Il sacerdote e la carità

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San Muziano-Maria Wiaux F.S.C.qui a lato: San Muziano Maria Wiaux F.S.C.

 

 

Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

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RITIRO DEL MESE DI APRILE

IL SACERDOTE E LA CARITÀ

 

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Scrive S. Paolo al Corinti: Nunc autem manent fides, spes, charitas, tria haec: mator autem horum est charitas (I, 13, 13).

Lo stesso Apostolo in una commovente preghiera che può essere applicata in modo particolare ai sacerdoti, implora da Dio per i cristiani di Efeso il passaggio dalla fede a un'ardente carità: Ut det vobis secundum divitias gloriae suae… Christum habitare per fidem in cordibus vestris: in charitate radicati et fundati, scire etiam supereminentem scientiae charitatem Christi, ut impleamini in omnem plenitudinem Dei (Eph., 3, 16-19).

E' facile stabilire il primato della carità ricordando che Gesù ce la presenta come oggetto del primo e massimo comandamento, che compendia tutta la legge e i profeti; poi riflettendo ch'essa innalza l'uomo a Dio. non perché ne tragga vantaggio, ma affinché riposi in Lui Senza dubbio la carità ci unisce a Dio infinitamente buono e infinitamente amabile, ma per spronarci ad amarlo per Se stesso secondo la bella espressione di S. Bernardo: «Il motivo d'amare Dio è Dio stesso, la misura di amarlo è d'amarlo senza misura» (16).

L'argomentazione di S. Tommaso in proposito è d'una chiarezza precisa: Semper id quod est per se, majus est eo quod est per aliud. Fides autem et spes attingunt quidem Deum secundum quod ex ipso provenit nobis vel cognitio veri vel adeptio boni; sed charitas attingit ipsum Deum, ut in ipso sistat, non ut ex eo aliquid nobis proveniat; et ideo charitas est excellentior fide et spe, et per consequens omnibus aliis virtutibus (17).

E' facile inoltre comprendere che più di ogni altro il sacerdote deve essere eminente in carità. Anzitutto perchè il suo ministero ha per fine diretto e ultimo di crearla, di difenderla, di ripararla, di dilatarla nelle anime: Dii effecti deos efficientes. I santi si formano solo colla carità, vinculum perfectionis (Colos., 3, 14); ora, nemo dat quod non habet. Il prete che non possiede una misura colma, pigiata e sovrabbondante» di carità, non riuscirà mai a comunicarne alle anime una scintilla abbastanza ardente. E' vero che egli dispone dell'efficacia ex opere operato dei sacramenti che amministra; ma questa amministrazione assorbe la minor parte dell'attività del suo apostolato. E poi, perchè i sacramenti producano effettivamente la grazia nelle anime, è necessario che queste apportino nel riceverli disposizioni speciali, dipendenti in gran parte dall'efficacia dello zelo sacerdotale. Se non si può volere per un'altra anima, si può tuttavia aiutarla a volere, e soltanto la carità comunica tale efficacia all'apostolo.

Inoltre, il prete dev'essere eminente in carità perchè, più di ogni altro, è oggetto delle divine predilezioni le quali, secondo S. Giovanni, sono il grande argomento dell'amore. Non si rileggono mai abbastanza queste parole: Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas, non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit. nos (I Ioan., 4, 9). Quindi l’amore antecedente di Dio, quest'amore provato con il dono del suo Figlio, ci da’ il grande motivo della carità. E fino a qual punto questo motivo s'imponga al sacerdote, ne avremo un'idea mettendo in luce i rapporti di reale e adorabile amicizia che l'uniscono a Gesù. La libera elezione, l'intimità della vita, la comunanza dei beni sono le note della vera amicizia; vediamo come si realizzano fra il sacerdote e Gesù Cristo.

 

1. LIBERA ELEZIONE

Non è inutile rilevare subito che la carità è anzitutto un'amicizia particolare tra l'uomo e Dio.

Comunemente si da una definizione incompleta dell'amore, dicendo che consiste nella volontà di fare del bene a qualcuno. Questo è benevolenza, e un sentimento di bontà basta a spiegarlo, benché possa essere e generalmente sia un effetto dell'amore. Ma l'amore va più oltre e sospinge l'anima all'intera donazione di sé, all'immolazione per l'amato: Ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Ioan. 15, 13). E quando tale sentimento profondo è reciproco si ha l'amicizia. Ascoltiamo S. Tommaso: Nec benevolentia sufficit ad rationem amicitiae, sed requiritur quaedam mutua amatio, quia amicus est amico amicus. Talis autem mutua benevolentia fundatur super aliqua communicatione (18).

Ora, mediante la carità, andiamo a Dio che ci vuoi comunicare la sua beatitudine, La sua vita intima, e andiamo a Lui coll’oblazione di noi stessi ex toto corde, ex tota mente, ex totis viribus. V'è dunque un mutuo scambio che costituisce l'amicizia reale.

Però bisogna rilevare una nota speciale, che, per la sua intensità più o meno vibrata, caratterizza, accentuandolo, il sentimento di cui trattiamo: questa nota è la libertà.

Vi sono affetti imposti quale sacro dovere e non saranno mai qualificati di amicizia, benché suppongano il dono reciproco; per esempio, l'affetto filiale. Non si scelgono i propri genitori. Quindi, per quanto vivo possa essere l'impulso del cuore che ad essi ci porta, non ha a che fare con-l'impulso che ci guida all'amico di nostra elezione. In un senso verissimo e splendido, tutte le anime create da Dio nella sua indipendenza inalienabile, sono scelte da Lui: Elegit nos in ipso ante mundi constitutionem (Ephes., 1, 4). A loro volta esse son libere di andare a Lui o di dannarsi. Ma l'elezione divina del sacerdote è un elezione tutta particolare, che supera ogni altra in delicatezza, in elevatezza, perché i beni che l'amicizia di Dio vuole comunicare al suo ministro sorpassano infinitamente i beni ch'Egli destina al semplici cristiani, fossero anche santi; lo vedremo più innanzi.

Aspirare al sacerdozio vuoi dire aspirare ad una dignità regale, a funzioni sante: Vos autem genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus acquisitionis, ut virtutes annuntietis ejus qui de tenebris vos vocavit in admirabile lumen suum (1 Petr. 2, 9). Ora, non si ascende ad un trono che per eredità o per elezione; diversamente, sarebbe usurparlo. L'Apostolo non eccettua da questa condizione neppure Gesù Cristo nella sua elevazione al supremo Sacerdozio: Nec quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo, tanquam Aaron. Sic et Christus non semetipsum clariflcavit ut pontifex fieret; sed qui locutus est ad eum: Filius meus es tu, ego hodie genut te. Quemadmodum et in alio loco dicit: Tu es sacerdos in aeternum (Hebr. 5, 4 seq.).

Con quanta soavità penseremo dunque a queste parole che Gesù rivolge a ciascuno di noi: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos, et posui vos ut eatis et fructum afferatis (Ioan. 15, 16). Quel nostro fratello, quel nostro amico d'infanzia non hanno ricevuto tanto privilegio. A noi, non ad essi, si applica ancora il testo: Praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis, posuisti in capite ejus coronam de lapide pretioso (Ps. 20, 3). Eravamo nel Cuore dell'Unico Sacerdote, quando con una scelta ufficiale, creava il collegio apostolico: Elegit duodecim quos et apostolos nominavit (Luc. 6, 13). Non lo fece freddamente, ma in queste elezioni pose quanto in Lui vi poteva essere di meglio, tutte le sue tenerezze anticipate.

Questa grazia preesistente della nostra vocazione ci fu rivelata progressivamente nelle diverse tappe della nostra vita: prima Comunione forse, entrata nel Seminarlo Minore, poi nel Seminario Maggiore, ascensione ai vari gradi che precedono il sacerdozio; ed ogni manifestazione era accompagnata da una luce più viva alla nostra intelligenza, da un più caldo influsso sul nostro cuore, da più valido aiuto alla nostra volontà: Elegit eum et praeligit eum. Siamo stati scelti, separati dalla massa dei fedeli: Vos elegit Dominus ut stetis coram eo (2 Par. 9, 11).

 

2. – INTIMITÀ'

L'amicizia produce l'intimità e ne vive. Induce naturalmente a confidenze reciproche; crea la fusione del pensieri, l'unione dei sentimenti. Non è stata definita: Idem velie, idem nolle? Di due cuori ne fa uno solo. Ricordiamo in quale modo espressivo il libro dei Re parla dell'amicizia che univa il figlio di Saul a colui che era invidiato dal padre suo: Anima Jonathae conglutinata est animae David (1 Reg. 18, 7). L'amico mio è un altro me stesso; nulla di più profondo, di più unico, di più vero dell'intimità che ci unisce. Egli legge in me, io leggo in lui come in libro aperto; le sue preoccupazioni son mie, quelle che agitano il mio spirito assillano il suo: Omnia meo. tua sunt et tua mea sunt. Perciò l'espressione sacerdos alter Christus è giusta e bella. Fra Lui e noi Intimità perfetta!

Certo, a tutti Gesù comunica i suoi pensieri, ma a nessuno come a noi: Ecce nunc palarti loqueris et proverbium nullum dicis (Ioan. 16, 23). Non abbiamo che a confrontare il sermone del monte rivolto alla folla, con il discorso dell'ultima Cena destinato ai novelli sacerdoti, che rappresentavano i sacerdoti di tutti i secoli. Nel sermone sono le grandi linee della vita cristiana; nell ultimo discorso le delicate sfumature della perfezione.

I suoi pensieri li conosciamo da fonti ben più ampie che il semplice insegnamento del catechismo, il quale fornisce agli altri l'istruzione religiosa. La nostra educazione del Seminario, i nostri studi di teologia e di S. Scrittura, ci hanno introdotti in una atmosfera intellettuale trascendente l'umano, e nella sua splendida serenità contempliamo, ascoltiamo il Verbo: Vos autem dixi amicos, quia omnia quaecumque audivi a Patre meo, nota feci vobis (Ioan. 15, 15).

I suoi pensieri, tutti assorti nella preoccupazione della gloria del Padre e della salvezza delle anime, sono il principio informativo della nostra vita, il centro della nostra attività. Di che si deve occupare il prete se non della gloria di Dio e della salvezza delle anime?

La nostra intimità con Lui crea la familiarità. Lo insinuava già il Profeta in modo positivo: Homo unanimis… qui dulces me***** capiebat cibos, in domo Dei ambulavimus eum consensumsu (Ps. 54, 14). E S. Paolo lo afferma esplicitamente: Non estis hospites et advenae… sed domestici Dei! (Ephes. 2, 19). E il buon Maestro vuole sia così per tutta l'eternità: Ecce ego vobis***** sum usque ad consummationem saeculi (Mat. 28, 20). — Volo ut ubi sum ego, et illi sint me*****! (Ioan. 17, 24).

 

3. COMUNANZA DI BENI.

L'amicizia esige che tutto sia messo in comune, poichè la sua grande forza sta nel formare l'unità. I voti riferiti in proposito dal diciassettesimo capitolo di S. Giovanni, sono ineffabilmente belli. Sembra infatti che Nostro Signore dica tutto quando supplica il Padre di darci il suo tesoro infinito, l'amore con cui lo ama: Dilectio qua dilexisti me in ipsis sit et ego in ipsis (Ioan. 17, 26). Due frasi illuminano questo punto di luce profonda; sembrano i due termini di un equazione: Sicut dilexit me Pater et ego dilexi vos (Ioan. 15, 9). — Sicut misit me Pater, et ego mitto vos (id. 20, 21).

Perché il Padre ama il Figlio, gli ha dato tutto: Omnia dedit ei Pater in manus (id. 13, 3). Perché Gesù ci ama, ci ha dato tutto: il suo potere illuminatore, vos estis lux mundi (Mat. 5, 14); il suo potere purificatore, quorum remiseritis peccata, remittuntur eis (Ioan. 20, 23); il suo potere sacrificatore, hoc facite in meam commemorationem (Luc. 20, 19); il suo proprio gaudio, ut gaudium meum in vobis sit (Ioan. 15, 11); e tutto questo per sempre. tu es sacerdos in aeternum (Hebr. 7, 21); in quell'eternità in cui avremo un posto distinto: Ego dispono vobis sicut disposuit mihi Pater meus regnum, ut edatis et bibatis super mensam meam in regno meo, et sedeatis super thronos! (Lue. 27, 29).

E tale comunanza di beni con il divino Maestro ha ancora un altro oggetto: Si mundus vos odit, scitote quia me priorem vobis odio habuit (Ioan. 15, 18). Abbiamo sofferenze, subiamo persecuzioni a motivo del nostro sacerdozio; ma persecuzioni e sofferenze non sono nostre, sono sue. A Lui mira l'insulto che ci offende. Lui vuoi colpire la persecuzione che ci travolge. Quale gioia per noi partecipare all'opera sua redentrice, espiatrice! Dobbiamo nutrire una immensa fiducia nel sentirci identificati a Lui! E' per noi la grave parola: Nolite tangere Christos meos (1 Par. 16, 22); qui tetigerit vos, tangit pupillam oculi mei (Zach. 2, 8).

Conveniamone: nessuno è amato come il prete; nessuno quindi come Lui ha il dovere di progredire nella carità. Non era questa la delicata preoccupazione del Salvatore quando diceva ai suoi, quindi a noi, con tenerezza commovente: Manete in dilectione mea? Ioan. 15, 9). Egli è davvero amico e ci vuole veramente suoi amici; siamolo dunque e guardiamoci bene dal meritare quel suo rimprovero: Habeo adversum te quod charitatem team primam reliquisti! (Apoc. 2. 4).

Concludiamo con un pensiero di S. Girolamo (19): «I chierici che servono la Chiesa di Cristo procurino anzitutto di comprendere bene il significato del loro nome, e trovatane la definizione, si sforzino di viverla. Perchè se la parola greca cleros si traduce porzione, i chierici sono evidentemente chiamati così, sia perchè sono essi stessi la porzione del Signore, sia perchè il Signore è loro retaggio. Il chierico dunque che è l'eredità del Signore o che ha il Signore per sua eredità, deve vivere in modo da possedere Dio e da essere da Dio posseduto. Chi possiede il Signore e può dire con il Profeta: Pars mea Dominus non può aver nulla di più caro che Dio. perché, se nei suoi affetti concede il primo posto a qualche cosa che non è Dio, il Signore non potrà essere davvero porzione della sua eredità».

Lo sentiamo che non possiamo avere un programma di vita diverso da quello tracciato dall'Apostolo in una delle sue pagine più belle: Exhibeamus nosmetipsos sicut Dei ministros… in caritate non flcta! (2 Cor. 6, 4). Amiamo dunque, amiamo sempre più, sempre meglio, ma amiamo davvero: Non diligamus verbo, neque lingua, sed opere et veritate (Ioan. 3, 18). E chi non sa che amare cosi vuol dire sublimarsi nella totale immolazione, come già il divino Maestro, fino al consummatum est?