci lascia mai; è la nostra gioia, come l’alimento della nostra speranza. O salutaris Hostia, quae coeli pandis ostium… Sempre offerta quaggiù, tale Ostia è e sarà eternamente offerta in cielo; perché un’Ostia non ha questo carattere che alla condizione di essere offerta. San Paolo parla di quella oblazione che non cesserà mai: «Abbiamo un tal Pontefice che siede nei cieli. Poiché ogni Pontefice è destinato ad offrire doni e vittime: perciò è necessario che anche questi abbia qualche cosa da offerire». Vi è dunque, in cielo, un’oblazione eterna. A questa Dio ha un diritto essenziale; è l’omaggio essenzialmente dovuto dalla creatura, il tributo della natura creata alla Natura increata. È il movimento più dolce, più forte, più che mai irresistibile di ciò che è uscito da Dio, verso questo Dio, Centro, Termine e Fine di ogni cosa. Incessantemente, adunque, GESÙ si dona, si dedica, si abbandona in omaggio al Padre suo; tale trasporto costituisce la sua oblazione, e questa oblazione è l’inno di lode che il Padre ascolta nei secoli dei secoli. Essa è pure, e più che mai, l’inno dell’azione di grazia; poiché appunto nell’Eternità, GESÙ, il Capo della Chiesa, al veder il suo Corpo mistico, che partecipa con sicurezza a tutta quella pienezza che può comunicarsi dei doni e delle grazie dalla Bontà del Padre riservate al Capo e alle membra, dice a questo Padre tutta la sua gioia e a Lui ne riferisce tutta la gloria (1 Cor 15, 28).

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     Sino alla fine dei tempi quest’oblazione sarà ancora un’Ostia di preghiera e di supplicazione; san Paolo si compiace di ripeterlo (Rm 8, 24; Eb 7, 24-25), affinché questa verità della nostra fede sia la nostra consolazione e la nostra forza nelle lotte che ora dobbiamo sostenere contro tanti nemici.
    L’Oblazione della Vittima, in cielo, è dunque un’oblazione perfetta. – Ma, la Vittima che vi è offerta, è pure anche immolata?
    Certamente, GESÙ essendo eternamente un’Ostia offerta, è pure eternamente un’Ostia immolata. Abbiamo udito: san Giovanni dirci, che vide l’Agnello «in uno stato simile alla morte, tanquam occisum». È questa l’immolazione che si addice al cielo; in essa la Vittima rimane sempre in uno stato di umiltà e di annientamento, poiché anche in cielo l’Umanità adorabile non può dimenticare il proprio nulla, e riconosce, con gioia e amore, che nulla di creato merita per se stesso di sussistere davanti all’Essere di Dio; ma non sarà più Vittima umiliata, poiché la nostra Vittima «essendosi già umiliata, sulla terra col farsi obbediente sino alla morte della Croce, Dio Padre perciò la esaltò, e le diede un nome sopra qualunque nome: onde nel nome, di GESÙ si pieghi ogni ginocchio, in cielo, in terra e nell’inferno» (Fil 2, 8-10). L’immolazione eterna, che il Sommo Sacerdote del Padre compie a gloria del Padre, è quell’assoggettamento di cui parla san Paolo in questi termini: «Da ultimo, sarà distrutta anche la morte. Perché sta scritto che il Signore tutto assoggetterà al suo CRISTO. Quando poi saranno state assoggettate a Lui tutte le cose, allora anche lo stesso Figlio sarà soggetto a Colui, che gli ha assoggettata ogni cosa, onde Dio sarà tutto in tutte le cose» (1 Cor 15, 26-28).
    Sant’Agostino dice che «appunto nella sua qualità di Sacerdote, il Figlio sarà assoggettato al Padre» (De Trinit., lib. 1). Orbene, tale stato, in cui il Verbo Incarnato farà omaggio al Padre della sua universale Regalità e del suo trionfo definitivo sopra ogni creatura, sarà la sua Immolazione eterna alla gloria di quel Padre amatissimo.

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     La terza parte del Sacrificio consiste nell’atto per il quale la Vittima è consumata nel fuoco, cioè nella Combustione.
     Vittima, sempre offerta e sempre immolata, GESÙ in cielo è pure una Vittima incessantemente consumata da quel Fuoco che la Scrittura chiama col medesimo nome di «consumante» (Dt 4, 24; Eb 12, 20), e che è lo Spirito Santo. Dal primo istante della Incarnazione, quel Fuoco lo circondò, lo investì per intero, e della sua Umanità santa fece il più perfetto olocausto. GESÙ, in quel Fuoco, venne consumato durante tutta la sua vita; sul Calvario, l’azione ne diventò così forte, che persino il vincolo che univa l’anima al corpo ne venne distrutto, e GESÙ morì, come ridotto in cenere da quelle divine fiamme. Ma queste fiamme sono vivificanti, e il fuoco che le produce è la vita medesima. Epperò, investendo la Vittima adorabile stesa sulla pietra interna del sepolcro, quel fuoco le diede una vita immortale e, nel mistero glorioso della Risurrezione, la consacrò Vittima del Padre per l’eternità (169). Investito, ormai, e consumato da tali ardori, GESÙ visse ancora quaranta giorni sulla terra, e dimora sino alla fine dei secoli nel SS. Sacramento; ma, il quarantesimo giorno, s’innalzò al cielo in quelle stesse fiamme di amore, e portò nel seno del Padre il suo Sacerdozio e il suo stato di Ostia. In questo seno del Padre che è il suo Tempio; sopra l’altare sublime che è la Persona medesima del Verbo; nel Fuoco che è lo Spirito del Padre e del Figlio; l’adorabile, umile e amorosa Vittima si consuma eternamente.

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    Consumato in tal modo nello Spirito Santo, GESÙ si dà in Comunione a suo Padre. Il Padre lo riceve e l’unisce a se medesimo con infinite compiacenze da Lui solo conosciute; a questa Comunione eterna del Padre, quel Figlio abbracciato dal Padre, quella gioia, quella soddisfazione del Padre infinite volte deliziosa, quel trasporto, quel riposo, quell’unione così amorosa del Padre al Figlio, quella pienezza ineffabile di felicità e di amore: ecco il compimento supremo del sacrificio eterno.
    Gli angeli ed i Santi godono di tale spettacolo, ed è la causa della loro gioia immensa e infinita. Ma ciò che è principio e insieme perfezione di tale gaudio supremo, è la Comunione a quello stato di Gesù, ch’essi pure fanno incessantemente, onde essere, come Lui, Vittime offerte, immolate e consumate nello Spirito Santo, e date in Comunione al Padre.

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NOTE
(163) Sacrificium quasi cibus Dei, et quasi convivium Dei, in quo Victima erat instar cibi et libamen instar potus Dei. – CORNEL. a LAP., in Levitic., II, I; in Philipp., II, 17.

(164) In Ascensione, Victima aecepta fuit in odorèm suavitatis. .- BENEDICTUS XIV, De Sacrif. Missae, lib. II, cap. VI.
 
(165) Nec linguis hominum, nec angelorum, nec cujusquam acumine ingenii, definiri posse, quae Patri, in reditu Filii, hilaritas fuit : perinde ac si ulla ad immutabile illud gaudium esse accessio potuerit. – S. CYPRIAN., Ap. Cornel. a Lap. in Actor., I, 9.

(166) Dire che in cielo vi è un sacrificio, riesce, per moltissima gente, un’asserzione strana. Quelli che sanno in che consiste la Religione e quale ne è il primo dovere, non dubitano punto… che vi sia un Sacrificio nel cielo; è questo il luogo della Religione perfetta, e del culto più sublime che si possa rendere a Dio. Là propriamente il Sacrificio deve essere offerto, e offerto incessantemente, perché la Religione non può mai esservi interrotta. Perciò Nostro Signore, fatto Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec per l’eternità, fu costituito appunto da Dio Padre perché gli offra il Sacrificio in eterno». OLIER, Explication des cérémonies, etc. Préface,

(167) I Padri hanno insistito nel richiamare tale commovente attestato dell’amore del nostro Dio, che si degna di conservare sul suo corpo glorioso le cicatrici delle sue divine piaghe.

(168) Exposit, in septem Psalmos Poenitent.

(169) I Cor XV, 54. – Victoria quasi ignis divinus est; cum absorbet et mortem nostram, holocaustum est. S. AUG., In Ps. LXV