Castità sacerdotale: l’uso dei sensi e la condotta della vita

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

 

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CAPITOLO UNDICESIMO. La castità sacerdotale – l'uso dei sensi e la condotta della vita

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«O Dio! esclama Bossuet, chi ardirebbe parlare di quella profonda e schifosa piaga della natura, di quella concupiscenza che lega l'anima al corpo con vincoli sì teneri e sì violenti, della quale si ha tanta pena a liberarsi e che causa al genere umano disordini così spaventosi? Guai alla terra! Guai alla terra! Una volta ancora, guai alla terra, dalla quale salgono continuamente un fumo così denso, e vapori così neri, che si innalzano da quelle passioni tenebrose e ci nascondono il cielo e la luce, donde partono pure lampi e fulmini della divina giustizia contro la corruzione del genere umano! Oh! Come ha ragione l'Apostolo Vergine, l'amico di GESÙ e Figlio di quella Vergine che GESÙ medesimo sempre Vergine, le dava per Madre; come ha ragione di gridare con tutta la sua forza ai grandi e ai piccoli, ai giovani e ai vecchi, ai figli come ai padri: Non amate il mondo… perché nel mondo non vi è che concupiscenza della carne!» (Traité de la concupiscence).

Questo grido dell'Apostolo Vergine risuoni pure nei Santuario e getti una specie di spavento in coloro ai quali fu detto, non solo come ai Leviti: Mundamini qui fertis vasa Domini (Is 52, 11), ma inoltre: Glorificate et portate Christum in Corpore vestro (1 Cor 6, 20). Che vuol dire glorificare GESÙ CRISTO nel nostro corpo? portare nella nostra carne e nei nostri sensi lo splendore della sua gloria? partecipare anche nelle miserabili condizioni di questa vita, allo spirito e alla purissima gloria della sua Risurrezione? Ne daremo la spiegazione; parleremo di ciò che è santo evitando di parlare di ciò che sarebbe il disonore del Sacerdote, poiché, come dice Bossuet, «neppure per condannarlo, si può pensarvi senza pericolo».

Il nostro corpo, con tutti i suoi membri e tutti i battiti del cuore, è tutto consacrato. Siamo tutti consacrati interamente come Templi di Dio, Sacerdoti di Dio, Ostie di Dio, Vergini di Dio, per mezzo della grazia del santo Battesimo e degli altri Sacramenti. Ma vi è un Sacramento che porta al suo compimento questa consacrazione, il Sacramento Santo per eccellenza che non è solo una fonte di grazia, ma la grazia e la purità medesima, l'Eucaristia. GESÙ dice a ciascun di noi: «Questo è il mio corpo»; ecco adunque il compimento della nostra unione, il mistero dello Sposalizio divino, incominciato nel Battesimo, che nella Comunione arriva alla sua perfezione. Il corpo di GESÙ non è più suo, ma è nostro; reciprocamente il nostro corpo non è più nostro, ma è di GESÙ. GESÙ vuole possedere il nostro corpo e saremo due in una carne sola. Concorporei facti sumus in Christo una carne pasti et uno spiritu ad unitatem obsignati (S. CYRILL.).

Tale è pure la condizione di tutti i cristiani) in quanto fanno parte del Corpo mistico di GESÙ CRISTO; ma noi abbiamo relazioni oltremodo più intime con l'Ostia purissima.Dio medesimo ci ha dedicati ad una unione ben più santa, con una grazia ben più sublime. La grazia di quel Sacramento che è tutto nostro, è passata come una fiamma divina sulle nostre mani, sulle nostre labbra, sulla nostra carne, su tutta la nostra persona, ha pervaso tutto l'essere nostro per santificarlo, purificarlo, consacrarlo, e in certo qual modo, spiritualizzarlo. L'Ostia è nostra, noi la consacriamo, noi la portiamo nelle nostre mani, noi la diamo ai fedeli e la prendiamo come bene nostro. Perciò dice Bossuet: «Rendiamoci degni di ricevere quel Corpo verginale, quel Corpo concepito da una Vergine, nato da una Vergine. Purificatevi, Ministri sacri che ce lo date. La vostra mano che ce lo porge sia più pura che la luce; la vostra bocca che lo consacra sia più casta di quella delle Vergini più innocenti… Con la santa istituzione della continenza… la Chiesa a quel Corpo Vergine formato da una Vergine, vuole preparare Ministri degni di lui, e darci una viva idea della purezza di questo Mistero» (Méditations sur l'Evangile).

Ci proveremo ad indicare Sacerdoti alcune norme per l'uso del corpo e dei sensi, e la condotta della vita.

1. Non dimentichiamo mai che il corpo è il nostro nemico; quindi mortifichiamolo in quella maniera che ci verrà suggerita dalla fede, dallo zelo per la nostra salvezza, dalla prudenza e dallo spirito di Dio. Se ci comportiamo diversamente, moriemini (Rm 8, 13). Noi portiamo il male entro noi medesimi, e il corpo è incessantemente disposto in ogni occasione ad invadere il dominio dello spirito. È. dunque necessario concedergli meno che sia possibile. Ricordiamo quella parola di san Paolo: Castigo corpus meum (I Cor., 9, 27).

2. La nostra vita sia ben ordinata; in tal modo troveremo tempo. per dedicarci seriamente allo studio, che eleva, fortifica e arricchisce l'intelligenza e così ci rende meglio capaci di adempiere tutti i nostri doveri. Se non c'è ordine nella nostra vita, subentreranno l'ozio, la mollezza, il vagabondaggio della fantasia, la negligenza nel contegno, tutte cose dannose per la castità (Ez 16, 49; Eccli 23, 29). «Se il demonio vede una persona nell'ozio, dice san Vincenzo de' Paoli, oh! come ha buon giuoco per tormentarla con fantasie impure»! (MAYNARD, cap. 29).

3. Formiamoci l'abitudine di un contegno severa e dignitoso anche quando siamo soli. San Francesco di Sales, anche quando pensava di non essere veduto da nessuno, come fu osservato da qualche curioso indiscreto, conservava persino nelle cose più comuni una modestia e una mortificazione perfettissime; non si avvicinava mai al fuoco, anche nei freddi più intensi e sopportava lietamente il freddo e il caldo; sfidava la pioggia, la neve, il vento; non si lamentava mai di nulla, e ripeteva graziosamente questa parola: «Non sto mai tanto bene come quando non sto bene». Una vita di tal genere esige grande forza d'animo; e la forza d'anima è un aiuto potentissimo per la protezione della castità. Sapersi mortificare nelle piccale cose è di grande importanza. In minimo fidelem esse, magnum est (S. Aug., De doctrina christ., IV).

La castità sacerdotale, come il Corporale sul quale deponiamo il Corpo di GESÙ CRISTO, non tollera la minima macchia.

4. Per necessità, dobbiamo prenderci cura del nostro corpo; ma che la castità non ci perda nulla. È massima dei santi che la sensualità nel mangiare e nel bere dispone all'impurità. Sapientia, dice Giobbe, non invenitur in terra suaviter viventium (28, 12). Luxuriosa, res, vinum (Prv 20, 1; Ef 5, 18).

5. Nequius oculo quid creatum est? ha detto lo Spirito Santo; e quanti fatti confermano la verità di questa massima! Ricordiamoci di Davide. Perciò Giobbe aveva fatto questo patto coi suoi occhi. Ut ne cogitarem quidem de virgine (31, 1); non era altro che docilità a quella raccomandazione dello Spirito Santo: Virginem ne conspicias, ne forte scandalizzeris in decore illius (Eccli 9, 5). Il Sacerdote ricorderà quell'avviso dell'Imitazione (IV, cap. XI): Oculi ejus simplices et pudici, qui Christi Corpus solent intueri e metterà in pratica l'insegnamento di GESÙ CRISTO: Si oculus tuus fuerit simplex, totum corpus tuum lucidum erit (Mt 6, 22). Si farà quindi una legge di non permettersi nessuna sguardo. pericolosa di qualunque genere, anche nelle sue letture, come sui giornali illustrati, sui libri di medicina; peggio ancora nella visita di qualche museo, se i suoi occhi non fossero modesti, sarebbe anche grave scandalo. Non si leggano mai libri immorali; quando pure si avesse il permesso di leggere libri proibiti, questo non comprende libros obscenos. Ché, se, per stretto dovere, fosse necessario esaminare qualche libro per darne il giudizio, non occorre leggere tanto né con tanta attenzione, per giudicare se è roba da buttar nel fuoco. Riguardo poi a qualche trattato della Teologia morale, ci bastino le seguenti gravissime parole di sant'Alfonso: Aegre materiam illam tractandam ingredimur cujus vel solum nomen hominum mentes inficit… Utinam brevius aut obscurius explicare me potuissem! Sed ***** haec sit… materia, propter quam major animarum numerus ad infernum delabitur.. opus mihi fuit… ut clare (licet qua castissime fieri potuit) me explicarem… Oro tamen studiosos, qui ad munus audiendarum confessianum se porant, ut tractatum legant ob hunc unice finem, omnem prorsus curiositatem abjicientes, atque eo tempore saepius mentem ad DEUM ELEVENT ET VIRGINI IMMACULATAE sese commendent, ne dum aliorum animas Deo student acquirere, ipsi suorum detrimentum patiantur.

6. Caste siano e purissime le nostre labbra. – La virtù della nostra Ordinazione è come quel carbone ardente col quale un Serafino toccò le labbra d'Isaia dicendogli: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, e sarà tolta in te ogni iniquità» (Is 6, 7). Ex ore Sacerdotis nihil nisi sanctum… procedere debet verbum qui tam saepe Christi accipit Sacramentum (535). «La purità della bocca, dice Bossuet, sta in questo, che non ne escano. mai se non parole di benedizione, che la lingua si tenga nella moderazione, e, più che si possa, nel silenzio». Raccogliamo le gravissime parole di san Paolo: Omnis immunditia,… nec nominetur in vobis, sicut decet sanctos (Fil 4, 8); e di san Gerolamo al suo diletto Nepoziano: Lepores… et caeteras ineptias amatorum… in saeculi hominibus detestamus, quanto magis in clericis!… Numquam de formis mulierum disputes. La facilità di proferire parole meno convenienti, sarebbe indizio di un cuore che meriterebbe compassione, poiché la bocca «parla dall'abbondanza del cuore» (Mt 12, 34).

«La purezza della bocca, aggiunge Bossuet, sta ancora nel desiderare il bacio castissimo del divino Sposo, e rinunciare ad ogni gioia, fuorché di possederlo». Osculetur me osculo oris sui (Ct 1). Ecco il voto che il Sacerdote esprime ogni mattina, malgrado la sua indegnità, nell'ascendere all'altare; durante il santo Sacrificio ei bacia ripetutamente l'altare, che è l'immagine di GESÙ CRISTO. Per ottenere il bacio dello Sposo, moltiplica i baci alla immagine sacra di Lui, e ottiene quanto desidera. Al momento della Comunione lo Sposo gli accorda non solo il bacio dell'amore toccando le sue labbra, ma gli dà molto più ancora: l'unione cioè, che è il fine di ogni amore, l'unione senza pari dell'Ostia e del Sacerdote che si compie al cospetto degli Angeli compresi di ammirazione e di stupore. Le labbra del Sacerdote siano sante, più sante che se fossero labbra angeliche, sante come le labbra di Dio.

7. Castissime pure siano le nostre orecchie. Sant'Agostino confessava che le voluttà dell'udito lo avevano affascinato con vincoli potentissimi; dopo la sua conversione, non prendeva più piacere che nel canto dei salmi e delle lodi sacre, eppure aveva paura di trovare anche in questo qualche diletto pericoloso: ***** mihi accidit ut me amplius cantus quam res quae canitur moveat, me peccare confiteor; et tunc mallem non audire cantantem (Confess., X). Se sant'Agostino così parlava del canto in chiesa, cosa sarebbe del canto in altri luoghi tutt'altro che sacri e del canto mondano?… Respingano poi severamente le nostre orecchie certe lodi che potrebbero venire da labbra femminili. Memento semper, diceva ancora san Gerolamo, quod Paradisi colonum de possessione sua mulier ejecerit.

8. Sia casto in noi anche l'odorato. È questo il meno pericoloso dei nostri sensi; eppure sentiamo san Gregorio di Nissa: Nonnumquam nasus olfactu et attractu vaporum magnis vitiis hominem inficit interiorem (Orat. III, De Resurrect.); e sant'Ambrogio: Luxuriosi hominis, vel potius non hominis, est olere unguentum (In Lucam, VI). Unguentorum usus ad libidines impellit, dice Clemente d'Alessandria (Pedagog., II). Non sarebbe tanto pericoloso quell'odore puro e casto che Dio ha creato ed ha posto nei fiori; ma gli odori inventati e fabbricati dagli uomini al servizio della sensualità, portano al male; pare che ciò che vi è di più puro nella natura, si corrompa, quando la nostra carne se lo appropria.

9. Siano caste soprattutto le nostre mani. – O quam mundae debent esse manus illae! dice l'Imitazione; Pure più della luce, esclama san Giovanni Crisostomo (Homil., LX): Quo non oportet esse puriorem, tali fruentem sacrificio? Quo solari radio non splendidiorem manm, carnem hanc dividentem? Le nostre mani consacrate con l'olio santo, che toccano così spesso il Corpo adorabile di GESÙ CRISTO!

San Giuseppe da Copertino provava una inesprimibile impressione ogni volta che toccava l'Ostia consacrata; e diceva che avrebbe voluto possedere per ogni mano un pollice e un indice di ricambio, da riservarsi per la celebrazione della santa Messa, e che avrebbe poi racchiusi in un cofano, perché non servissero mai ad altro uso. È nota, a questo proposito, la delicatezza estrema di san Vincenzo de' Paoli; avendo gli chiesto un Sacerdote in cura d'anima se sarebbe permesso toccar il polso ad una inferma onde giudicare della necessità di conferirle l'Olio santo, il Santo rispose energicamente, «che si guardasse bene da tale pratica perché lo spirito maligno potrebbe servirsi di questo pretesto per rovinare e la moribonda e il vivente». Ricordava poi l'esempio di un santo che, essendo ammalato, non volle neppure essere toccato dalla sua moglie dalla quale viveva separato, gridando che vi era ancora del fuoco sotto la cenere». San Vincenzo, pur condiscendente in tutto, era rigorosissimo su questo punto. «I corpi umani, dice san Francesco di Sales a Filotea, rassomigliano ai vetri, non si possono portare assieme, perché se si urtano a vicenda, si rompono; ed anche ai frutti, i quali, benché sani e integri, si danneggiano a vicenda col contatto»; e concludeva: «Non permettete mai che nessuno vi tocchi, perché, quando pure si tratti di semplice leggerezza, il fiore della castità ne riceve sempre danno e perde la sua freschezza». Tactus et joci, dice san Gerolamo, moriturae virginitatis principia (536). Quando si tratta di donne, di fanciulle e anche di fanciulli, la regola generale è questa: «Né toccare, né essere toccati». Noli me tangere. Se ci sembrasse che la carità domandasse qualche eccezione, teniamo presente quella parola dell'Imitazione: Saepe videtur caritas, et est magis carnalitas (537).

Anche nelle infermità non dimentichiamo mai di essere Sacerdoti, e sempre Sacerdoti come nelle opere del ministero. Ascoltiamo ancora san Gerolamo a Nepoziano: Aegrotanti tibi quilibet sanctus frater assistat, et germana, vel mater aut PROBATAE quaelibet APUD OMNES FIDEI… Scio quosdam convaluisse corpore, et animo aegrotare coepisse. Periculose tibi ministrat, cuius vultum frequenter attendis.

10. Da ultimo, sia casta e pura tutta la nostra vita, ed anche la nostra fama sia l'attestato di una evidentissima castità. Sit odor vit~ vestMe delectamel1tum Ecclésiae Christi (538).

La nostra riputazione non appartiene a noi, ma alla Chiesa; sarebbe quindi crudeltà verso questa Madre così degna del nostro rispetto e del nostro amore, il compromettere menomamente la nostra dignità, il nostro onore, la nostra corona di Sacerdote casto. Sarebbe poi vera follia o indegna perfidia, dire: «Cosa importa a me delle dicerie altrui? La mia coscienza è tranquilla!». Conscientia tibi, risponde sant'Agostino parlando a chierici, fama proximo tuo. Qui fidens conscientiae suae negligit famam suam, crudelis est; maxime in loco isto positus de quo dicit Apostolus: Circa omnes teipsum honorum operum praebens exemplum (539).

Ché se la malignità tentasse, con la calunnia, di oscurare la nostra fama e gettare, a torto, il fango sulla nostra veste sacerdotale; allora sì, secondo la raccomandazione del santo Dottore (540), quando avessimo fatto tutto quanto è da noi per conservare il nostro onore, la nostra coscienza sarebbe davanti a Dio il nostro sicuro conforto, anche quando il mondo dicesse tanto male di noi.

Il mondo, sul punto della castità, è giustamente severo con noi; non basta quindi che la nostra condotta sia irreprensibile, bisogna che sia «quella fiaccola, di cui parla il Maestro, che risplende davanti agli uomini e li costringe, alla vista delle nostre opere, a dar gloria al nostro Padre de' cieli» (Mt 5, 16). Risplenda dunque in noi, in ogni circostanza, in casa e fuori, nelle relazioni con qualsiasi persona di qualunque età e condizione, risplenda la più perfetta purità. Tutto in noi sia santo; parole, contegno, sguardi, atti; dalla nostra vita tutta santa, tutta pura e casta, il mondo conosca che cosa sia un Sacerdote.

NOTE

(535) De imit. Christi, lib. IV, cap. XI.

(536) Vita S. Hilarion.

(537) Lib. I, cap. XV.

(538) Pontific. Ordin. Presbyt

(539) Tit., II, 7. – S. AUG., Sermo CCCLV.