Gesù attira il suo sacerdote nel suo stato di ostia

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni

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CAPITOLO QUARTO. Nostro Signore Gesù Cristo attira il suo sacerdote nel suo stato di ostia – Ogni sacerdote è vittima

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      Appena noi abbiamo pronunciato le parole della Consacrazione, Nostro Signore, in virtù di quelle parole che da Lui hanno tutta la loro efficacia, è presente, in qualità di Sacerdote e nello stato di Ostia: allora avviene nelle nostre mani un Mistero quanto mai ineffabile. Abbiamo prestato al Sacrificio un concorso diretto, volontario ed effettivo; perciò questo concorso è propriamente un atto sacerdotale; atto che facciamo, e noi soli possiamo fare, perché siamo veramente Sacerdoti, davanti a Dio e davanti alla Chiesa. Ma, in verità, in quel Mistero tutto divino, finisce la nostra azione ed è bell’e terminato il nostro ministero. Quando è detta l’ultima parola sacramentale, GESÙ Sacerdote e Vittima, in quell’istante medesimo, nelle nostre mani fa l’Oblazione che fu l’atto incessante, della sua intera vita, alla quale l’effusione del sangue e la morte sulla Croce diedero il perfetto compimento, oblazione, ch’Egli continua eternamente in cielo. Questo adorabile e unico Sacerdote del Padre, s’innalza verso di Lui, e offre se medesimo alla Maestà, alla Santità, alla Misericordia, alla Giustizia, a tutto l’Essere di quel Padre Santo. Mentre il Sacerdote viene sublimato ad un onore così alto, chi descriverà l’umiliazione della Vittima divina? Chi potrebbe esprimere quell’adorazione, quella lode, quel dono di sé, quella consacrazione, quell’amore, quegli ardori per l’onore e la gloria del padre? gli atti oltremodo numerosi e moltiplicati di quell’Ostia divina, le suppliche innalzate per noi? la Religione di un tal Pontefice e di una tale Ostia, e le fiamme divoratrici nelle quali si consuma l’Olocausto, fiamme che sono lo Spirito Santo medesimo? le altezze sublimi alle quali queste fiamme innalzano il Sacerdote, e l’annientamento in cui fanno scendere la Vittima?.. Sono Misteri gloriosi, più magnifici di tutti i cieli, più profondi di tutti gli abissi! Nessuna lingua può esprimerli, nessuna mente concepirli; sono delizie riservate alla Patria eterna!
     Quali meraviglie, quando sul nostro altare, nelle nostre mani, si compie il Mistero del Figlio, Sacerdote e Ostia! Il  Padre accoglie l’adorabile Sacrificio con infinite compiacenze che Egli solo conosce, e di cui solo Egli gode. Il Cielo intero, Angeli e Predestinati, sono in un estatico rapimento e ricevono un accrescimento di gloria accidentale; le anime che soffrono nel Purgatorio ricevono ammirabili dolcezze e provano sollievo nelle loro pene; e la Chiesa della terra risente effetti invisibili, ma sempre sicuri, di tale Oblazione che si compie principalmente per lei medesima, ed alla quale ella apporta la sua cooperazione, per mezzo del Sacerdote, il quale è uno dei suoi figli.
    Sarebbe da fermarsi qui, e in un lungo silenzio adorare questa vasta, opprimente e prodigiosa meraviglia di grazia, di amore e di potenza… Ma vediamo di fare uno sforzo, e di continuare.

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    GESÙ CRISTO, Sacerdote e Vittima, offre se stesso al Padre suo celeste, per la virtù del suo Spirito Santo; ma non si offre solo. Non può offrirsi solo. Mentre presenta al Padre il proprio Corpo naturale, la sua carne e il suo sangue viventi e glorificati, Egli gli presenta pure il suo Corpo mistica, la sua Chiesa diletta, tutta intera. Egli, realmente e distintamente offre tutte le anime beate che compongono la Chiesa del Cielo tutti gli Spiriti celesti dei nove cori angelici e tutti gli Eletti che Egli attira a sé a piuttosto porta sempre con sé e in sé, e che consacra sue Vittime per 1’eternità. La divina sua Madre, Maria, gloriosa Regina di quel glorioso impero, è la prima fra tutte quelle Vittime immacolate. Come è bella quell’oblazione di tutto il cielo fatta sulla terra, sull’altare della Chiesa militante, nelle nostre mani santamente tremanti.
    GESÙ porta ancora in sé e offre a suo Padre tutta la Chiesa paziente del Purgatorio; la presenta alla santità e alla indulgenza del Padre per ottenerle misericordia, liberarla dalle fiamme espiatrici, o almeno procurarle sollievo, abbreviarle il tempo dell’esilio, in conformità con le impenetrabili e terribili esigenze della divina Giustizia.
    E GESÙ porta pure e presenta al Padre suo tutta la Chiesa militante. Per verità il Sacrificio essendo principalmente offerto per lei, e in un senso vero, da lei nella persona del suo umile ministro, ella pure deve essere principalmente offerta. «Essa ben la sa, dice sant’Agostino, e riconosce, ad evidenza, che nell’Oblazione del corpo e del sangue di GESÙ CRISTO lei pure viene offerta».     La Chiesa, che quaggiù vive nella lotta e quindi ha bisogno dell’assistenza del suo Sacerdote e della sua Ostia, come pure dell’indulgenza del Padre; questa Chiesa mille e mille volte felice della condizione fattale dal suo Sposo, viene da Lui offerta ogni volta che le parole del Sacrificio la rendono presente sull’Altare eucaristico; e viene offerta per intero: i bambini, i poveri, gli infermi, i più miserabili; ma anche i grandi ed i potenti, quelli che comandano e nelle loro mani tengono i destini dei popoli; i Pontefici, le anime consacrate, i giusti, i peccatori medesimi… Tutti, sono offerti, tutti fanno parte del Sacrificio; tutti, in modo diverso è vero, secondo la stato interiore di ciascun’anima, ma tutti, poiché tutti sono membri del Corpo mistico di GESÙ, Vittime con GESÙ. In quel momento, Egli in quello stato di Ostia del Padre, con sé e in sé consacra tutti i giusti; e con desideri inesprimibili vuole pure attirare tutti i poveri peccatori alla grazia di quel medesimo stato, offrendoli a Dio con lagrime, perché diventino, davanti alla faccia del Padre, «Ostie vive, sante, gradite alla sua Maestà». Dimodochè, in virtù dell’unione dei membri col loro Capo, tutti sono offerti espressamente, con una tenerezza, un amore e uno zelo infiniti: tutti, senza eccezione, tutti sono Vittime.

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    Tutti!… e il Sacerdote che, in quel momento medesimo, tiene l’Ostia fra le mani?… Il Sacerdote che per l’infallibile suo ministero fa che GESÙ sia là, Vittima offerente e Vittima offerta!… Il Sacerdote, sì intimamente, sì ineffabilmente unito al Sacerdozio di GESÙ, così dedicato a GESÙ, così invaso dall’azione, dall’autorità e dalla volontà di GESÙ; il Sacerdote che è strumento aiuto e ministro di GESÙ, in modo così impersonale che può dire del corpo e del sangue di GESÙ: Questo è il mio corpo; – Questo è il mio sangue… » il Sacerdote non sarebbe Vittima?..
    È vittima!… Lui soprattutto, da GESÙ viene attirato e unito al proprio stato di Ostia. Lui soprattutto viene da GESÙ offerto al Padre, in un modo più amoroso, più tenero, più forte e più speciale. Non è forse lun altro GESÙ, il Sacerdote, quel confidente del suo Cuore, eletto con una sorta di miracolo d’amore per compiere qui la più grande delle opere divine, la Consacrazione, che rende GESÙ presente nella sua Chiesa militante, nel suo stato e nella sua condizione di Vittima?… Ah! come lo attira GESÙ, come lo afferra, come lo trascina! Con quale amore lo vuole, lo fissa nel fuoco del suo Olocausto; onde consumarlo, con sé, alla gloria del Padre e per la salvezza delle anime; onde consumarlo così nell’unità del suo stato di Ostia, come lo ha consumato nell’unità del suo divin Sacerdozio!… Un tal mistero dell’amore prodigioso di un Dio, non può esprimersi con parole umane; non si può che adorarlo nei trasporti dell’amore più vivo e della riconoscenza più profonda.

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      Il meglio che possiamo fare ad onta del sentimento della nostra estrema miseria e della nostra sì profonda indegnità, è di lasciarci trasportare da tali attrattive, sottometterei all’azione divina di GESÙ, abbandonarci, senza resistenza né esitanza, ma in modo energico, assoluto e universale, a quell’invito, a quella dolce violenza, a quel volere, a quel bisogno del suo Cuore. ah sì! dobbiamo lasciare che faccia di noi ciò che vuole; dobbiamo con amore e con trasporto, aderire al suo disegno il quale vuole che diventiamo, per mezzo di Lui, con Lui e in Lui, Ostie perfette del Padre; e quindi abbandonarci all’azione del fuoco del suo spirito di Ostia. Dobbiamo consumarci, noi pure, nelle fiamme che lo divorano per l’onore del Dio vivente e della salvezza del mondo. Dobbiamo immergerci, scomparire, in certo qual modo, in quella fornace onnipotente, in quell’Olocausto perfettissimo, con decisa volontà di entrare nella santa unità del Sacrificio come godiamo dell’unità del Sacerdozio; e così stabilirei nello stato e nelle disposizioni di Vittima e di Ostia, ora e per sempre, per la vita e per la morte e per l’Eternità, come il nostro GESÙ, per mezzo di Lui e in Lui…

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     Quanti santi Sacerdoti hanno avuto tali ferventi desideri! Quanti hanno visto nello stato di Ostia l’unico complemento necessario del loro Sacerdozio!.. Di san Vincenzo de’ Paoli la Chiesa dice che «nella quotidiana celebrazione dei divini Misteri egli imitava quel Mistero che compiva», e ci fa domandare, per la sua intercessione, la «grazia di diventar noi pure, come lui, quando offriamo l’Ostia immacolata, un Olocausto che possa piacere a Dio» (239). E più vicino a noi, il Ven. Padre Libermann, interrogato sul modo di celebrare la santa Messa secondo lo spirito conveniente ad un’azione sì santa, rispondeva: «Nell’altare, abbiamo sotto gli occhi GESÙ che si sacrifica e si immola; facciamoci con Lui ‘una sola e medesima Vittima. Non conosco pratica migliore, né voglio averne altra» (240).
     «Beato quel Sacerdote, dice l’autore dell’Imitazione, che offre se stesso in Olocausto, ogni volta celebra la santa Messa!» (241). Sì, beato! perché dà consolazione al Cuore di GESÙ; perché procura a se medesimo le più sante e più preziose benedizioni. Con questa disposizione, egli si conferma nella grazia eminente della propria vocazione. Che cosa sarebbe mai il Prete che non fosse Vittima altrettanto che Sacerdote? Sarebbe già un vero disordine non aver con GESÙCRISTO altre relazioni che quelle di ministero, relazioni nelle quali l’amore potrebbe non entrare per nulla, e in fatto ne sarebbe assente quando, per disgrazia, il Sacerdote fosse in peccato mortale! Ma, non essere Vittima in pari tempo che Sacerdote, sarebbe mettersi troppo al disotto dei Sacerdoti della Legge antica, dei quali almeno il Sacerdozio non era che figurativo.

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    Quei Sacerdoti, infatti, avevano realmente il dovere d’essere Vittime altrettanto che Sacerdoti; vi erano obbligati dapprima in virtù della loro stessa consacrazione, poiché sta scritto nel Libro dei Numeri: «Quando i Leviti saranno dinanzi al Signore, i figli d’Israele porranno le loro mani sopra di essi. E Aronne offrirà i Leviti, quale Offerta fatta dai figli d’Israele, al cospetto del Signore, acciò gli servano nel ministero» (Nm 8, 10-11). «È evidente, dice san Pier Damiano su queste parole, che l’ordine Levitico è l’offerta che il popolo fece a Dio, perché i Leviti fossero davanti a Lui, per le mani del Sommo Pontefice, in istato di sacrificio» (Opusc., XVIII). Erano dunque Vittime, i Sacerdoti dell’antica Legge, in virtù della loro consacrazione; ma l’obbligo di diventar tali appare più stretto e espresso ancora, se si considera il Ministero che dovevano adempiere. Dovevano offrire, immolare degli animali, agnelli, pecore, buoi. Orbene, queste creature prive di ragione erano incapaci di rendere a Dio un omaggio qualsiasi. Era quindi obbligo assolutamente indispensabile, per i Sacerdoti, di mettersi al posto di quelle Vittime, la cui Religione, per se stessa, era nulla; epperò di offrirsi a Dio, quali Ostie di preghiera, di azione di grazie, di lode, di espiazione, sotto pena di meritarsi quel rimprovero che, pur troppo, il Signore più volte dovette fare ai suoi Ministri: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lungi da me» (Is 21, 13; Mt 15, 8). Beati, tra quegli eletti nel popolo d’Israele, coloro che intendevano il fine ammirabile del loro Ministero, e che, accettando con gioia e amore quella sorta di necessità in cui li poneva l’impotenza della Vittima, diventavano essi medesimi Vittime al cospetto di Dio! Ma quale elevatezza nei pensieri non suppone una disposizione così santa? Quale purezza e quale fervore nei sentimenti? E quale unione ammirabile con Nostro Signore GESÙ CRISTO, Sacerdote e Vittima? Perché, essi ben sapevano che il loro Sacerdozio non era che la figura imperfetta del Sacerdozio del Verbo incarnato, e una partecipazione anticipata di questo grande sacerdozio; sapevano pure che i loro Sacrifici non erano che l’ombra del Sacrificio del futuro Redentore. Essi perciò, se corrispondevano alla loro vocazione, si univano a Lui, nella sua qualità di Sacerdote e Vittima, per aver una parte, più larga e più efficace che fosse possibile, alla santità del suo Sacerdozio e alla perfezione del suo stato di Ostia (242).

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     E noi, che abbiamo il Sacerdozio vero; noi, che nell’esercizio del nostro Ministero, nella più perfetta unità, anzi con una sorta d’incomprensibile identità, siamo una cosa sola con GESÙ CRISTO; noi che nelle nostre mani abbiamo la Vittima vera e unica, Vittima che, in certo qual modo, è opera nostra (243), Vittima che ci invita, ci attira, ci trascina negli ardori così vivificanti e deificanti del suo Sacrificio; noi così intimamente uniti a quell’Ostia d’amore, non saremmo Ostie e Vittime con essa! Potremmo noi rifiutare questo compimento, questa perfezione ammirabile del nostro Sacerdozio! Piuttosto che rassomigliare agli umili Sacerdoti della Legge, noi, col limitare il nostro concorso alla nostra azione, alla parola, al Ministero esterno, saremmo simili a chi?… Ardiremo dirlo?.. Saremmo simili, con esclusione almeno di un’orribile malizia, ai carnefici che prestarono il loro concorso alla crocifissione del nostro Dio… ovvero ai chiodi che trapassarono le sue mani e i suoi piedi… alla corona di spine che ferì sì orribilmente il suo capo… a tutto quanto cooperò alla sua morte… Oh, Sacerdoti! Noi siamo Vittime come Lui; riconosciamo, con immensa gioia e gratitudine eterna, che qui, nello stato e nelle disposizioni di Vittima, sta il perfetto e ultimo compimento del nostro Sacerdozio. «Noi, che celebriamo i misteri della Passione del Signore, dice san Gregorio Papa, dobbiamo imitare ciò che facciamo; perché l’Ostia, che offriamo a Dio, non ci sarà veramente profittevole che se noi pure ci faremo Ostie» (244).

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     Dice pure san Gregorio Nazianzeno: «Nessuno può avvicinarsi al nostro gran Dio nostro Pontefice e nostra «Ostia, se prima non diventa lui medesimo un’Ostia viva e santa, se non offre se stesso quale Sacrificio spirituale, a Dio gradito e accetto alla Sua Maestà. È questo il Sacrificio che ci è richiesto da Colui che tutto ci ha dato. Senza di questo, come ardirci offrirgli il Sacrificio esterno che è l’immagine dei grandi Misteri? Non avrei neppure l’ardimento di portare il nome e l’abito di Sacerdote» (Oratio II, Apolog.).
    E san Paolino da Nola: «Il Signore è l’Ostia di tutti i Sacerdoti, Lui che, offrendosi al Padre per la riconciliazione di tutti, è l’Ostia del suo Sacerdozio, e il Sacerdote della sua Ostia. Perciò, ogni creatura sta davanti a Lui in istato di Sacrificio ed anche i suoi Sacerdoti sono Ostie» (Epist., XI).
    Riteniamo questa massima oltremodo chiara ed esplicita: «Allora soltanto l’Ostia gioverà al Sacerdote, se facendosi Ostia lui pure, egli avrà la volontà d’imitare umilmente ed efficacemente ciò che fa» (245).
     «Imitare ciò che fa!» Questa parola non ce ne ricorda forse un’altra che abbiamo udita nella circostanza più solenne della nostra vita? Agnoscite quod agitis – Imitamini quod tractatis. Parola questa che veniva rivolta direttamente a noi in persona e che, per verità, essendo la parola medesima della Chiesa, ossia della Sposa del Sommo Sacerdote, è ben più importante e autorevole che le più gravi massime dei Dottori e dei Santi.

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  NOTE
(239) Deus, qui beato Vincentio, divina quotidie celebranti Mysteria, tribuisti quod tractabat imitari; ejus nobis precibus indulge, ut immaculatam Hostiam offerentes, ipsi quoque in Holocaustum tibi acceptum transeamus. – Missa propria. – Accepta tibi praestet, Domine, Sacrifica nostra B. Hugonis Abbatis oratio, qui semetipsum tibi Hostiam viventem et sanctam jugiter immolavit. – Missa I Apr. – Cfr.: Secret. Missae S. Alphonsi de Lig.

(240) Dalla vita, cap. XXII.

(241) De Imit. Christi, lib. IV, cap. X. – Sanctifica, quaesumus, Domine Deus noster, per tui sancti nominis invocationem, hujus oblationis Hostiam; et per eam nosmetipsos tibi perfice munus aeternum. – Missa SS. Trinit.

(242) Guglielmo, Vescovo di Parigi (XIII sec.) così fa parlare i sacerdoti di Aronne: Tibi offero (Domine), vel sacrifico; auctorem sanctitatis te confiteor, et ad sanctificandum invoco; sanctificandum autem illum pro quo hujusmodi Sacrificium tibi offero. – Secundo, sicut animal istud in manibus meis est, ita ut ipsum vel occidam si voluero, vel parcam… ita in manibus tuis sumus, ut nos occidas per Justitiam propter peccata nostra, vel parcas nobis per Misericordiam. – Quarto, sicut moritur istud animal, ita moriatur in me, per istud Sacrificium, omne peccatum; sicut consumitur, etc. – Quinto, sicut istud animal oblatione tua meum efficitur, ita ut de caetero tibi vivat, et tibi moriatur, ita et ego, etc. – De legibus, cap. XXIV.

(243) Ego volo conficere, etc. – Orat. ante Missam.

(244) Dialog., lib. IV, cap. LIX

(245) PETR. BLESSENS, Epist., CXXIII.