Dio padre manda il Figlio suo in questo mondo per esservi il suo Sacerdote

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

Del sacerdozio di nostro signore Gesù Cristo, del suo stato e delle sue disposizioni di Ostia
Capitolo II
Dio padre manda il Figlio suo in questo mondo per esservi il suo Sacerdote
 


LIBRO PRIMO

 


 

Qualunque sia il sentimento che si ritiene riguardo alla causa prima ossia al motivo dell’Incarnazione (16), è necessario ammettere che, se una Persona divina, si farà uomo, essa innanzi tutto e soprattutto sarà Sacerdote di Dio: dapprima perché la glorificazione del nome di Dio, dei suoi attributi e dei suoi diritti, è il fine universale, e, in certo senso, unico delle opere divine: ora tale glorificazione è appunto la missione, l’opera e come l’essere del Sacerdozio, inoltre, perché un Dio che si fa uomo deve essere il Capo della Religione di ogni creatura e tale religione consiste nel sacrificio. Il Dio fatto uomo sarà dunque Sacerdote. Sarà Sacerdote prima per se medesimo, vale a dire, perché dovrà, in quanto creatura, offrire a Dio un sacrificio, e un sacrificio sotto ogni rapporto perfettissimo nella santità, nell’estensione, nella durata, essendo Egli, nella sua: qualità di uomo, la più eccellente delle creature; dovrà inoltre offrire tale sacrificio come capo di tutto il creato, riassumendo e raccogliendo in se medesimo la religione dell’intero universo.

Non si può concepire diversamente un Dio fatto uomo: innanzi tutto e soprattutto Egli è Pontefice universale, che, nella sua qualità di Mediatore e Capo, rende a Dio tutti gli omaggi di cui l’intero creato è debitore verso il Creatore. Non v’è dubbio possibile in proposito.

Si potrà al più ricercare quale sia tra le divine Persone quella che potrà rivestirsi della, natura umana, e diventare in tal modo il Sacerdote e il Pontefice di Dio.

La dottrina che abbiamo esposta nel capitolo precedente contiene già la risposta a tale domanda. Evidentemente, il Figlio si incarnerà e sarà Sacerdote di Dio. Solo il Figlio è adatto, se così ci si può esprimere, ad adempiere verso il Padre le funzioni di Pontefice e di Sacerdote (17).

 


Il Padre non s’incarnerà, perché l’Incarnazione, essendo un’opera esterna (ad extra) della Trinità, suppone una missione nella Persona che la compie. Orbene, il Padre non può ricevere nessuna missione, poiché è senza Principio. D’altronde, essendo Lui solo il Principio di tutta la Divinità, in onore di chi, se fosse incarnato, compierebbe egli gli atti teandrici che gli sarebbero propri? Il Padre non è, né può essere la gloria di nessuna altra Persona divina; e quindi in qual modo gli atti che compirebbe nella carne potrebbero essere offerti alla gloria, sia del Figlio, sia dello Spirito Santo? Il Padre adunque non si incarnerà, poiché non potrebbe essere Sacerdote nel tempo (18).

 

Neppure lo Spirito Santo. Questo Spirito di Amore coopererà, come vedremo, alla grande opera del Sacerdozio del Verbo; ma non può incarnarsi, perché neppure Lui può essere Sacerdote. Infatti, non può essere la Gloria del Padre e abbiamo detto il perché: Egli non è Figlio; non ha quindi attitudini a compiere le funzioni del Sacerdozio.

Ma il Figlio sarà Sacerdote e Pontefice. «Per questo divino Sacerdozio? dice Bossuet, bisogna essere nato soltanto da Dio; e Voi, o GESÙ, avete la vostra vocazione nella vostra nascita eterna» (19). San Paolo inculca la stessa dottrina, quando dice: «Cristo non glorificò se stesso per essere fatto Pontefice: ma lo glorificò Colui che gli disse: Tu sei mio figliuolo, oggi ti ho generato» (Eb 5, 5).

 


Il grande Apostolo altrove dice ancora: «Venuta la pienezza del tempo (del tempo determinato dal Padre), Dio mandò il suo Figliuolo fatto di donna… affinché redimesse quelli che erano sotto la legge; affinché ricevessimo 1’adozione a figli» (Gal 4, 4-5).

 

Troviamo qui una nuova prova a conferma di quanto abbiamo detto sopra. Solo il Padre manda il Figlio. Il Figlio in questo Mistero non opera da sé ma per missione del Padre; come eternamente procede dal Padre, nel tempo è pure l’Inviato del Padre, mandato nel seno della Vergine perché vi rivesta la nostra umanità. Il Padre che lo manda gli dà in tal modo la carne che sarà la materia del suo sacrificio, perché lo destina ad essere sua Vittima e sua Ostia. In quel momento anzi lo consacra sua Ostia, e, in un certo senso, Egli medesimo lo sacrifica; la sua volontà è la spada che lo immola. Perciò san Paolo dice ancora: «Per questa volontà siamo stati santificati mediante l’oblazione fatta una volta sola del corpo di GESÙ CRISTO» (Eb 10, 10).

È dunque proprio il Padre, in tutta verità, che originariamente è il Sacerdote del sacrificio che si compie nell’Incarnazione. In quella guisa che Egli è l’origine dell’ammirabile Sacerdozio che il Verbo esercita per la gloria di Lui, prima dei secoli tutti: così è ora, il Principio del Sacrificio che dal Verbo viene offerto nella carne, il vero Sacrificatore della divina Ostia ch’Egli offre a se medesimo (20).

Per altro, per immolare una vittima, bisogna aver autorità sopra di essa; non si può offrire né sacrificare un bene estraneo. Orbene non v’è che il Padre che, originariamente, abbia potere, autorità e piena sovranità sopra il Figlio suo. Nell’eternità, non poteva godere di questo diritto, perché questo include una superiorità vera di colui che lo esercita sopra colui che lo subisce. Bisognava dunque che il Figlio, essendo divenuto creatura, nella sua umanità, gli fosse inferiore.

Ma il Padre lo manda, il Padre lo fa uomo, e in pari tempo Vittima. Lo costituisce sua Vittima di lode, di adorazione e di azioni di grazie, la Vittima della sua Religione, incaricata degli interessi della sua gloria, destinata a rendergli ogni onore, ogni soddisfazione, ogni compiacenza. E perché lo manda per redimerci e salvarci, lo costituisce Vittima di riparazione e di espiazione; e imponendogli questa qualità e questa condizione singolari, ma necessarie per la piena soddisfazione della sua giustizia, lo immola nel modo più assoluto, più universale e più proprio a farci intendere quei diritti infiniti che ha sopra di Lui; secondo questa parola di san Paolo: «Dio non ha risparmiato nemmeno il proprio Figliuolo, ma lo ha dato a morte per noi tutti» (Rom 8, 31-32).

 


Ecco dunque che il Padre è manifestamente il Sacerdote e il Pontefice del Sacrificio di GESÙ CRISTO; questo Padre santo che a «questo Figliuolo dell’amor suo» (Col 1, 13) comunica «tutto quanto è suo» (Gv 17, 10), gli dà tutti i suoi diritti sopra l’umanità di cui lo ha rivestito, umanità secondo la quale il Verbo è divenuto Vittima; dimodochè, al momento stesso della Incarnazione, lo consacra in pari tempo anche Sacerdote; anzi, secondo il nostro modo di concepire le operazioni divine, lo consacra Sacerdote prima che Vittima, perché naturalmente il Sacerdote preesiste all’oblazione della Vittima. Il Figlio poi con amore accetta tale consacrazione, felice di diventare, nel tempo, Sacerdote della gloria del Padre suo, come lo è pure nell’eternità in modo differente e ineffabile (21). E questo Sacerdozio che riceve in questo modo, Egli lo esercita sull’istante, senza nessun ritardo, come senza nessuna riserva, con una religione infinita verso il Padre suo santo ed adorabile. Il divin Padre lo vuole per sua Vittima, ma Egli pure vuol essere la Vittima del Padre; e infatti si consacra a tale ufficio, come diceva Isaia, «con piena volontà» (Is 53, 7).

 

San Paolo ci ha conservato le parole che furono allora proferite davanti alla Maestà di Dio da questo umile Sacerdote, da questa Vittima tutta devota. L’Apostolo dice: «Quando GESÙ entrò nel mondo (per l’Incarnazione), disse al Padre suo: «Non avete più voluto l’Ostia e l’oblazione (della Legge); perciò mi avete dato e formato un corpo. Gli olocausti e i sacrifizi per il peccato non vi furono graditi. Allora ho detto: Ecco che vengo io stesso, o Dio, per fare la vostra volontà» (Eb 10, 5-7).

 


Tutto è lì. Il Verbo incarnato è Sacerdote dell’Altissimo per sempre. Lo è per la volontà del Padre, lo è per l’accettazione amorosa di tale volontà. Ne compie «l’opera, che è il Sacrificio, fin dal suo ingresso nel mondo». Questo Sacrificio consiste in una continua glorificazione del Padre nell’adempimento fedelissimo dei disegni di Lui, in una disposizione che tutto fa riferire unicamente al suo onore ed alla sua soddisfazione, all’unico trionfo degli interessi, della causa, del beneplacito del Padre. Sacrificio che GESÙ, Sacerdote e Ostia del Padre, offrirà senza intermissionne alla Maestà, alla sovranità, alla santità, all’Essere infinito e infinitamente adorabile del Padre. E appunto secondo lo spirito del suo sacrificio, Egli dirà parlando della sua vita: «Essa è tutta interamente per il Padre»; dirà delle sue azioni e delle sue opere: «Da me stesso non faccio e non posso far nulla»; «In ogni cosa non faccio altro che ciò che piace al Padre mio… perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato»; dirà dei suoi insegnamenti: « La dottrina ch’io vi dò, non è mia, ma è la dottrina di Colui che mi ha mandato… e ciò che dico l’ho imparato dal Padre mio». Parlando della sua propria gloria, protesta che «è un nulla» (22). Se lo si loda, innalza verso il Padre le menti ed i cuori, dicendo: «Perché mi chiamate buono? Niuno è buono fuorché Dio solo» (Lc 18, 19).

 

Quale abnegazione! Niente per sé, tutto per il Padre di cui serve la gloria, perché è stabilito Sacerdote e Ostia di Lui. Abbiamo citato la parola di san Paolo che ritornerà spesso ancora in questo libro: «Ogni Pontefice, preso tra gli uomini, è preposto a pro degli uomini a tutte quelle cose che riguardano Dio», l’onore, la causa, gli interessi, i diritti di Dio (23). Chi mai procura come GESÙ, l’onore di Dio? Chi, come Lui, ne riconosce i diritti, la sovranità, la suprema autorità? Egli è venuto in questo mondo per redimere le anime nostre, santificarle, unirle a sé nella carità, e infine glorificarle in Cielo: questo grandioso disegno e lo stupendo mistero della sua vita di povertà, di umiliazione e di sofferenza non sono che l’attestato ammirabile del suo amore incomparabile per noi. Ma in tutto questo vi era un fine superiore ed ultimo, e questo fine era la gloria del Padre suo. Ci ha amati, ci ha riscattati e vuole associarsi un giorno alla sua eterna felicità; ma la ragione che domina tutto, l’intenzione che tutto determina, è la gloria del Padre, che gli è infinitamente cara. Egli vuole che questa gloria ad ogni costo sia resa a un Padre così infinitamente degno di tale Religione. Questo vuole nel tempo: la sua vita e la sua morte, i suoi misteri e le istituzioni da Lui create, non hanno che questo scopo sublime; ma lo vuole pure raggiungere fin nell’eternità, persino nel Cielo; infatti, Egli vuole continuare nei secoli dei secoli l’esercizio del suo divin Sacerdozio, per la gloria eterna del Padre.

Esporremo e proveremo, in seguito, la verità di questa dottrina.

 


 

NOTE

(16) Si tratta di sapere se la causa prima dell’Incarnazione è una volontà assoluta per la quale Dio ha decretato l’Incarnazione di una Persona divina prima ancora di ogni previsione della caduta del primo uomo; ovvero se il motivo dell’Incarnazione è la caduta stessa, così che questo mistero divino non si sarebbe compiuto, se Adamo non avesse peccato. Non è qui il caso di esprimere il nostro giudizio; ma in un soggetto come quello di cui trattiamo, sarebbe difficile non lasciar mai capire quale sia il sentimento verso il quale si è maggiormente inclinati.

(17) È pressoché l’espressione di Thomassin: «Dei Verbi jam (ab aeterno) sacerdotii omen praegestantis… coaptatio temporalis cum humana natura tamquam cum victima immolanda, etc.». De IncarnX, cap. IX. ­ Cfr.: S. TH., III, q. III, art. 8.Epist. ad Magnes.«Honor utique ille totius est Trinitatis», dice s. Anselmo. «Quare, quoniam idem ipse est Deus, Filius Dei ad honorem suum seipsum sibi, sicut Patri et Spiritui Sancto, obtulit, id est, humanitatem suam Divinitati suae, quae una eademque trium Personarum est». (Cur Deus homo, II). Ma perché il Padre è Principio nella Trinità, e che da Lui il Figlio è mandato al mondo, è perfettamente conveniente attribuire al Padre l’onore del Sacrificio. Cfr.: RICCARDO DI SAN VITT., De Verb. .Incarn., lib.

(18) Cfr.: S. TH., III, q. III, a. 8.

(19) Elév. sur les Mystères, XIII semaine, 6.a élév.

(20) S. Ignazio di Antiochia aveva egli forse questa veduta della pienezza originale del sacerdozio di Dio Padre, quando lo chiamava «il Vescovo di tutti»? – «Non ei (Episcopo Ecclesiae) cedunt (cum ipsi obedientiam exhibent Presbyteri), sed Patri Domini Nostri JESU CHRISTI, omnium Episcopo». 

(21) Licet CHRISTUS non fuerit Sacerdos secundum quod Deus, sed secundum quod homo, unus tamen et idem fuit Sacerdos et Deus. S. TH., III, q. XXII, art. 3.

(22) JOANN., V, 30; VI, 58; VII, 16; VIII, 20, 28, 54

(23) Diciamo talvolta che Nostro Signore ha offerto il suo sacrificio al Padre suo; È verità del dogma cattolico che il sacrificio del Verbo Incarnato, in realtà, è stato offerto alle tre divine Persone.